JACQUES DUPUIS E IL PLURALISMO RELIGIOSO — PRIMA PARTE

PRIMA PARTE

  INTRODUZIONE – L’Autore belga, pur non parlando di due econome di salvezza, sembra considerare inclusivamente l’evento cristologico. Egli finisce con il dare il primato salvifico al Logos eterno non umanizzato. L’azione salvifica del Logos eterno non umanizzato compie un’azione salvifica universale che raggiunge tutte le religioni, per cui l’evento cristologico Gesù di Nazaret morto e risorto viene inteso in modo riduttivo. L’incarnazione viene intesa come il contatto salvifico di Dio in senso generico, senza riferimento con la totalità del mistero di Cristo e il collegamento con la storia di Gesù solo accidentale. Gesù il Cristo, Logos incarnato, non solo manifesta la verità di Dio, ma la costituisce, poiché realizza la stessa Verità di Dio. La salvezza, quindi, passa per Lui!

 EVOLUZIONE DEL PENSIERO DI J. DUPUIS – Il teologo belga Jacques Dupuis (1923-2004), per molti anni è stato impegnato in India come missionario; poi è vissuto a Roma, insegnando alla Gregoriana. Il gesuita belga nella  monografia Gesù Cristo incontro alle religioni[1] osservava  “che la discussione su una teologia cristiana delle tradizioni religiose dell’umanità, assieme al dibattito sulla teologia della liberazione, è venuta gradualmente assumendo una posizione centrale nelle fatiche teologiche recenti”[2]. Dupuis allora nella monografia associava questa svolta nella teologia, che si sarebbe imposta sempre più, al contributo della teologia del ‘terzo mondo’ o terza chiesa’, dei due terzi del mondo, che si è diffusa anche nei segmenti depressi delle società del primo mondo. A causa dell’incontro con le culture e le religioni, il dibattito teologico sulle altre religioni è diventato un interesse primario anche nelle chiese del mondo occidentale.La monografia non aveva la pretesa di affrontare una trattazione complessiva delle questioni teologiche sollevate dall’incontro con le religioni. La monografia non poteva neppure offrire una panoramica storica “degli atteggiamenti e degli approcci teologici assunti nel corso dei secoli dai cristiani verso le altre tradizioni religiose”[3].L’Autore belga  in Gesù Cristo incontro alle religioni si era concentrato sul dibattito attorno alla teologia delle religioni, a cui aveva reagito elaborando il cristocentrismo teocentrico con l’intento di inaugurare una prospettiva teologica che, pur affermando la fedeltà alla fede in Cristo,così come viene affermata dalla tradizione ecclesiale, faceva emergere l’importanza della pluralità del fenomeno religioso in relazione alla storia della salvezza, assimilava “allo stesso tempo, nella loro differenza, le esperienze religiose delle tradizioni religiose viventi, assegnando loro un ruolo e un significato positivi nel dispiegarsi del disegno complessivo di Dio per l’umanità nella storia della salvezza”[4]. Dupuis intraprese la via stretta per iniziare un discorso teologico, da una parte fedele all’identità cristiana, e dall’altra per dialogare con le altre tradizioni religiose. Egli pubblicò nel 1997 la sua opera principale ‘Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso’[5], tradotta in varie lingue. Dupuis in questa opera sviluppa un intento più ampio e un ambito più comprensivo per delineare il percorso ‘verso una teologia cristiana del pluralismo religioso’, con una critica alla tradizione ecclesiale di venti secoli per l’atteggiamento negativo nei confronti delle altre tradizioni religiose. L’Autore parte dall’evoluzione che  c’è stata recentemente nella riflessione teologica, argomentando sulle principali questioni che vengono sollevate nel contesto del pluralismo religioso. In questo volume Dupuis intende “fornire un’Introduzione ad una teologia delle religioni che sia allo stesso tempo storica e sintetica, genetica ed aggiornata. Il primo compito da assolvere nel presentare un simile progetto non può che essere quello di porlo in relazione con analoghi tentativi che lo hanno preceduto”[6].

A lui si deve la teologia del pluralismo di ‘principio’, cioè previsto da Dio nel suo disegno di salvezza che abbraccia la storia dell’umanità, per cui la teologia cristiana riflette “sulla pluralità delle religioni nel nostro mondo attuale collocandosi all’interno della prospettiva cristiana, ma adottando allo stesso tempo una visione globale […]”[7]. La visione globale nasce dalla complessità del vissuto della realtà religiosa, per cui occorre procedere – nella riflessione teologica – partendo dal basso, dal contesto, realizzando poi il confronto con il testo sacro, con la rivelazione (teologia situata), adottando il metodo induttivo (dal particolare all’universale), operando la comparazione tra le varie fedi con uno stile dialogico (non apologetico). Bisogna superare il contrasto tra alcuni paradigmi teologici, ritenuti esclusivi, come il cristocentrismo, il teocentrismo; occorre invece adottare una cristologia trinitaria e dello Spirito, che permette “una comprensione più approfondita ed una valutazione più positiva dei fondatori di religioni e delle tradizioni religiose esterne al cristianesimo” [8]. Tale cristologia dà il primato alla presenza attiva del Verbo e del suo Spirito (distinta da quella del Cristo che è più limitata); l’azione del Verbo e dello Spirito è quella dell’illuminazione, ispirazione, dei fondatori religiosi e della tradizioni che sono scaturite dalla loro esperienza, manifesta i diversi volti del Mistero divino, il pluralismo delle figure salvifiche, delle vie di salvezza. La riflessione di Dupuis lo ha portato “ad una visione del mistero dell’autorivelazione di Dio in Gesù Cristo come essenzialmente relazionale rispetto a ciò che Dio ha fatto e continua a fare all’umanità nel corso della storia, dal principio alla fine”[9]. Il teologo belga ha operato il superamento del modello ecclesiocentrico (o regnocentrico), facendo risaltare come il cristianesimo e le altre tradizioni religiose “siano compartecipi della realtà universale del Regno di Dio  alla cui costruzione sono chiamati a collaborare fino alla sua pienezza escatologica”[10];  ciò comporta una rivisitazione dell’ecclesiologia, in quanto definisce la chiesa il sacramento del Regno, la cui missione  (al servizio del Regno) è il dialogo tra le fedi. Dupuis approfondisce la portata teologica del pluralismo religioso, prendendo le distanze da una visione negativa; non si tratta di un fattore con cui, malgrado tutto bisogna fare i conti (de facto = bisogna tollerarle), anche in futuro, per il fallimento della missione cristiana soprattutto nei paesi asiatici. La pluralità delle tradizioni religiose è una realtà positiva che scaturisce dalla sovrabbondante generosità di Dio che lo ha portato a manifestare se stesso “in molti modi all’umanità”[11]; da ciò proviene anche la risposta multiforme degli esseri umani all’autorivelazione di Dio, secondo le diverse culture. L’interrogativo che affronta il gesuita belga è se Dio si limiti a permettere il pluralismo religioso, oppure se invece sia espressione della sua volontà salvifica; fermo restando che sarebbe una presunzione pretendere di scandagliare il disegno divino per l’umanità, oggi sempre più i teologi attribuiscono al pluralismo religioso “un valore positivo agli occhi di Dio”[12]; il pluralismo religioso non è di fatto (che bisogna tollerare malgrado tutto) ma di principio (de iure)[13]. L’identità singolare del cristianesimo è quella del rapporto con Dio tramite la singolarità storica, limitata di Gesù di Nazaret (che è la sua limitazione); il Dio di Gesù, invece, trascende tale limitazione, perché è un simbolo di apertura inclusiva, che consente di assumere i valori positivi delle altre religioni. La pluralità delle religioni, però, non si fonda sulla pluralità di persone nell’unico Dio; non dipende dalla pluralità della realtà naturale e storica; non dipende neppure dai limiti antropologici per una piena conoscenza del mistero divino. Il fondamento invece è costituito nell’ “automanifestazione divina agli esseri umani, [in tal modo] il principio della pluralità troverà il suo fondamento primario nella sovrabbondante ricchezza e varietà delle automanifestazioni di Dio all’umanità”[14]; infatti, il piano divino per l’umanità è unico, ma ha tante sfaccettature l’autocomunicazione di Dio all’umanità. Il fondamento di ciò è costituito da Eb 1,1, Dio che aveva parlato molte volte e in diversi modi, prima di parlare per mezzo del Figlio; ma non è solo un fatto del passato, perché la presenza del Figlio nella carne in Gesù Cristo “non cancella infatti la presenza e l’azione universale del Verbo e dello Spirito. Il pluralismo religioso si fonda sull’immensità di un Dio che è Amore”[15] (a prescindere quindi dalla storia di Gesù di Nazareth che è limitante).

