PRIMA DEI VANGELI

B. D. Ehrman, Prima dei vangeli. Come i primi cristiani hanno ricordato, manipolato e inventato le storie su Gesù, Quality Paperbacks 697, Carocci Editore, Roma 2024, pp. 271, euro 16.

«Questo libro parla del Gesù storico, di come è stato ricordato e di come i ricordi di lui sono cambiati nel tempo […]. Riguardo a Gesù, tutto ciò che abbiamo è costituito da ricordi. Non possediamo ritratti realistici né racconti della sua vita scritti da suoi contemporanei, nemmeno in forma di appunti. Tutto ciò che possediamo è frutto del ricordo che altri hanno avuto di lui, di ciò che ha detto e di ciò che ha fatto. Questi ricordi sono stati fissati in forma scritta successivamente, molto tempo dopo. Sono stati scritti da individui che in realtà non hanno mai visto Gesù di persona […]. I vangeli, quindi, consistono in ricordi di ricordi di ricordi. Pertanto, per comprendere che cosa sono davvero i vangeli, e per conoscere qualcosa dell’uomo Gesù, dobbiamo capire innanzitutto come funzionano la memoria e i ricordi» (pp. 11-13).

L’attenzione dell’autore è alla memoria, ossia a come nel tempo il ricordo di Gesù è stato tenuto vivo, cioè tramandato, attingendo ai risultati della psicologia cognitiva per la memoria individuale e al metodo e ai contenuti della sociologia per la memoria collettiva. Anche se la memoria individuale funziona bene, capita, nel tempo, di dimenticare particolari importanti; ciò è accaduto anche ai discepoli di Gesù e pure a quelli che hanno raccontato la vita di Gesù. Nella catena del ricordo di Gesù, catena di trasmissione di ricordi, è probabile che molti fatti siano stati dimenticati, ossia tralasciati. In questa catena del ricordo che collega Gesù agli autori dei vangeli, ciascuno ha ricordato (o cercato di ricordare) ciò che aveva ascoltato. Si tratta di un ricordo fragile e a volte ingannevole o, addirittura, falso. La memoria non appartiene sono ai singoli individui ma coinvolge anche gruppi, comunità, gruppi di individui, fino a costituire una sorta di memoria sociale. Così, come per i grandi personaggi della storia (Abraham Lincoln, Cristoforo Colombo ecc.), ricordare Gesù può avvenire in forme diverse e con memorie alterate o confuse o anche discordanti. «Alcuni tra questi ricordi sono senza dubbio precisi, altri possono essere stati alterati, per comprendere le dinamiche personali o sociali che hanno indotto gli individui a ricordare il passato in un certo modo e non in un altro» (p. 18). Un racconto viene sempre alterato durante il processo di trasmissione già nel giro di poche ore, ancor di più nel giro di una settimana e poi negli anni. Certamente, si è fatto notare che la cultura orale del passato era più forte di quella d’oggi e che le tradizioni su Gesù avevano una loro stabilità nel tempo.

La tesi dell’autore è la seguente: riflettere sulla memoria non significa soltanto occuparsi degli elementi che mutano con il passare del tempo, ma anche dei motivi in base ai quali gli individui ricordano in un certo modo determinate cose (cf. p. 21). Così, di Gesù possediamo solo resoconti posteriori, storie raccontate in un certo modo da persone che avevano visto Gesù con i loro occhi. Pur riconoscendo all’origine dei vangeli dei fatti storici accaduti, dei testimoni oculari, la loro redazione è frutto di una memoria individuale e collettiva. Le storie su Gesù circolavano già in una larga tradizione orale prima che gli autori dei vangeli componessero le loro opere. Il racconto di storie, in ambito antropologico-culturale, in un contesto come quello della Palestina a basso tasso di alfabetizzazione, deve tener conto di tanti condizionamenti culturali, sociali e religiosi, ma anche psichici e affettivi. Ciò che contribuisce al funzionamento della memoria umana non è soltanto il ricordo individuale ma anche la memoria collettiva.

I modi di ricordare Gesù variano nel tempo. Alcuni hanno visto in lui un guaritore, altri un profeta, altri ancora l’hanno interpretato come un rivoluzionario. Un dato è certo: ogni modo di ricordare Gesù non esclude nessun altro approccio. I modi di ricordare Gesù sono complessi e molteplici ma non necessariamente in contrasto tra di loro e rientrano nella categoria dell’invenzione dei ricordi che non è del nostro tempo ma anche dell’uomo del passato. Ricordare è anche inventare, modificare un fatto, un evento, un ricordo stesso.

