Recensione del libro:
M. Iannucci, La costola storta. Testi e pretesti della misoginia tra i musulmani, (Dialoghi Mediterranei 6), Giorgio Pozzi Editore, Ravenna 2022, pp. 138, euro 15.
L’autrice di questo breve ma intenso e interessante saggio dedicato alla visione della donna nell’islam è professionalmente impegnata per i diritti umani come presidente dell’associazione Life Onlus ed è coordinatrice del gruppo di ricerca Insân, nonché scrittrice per varie riviste di scienze politiche e sociali.
Nel presente libro s’indaga ad ampio raggio sulle possibili radici della misoginia così diffusa nelle società musulmane, fino a rileggere in modo più critico la tradizione che risale al profeta Maometto attraverso gli hadith e i versetti stessi del Corano. Corredato di brevissime conclusioni, di un conciso glossario dei termini arabi utilizzati e di una bibliografia essenziale, questo studio è suddiviso in ben dieci capitoli: La Sunna e il rapporto con la tradizione (pp. 17-34); La creazione (35-52); Le donne e la fede (53-66); La segregazione delle donne e la separazione dei sessi (pp. 67-74); La leardership delle donne (pp. 75-86); La natura delle donne e la loro educazione (pp. 87-90); Educare le donne (pp. 91-100); Tra marito e moglie (pp. 101-108); La donna nelle opere degli esegeti e nell’informazione religiosa (pp. 109-116); La violenza fisica sulle donne (pp. 117-132); Conclusioni (pp. 133-134); Bibliografia (pp. 135-138).
A partire dal Corano (sura 23,9), l’autrice avvalora un principio etico fondamentale: «gli esseri umani hanno un’unica origine e sono fatti della stessa materia, sono tutti uguali in dignità, indipendentemente dal sesso, dall’aspetto fisico e da altre differenze, sia biologiche che culturali» (p. 11). Anche la tradizione che fa capo a Maometto sembra confermare questo principio: «Tutta l’umanità deriva da Adamo ed Eva; un arabo non ha alcuna superiorità su un non arabo, né un non arabo ha alcuna superiorità su un arabo; anche un bianco non ha alcuna superiorità su un nero, né un nero ha una superiorità su un bianco, eccetto che per il timore di Dio e le buone opere» (p. 11). Eppure, nonostante questo principio etico di base, le donne sono la parte più debole delle società dei paesi in via di sviluppo e del Vicino Oriente. «Spesso si attribuisce la loro difficile condizione alla religione e alla cultura musulmana, così come è stato sottolineato lo stretto legame tra cultura religiosa islamica e patriarcato. Eppure grazie al Corano alle donne sono stati riconosciuti diritti primi negati – come il voto, il divorzio, l’eredità – molti secoli prima del loro riconoscimento in Europa» (p. 12). Iannucci segnala le incongruenze di una parte della Sunna (consuetudini, comportamenti e parole del Profeta riportate dai testimoni, raccolte in collezioni canoniche di detti e fatti profetici, con testi di riferimento del pensiero giuridico, etico e sociale della Umma o comunità) rispetto ai testi coranici così come pure il bisogno di porsi in modo più critico nei confronti di questa fonte della Legge islamica. Serve uno sguardo nuovo, contemporaneo su quella parte della Sunna che attraverso i detti del Profeta parla delle donne. «La Sunna ha un ruolo centrale nel fornire un esempio morale e una guida etica; serve inoltre a spiegare il Corano, soprattutto è necessario conoscere il contesto della rivelazione, e si fa riferimento alla vita e all’insegnamento del Profeta» (p. 13).
Se è vero che «la collezione della totalità degli hadîth costituisce appunto la Sunna» (p. 17), allora è necessario mettere mano a una riclassificazione più critica delle parole e dei detti del Profeta visto che nelle «culture religiose musulmane circolano molti hadîth falsi» (p. 21) che sono il frutto di tradizioni popolari attraverso le quali si esprime un profondo disprezzo per le donne, definendole nel peggiore dei modi possibili. «Nei libri di grandi sapienti islamici, oltre a questi hadîth si trovano molte considerazioni personali decisamente screditanti nei confronti delle donne, e raccomandazioni agli uomini circa la necessità di controllarle e di trattarle come subalterne» (p. 21). Tuttavia, l’autrice fa notare che lungo la storia dell’islam vi sono stati esperti religiosi e maestri che hanno sottolineato il ruolo delle donne esprimendo opinioni favorevoli alla loro leadership politica, giuridica e religiosa. Bisogna prendere atto che la vastità del materiale legato in qualche modo alla tradizione del Profeta ha bisogno di un vaglio critico più profondo e sistematico considerato il peso notevole che Maometto svolge per gli stessi musulmani dal punto di vista morale.
Circa la discussione della nascita di Eva da Adamo, l’autrice fa notare che il Corano si limita ad affermare che la donna è tratta “da una costola”, espressione che ha dato origine a molte interpretazioni, tra le quali quella che fa riferimento ad Eva come creatura posta alla sinistra di Adamo. È certo che la narrazione «di una Eva creata da Adamo implica una concezione della donna intesa come essere imperfetto a causa della sua secondarietà rispetto al maschio, quindi come una funzione servile. È una visione che presenta l’uomo come il modello di un’umanità dotata di virtù e raziocinio, e la donna come un sottoprodotto, un derivato» (p. 33). Nelle interpretazioni più comuni e comunque fuorvianti, Eva è simbolo della donna tentatrice e corruttrice della fede maschile, riducendosi ad essere un elemento impuro della creazione.