Dupuis sottolinea l’unicità della cristologia, cioè l’unicità e universalità (costitutive) di Gesù Cristo per la salvezza dell’umanità; la sua morte e resurrezione consente a tutti gli uomini, a prescindere dalla loro situazione storica, di poter accedere a Dio; infatti, Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto carne, è il sacramento della volontà salvifica universale di Dio. Tale unicità, però, non va intesa in senso assoluto; è la volontà salvifica di Dio che è assoluta; l’unicità di Gesù è costitutiva, non è assoluta e neppure relativa; è piuttosto relazionale; nel senso che l’incarnazione costituisce il più profondo coinvolgimento di Dio nelle sorti dell’umanità; tale unione non potrà mai essere disciolta. L’evento storico dell’incarnazione è tuttavia limitante, nonostante il carattere trans-storico (escatologico) con la resurrezione; “[…] l’evento è limitato dalla sua inserzione nella storia, senza la quale dovrebbe svanire il suo peculiare significato e la sua densità. Esso è dunque allo stesso tempo particolare nel tempo ed universale nel significato; e in quanto tale, ‘singolarmente unico’, e nondimeno in relazione con tutte le altre manifestazioni divine all’umanità in un’unica storia della salvezza; vale a dire: relazionale”[16]. Dupuis ritiene che in questo modo è possibile superare sia l’esclusivismo (ecclesiocentrico /extra ecclesiam nulla salus), sia l’inclusivismo, senza tuttavia incorrere nel pericolo pluralista che nega la salvezza costitutiva in Gesù Cristo. L’illuminazione universale del Verbo, l’azione vivificante del suo Spirito consentono di scoprire nelle altre tradizioni religiose, salvifiche, la verità e la grazia, anche se non sono esplicitate con lo stesso vigore e con la stessa chiarezza, nella rivelazione e manifestazione di Dio in Gesù Cristo; “La verità e la grazia rinvenibili altrove non devono essere ridotte a ‘germi’ o ‘addentellati’ che debbano semplicemente trovare completamento e sostituzione nella rivelazione cristiana. Essi rappresentano benefìci aggiuntivi e autonomi”[17]; hanno un valore positivo in modo autonomo dal Cristo! Anzi, nelle altre tradizioni religiose, si posso riscontrare più verità e grazia che nella tradizione cristiana; ciò non significa sminuire l’unicità dell’evento Cristo, volto umano e icona di Dio, il suo carattere specifico e singolare; ma il Cristo né esclude –argomentare dialettico di Dupuis!- né include le altre tradizioni salvifiche.Il fatto che i Cristo sia il culmine della storia della salvezza non significa che sostituisca gli altri itinerari salvifici, ma li conferma e li realizza; l’Autore si rifà a Claude Geffré per spiegare in che senso il Cristianesimo è relativo; nel senso che si oppone al assoluto; è quindi relazionale:”La verità di cui testimonia il cristianesimo non è né esclusiva né inclusiva di ogni altra verità; essa è relativa a ciò che di vero c’è nelle altre religioni”[18]. Dupuis sottolinea che c’è convergenza fra i ‘volti del mistero divino’ proposti dalle altre tradizioni religiose [direi analogia!] e il mistero del Dio trinitario rivelato in Cristo; si scoprono valori complementari (direi simili!); essi non trovano compimento nel cristianesimo; non si devono integrare in essi (hanno valoe in modo autonomo); “Si tratta di una complementarità reciproca, in cui un’interazione dinamica fra le due tradizioni ha come risultato un arricchimento vicendevole”[19]. C’è una convergenza potenziale fra le varie tradizioni religiose che il dialogo interreligioso deve tradurre in realtà concreta; c’è la comunione fra gli interlocutori del dialogo, che scaturisce dalla loro compartecipazione alla realtà universale del Regno di Dio (direi piuttosto facciamo parte tutti della famiglia umana, abbiamo uno stesso Padre celeste!); “Questa comunione anticipata garantisce la possibilità dell’effettiva convergenza per mezzo del dialogo – nel pieno rispetto delle differenze fra le varie adesioni di fede”[20]. Il dialogo tra le fedi contribuisce alla costruzione del Regno di Dio nella storia; esso è ordinato al compimento escatologico alla fine dei tempi; la convergenza tra le varie tradizioni religiose raggiungerà la sua meta nella pienezza del Regno di Dio. L’eschaton finale comporterà la ricapitolazione escatologica in Cristo (anakephalaiosis Ef 1,10) delle varie tradizioni religiosi; verrà rispettata e salvaguardata la loro identità irriducibile, perché essa è opera del Verbo e dello Spirito. La ricapitolazione escatologica realizzerà la perfezione ultima (teléiosis) del Figlio di Dio come causa di salvezza eterna (Eb 5,9); quando il Regno di Dio arriverà al compimento il Cristo consegnerà il Regno al Padre, perché il Figlio è sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, e Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,24-28)[21]. “Sembra pertanto possibile parlare, seguendo P. Teilhard de Chardin, di una ‘meravigliosa convergenza’, che avrà luogo nell’eschaton, di tutte le cose  di tutte le tradizioni religiose nel Regno di Dio e nel Cristo-omega; di una mistica dell’unificazione’ verso cui tendono congiuntamente il cristianesimo e le tradizioni religiose dell’Oriente”[22]. Tutto ciò non offusca l’evento cristologico, perché è la fine (omega) in quanto è l’inizio (alpha), è l’asse centrale; si tratta di una convergenza generale delle religioni nel Cristo universale (Teilhard de Chardin); quindi la pienezza escatologica del Regno di Dio è il compimento finale del cristianesimo e delle altre religioni. Secondo Ciola[23] Dupuis, pur non parlando di due economie di salvezza, sembra considerare inclusivamente l’evento cristologico, ma finisce col dare il primato salvifico al Logos eterno non umanizzato (p 464). Secondo Molari, Dupuis in Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso,  richiamando l’azione del Verbo eterno e dello Spirito che precedono la storia di Gesù, difende la funzione salvifica delle religioni. Dal cristocentrismo inclusivista delle opere precedenti è passato alla posizione che egli stesso definisce un inclusivismo pluralista o pluralismo inclusivo. Dupuis,  in sostanza, afferma che l’evento del Cristo è decisivo per la salvezza ma non esclude, anzi postula, l’azione universale del Verbo eterno e dello Spirito Santo, in forza della quale è legittimato il pluralismo religioso, non solo di fatto, bensì anche di principio. Tutte le religioni sono viste come mediazioni partecipate o mediazioni complementari di salvezza, ma di una complementarità asimmetrica dell’evento decisivo che si è compiuto in Cristo[24]. In altri termini, dalla concezione delle altre religioni come mediazioni subordinate egli perviene alla concezione delle altre religioni come mediazioni complementari. Molari osserva, inoltre,  che in Dupuis si riscontra la teologia interreligiosa o condivisa. Infatti afferma: “Una teologia cristiana del pluralismo religioso deve essere una teologia basata sull’interazione delle fede cristiana con le altre fedi viventi e deve essere, in questo senso, una teologia interreligiosa[25].