«I cristiani delle origini hanno ricordato le persone che avevano avuto rapporti con Gesù (i suoi familiari, i suoi discepoli, i suoi antagonisti) in vari modi, tutti interessanti. Curiosando tra questa documentazione, possiamo comprendere meglio come funzionava la memoria dei cristiani delle origini e osservare (piuttosto chiaramente in alcuni casi) come un ricordo possa modificarsi. In questo modo potremo capire meglio anche come Gesù stesso è stato ricordato dai suoi seguaci» (p. 31).

L’autore parla spesso di ricordi alterati, ossia di ricordi non radicati nella storia bensì nella più vivida fantasia. Ciò vale anche per il ricordo amplificato dei discepoli di Gesù. Il riferimento è, per esempio, all’apostolo Pietro che oltre ai richiami nei Sinottici e in altri scritti del NT è un vero protagonista nel racconto degli Atti di Pietro, un testo del II secolo, perché compie molti miracoli e guarigioni. Negli Atti di Pietro, l’apostolo Pietro è ricordato come uno straordinario operatore di miracoli. Si tratta di miracoli compiuti per dimostrare di aver ricevuto questo potere dal Gesù celeste. Anche la figura di Giuda, in diversi testi apocrifi, appare con una memoria alterata. Addirittura, Pilato in testi non canonici, appare come un uomo che si convertì al Cristo risorto. In questa memoria alterata rientrano anche i racconti della nascita e dell’infanzia di Gesù e tanti episodi di miracoli e di prodigi.

La tesi dell’autore è così spiegata: un ricordo, per essere vero, cioè vivo e pregno di significato per la nostra mente, non deve essere necessariamente attendibile dal punto di vista storico. Così, i ricordi alterati, ossia quelli che non sono attendibili sul piano strettamente storico, sono altrettanto veri, dunque storicamente veri, per quanti li conservano e li considerano tali. Da qui nasce la domanda: “abbiamo di Gesù un ricordo vero in senso stretto?”. Ci possono essere parole riportate che Gesù non ha mai pronunciato e fatti o miracoli trasmessi che non sono attendibili ma che hanno assunto un significato particolare per chi li ha registrati. Nel processo di memorizzazione individuale e collettiva, anche nella tradizione orale, ci sono fatti ed eventi e messaggi che possono subire delle modifiche, delle alterazioni che fanno parte del processo stesso di memorizzazione. Così, a produrre falsi ricordi non è soltanto una fervida immaginazione ma anche la peculiare conoscenza della realtà e la visione del mondo di chi ricorda. Gli esperimenti in ambito psicologico, sulla memoria, dimostrano che le modalità con le quali immaginiamo determinati eventi possono indurci a sviluppare falsi ricordi. Ciò vale anche per la memoria di Gesù e per i cosiddetti testimoni oculari che tali non sono se il riferimento è agli autori anonimi dei vangeli e agli altri scritti del NT che lasciano intendere memorie e ricordi particolari e diversi di Gesù, attingendo a fonti orali e scritte non sempre note. Così dicendo si arriva a questa conclusione: «Tutte le storie su Gesù che si trovano nei vangeli (sia in quelli canonici sia in quelli che non fanno parte del NT) riflettono particolari modi in cui Gesù è stato “ricordato” da coloro che le raccontavano. Anche se gli autori ne hanno inventate alcune, queste, con il tempo, sono entrate a far parte della memoria dei credenti in Gesù. Alcuni ricordi di Gesù sono stati trasmessi in primo luogo da testimoni oculari. Ciò non significa che si tratta necessariamente di ricordi “attendibili”, ossia che riflettono fatti realmente accaduti. Possono esserlo, ma possono anche non esserlo. Altri ricordi sono stati inventati dai cristiani successivamente: questi riflettono tradizioni “inventate”. Praticamente in ogni caso sono ricordi alterati» (p. 112).

