L’islam è una religione monoteista legata alla figura profetica di Maometto (570-632 d.C.) e al testo sacro del Corano. Costituisce un paradigma religioso ed esistenziale abbastanza complesso, perché i suoi fedeli (più di un miliardo e duecentomila) si dividono, per motivi storici, politici e religiosi, in sunniti (legati alla tradizione o Sunna), sciiti (seguaci di Alì, cugino e genero di Maometto), sufi (i mistici) e drusi (sette eretiche). Nella religione islamica si intrecciano due dimensioni molto importanti: quella interiore o della fede; quella esteriore o del diritto. Così, culto, legge ed etica sono strettamente correlati. Il termine islam richiama almeno quattro significati o aspetti della religione del Profeta: sottomissione-fiducia a Dio; pratica del culto e rispetto della legge; perfetta comunità dei credenti; religione naturale, che è già praticata da Abramo in quanto adoratore del Dio unico). Un buon musulmano, per essere tale, deve fare la sua professione di fede (shahada, dal verbo shahida, “osservare”, “testimoniare”), che costituisce il pilastro più importante dell’islam e si esprime con la formula: Attesto che non c’è divinità all’infuori di Allah, e che Maometto è l’inviato di Dio. Nella tradizione sciita si aggiunge: e che Alì è l’amico di Dio. Questa testimonianza diviene prova sufficiente della conversione se pronunciata in arabo, con l’intenzione di abbracciare l’islam, e innanzi a due testimoni. Il termine islam significa “sottomesso”, ma nel senso di abbandonarsi fiduciosamente alla volontà di Dio. Per i musulmani, l’islam è la religione della pace.
1. I pilastri dell’islam
L’islam si fonda su cinque pilastri (arkan): la professione di fede, la preghiera rituale, la tassa dell’elemosina, il digiuno nel mese di ramadan, il pellegrinaggio alla Mecca. Alcuni musulmani, ad esempio gli imamiti, aggiungono un sesto pilastro: il jihad o guerra santa che è un obbligo di tutta la comunità islamica.
Il primo pilastro è quello più importante perché la professione di fede esprime l’essenza dell’islam.
La preghiera rituale è obbligatoria nel momento in cui si raggiunge la pubertà e richiede come condizione il pieno possesso delle facoltà mentali. È scandita dal variare della luce: all’alba, a mezzogiorno, al pomeriggio, al tramonto del sole e alla sera. Importante è la preghiera di mezzogiorno del venerdì da compiere comunitariamente in moschea. Esplicitamente, a questa preghiera sono invitati solamente i maschi, anche se le donne non sono escluse. Compiere le altre preghiere in modo comunitario ha un valore di merito, ma non costituisce obbligo. La preghiera è sempre preceduta dall’abluzione.
L’elemosina è anche chiamata tassa per il suo carattere normativo. Il termine zakat richiama il senso di purificare i propri beni, dandone una percentuale per i bisogni dei poveri e per la religione. Esiste anche l’elemosina volontaria che reca piacere a Dio.
Il digiuno è regolato con norme molto precise (cf. Corano 2,183-187). Il Corano lo impone anche per le espiazioni delle colpe (cf. Corano 4,92; 58,3-4). A imitazione di Maometto, il digiuno è praticato anche come esercizio di penitenza e disciplina spirituale.
Il pellegrinaggio ha per destinazione la Mecca e deve essere compiuto almeno una volta nella vita per ogni musulmano che sia in grado di compierlo. La pietà popolare ne ha introdotti molti altri ai luoghi sacri e alle tombe dei santi. In caso di morte precoce o improvvisa del capo famiglia, il pellegrinaggio viene compiuto da uno dei parenti maschi più stretti (figlio, fratello, cognato).
2. Il Corano
Il termine Corano deriva dal siriano qeryana e richiama il senso del recitare o della proclamazione orale. In seguito, designerà anche il testo scritto della rivelazione. Il verbo qara’a può significare tanto “leggere” quanto pure “recitare” o “declamare”. Per un musulmano, tutto ciò che è nel Corano è discorso di Dio registrato in un archetipo celeste. Il Corano, dunque, è Il Libro sacro ed è eterno perché contiene le parole di Dio. Il concetto di rivelazione, per i musulmani, è soprattutto legato all’oralità e alla recitazione. Così, Maometto non ha scritto alcun libro: lo ha ricevuto direttamente dall’angelo Gabriele o da Dio. Il ruolo di Maometto è soltanto quello di trasmettere un messaggio divino. Vige, attualmente, un’interpretazione ancora letterale del testo. Si fatica ancora molto per il riconoscimento di una lettura più storico-critica.
