Identità cristiana e nuova evangelizzazione
Educare-formare alla vita buona – bella – del Vangelo
Com’è possibile educare alla vita buona – bella – del Vangelo in un tempo di crisi? Quanto della forza dell’annuncio cristiano viene meno nel nostro stile di vita? Le Chiese locali hanno ancora qualcosa da dire al mondo e alla società? Si può parlare di “pretesa” e d’“identità cristiana”?
Se è vero che nella vita non è importante rispondere a tutte le domande, bensì porsi l’interrogativo giusto, allora le questioni sopra indicate sono giustificabili per riflettere sulla natura missionaria delle Chiese e sul bisogno di recuperare la categoria del racconto e dell’esperienza – la testimonianza o la credibilità della fede – all’interno del progetto educativo della Chiesa non solo italiana. Benedetto XVI, nel motu proprio La porta della fede (11-10-2011), ha affermato: «Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone» (n. 2).
Essenzialmente, la nuova evangelizzazione è la riscoperta del senso vivo della fede nelle comunità d’antica cristianità che hanno smarrito la forza del Vangelo e l’efficacia del suo annuncio sia nei contenuti che nei metodi e nelle proposte operative e pastorali. Annunciare la buona novella della risurrezione non significa parlare di una dottrina da imparare a memoria o del contenuto di una sapienza da meditare. Evangelizzare è, innanzitutto, testimoniare una trasformazione all’interno stesso dell’essere umano: con la risurrezione di Cristo, tutto è cambiato, anche il senso della nostra vita e il destino del mondo.
1. Una questione di fede e di libertà
La formazione, come, l’evangelizzazione, è questione di fede e di libertà. Anche la crisi economica, politica, sociale e culturale dei nostri tempi è un problema di fede e di libertà. Per agire è sempre necessario affidarsi a qualcuno liberamente. Pedagogo è chi vive un’esperienza gratuita che pienamente gli cambia l’esistenza e ha, dunque, qualcosa – un contenuto – da raccontare e da trasmettere agli altri. In questo caso, il Vangelo di Gesù Cristo! Maestro è soltanto chi fa della gratitudine e della libertà ricevuta l’offerta di sé. Cosa, infatti, noi doniamo agli altri, ai giovani, al mondo, affinché essi possano riconoscere Gesù Cristo quale Signore della vita? La gratitudine non è una formula compromissoria del nulla o di un’idea o di un progetto, ma è il compendio di un’esistenza donata. Pedagogo è chi genera – smuove l’esistenza – alla gratitudine e alla fede. In tal senso, il cristianesimo è l’esperienza della gratitudine – il Vangelo donato – e l’imitazione della natura divina (Gesù Cristo).
La crisi è un’opportunità per rinnovare la nostra fiducia in Dio e riscoprire il senso genuino della fede. Jhwh rivela al profeta Geremia: “Io sono con te” (cf. Ger 1,8), cioè “Io sono dalla tua parte, sempre vicino a te, sono presente alla tua vita”. Solamente Dio è colui che ci può rendere stabili. Liberandoci da eccessive e, a volte, inutili e catastrofiche analisi sociologiche ed economiche, occorre ripartire dall’esperienza della fede, dal Vangelo come vissuto o forma di vita che ci rinnova e apre i cuori a una gioia più grande. È stata questa l’esperienza degli apostoli che, dopo aver incontrato il Risorto, l’hanno annunciato con la vita. Nell’identità cristiana vige un principio che ci rende fedeli al Vangelo e che al meglio esprime la natura del cristianesimo: “Siamo nascosti con Cristo in Dio” (cf. Gal 2-3; Col 3,3). Il peccato consiste in una resistenza passiva innanzi alla novità di vita suscitata dal Vangelo di Gesù Cristo e indicata dai segni dei tempi. Nell’annuncio del Vangelo occorre rimanere fedeli alla logica della croce, liberandoci da ogni sorta di trionfalismo. Spesso parliamo di sklerokardia e anche di poròsis: sono l’indurimento del cuore e l’indifferenza davanti ai segni della storia e alla profezia del Signore.