La tesi è poi così esplicata: nel conservare un ricordo e trasmetterlo c’è del materiale di riempimento che non attinge solo al passato, ma anche all’immaginazione, alle emozioni del momento, attingendo da materiale che proviene da altre esperienze. Il racconto di un’esperienza del passato, nel tempo, si avvale di nuovi particolari e tende a modificarsi con il racconto stesso. Ricordare a distanza di tempo vuol dire fare i conti con alterazioni e manipolazioni, perché i ricordi costruiti non sempre corrispondono alla realtà del passato. Non si tratta solo di dimenticare qualcosa o di non ricordarlo bene, ma di costruire il ricordo come qualcosa di completamente nuovo. Una volta che i ricordi costruiti hanno preso vita non si distinguono in alcun modo da quelli reali (cf. pp. 119-122). Tuttavia, nel processo di memorizzazione ciò che conta è il ricordo dell’idea di quell’esperienza vissuta e non i singoli particolari che possono variare o apparire confusi. Ciò riguarda pure la ricostruzione della vita di Gesù. La maggior parte di quanto è narrato nei vangeli è accaduta e i concetti sono veritieri, cioè non alterati.

Circa i ricordi alterati della morte di Gesù, l’autore fa notare che il ricordo generale della morte di Gesù (arresto, processo, passione) contiene un bel po’ d’informazioni: in gioco ci sono ricordi generali storicamente fondati, anche se i singoli particolari non sempre corrispondono al vero, alla realtà storica. Gli stessi vangeli raccontano particolari molto diversi tra di loro e a volte contrastanti circa la morte di Gesù. Un esempio per tutti: la cronologia degli eventi riportata da Giovanni è diversa da quella fornita dai vangeli sinottici. Ci sono ricordi alterati non plausibili, ossia che non trovano giustificazione, come ad esempio l’episodio di Barabba. La stessa condanna di Gesù da parte di Pilato non può basarsi sulla domanda che Pilato rivolge alla folla o alle persone presenti in aula. Pilato era un uomo brutale e spietato: non si era mai interessato del giudizio della gente su di lui. Non è riportata da nessuna parte l’usanza di liberare un prigioniero ogni anno. Non esistono testimonianze che alcun governatore romano, in alcuna provincia, abbia mai avuto questa usanza (cf. p. 146). Forse, il racconto alterato della liberazione di Barabba, nel tempo, tendeva a deresponsabilizzare il potere romano e ad aumentare la responsabilità dei giudei. Lo stesso ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme è un ricordo alterato che trova più giustificazioni teologico-spirituali che storiche. Tale racconto riflette più il conflitto che i cristiani ebbero con i loro antagonisti giudei che di ciò che realmente è accaduto a Gesù. Circa il velo del Tempio che si squarciò alla morte di Gesù, con una scossa di terremoto e risurrezione dei morti secondo Matteo, si tratta di un ricordo alterato che ha una radice teologica: la morte di Gesù inaugura un nuovo patto tra Dio e il suo popolo. La morte di Gesù mette fine a ogni sacrificio cultuale antico: il velo del tempio si è squarciato e l’ingresso nel “Santo dei Santi” non ha più barriere. Quando Gesù muore il velo si squarcia: Dio esce dal luogo santo nel quale dimorava. Ora finalmente tutti possono accostarsi a Dio senza più sacrifici o culti, ma soltanto attraverso Gesù. I cristiani della prima ora credevano di aver instaurato, attraverso la passione e la morte di Gesù, un rapporto nuovo con Dio. I ricordi alterati della passione di Gesù possono essere stati generati in molti modi diversi tra la morte di Gesù e la composizione dei vangeli. «Certo, è possibile che alcuni narratori abbiano consapevolmente inventato certi racconti e li abbiano trasmessi ad altri. Parimenti, è possibile che alcune di queste storie siano state inventate dagli stessi autori dei vangeli […]. È anche possibile che le persone che le hanno raccontate fossero convinte di riferire fatti realmente accaduti […]. È anche possibile che alcune di queste memorie alterate siano state create involontariamente e che poi abbiano iniziato a diffondersi» (pp. 149-150).

La riflessione dell’autore sui racconti alterati riguarda anche la vita di Gesù (gesti, parole, opere) e ha lo scopo di precisare che ogni tradizione subisce notevoli modifiche non soltanto perché la memoria degli individui è fallace ma anche e soprattutto perché nel tramandare le testimonianze del passato lo si fa con una particolare ragione e per un particolare pubblico, cioè con un interesse specifico del narratore nel tuo tempo. Dunque, ogni tradizione sarà sempre alterata e nella catena dei ricordi e delle trasmissioni si creano nuove informazioni (fatti ed eventi e parole) che non necessariamente sono veritiere, cioè plausibili storicamente (cf. p. 161).