SCHEMA DEL LIBRO – La teologia del pluralismo religioso è contestuale, ma l’Autore belga, in questa sua introduzione generale,  si occuperà del rapporto fra mistero cristiano e le altre tradizioni religiose, pur facendo riferimento anche a situazioni particolari della globalità. La prima parte del libro è storica e la seconda tematica. Il primo capitolo analizza in modo tematico “i principali dati della Sacra Scrittura, con riferimento alle religioni delle altre ‘nazioni’ nell’Antico Testamento e dei ‘gentili’ nel Nuovo”[26]. Nel secondo capitolo l’Autore esamina, in contrasto con l’atteggiamento negativo dei padri della chiesa, la posizione positiva nei confronti delle religioni locali dei padri apologisti (II secolo e inizio del III), che costituisce una teologia della storia della salvezza nella tradizione postbiblica, che diventerà il presupposto della teologia delle religioni. L’assioma ‘fuori della chiesa non c’è salvezza’, risale ai successori di sant’Agostino fino ad arrivare ai pronunciamenti ufficiali del magistero (III cap.). Nel XV secolo, con la scoperta del Nuovo Mondo e nella relazione con altre forme religiose, si passò dalla necessità della fede cristiana esplicita per la salvezza, al riconoscimento della fede implicita, con vari sostituti del vangelo che spiegavano la possibilità di tale fede implicita fino al Concilio Vaticano II (IV cap.). Il rinnovamento teologico preconciliare (V cap.) affronta la questione della salvezza per gli altri, cioè coloro che seguono altre tradizioni religiose e il loro valore nella storia della salvezza. “Il sesto capitolo esamina la dottrina del Concilio e ne offre una valutazione critica; esso mostra inoltre come l’atteggiamento di apertura del Concilio sia stato confermato e progressivamente sviluppato dal magistero della chiesa, fino ai documenti ufficiali più recenti”[27]. Con il settimo capitolo si conclude la parte storica. L’Autore fa un resoconto del dibattito sulla teologia delle religioni dell’epoca postconciliare che si è sviluppata nelle chiese, portando a nuove prospettive che richiedono una valutazione critica. Dupuis definisce la seconda parte sintetica, non sistematica: “infatti, pur tentando di presentare una visione sintetica delle complesse questioni coinvolte, non pretende – né lo potrebbe – di incasellare in un ordinato sistema umano il mistero del disegno di Dio per l’umanità e del suo dispiegarsi nella storia. Anziché sistematica, essa è dunque tematica. L’intento è quello di tracciare una panoramica 0rganica dei vari aspetti del mistero, che consenta di metterne in evidenza l’unità”[28]. Nel primo capitolo l’Autore espone la storia della salvezza  quale cornice in cui considerare la pluralità delle tradizioni religiose in armonia con il disegno di Dio, da cui emerge che le varie tradizioni religiose, con ordine ed unità,  sono una manifestazione di Dio nel corso della storia, poiché c’è un solo disegno salvifico di Dio per l’umanità. Nel secondo capitolo Dupuis parla della parola di Dio diversificata o differenziata nella storia, con e diverse forme e modelli della rivelazione divina e della fede umana, applicando tale discorso anche alla sacre Scritture [i  testi sacri?] della tradizioni religiose. Nel terzo capitolo il teologo belga esamina l’orizzonte trascendentale delle varie esperienze religiose e tradizioni, il mistero divino, l’assoluto. In questo contesto egli “si propone di mostrare quale luce il mistero della comunicazione divina che ha luogo in Dio in quanto rivelato in Gesù Cristo possa gettare su una teologia della pluralità religiosa”[29]. Il capitolo quarto è centrale poiché mette in luce “il ruolo decisivo svolto dall’evento storico di Gesù Cristo nel disegno di Dio per l’umanità e il posto centrale che esso occupa nel dispiegarsi storico di tale disegno”[30]. L’Autore illustra anche l’interazione e la complementarità fra la dimensione cristologica e pneumatologica dell’economia salvifica, cioè la presenza del divino nelle tradizioni religiose. Nel quinto capitolo, cristologico e pneumatologico, viene sviluppato il tema di come la teologia cristiana delle religioni possa riconoscere nelle varie tradizioni religiose una mediazione, per i loro membri, del mistero della salvezza in Cristo, i canali attraverso cui giunge loro la grazia salvifica di Dio mediante la sua Parola e il suo Spirito: “Tale capitolo domanda come sia possibile scoprire in tali tradizioni elementi di ‘verità e di grazia’, che a tale mediazione danno espressione”[31]. Il discorso del sesto capitolo è ecclesiologico, illustra il modo in cui la chiesa è a servizio del Regno di Dio realizzato da Gesù Cristo, e il modo in cui i membri di altre tradizioni religiose sono in relazione con tale Regno. Dupuis propone di superare la prospettiva ecclesiocentrica con quella regnocentrica, che offre un orizzonte più ampio per il pluralismo religioso. Il settimo capitolo, l’ultimo, espone secondo il magistero recente,  il posto del dialogo interreligioso nella missione evangelizzatrice della chiesa, il suo rapporto con il dialogo come arricchimento reciproco, l’interazione, la collaborazione fra i cristiani e i membri delle altre tradizioni religiose, l’impegno comune per risolvere i gravi problemi della società. Così argomentando, Dupuis, dopo essere partito dalla presenza attiva della Parola di Dio nella storia (Gv 1,1-5.9), l’azione universale dello Spirito di Dio nel mondo attuale attraverso l’impegno dei cristiani con le persone delle altre religioni, conclude che la valutazione positiva delle tradizioni religiose del mondo “lungi dal mettere in pericolo la fede cristiana, ha anzi l’effetto di approfondirla, aiutando a scoprire con gioia e gratitudine verso Dio le dimensioni cosmiche del mistero della relazione divina con l’umanità. Con sa Paolo, potremo allora confessare ammirati ‘l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità (Ef 3,18) del mistero di Dio e del suo Cristo”[32].