2. La metafora del vetro e del giardino
Ci sono due immagini che aiutano a comprendere come possiamo camminare in questo mondo che è cambiato: quella del vetro e del giardino. Secondo la metafora del vetro, dobbiamo essere trasparenti come la realtà che si può vedere integralmente anche dietro a un vetro che riflette la luce e, quindi, rivela. Attraverso la metafora del giardino, invece, possiamo comprendere che Cristo è il nostro giardino o Eden. Il Padre ha collocato l’uomo (Adamo) in Cristo, da sempre. È questa la lettura di molti padri della chiesa e di autori cristiani antichi: l’uomo è da sempre collocato in Cristo e non allontanato dal paradiso. Evangelizzare o educare significa, quindi, continuare l’opera della creazione in Cristo. Adamo non è cacciato dal giardino, bensì immesso nella storia della salvezza. Egli è un inviato, un piantato-collocato nel giardino del mondo. La Chiesa cattolica, dunque, deve prendersi cura di Adamo, cioè orbitare attorno all’uomo, alle nuove esigenze antropologiche. Evangelizzare e formare vuol dire imparare a viaggiare intorno all’uomo e conoscere le frontiere antropologiche dell’umanità. Occorre coltivare il gusto di viaggiare intorno alle persone.
La mancanza di fede nelle comunità cristiane è il vero problema dell’annuncio e della crisi profonda del cristianesimo oggi. La trasmissione della fede è diventata difficile e complessa per una mancanza di fede. Corriamo il rischio di diventare un corpo che non parla più di Gesù Cristo ma solo di se stesso. Sono da prendere in considerazione alcuni mali del nostro agire da cristiani: l’individualismo, il trionfalismo, il culturalismo e il fideismo. Cristo è stato maestro e pedagogo perché ha agito con autorità, sapienza e passione. Egli è il predicatore del Padre, l’esegesi-passione del Dio nascosto, e si è posto sempre nella prospettiva della croce e dello svuotamento o kenosis. C’è un cammino di conversione da mettere in atto e da prendere sul serio se vogliamo essere efficaci nell’annuncio del Vangelo. Perché l’unica cosa che noi possiamo testimoniare è la nostra esperienza di Gesù Cristo. Il coraggio dell’evangelizzazione e la forza educatrice nascono dall’esperienza concreta di Gesù Cristo nella vita del credente. Non è questo più il tempo in cui possiamo pretendere che gli altri riconoscano la verità del Vangelo. Nel tempo della post-modernità, ove il Tutto ha ceduto il posto al frammento e al pluralismo delle verità e dei valori, siamo in grado solamente di testimoniare la verità, cioè di rendere credibile la proposta di vita di Gesù Cristo con la nostra vita e come scelta dell’esistenza (è la logica del “se vuoi”).
3. “Essere anti-segno”
La crisi che oggi vive il cristianesimo fu già annunciata da Karl Rahner nel momento in cui egli individuò una forma nuova di negazione di Dio: l’“ateismo preoccupato”. Ci vergogniamo di annunciare il Vangelo, di predicare la Parola della fede in ogni occasione, opportuna e inopportuna, favorevole e non (cf. 2Tm 1-2). La marginalità della fede e la condizione di limite – in cui sono posti l’annuncio del Vangelo e la proposta educativa cristiana oggi –, obbligano a riflettere sul tema sempre attuale della testimonianza e della credibilità. Incarnare i valori del Vangelo nella propria vita significa andare contro corrente e fare scelte impopolari e poco “seducenti” per la società, allontanandosi quasi completamente dalla mentalità di questo secolo. Così, l’identità cristiana si esprime nell’“essere anti-segno”, nell’attraversare tutte le culture senza assumerne in misura totalizzante alcuna, come anche nel non averne una in particolare ma tutte. L’annuncio del Vangelo e la formazione ai valori cristiani restano una grande sfida e si possono affermare solamente come opportunità e non necessità, cioè sempre secondo la logica evangelica del “se vuoi” (cf. Mc 8,27-35).
La crisi che viviamo è determinata anche dalla nostra incapacità di saper leggere i segni dei tempi. Non siamo in grado di leggere la nostra storia. La missione è creatività, genialità, novità. La missione è prassi e non un’idea. Il vero contenuto dell’evangelizzazione è il Vangelo vivo di Gesù Cristo. La missione è poiesis (creatività). L’evangelizzazione non ha metodi fissi perché ci sono cambiamenti sempre in atto nella storia. Occorre, nel campo dell’evangelizzazione, coniugare sempre due termini: Parola (Verbum Domini) e Historia (come luogo teologico). La crisi dell’evangelizzazione dipende anche dal mancato processo d’inculturazione delle Chiese. Non possiamo non considerare due sfide fondamentali: la tecnocrazia e la trasformazione del ruolo delle religioni. La tecnocrazia ha svilito l’uomo e ridotto il significato dei valori religiosi a mito. L’unica verità è la scienza, anzi, quella prodotta dalla comunicazione. Il vero messia è rappresentato dai mezzi di comunicazione sociale. Sono i mezzi di comunicazione a creare la verità, a fare cultura. Le religioni oggi svolgono un ruolo importante: si assiste a un loro revival. Il buddhismo, ad esempio, in Europa è più efficace dello stesso islam. C’è una nuova e diffusa pratica dei metodi di preghiera orientali che non si deve più sottovalutare. C’è una rinascita delle religioni orientali in Occidente che non abbiamo ancora studiato in profondità. L’uomo è alla ricerca di pienezza di senso perché si sente svuotato dalla tecnica e dalla stessa ragione e dal potere della scienza. I nostri linguaggi sono diventati metastorici e non hanno più nulla da comunicare oggi. È sufficiente costatare l’inefficacia delle nostre omelie nelle celebrazioni liturgiche domenicali.