Diviso in 114 sure o capitoli, il Corano non presenta una struttura logica ben definita. In ogni capitolo si trovano messaggi e sezioni narrative alquanto disarticolate. Le sure si dividono in versetti (ayat) abbastanza variabili. È possibile rintracciare una qualche unità tematica nelle sure più brevi. Di solito, le sure più sintetiche sono quelle più antiche. Esse seguono l’ordine decrescente, a eccezione della prima sura che è l’aprente. Forse, questo sistema di catalogazione è stato favorito dal fatto che le sure lunghe sono le più difficili da ricordare a memoria e, quindi, occorreva trascriverle all’inizio.
Gli studiosi hanno trovato utile la suddivisione cronologica, distinguendo tra sure meccane e sure del periodo medinese, anche se non tutti i versetti d’una sura sono dello stesso periodo. Le sure più antiche risalgono alla prima predicazione di Maometto e hanno come unità tematica la denuncia dell’idolatria, il richiamo al giudizio divino, la predicazione dell’unicità di Dio. Nelle sure medinesi prevale l’aspetto giuridico-normativo perché toccano la comunità che si era costituita attorno al Profeta. Le sure meccane si suddividono in più sottoperiodi.
I versetti del Corano si dividono, essenzialmente, in chiari e scuri, nonché incerti. Ci sono poi versetti che possono abrogare altri versetti. Molto dipende dall’applicazione dell’esegesi secondo il principio del consenso unanime della comunità (ijmà). I versetti recenti possono abolire quelli più antichi. Così come i chiari quelli ritenuti ambigui o incerti. Da qui le possibili strumentalizzazioni del Corano. Per comprendere alcune espressioni del Corano occorre contestualizzare nella cultura beduina. Ad esempio, non è comprensibile, oggi, il riconoscimento della poligamia. Ciò aveva senso in un contesto tribale e beduino per garantire la sopravvivenza del gruppo o clan familiare. Così anche il significato della guerra santa.
3. I contenuti della rivelazione
Il messaggio del Corano riguarda essenzialmente l’unicità di Dio. Tra i diversi appellativi divini vi è quello relativo alla misericordia, alla clemenza. Il messaggio del Corano s’inserisce nella lotta al politeismo e nel riconoscimento di Maometto quale sigillo dei profeti. È un messaggio escatologico in quanto annunzia il giudizio universale di Dio e il premio per quanti professano fedelmente l’unicità di Dio. Il monoteismo coranico ha rilevanze etiche e pratiche: si tratta di non associare a Dio alcun altro idolo o divinità. Dio è l’Onnipotente e il Misericordioso. Allah appare come un essere fortissimo, di grande potenza e, allo stesso tempo, buono e misericordioso. Egli è ben disposto verso l’uomo perché ne riconosce la sua fragilità. Da qui l’invocazione in ogni sura di Dio misericordioso e clemente. La potenza e la bontà di Dio sono riscontrabili nella forza della natura, nella creazione, nell’armonia del cosmo, nella bellezza dei cieli, degli astri, come pure nell’evoluzione dell’uomo. Questi è formato da un grumo di sangue ed è sostenuto da Dio sempre. L’uomo è vicario-rappresentante di Dio sulla terra. È importante il messaggio sul giorno del giudizio (cf. Corano 84,1-12).
4. Il profeta Maometto
Per lo studio della figura di Maometto occorre attingere non solo al Corano come fonte bensì anche alla sira: si tratta di una biografia sul Profeta. Seguono studi collaterali e testimonianze scritte e monumentali. Spesso si ricorre ai detti del Profeta o hadith ricostruiti da una tradizione orale abbastanza incerta e faziosa, perché legata al sultano di turno. La biografia di Maometto assume tratti critici e tratti leggendari che vanno epurati. Leggendo le biografie ci si accorge di un particolare abbastanza importante: Maometto, il Lodato, rimane sullo sfondo, mentre l’attenzione maggiore è per i compagni, per le conquiste, per i progressi e il consolidamento dell’islam.
Ma cosa sappiamo di lui? Maometto è nato attorno al 570 d.C. e apparteneva alla tribù dei corei sciti. Rimasto orfano di padre e poi di madre, fu affidato all’età di sei anni al nonno paterno. Maometto è presentato nel Corano come il sigillo dei profeti. Le tradizioni più antiche lo presentano come un profeta-ammonitore: Dio lo invia per annunciare l’unicità e la fedeltà al monoteismo. Il messaggio del Profeta coinvolge per la sua immediatezza e per i contenuti escatologici e apocalittici, come il richiamo alla giustizia, all’unicità di Dio, alla solidarietà, alla carità. Dopo la morte di Maometto (632 d.C.), l’islam assumerà una forma politico-legislativa più forte attraverso il governo dei califfi, i ben guidati.