FONDAMENTO BIBLICO – LE RELIGIONI DELLE NAZIONI NELLA BIBBIA’ / Prospettiva tradizionale – Le radici della religione biblica sono situate nel contesto delle religioni e culture attorno ad Israele. Poiché Israele aveva la consapevolezza di essere il popolo eletto di Dio, esprimeva giudizi negativi sugli altri sistemi religiosi, considerati idolatria. Lo stesso senso di identità lo si riscontra nel NT, in cui analogamente ci sono giudizi negativi sulle altre religioni, sui sistemi religiosi diversi dall’ebraismo e dal cristianesimo. L’atteggiamento della Bibbia nei confronti dei gentili va dall’ostilità all’ammirazione; alcuni scrittori biblici riconoscono una genuina esperienza religiosa in singoli pagani. Alcuni scrittori biblici, tra cui anche Paolo, riconobbero la possibilità di una ‘religione naturale’, per mezzo della quale si poteva riconoscere il vero Dio nell’ordine, nella bellezza della creazione; tuttavia lo scrittore biblico ritiene inconcepibile l’ammirazione per il culto o per le religioni non bibliche. Questa è una concezione tradizionale cristiana che Dupuis ritiene riduttiva e condizionata da pregiudizi. L’analisi biblica è invece molto più complessa e risente attualmente del clima di apertura e dialogo, che portano a dare una valutazione positiva delle religioni extrabibliche.

L’alleanza ‘cosmica di Dio con l’umanità – Dalla Bibbia emergono interventi personali di Dio, definiti alleanza (berith), con Abramo e con Mosè, cioè l’intervento libero, gratuito di Dio, personale, salvifico di Dio. La vocazione di Abramo da parte di Dio, la sua fede incrollabile nel compimento delle promesse divine,, culmina con la sottoscrizione dell’alleanza (Gn 15,17-21; 17,1-14). La conclusione dell’alleanza fra Dio e Israele, in modo analogo, costituisce il culmine della vicenda di Mosè: la sua vocazione e missione, la rivelazione del nome di Dio, la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto con l’Esodo: L’alleanza tra Dio e Israele, il popolo eletto, si realizza tramite Mosè (Es 24, 1-11). L’alleanza di Dio con Abramo è tutta protesa verso l’evento dell’esodo, da cui nasce Israele come popolo consacrato al culto del Signore. E’ questo il fondamento dell’esperienza religiosa d’Israele, il punto di partenza del suo dialogo con Dio: “Sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo” (Lv 26,12). “La consapevolezza religiosa della conclusione di un’alleanza fra Jahweh e Israele è in realtà la coscienza che Dio e il suo popolo si appartengono ormai l’un l’altro in una comunità di vita. La teologia di Israele pone l’alleanza al cuore della sua vita religiosa. Jh sta di fronte ad Israele come l’interlocutore di un dialogo. All’interno di Israele, la consapevolezza dell’irruzione personale di Dio nella storia del suo popolo fece da punto di partenza per una riflessione sull’identità di Jh” (48). Dalla fede nel Dio liberatore Israele arriva alla fede nel Dio creatore. Colui che interviene nella storia d’Israele, che promette di essere sempre con il suo popolo (Es 3,13-15), che opera azioni prodigiose (mirabilia Dei) per condurlo verso la liberazione e la terra promessa, doveva anche essere stato anzitutto Colui che ha fatto il mondo e le cose che esso contiene. Israele è partito dalla sua esperienza di popolo dell’alleanza e poi ha scoperto, in modo retrospettivo, la trascendenza di Dio, di Colui che è il Creatore di tutte le cose (Gn 1-2). La storia d’Israele, essendo una storia di redenzione, fa pensare che diede inizio alla storia della salvezza, ma non la concluse. I profeti, infatti, e in particolare Geremia, hanno annunciato una nuova alleanza che Dio avrebbe concluso con Israele: “31 «Ecco verranno giorni – dice il Signore – nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. 32 Non come l’alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del Signore. 33 Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. 34 Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato»” (Ger 31,31-34). La nuova alleanza per Israele fa riferimento probabilmente al ritorno dall’esilio e alla ricostruzione del Tempio. Secondo il NT la nuova alleanza viene inaugurata da Dio in Gesù Cristo (Lc 22,20; 1Cor 11,25). La nuova alleanza è più ampia di quella precedente, poiché l’unico popolo di Dio si estende anche alle nazioni, ai gentili, a tutta l’umanità. La prima alleanza e la nuova, però, non esauriscono l’intera storia della salvezza operata da Dio. Dupuis fa notare che nell’AT si parla di alleanza con Dio prima di quella abramitica e mosaica. Il libro della Genesi, infatti, inizia al capitolo 12, ma prima ci sono altri due cicli narrativi: quello di Adamo (Gn 1-5) e quello di Noè (Gn 6-9). Nel racconto della creazione di Adamo indirettamente si parla di una relazione fra Dio e il primo essere umano da Lui creato, in quanto “attesta l’intima relazione personale del Creatore con Adamo, padre della razza umana. Questa intima relazione simboleggia, come compresero bene i padri della Chiesa, una prima alleanza universale con la razza umana. Tale interpretazione, inoltre, non è priva di basi bibliche: Sir 17,12 parla dell’’alleanza eterna’ stabilita da Dio con i nostri progenitori; Ger 33,20-26 e Sal 89 fanno riferimento ad un’’alleanza cosmica’ attraverso la creazione”[33].