Dobbiamo evidenziare il carattere integrale dell’evangelizzazione: Cristo libera tutto l’uomo. Il cristianesimo è una religione calata nella storia e considera l’agire concreto o prassi che produce creatività anche nella missione. La vera risorsa che abbiamo è la potenza del Vangelo. L’evangelizzazione deve operare anche una lettura critica della storia e del nostro essere comunità di credenti.
4. La chiesa, un corpo inquieto
Per educare alla vita bella del Vangelo occorre, anzitutto, recuperare quel senso di preoccupazione o d’inquietudine che è la sollecitudine propria delle Chiese provocata dal Vangelo stesso. Dobbiamo recuperare il respiro del Vangelo e aprirci al mondo. “Evangelizzare è amore che va fuori”: la chiesa non esiste per se stessa; essa è il corpo inquieto di Cristo che si lascia mettere in crisi e purificare dalla croce del Signore risorto. La chiesa è il corpo inquieto di Cristo che sperimenta sulla propria pelle le attese e le sfide del mondo.
L’immagine vera della missione e della pedagogia cristiana è il Crocifisso che seduce solamente attraverso il potere dell’amore che si dona e che svincola da ogni legge. È utile sviluppare anche un senso di gratitudine per il dono della fede e per l’incontro con il Vangelo di Gesù Cristo. In tal senso, la missione è liturgia, sacrificio, ma anche debolezza: siamo stati salvati dalla debolezza di Dio che è la creatività dell’evangelizzazione. Dunque, è indispensabile formarsi alle virtù forti: coraggio, fedeltà, lealtà, trasparenza. Una chiesa che non trova nella Parola della croce la sua forza non ha nulla da comunicare al mondo. Una chiesa che ripete al suo interno le logiche del mondo – della corruzione, della competitività, del trionfalismo, del carrierismo – non ha niente da dire agli uomini e alle donne del nostro tempo.
C’è da recuperare la prospettiva missionaria ed escatologica della chiesa che vive relativamente all’annuncio del regno dei cieli e alla manifestazione gloriosa del Signore risorto. Si tratta di essere chiesa, di vivere, di possedere, “come se non vivessimo, come se non possedessimo” (cf. 1Cor 7,29-31). La chiesa esiste solo “nel frattempo”, “fino” alla manifestazione del Signore Gesù Cristo, il Crocifisso-Risorto. È lo iato esitente tra la parusìa e la nostra storia di uomini a giustificare la forma della chiesa nel mondo oggi. Non si tratta di finzione-funzione rappresentativa ma di prendere sul serio la categoria della provvisorietà. La chiesa è al servizio del Regno che viene.
Nessuna espressione dell’esistenza riempie la totalità della vita, perché è solo un tratto, un momento della vita. L’orizzonte dell’esistenza è più ampio: “vivere come non”. L’identità cristiana consiste nel non averne alcuna specifica. Si tratta di un atteggiamento che ci permette di non assolutizzare la nostra particolare identità. Identità è non averne una ma tutte potenzialmente. Ognuno di noi è il riflesso della libertà creativa di Dio. Le culture sono l’espressione della libertà creativa dei popoli. La libertà è il fondo nascosto delle cose e anche del nostro essere corpo di Cristo.
5. La libertà creativa e amante di Dio
Il messaggio cristiano è l’espressione concreta della libertà amante di Dio. Non dobbiamo appesantire il discorso sulla libertà attraverso un orizzonte di senso normativo o giuridico. Il mondo è l’espressione della libertà creativa di Dio. Nella visione filosofica aristotelica, il mondo è così per sempre: avviene per il passaggio dall’“Essere all’essere (o all’ente)”. Per noi cristiani, ci ricorda san Bonaventura, invece, il mondo si forma dal “non essere all’Essere” (ex nihilo). Il cosmo pagano è il luogo della stabilità e della permanenza o fissità (nulla cambia e tutto è immutabile). Da qui il senso della legge naturale o anche il senso kantiano del “tu devi” (“fai il bene ed evita il male”). Nella visione cristiana, invece, le “leggi della natura” sono norme donate “alla natura” e non semplicemente “della natura” o insite “nella natura”.