5. Il dialogo tra cristiani e musulmani
Il documento più importante per il dialogo tra cristiani e musulmani è la dichirazione conciliare Nostra aetate (28-10-1965). In questo documento, al n. 3, si ricorda che la Chiesa cattolica guarda con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Il riferimento è a coloro che cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi è sottomesso altresì Abramo, a cui la fede islamica volentieri si richiama. Infatti, nel Corano, Abramo viene presentato come il vero credente, colui che lotta contro gli idoli.
Sappiamo, dalla storia della Chiesa e del cristianesimo tardo antico, che i rapporti tra cristiani e musulmani sono stati molto tesi. Anche i primi tentativi di dialogo, in ambito dottrinale, non ebbero un grande successo. D’altronde, i musulmani riconoscono Gesù come un grande profeta ma non la sua divinità. Diventa poi incomprensibile, per il rigido monoteismo coranico, riconoscere il mistero della Trinità. Da non dimenticare, poi, che la concezione biblica e cristiana della rivelazione segue il filone storico, mentre il Corano predilige un approccio cosmico e ciclico.
La dichiarazione Nostra aetate si appella ai pilastri fondamentali della fede musulmana e ai nomi più belli di Dio riconosciuti dalla medesima. La Chiesa cattolica e i musulmani appartengono alla stirpe di Abramo: sono uniti dalla stessa fede obbedienziale, semplice e pura, di questo patriarca, che la tradizione musulmana definisce hanif, cioè monoteista puro.
Sicuramente, occorre evitare alcuni luoghi comuni o pre-giudizi nel dialogo con l’islam. Anzitutto, non si può identificare l’islam con la religione della violenza. Né ridurre questa religione a un’eresia cristiana o definirla quale religione diabolica. Questa visione appartiene al passato, e precisamente al Medioevo. Certamente, il dialogo islamo-cristiano presenta molti conflitti, soprattutto dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 e le tensioni che si vengono a creare, in molti paesi musulmani, per il non rispetto della libertà religiosa e per la sottomissione della donna. Inoltre, l’applicazione della sharia, la legge islamica, nella maggioranza dei paesi islamici mette a dura prova il principio della democrazia.
Oggi tra cristiani e musulmani non prevale un dialogo spirituale, bensì un dialogo concreto, fatto di aiuti, di collaborazioni, di solidarietà. Importante l’iniziativa presa da papa Benedetto XVI e i rappresentanti delle diverse comunità cristiane con la presentazione della Lettera comune (13-10-2007), ove si riflette sull’amore a Dio e sull’amore al prossimo. Il dialogo segue, così, soprattutto la pista etica e della solidarietà. Ciò che attualmente non incoraggia il dialogo è certamente l’assenza di una rappresentanza ufficiale dell’islam in Italia e in Europa. Purtroppo, nei nostri Paesi, le comunità musulmane sono molto frastagliate e divise. Non c’è un islam rappresentativo di maggioranza. Le comunità mistiche, dei sufi, sono quelle più disponibili al confronto. Tuttavia, non svolgono un ruolo di primo piano nei vasti mondi dell’islam.
Nell’educazione-formazione al dialogo con l’islam, abbiamo bisogno di comprendere che non esiste un solo volto di questa religione, bensì ci sono più immagini dell’islam. Attualmente, le forme fondamentaliste di islam le troviamo in Thailandia e in Indonesia. Qui l’islam è in forte espansione. Ci sono, poi, forti tensioni a motivo del disagio dei cristiani in Turchia e nel Medio Oriente. Comunque, per recuperare il messaggi autentico di Maometto, occorre epurare il Corano da tante sovrastrutture e tradizioni orali che ne hanno strumentalizzato l’originale annuncio di salvezza. Moderni esegeti musulmani stanno tentando di recuperare la dimensione etica del messaggio coranico.
Attualmente, una via abbastanza seguita per il dialogo islamo-cristiano è rappresentato dalla pietà popolare: la venerazione dei musulmani per la Vergine Maria è nota a tutti. Sono molti i santuari mariani in Medio Oriente che accolgono pellegrinaggi di gruppi musulmani. Ciò avviene anche ad Assisi.
Bibliografia essenziale
B. Naaman – E. Scognamiglio, Volti dell’islam post-moderno, PUU, Città del Vaticano 2006; B. Naaman – E. Scognamiglio, Islam-iman. Verso una comprensione, Messaggero, Padova 2009; E. Scognamiglio, Islam, in G. Calabrese – P. Goyret – O.F. Piazza (edd.), Dizionario di ecclesiologia, Città Nuova, Roma 2010, 747-755.
Documenti
Lettera Una parola comune tra noi e voi (13-10-2007), in Il Regno-Documenti 19 (2007) 588-597.
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