«Nelle culture orali, chi racconta una storia lo fa per trasmettere un messaggio a un determinato pubblico in un determinato contesto. Tanto il pubblico quanto il contesto influenzano il modo in cui viene raccontata una storia o viene esposto un insegnamento: per esteso o in breve, con l’aggiunta o il taglio di alcuni episodi, con la variazione, l’ampliamento o l’omissione di alcuni elementi. Chi ascolta la versione che ne risulta racconterà a sua volta la propria versione della storia. Chi ascolterà quest’ultima offrirà a sua volta la propria versione e così via […]. Alcuni elementi saranno continuamente aggiunti e altri saranno eliminati: per questo motivo, è davvero molto arduo distinguere gli elementi che sono stati aggiunti o cambiati rispetto alla “testimonianza originale” dal nucleo che attesta […] un “ricordo accurato” del passato» (p. 161). Certamente, confrontando un testo con le sue varianti e lavorando sulle differenze e i piccoli particolari sarà possibile risalire, in parte, alla “testimonianza originale”. Ciò riguarda anche la vita di Gesù, ad esempio il suo insegnamento. Il riferimento è al discorso della montagna, alle beatitudini, che non solo hanno un retroterra giudaico, ma diventa inverosimile pensare che oralmente i discepoli abbiano memorizzato ogni parola di Gesù su una collina. Così pure riesce difficile rileggere storicamente il battesimo di Gesù nelle acque del Giordano da parte del Battista senza ricordi alterati e così anche per la memoria individuale delle tentazioni di Gesù nel deserto. Ciò significa che noi oggi viviamo non solo del Gesù storico che andiamo cercando ma anche e soprattutto del Gesù ricordato da discepoli e credenti prima di noi.

«Non viviamo solo con i nostri ricordi, ma anche con quelli degli altri. Condividiamo la nostra vita con gli altri e gli altri condividono la loro con noi. L’unico modo di condividere una vita, al di là di quell’impercettibile nanosecondo che è il presente, è il ricordo. Il nostro presente è determinato dal nostro passato, e questo vale per noi e per gli altri. Il nostro passato, però, a sua volta viene plasmato dal nostro presente. E i nostri pensieri sul futuro sono plasmati da entrambi. Vivere la vita non significa certo isolarci dal nostro passato e da quello degli altri: le nostre esistenze sono fatte di ricordi vissuti e condivisi. I vangeli sono ricordi condivisi del passato […]. Il ricordo è ciò che dà un senso alla nostra vita, e non solo alla nostra vita, ma a quella di ciascun essere umano che abita questo pianeta» (pp. 242-243).

L’ultimo capitolo di questo libretto è dedicato all’elogio della memoria: non siamo solo dei nani sulle spalle dei giganti, bensì abbiamo possibilità di creare futuro se ci apriamo alla memoria. È come se noi fossimo dei rematori, dei barcaioli, dei naviganti, che devono procedere in avanti ma di spalle. Così, remando abbiamo davanti a noi il passato, la memoria, e fissandola possiamo procedere verso il futuro in avanti (ma di spalle, cioè indietro) con più serenità, senza perderci. L’approccio antropologico-culturale psico-cognitivo dell’autore ai vangeli e alla vita di Gesù è interessante e permette di recuperare il valore storico della memoria personale e collettiva e serve per riconsiderare in termini più ampi e dinamici ciò che s’intende per tradizione viva della Chiesa. La domanda che resta, e che diventa anche una critica per questa ricerca, è la seguente: “I vangeli non voglio essere semplicemente una testimonianza di fede, un racconto, su Gesù e la sua passione?”. Detto altrimenti: “Fino a che punto l’approccio storico-critico al Gesù della storia e l’applicazione del metodo cognitivo dell’antropologia culturale per il Gesù ricordato sono adeguati per leggere i vangeli oggi?”. È come se noi ci sforzassimo di leggere i vangeli e di interpretarli soprattutto con le nostre esigenze, con i nostri criteri, sottovalutando o riducendo l’intento principale degli autori che hanno lasciato una memoria viva di Gesù Cristo nel loro contesto, per le loro comunità.

[Edoardo Scognamiglio].

 

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