Sarebbe troppo poco il nostro agire morale per il bene. Ciò significa che Dio è, in un certo senso, “mutevole” (cf. Fil 2,5-11: “non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio…”). Fino a due secoli fa, la natura dominava attraverso l’energia delle braccia, dei venti, del carbone… Poi è sopraggiunta la rivoluzione industriale che ha smosso la natura. Ha fatto seguito la rivoluzione biologica (da qui il post-umanesimo), fino a oggi, con il sopravvento delle scienze o del sapere tecnico che controlla la natura. Il cristiano ha una propria sensibilità per stare nella storia ed è contro ogni sorta d’immobilismo e di conservatismo, ma altresì d’efficentismo. Il cristiano è uno che vive il suo tempo, inserito nella storia e attingendo dalla sorgente della libertà amante e donante di Dio-Trinità.
Il Vangelo è la nostra risorsa, una creatività inesauribile. In tal senso, la comunità dei credenti è spazio-luogo di condivisione, è cum-munera, cioè partecipazione dei doni ove il senso della libertà, della trasparenza e della gratuità si afferma pienamente. La forza immunizzante e coesiva della chiesa è Gesù Cristo. Egli è l’umanissimo Dio. La comunità dei credenti allude, così, al “non essere”: si sta assieme perché ci manca qualcosa, perché attendiamo la manifestazione del Signore risorto (la parusìa). Non siamo i diffusori o gli amministratori della ricchezza divina o dei ministeri ricevuti come dono. C’è da recuperare, per meglio comprendere l’inquietudine della chiesa, il senso del vuoto e della mancanza.
Nella chiesa dobbiamo sviluppare la coscienza della provvisorietà e del limite: “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. C’è crisi nelle comunità cristiane perché manca la coscienza del senso del limite e viene meno l’indole escatologica della chiesa (cf. LG 48). D’altronde, la provvisorietà è nel nostro statuto di battezzati e di creature viventi.
6. Entrare in tutte le culture
Compito del cristiano è entrare in tutte le culture per ammorbidirle senza assumerne nessuna in misura totale. Il cristianesimo è tendenzialmente ecumenico e liberante e non può ammettere alcuna ideologia o totalitarismo. Non sempre siamo consapevoli delle nostre immense energie. Dobbiamo, perciò, riscoprire il senso del limite come risorsa e non come chiusura. È il recupero della nostra capacità creativa e volitiva.
La globalizzazione è il tentativo di riunire i frammenti del mondo almeno dal punto di vista economico, sociale e culturale. Con l’incarnazione del Verbo, Dio recupera, invece, il contributo di ciascuno. Non dobbiamo andare dietro a una cultura ma assumerle tutte e trascenderle, nella consapevolezza che non esiste una supercultura. Perché il cristianesimo non s’identifica in nessuna cultura o forma storica. Il discepolo di Gesù Cristo è il testimone della pluralità e del contributo che ognuno può dare nella diversità. Il cristiano sa che la pluralità è espressione dell’unità di cui ogni cultura è portatrice. È come lo specchio dell’acqua che separa e unisce allo stesso tempo le diverse isole sparse nel mare. Occorre recuperare il sano realismo dell’incarnazione che apre all’accoglienza delle diversità senza troppi conflitti. Si tratta di cogliere le esigenze di tutti. Questa è la proposta giovanile e convincente della fede e dello stesso Vangelo.
7. Riconoscere dai frutti
La pedagogia della libertà cristiana propone una “morale autonoma” che permette di giudicare-riconoscere dai frutti. È la pedagogia della libertà e della creatività che stenta a prendere forma nelle Chiese. Il cristiano arriva a Dio non per ciò che non c’è ma per ciò che c’è e vuole. Il cristiano esalta la vita come dono e sa bene che non gli appartiene una concezione lacrimosa del Vangelo bensì la percezione positiva e bella della realtà. La missione, dunque, è il nostro impegno nel tempo affinché Adamo – tutto l’uomo e ogni essere vivente – sia collocato definitivamente, per quello che è possibile, cioè liberamente, in Cristo, Figlio di Dio e nuovo Adamo.
Il cristianesimo ha dato una nuova qualità all’esistenza umana, riscoprendone il carattere gratuito, liberante, creativo e amante.
[Edoardo Scognamiglio]
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