L’autore sacerdotale usa il termine alleanza per la prima volta nel racconto di Noè (Gn 9). Tale alleanza era stata annunciata prima del diluvio (Gn 6,18) a Noè “uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei (…) (che) camminava con Dio” (Gn 6,9). Questa alleanza viene stipulata da Dio con tutta la creazione (Gn 9,1-17) tramite Noè. Il segno di questa alleanza eterna (Gn 9,16) fra Dio e la terra è l’arcobaleno, che è il simbolo della persistenza dell’ordine cosmico, di un nuovo ordine cosmico.  che cancella la devastazione del diluvio, [che è il ritorno del caos primordiale, poiché l’uomo ha preteso di sostituirsi a Dio]. Questa è un’alleanza cosmica e la sua permanenza non è dovuta a leggi naturali, ma alla fedeltà (‘emet) del Dio vivente. Tale alleanza non rientra nella storia naturale ma in quella della salvezza. La fedeltà di Dio nell’ordine cosmico per Israele rappresenta la garanzia della sua fedeltà nell’ordine storico.  Paolo riprende questa teologia dell’alleanza cosmica quando parla di una rivelazione permanente di Dio, attraverso il cosmo, indirizzata a tutte le persone. Come afferma J. Danielou, l’alleanza cosmica è già un’alleanza soprannaturale, non è di un ordine diverso da quella mosaica e cristiana. Dio non ha mai cessato di manifestarsi all’uomo che è la sua creatura. Prima di Cristo, pienezza della salvezza,infatti, si era manifestato ad Abramo, Mosé, Enoch e a Noè, cioè alle nazioni. Anche se tale rivelazione era oscura, essa riguardava l’azione salvifica di Dio nel mondo. “Possiamo concludere a nostra volta: l’alleanza con Noè non deve essere intesa come se garantisse semplicemente una conoscenza di Dio attraverso gli elementi della natura. Essa riguarda  un intervento personale ed universale di Dio nella storia delle nazioni anteriormente alla successiva alleanza con il popolo eletto. Le tradizioni religiose dell’umanità sono la testimonianza divinamente prescelta di questa alleanza con le nazioni”[34]. Per questo motivo i padri della chiesa non parlavano di due alleanze (tramite Abramo-Mosè e Gesù Cristo) ma di quattro, poiché partivano dalle alleanze con Adamo e Noè. Ciò significa che percepivano che la storia della salvezza non è ristretta al popolo eletto, ma si estende a tutta l’umanità, all’intera storia umana.

I santi pagani dell’AT – Per una valutazione positiva della religiosità extrabiblica, delle nazioni, osserva l’Autore belga, occorre distinguere due diverse questioni. La prima riguarda la vita personale di individui vissuti al d fuori del popolo eletto; la seconda riguarda il valore intrinseco delle religioni delle nazioni cui tali individui appartenevano. La prima questione riguarda i santi pagani dell’AT, la seconda la teologia veterotestamentaria delle religioni delle nazioni basate sull’alleanza cosmica di Dio. Dupuis si sofferma sulla prima questione. Per quanto riguarda i santi pagani dell’AT bisogna distinguere tra coloro che precedettero cronologicamente l’economia israelitica dell’alleanza con Dio con Abramo-Mosè ed altri contemporanei all’economia biblica, pur trovandosi al di fuori di essa. De primo gruppo fanno parte Abele, Enoch e Noé, che in Eb 11,4-7 vengono presentati come modelli, prima di Abramo, di quella fede, “senza (la quale) è impossibile (essere) graditi (a Dio” (Eb 11,6). E’ la fede, che in ogni singolo caso, li ha resi giusti davanti a Dio. Secondo Eb, quindi, la fede salvifica era possibile al di fuori dell’economia biblica, ed anche prima di essa. Dupuis sottolinea che Dio, prima di manifestarsi ad Abramo e Mosè, si era manifestato alle nazioni. Questa oscura manifestazione di Dio verte sull’azione salvifica di Dio nel mondo. “La Bibbia non ci dice quanti santi pagani risposero positivamente alla rivelazione divina. Si limita a dirci – puntualizza l’Autore – che alcuni lo fecero e a presentarli come modelli di fede per coloro che nell’Antica e Nuova economia ne vogliono emulare la fede. Il fatto che alcuni dei santi pagani rappresentino delle figure mitiche anziché storiche (Giobbe, Melchisedek) non contraddice il messaggio rivelato che è oggetto di comunicazione: la fede di Israele – e della chiesa apostolica – riteneva che la fede e la santità dei pagani davanti a Dio fossero possibili ed anzi reali. Come questa fede si manifestasse e trovasse espressione va esaminato caso per caso”[35] (52).

Santi delle nazioni prima di Israele / ABELE, per fede “offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto” (Eb 11,4). Abele inaugura la schiera dei santi dell’alleanza cosmica; la Bibbia lo presenta come il primo santo pagano. Come afferma J. Danielou, la sua giustizia davanti a Dio manifesta la sua elezione, nel senso che è giusto perché è eletto (non è eletto perché è giusto). E’ stato prescelto da Dio all’origine della storia umana, tra il popolo pagano. E’ stato anche il primo martire (Mt 23,34-35), il cui sangue versato prefigura il sacrificio di Cristo (Eb 12,24). ENOCH per fede “fu trasportato via, in modo da non vedere la morte (…). Prima infatti di essere trasportato via, ricevette la testimonianza di essere gradito a Dio. Senza la fede però è impossibile essergli graditi” (Eb 11,5-6). L’AT attesta la familiarità di Dio con Enoch: “Enoch camminò con Dio” (Gn 5,22), “Enoch piacque al Signore e fu rapito, esempio istruttivo per tutte le religioni” (Sir 44,16). La Lettera agli Ebrei evidenzia perché Enoch è gradito a Dio: “chi infatti s’accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano” (Eb 11,6). Secondo J. Danielou, questo testo il più importante di tutta la Scrittura per la situazione religiosa del mondo pagano. La fede dei pagani manifesta l’alleanza del Dio vivente con le nazioni: “Tale fede implica la credenza in un Dio personale che interviene negli affari umani con la sua provvidenza e ricompensa le persone per la loro giustizia: Mediante tale fede, Enoch appare come il prototipo della salvezza dei pagani:  egli è il profeta della religione cosmica”[36]. NOE’ per fede “avvertito divinamente di cose che ancora non si vedevano, costruì con pio timore un’arca a salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e divenne erede della giustizia secondo la fede” (Eb 11,7).  Dalla Bibbia emerge spesso la santità di Noè: “Noè trovò grazia agli occhi del Signore” (Gn 6,8); egli camminava con Dio” (Gn 6,9). Il Libro della Sapienza pala della sua giustizia (Sap 10,3); secondo il Siracide “Noè fu trovato perfetto e giusto” (Sir 44,17); Ezechiele lo annovera tra gli eletti (Ez 14,14); la Lettera agli Ebrei ne celebra il timore del Signore (Eb 11,7). Il NT esalta soprattutto la fede di Noè. Eb 11,7 spiega in che cosa essa consista: in base alla testimonianza di Dio, egli credette eventi non ancora visti (come come poi avrebbe fatto Abramo, allorché “partì senza sapere dove andava” (Eb 11,8). Il diluvi dimostra che la fede di Noè era giusta. Anche Gesù loda Noè per aver obbedito, in mezzo all’incredulità della gente, alla parola di Dio sul giudizio divino incombente (Mt 24,37-39); nel tempo della pazienza di Dio per dare alla gente l’occasione di pentirsi (1Pt 3,20). Noè è il banditore della giustizia (2Pt 2,5), è il profeta che annuncia il giudizio di Dio alle nazioni esortandole al pentimento. Noè sfuggì al giudizio di Dio sulle nazioni per mezzo della sua giustizia, e per la sua fede condannò il mondo (Eb 11,7). Noè simboleggia la persona che viene salvata, per cui divenne lo strumento della salvezza di Dio per il mondo (Sir 44,16-17); è il ‘resto’ che è salvato dal giudizio di Dio, è il principio di una nuova umanità, per cui prefigura Cristo. E’ questo il contesto biblico che fa comprendere pienamente il significato dell’alleanza di Dio con Noè: “’L’alleanza stabilita con Noè – come afferma J. Danielou – corrisponde alla religione cosmica e verte essenzialmente sulla fedeltà di Dio nell’ordine del mondo’.  E’ un’alleanza con l’intera umanità e con lo stesso cosmo  (Gn 9,10); è un’alleanza ‘eterna’ e irrevocabile (Gn 9,16) che manifesta la fedeltà di Dio alla sua creazione, di cui l’arcobaleno appare come segno sacramentale (Gn 9,12-15)”[37].