È nel secondo capitolo che l’autrice presenta i testi falsi, deboli o corrotti dall’interpretazione che screditano le donne come credenti. Di fatti, «leggendo le opere di giurisprudenza e i commentari coranici non è raro trovare testi in cui le donne sono considerate inferiori all’uomo, anche se ciò contraddice il Corano» (p. 45). Deve essere chiaro un dato scritturistico: il Corano non dà alcuna precedenza alla creazione maschile su quella femminile (cf. p. 47). Tuttavia, in molti famosi commentari, Eva resta colei che è tratta da una costola storta, cioè curvata, che nessuno è in grado di raddrizzare per la sua caparbietà, e si sottolinea la sua inferiorità (ontologica, morale, intellettiva e spirituale) rispetto all’uomo. Spesso, attingendo da luoghi comuni e pregiudizi molto diffusi, «le donne sono descritte a tal punto lontano dalla fede che esse stesse sarebbero un ostacolo per l’adorazione di Dio, quasi non fossero parte della creazione, e la loro esistenza non fosse frutto della volontà divina» (p. 54). In realtà, il contributo delle donne nella storia dell’islam a partire dalla rivelazione smentisce molti hadîth, visto che la prima donna ad accogliere la rivelazione del Profeta fu proprio sua moglie. Molti hadîth sono in contraddizione con il Corano e con la stessa Sunna perché ledono la dignità delle donne. Ciò significa, concretamente, che pur riconoscendo un principio generale della parità di genere, ci sono tradizioni che alcuni hanno inventato, senza averne l’autorità, per degradare lo status intellettuale e sociale delle donne musulmane (cf. p. 74). Il Corano non vieta alle donne la possibilità di assumere ruoli di primo piano: «esse possono ricoprire le cariche di sovrane, giudici, imâm o muezzin […]. Sono poco valorizzate e scarsamente divulgate le storie di donne che sono salite sul pulpito e hanno tenuto il sermone del venerdì o hanno guidato la preghiera» (p. 77).
La divisione dei compiti – in casa per le donne e fuori per gli uomini – non è islamica, ma deriva dal modello di società patriarcale ancora in atto (cf. p. 83). Ci sono poi affermazioni aberranti circa l’educazione delle donne che sono in evidente contrasto con il Corano e che non possono essere considerate come parte della tradizione che risale al Profeta: «Lasciate le donne affamate e senza begli abiti, senza eccedere» (p. 95). Molto è da rivedere criticamente anche nel rapporto tra moglie e marito sia sul piano giuridico sia in ambito comportamentale, visto che anche per il grande sapiente Al-Ghazâlî la moglie è equiparabile a una malattia, a un disturbo, a un inconveniente da gestire, in quanto indispensabile alla riproduzione della specie e al benessere maschile (cf. p. 106). Sono proprio gli autori del calibro di Al-Ghazâlî, attraverso una lettura fuorviante di alcuni falsi hadîth, ad aver favorito la misoginia nei confronti delle donne musulmane e la piena e totale sottomissione ai mariti. La stessa violenza fisica sulle donne non può essere assolutamente giustificata dal Corano visto che l’islam proibisce ogni forma di oppressione e ingiustizia verso i singoli e verso popoli e gruppi sociali (cf. p. 117). Il Corano, poi, mette in guardia contro l’uso di dichiarazioni pregiudizievoli da parte di un marito contro la moglie; anche nel caso di divorzio è proibito qualsiasi tipo di danneggiamento delle donne (cf. p. 119). Tuttavia, l’autrice si chiede: «Ma se i testi sono chiari e la giurisprudenza più autorevole è ad essi coerente, dove si appoggiano le interpretazioni sessiste della religione, molto diffuse, che giustificano comportamenti vessatori e violenti dei mariti?» (p. 121).
Evidentemente, in gioco ci sono fattori culturali e sociali che tendono a strumentalizzare la religione e lo stesso Corano, come nel caso della sura 4,34, a proposito del sostentamento della donna (distribuzione dei beni e delle eredità) e sulla possibilità dell’uso delle percosse per correggerla e della separazione da esse. Il versetto 34 recita: «Gli uomini sono materialmente responsabili (qawwâmûn) delle donne, a causa di ciò che Dio ha concesso agli uni (gli uomini) rispetto alle altre e perché essi spendono per (le donne) i loro beni. Le donne virtuose sono le devote, che proteggono nel segreto ciò che Iddio ha preservato. Consigliate e riprendete quelle di cui temete la slealtà, e se commettono atti esecrabili lasciatele sole nei loro letti, e infine separatevi da loro» (p. 122). Resta la discussione sul significato di qawwâmûn: responsabili o superiori? In molte traduzioni del Corano in italiano è riportata la parola “preposti”, mentre la traduzione francese autorizzata dal Regno dell’Arabia Saudita va oltre e recita “hanno autorità”, avvalorando un approccio patriarcale e maschilista al ruolo della donna. Da qui si conferma il bisogno primario di uno studio della storia delle donne, delle opere e delle biografie e sull’esegesi contemporanea dei testi in un’ottica di genere. «Alla ricerca va affiancata una generosa opera pedagogica di predicazione e divulgazione, tale da provocare un cambiamento culturale necessario, che tarda ad attuarsi nelle comunità musulmane nonostante sia a fondamento dell’islam. Una visione dell’umanità basata non sul dominio di una parte sull’altra, bensì sul sostegno e rispetto reciproco» (p. 132). [Edoardo Scognamiglio]
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