Santi delle nazioni stranieri rispetto a Israele (contemporanei ad Israele)// Il Libro di Giobbe presenta il suo eroe nell’ambito della religione cosmica, come modello di giustizia e di pietà della religione cosmica: “Uomo integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male” (Gb 1,1). Gb è rivestito di giustizia (Gb 29,14) e come riconoscimento da parte di Dio della sua virtù aveva ricchezze ed onori. Gb sarà sottoposto alla prova per verificare la sincerità della sua virtù alinea dall’autocompiacimento. “Il tema del Libro di Giobbe è la prova della giustizia. Dopo aver visto accumulare su di sé ogni benedizione, Giobbe si ritrova indigente. Gli amici che avevano visto nel suo successo la benedizione divina ora vedono nella sua rovina la condanna di Dio. Ma la prova non fa vacillare la giustizia di Giobbe: egli persiste nella sua integrità. La fedeltà nella sventura ne dimostra l’integrità nell’abbondanza dei doni di Dio. Il caso di Giobbe dimostra che nell’ordine dell’alleanza cosmica può darsi vera giustizia”[38]. Il Libro di Gb approfondisce il significato della sofferenza in un contesto pre-mosaico, nell’ordine della rivelazione cosmica. Non c’è una spiegazione razionale per la sofferenza del giusto e libera la giustizia da ogni illusione retributiva. Gb, però, non accusa Dio per la sua sofferenza; pur soffrendo tanto, egli rimane sempre un giusto. L’indigenza conduce Gb ad arrivare alla consapevolezza che ogni cosa è un dono gratuito di Dio, su cui l’essere umano non può accampare diritti, poiché la libertà di Dio è sovrana. Gb può solo confessare il mistero dell’onnipotenza di Dio e della sua totale libertà nella creazione, e si abbandona a Lui con la fede e l’adorazione. Secondo l’ordine cosmico, questo atteggiamento costituisce l’apice della vita di santità. MELCHISEDEK va annoverato tra i più eminenti personaggi non israelitici dell’AT. Secondo la Gn è il “sacerdote del Dio altissimo”, allorché benedice Abramo: “Intanto Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo,  e benedisse Abram con queste parole: ‘Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici” (Gn 14,18-20). Secondo il Sal 110 (109),4 Melchisedek è il modello del sacerdote eterno: “Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek”. La Lettera agli Eb si sofferma ampiamente su questo personaggio, tipo del sacerdozio di  Cristo.  Melchisedek è il grande Sacerdote della religione cosmica – come osserva J. Danielou -. Egli raccoglie in sé tutto il valore religioso dei sacrifici offerti dalle origini del mondo sino ad Abramo e attesta il gradimento di Dio.  Egli conosce il Dio Creatore (El): “E’ il sacerdote della prima religione dell’umanità che comprende tutte le genti, ed offre la pura oblazione del pane e del vino, il sacrificio di ringraziamento. Dio lo manda ad Abramo, dal quale riceve la decima per servire al culto divino (Gn 14,20). Abramo, iniziatore di una nuova e più alta alleanza, rende omaggio alla liceità dell’alleanza precedente celebrata dal suo sommo sacerdote. Questi è l’esempio perfetto della fondamentale indigenza dell’umanità, di cui esprime nel sacrificio la dipendenza da Dio; in questo egli è, allo stesso tempo, il tipo di colui che sarà il sommo sacerdote eterno” (55). La Lettera agli Eb vedrà realizzato tutto ciò in Cristo, il sommo sacerdote eterno, predetto dal salmista: “Tu sei sacerdote in eterno alla maniera di Melchisedek” (7,17). Per la religione cosmica, Melchisedek costituisce la figura emblematica di Cristo (Eb 7,1-3), che assume nella sua offerta eterna e realizza nella perfezione tutti i sacrifici (Eb 9,11). Nell’AT vi sono anche altre figure di santi che non rientrano nella discendenza di Abramo, come ad esempio Lot, modello di giustizia secondo la Legge isritta da Dio nel cuore delle persone (Rm 2,12); una santa della religione cosmica è la regina di Saba, che “venne dall’estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone (Mt 12,42; 1Re 10,1-13). Attraverso la coscienza il vero Dio si era rivelato a lei, a cui prestò la sua adorazione e riconobbe in Salomone una rivelazione più perfetta. J. Danielou così sintetizza efficacemente la religione cosmica dei santi pagani dell’AT: “ La santità nell’ordine della religione cosmica consisteva nel rispondere all’appello di Dio che si avvertiva nella coscienza. Si tratta dunque di vera santità. Per la Bibbia non vi è una morale laica (…). Può solo imporsi assolutamente la volontà di una  persona che meriti l’omaggio assoluto del rispetto. Se io obbedisco alla legge morale, significa che riconosco in essa la volontà infinitamente amabile di Dio. E’ Dio che io amo già in essa. La morale è già adorazione, e perciò la coscienza è una rivelazione di Dio e non vi è che morale religiosa” (cit 56).

Il Dio d’Israele e gli dei delle nazioni – Il monoteismo dell’AT non si basa su argomentazioni astratte, filosofiche, ma sull’esperienza dell’opera salvifica di Dio, che interveniva liberazione nella storia del popolo d’Israele, come emerge da Sal 114-115. Il salmista passa dal riconoscimento delle meravigliose opere di Dio per la salvezza del suo popolo alla esaltazione di Colui che le ha compiute. La professione di fede monoteistica viene espressa con lo Shemà Israel: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,4; Mt 12,29). “Questa lucida fede monoteistica non costituisce però la forma originaria della credenza ebraica; essa è piuttosto il culmine di una lunga evoluzione, che implicò una prolungata crisi religiosa. La fede monoteistica di Israele – osserva l’Autore belga – si è sviluppata progressivamente e ha conosciuto fluttuazioni”[39] (57). Fin dalla fase iniziale della fede monoteistica, per Israele vi solo il culto per Jh, perché è il Dio che ha stipulato un’alleanza con Israele e lo ha consacrato al suo culto. La fase iniziale della fede di Israele è quella monolatria,che non esclude l’esistenza degli altri dei, ma per il popolo vi è solo il culto in Lui: “Non avrai altri dei di fronte a me” (Es 20,3), poiché Jh è un Dio geloso (Es 34,14). “Il diritto esclusivo esercitato da Jh sul suo popolo e la sua schiacciante superiorità sugli altri dei nella potenza che nella tenerezza amorosa (hésed) non impediscono tuttavia il riconoscimento degli dei cui sono sottomesse le altre nazioni. Ma questi dei non sono affatto in grado di competere con Jh, e Israele non può farvi ricorso: ‘Chi è come te fra gli dei, Signore? Chi è come te, maestoso in santità, tremendo nelle imprese, operatore di prodigi?’ (Es 15,11); ‘Poiché grande Dio è il Signore, grande re sopra tutti gli dei’ (Sal 95,3)” (57). Per Israele c’è voluto molto tempo prima di arrivare alla piena consapevolezza del potere universale di Jh su tutta la terra ,sebbene affermato da Mosè (Es 19,5). Israele è arrivato alla fede nel rigoroso monoteismo solo nel postesilio, dopo il periodo di tentazione e conflitto, dopo essere tentato di adorare gli dei stranieri, soprattutto il Baal cananeo. Israele, nel periodo tra l’ingresso nel Canaan e l’esilio, ha conosciuto una regressione rispetto alla fede monoteistica e ha corso il pericolo del sincretismo. Il Tempio di Gerusalemme era diventato la dimora di molti idoli (2Re 21-23; Ez 8). La missione dei profeti era quella di combattere le tendenze idolatriche, in quanto estranea all’ethos del popolo ebraico. Isaia, Geremia, Ezechiele richiamano il popolo alle esigenza dell’alleanza che Jh aveva stretto con Israele; i profeti esprimevano dichiarazioni sprezzanti sui presunti dei delle altre nazioni. I profeti sottolineavano la nullità degli idoli (ad es. Am 5,26; Os 8,4-8). L’azione critica dei profeti ha contribuito a generare la fede nella potenza di Jh a livello universale e nell’esclusività del rapporto con Dio. La prova dell’esilio porterà alla purificazione e al consolidamento della fede monoteistica (Dt 6,4), per cui l’esistenza degli altri dei viene negata, poiché essi ‘non sono’, “perché tu sappia che il Signore è Dio e che non ve n’è altri fuori di lui” (Dt 4,35). La fede sottolinea la gelosia di Dio, che  scaturisce dalla fedeltà all’alleanza (Dt 5,9-10). Secondo il DeuteroIsaia (40-55) dalla fede monoteistica di Israele scaturisce l’impegno missionario. Israele deve predicare il dominio assoluto di Jh e l’inesistenza degli dei. Secondo Is 41,21-23 gli dei vengono sfidati a provare la loro esistenza e Is 44,9-20 fa una satira dell’idolatria. Il Sal 115,3-8 fa un paragone tra gli dei che sono morti e il Dio vivente : “Il nostro Dio è nei cieli, egli opera tutto ciò che vuole. Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera della mi dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla gol non emettono suoni. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida” (cf anche Dt 4,28). Nel DeuteroIsaia emerge la massima maturazione delle fede monoteistica (Is 44,6-9 ad es.).

Dupuis si chiede come valutava Israele il culto divino delle nazioni. Le condanne sono ricorrenti; gli dei a cui Israele era stato tentato di arrendersi, era quelli incontrati durante la tragedia dell’esilio (cf anche Sap 13-15). “Eppure Israele sa che non tutti gli abitanti delle nazioni sono idolatri. Alcuni hanno riconosciuto il Dio vivente manifestatosi attraverso l’alleanza cosmica. Il caso dei ‘santi pagani’ dell’AT è, a questo proposito, emblematico. E tuttavia, per quanto esemplari, non si tratta di casi isolati. Ciro, il conquistatore pagano venuto dalla Persia, è ad esempio il ‘pastore’, l’’unto’ di Dio che ne realizzerà i desideri (Is 44,28-45,1). E’ degna di nota anche la conversione di Ninive, città pagana maledetta dai profeti, la cui popolazione si pentì in risposta alla chiamata di Giona e si volse ad adorare il Dio d’Israele sotto il nome comune di Elohim: “1 Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: 2 «Alzati, va’ a Ninive la grande città e annunzia loro quanto ti dirò». 3 Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore. Ninive era una città molto grande, di tre giornate di cammino. 4 Giona cominciò a percorrere la città, per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta». 5 I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. 6 Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere. 7 Poi fu proclamato in Ninive questo decreto, per ordine del re e dei suoi grandi: «Uomini e animali, grandi e piccoli, non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. 8 Uomini e bestie si coprano di sacco e si invochi Dio con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. 9 Chi sa che Dio non cambi, si impietosisca, deponga il suo ardente sdegno sì che noi non moriamo?». 10 Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece” (Gion 3,1-10). Il breve  libro di Giona sviluppa una teologia del perdono di Dio condizionato ad un mutamento del cuore su invito del profeta di Anathot. E’ una strabiliante testimonianza dell’estensione – sottolinea il gesuita belga – agli altri popoli dell’universalità dell’amore e del perdono di Dio”[40]. L’AT non dice quanti, dalle nazioni, abbiano riconosciuto il Dio vivente, ma che tutti sono chiamati a questo riconoscimento. La vocazione d’Israele è quella di annunciare il Dio vivente a tutte le nazioni; i salmi regali (ad es 47; 97) lodano Dio per la sua regalità universale ed esortano le nazioni a condividere la sua lode. Il DeuteroIsaia va oltre: tutte le nazioni “fino all’estremità della terra” sono esortate a cantare “al Signore un canto nuovo” (Is 42,10-12); la storia delle nazioni è vista come parte del dominio universale del Creatore. Tutti i popoli sono chiamati a riconoscere che il Dio d’Israele è il solo Dio e non ve n’è un altro (Is 45,14). La salvezza ha una dimensione universale perché tutti i popoli cammineranno nella luce della gloria di Dio. La vocazione del Servo di Jh è quella di essere alleanza del popolo e luce delle nazioni (Is 42,6), ma la sua missione non è quella della salvezza per i pagani; piuttosto deve testimoniare “davanti a tutti i popoli” le opere compiute da Dio per salvare il suo popolo (Is 52,10). Anche la riunione escatologica delle nazioni attorno al Signore (Is 60,1) rientra in questa dimensione teologica. L’Autore belga richiama la questione della dialettica del particolarismo di Israele per la sua elezione e la sua vocazione verso tutte le nazioni (universalismo). I gentili potevano diventare ebrei (proseliti) e così partecipare alla vocazione d’Israele. Nel Primo Testamento non c’è una visione di sintesi tra la sovranità universale di Dio su tutti i popoli e su tutta la storia, la storia futura in cui tutte le nazioni formeranno con Israele un solo popolo eletto, ci sono elementi diversi che non si sono fusi; mentre l’unione tra le diverse prospettive si è realizzata in Cristo. Secondo Legrand  la categoria di particolarismo è inadeguata per l’AT, poiché il Dio d’Israele non limita la propria azione al suo popolo: egli è il Signore della storia universale. Anche nell’At è presente l’universalismo alla luce della categoria della Provvidenza di Dio. L’elezione d’Israele è in funzione della dimensione universale del piano salvifico di Dio. L’elezione d’Israele non è separazione dalle nazioni, ma è responsabilità nei loro confronti [testimoniare la santità di Dio]. Legrand parla piuttosto di un universalismo centralizzato e uno decentralizzato. Nel primo caso, la conversione delle nazioni a Jh consiste nel rivolgersi a Israele (Is 2,1-5). Il secondo caso viene espresso, ad esempio in Is 19,19-22, oracolo sull’Egitto culto di Jh decentralizzato: “Il Signore si rivelerà agli egiziani e gli egiziani riconosceranno in quel giorno il Signore, lo serviranno con sacrifici e offerte, faranno voti al Signore e li adempiranno” (Is 19,21). Anche se l’Egitto diventa popolo di Dio, Israele rimane l’eredità del Signore (Is 19,25). Malachia 1,11 getta una luce nuova sulle religioni del mondo extrabiblico, anche se ogni apertura nei loro confronti non offusca la centralità di Gerusalemme: “dall’oriente e dall’occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pure, perché grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore il Signore degli eserciti”. Anche la tradizione sapienziale attesta l’universalismo decentralizzato, come viene attestato dal caso di Giobbe, il santo pagano che ha incontrato Dio: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono” (Gb 42,5). Il problema di Giobbe, quello della sofferenza, è universale [tipico della letteratura sapienziale, durante l’esilio la rivela biblica si confronta con la saggezza ellenistica] e anche la risposta di Dio è universale. La conclusione di Legrand è che l’universalismo è una ‘dimensione integrale’ di tutto l’AT, complementare alla dimensione dell’elezione di Israele. I due aspetti rientrano nel piano di Dio e si richiamano a vicenda. Dupuis conclude “che lungo tutta la sua storia Israele ha un’intensa consapevolezza del rischio, che incombe su ogni popolo, di rivoltarsi contro se stesso adorando falsi dei opera delle proprie mani – un rischio sperimentato sulla propria pelle: Israele sa inoltre che tutti i popoli sono chiamati dal Dio vivente ad adorare colui che solo è: la vocazione specifica del popolo eletto consiste nel rendere testimonianza  a questa chiamata universale”[41].

Un’economia universale: Parola, Sapienza e Spirito – Secondo la concezione classica l’AT rivela il Dio unico e il NT il Dio unitrino. Il Padre si è rivelato nel rapporto con Israele, il Figlio in Gesù Cristo e lo Spirito con la Pentecoste nel tempo della chiesa, il tempo della crescita del Regno di Dio fino al compimento escatologico. L’AT conosceva sia la Parola che lo Spirito, ma non sono persone divine distinte da Jh; sono piuttosto espressioni dinamiche della sua manifestazione nella storia umana. Le parole e le azioni di Jh sono intimamente connesse; il Dio biblico non si limita a parlare per mezzo della Parola, ma agisce per mezzo di essa, che è essenzialmente efficace, creativa. Lo Spirito non è soltanto l’agente dell’ispirazione profetica, ma della sua azione divina. Non è raro che la Paola si sovrapponga allo Spirito o che la Sapienza sia associata ad essa (Sap 1,6). Parola, Sapienza, Spirito compaiono in modo parallelo e spesso emerge la tendenza alla loro identificazione (Sal 111; Sir 24,1-3.9.23; Sap 9, 1-2). Gli attributi dinamici di Dio non sono concepiti come persone divine distinte ma, per il loro carattere dinamico, hanno una ‘personificazione letteraria’, non in quanto intermediari fra Dio e il mondo, ma in quanto si riferiscono a Dio che si manifesta nel mondo e nella storia. Dupuis affronta la questione se attraverso la Parola-Sapienza-Spirito Dio si manifesti anche oltre Israele con parole ed azioni. Nell’At l’azione universale dello Spirito è scarsamente evidente, ma alla Parola e ancor più alla Sapienza viene chiaramente attribuita un’efficacia universale.

La Parola di Dio // Dabar manifesta la Legge divina (Es 20,1-17; Dt 5,6-22), manifesta il significato degli interventi di Dio nella storia (Es 20,2). Poiché è efficace realizza il piano di Dio, sia come interventi nella storia che come azione nel cosmo. La Parla di Dio realizza sempre ciò che annuncia: “(…) parola uscita dalla mia bocca (…) non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55,11). L’AT manifesta l’efficacia della Parola di Dio soprattutto come interventi salvifici nella storia d’Israele, che sono la conferma della Parola pronunciata (Dt 9,5). Retrospettivamente, l’efficacia della Parola viene riferita anche all’opera della creazione: “Dio disse (…)” (Gn 1,3ss) per cui manifesta anche un significato universale che si ritrova anche nel NT (Gv 1,1-3). “La Parola è concepita come una realtà distinta impregnata di potenza, non però distinta da Jh, se non in quanto espressione dinamica ed auto manifesta di Dio – sottolinea Dupuis – nel corso della storia della salvezza, in azioni e parole. Essa è Dio che si rivolge agli esseri umani per rivelarsi, Dio che chiama gli esseri umani ad una comunione di vita. Tale è, come testimonia la Genesi, la chiamata universale dell’umanità” (63).

La Sapienza di Dio// Dio è sapiente e comunica la sua sapienza al popolo. Dalla letteratura sapienziale emerge che la Sapienza (hokmah) divina è l’origine di ogni altra sapienza (Pv 8; Sir 24; Sap 6-13). La Sapienza venne creata da Dio prima di ogni cosa, “all’inizio della sua attività, prima di ogni sua opera (…), dagli inizi della terra” (Pv 8,22-26). Il Signore l’ha diffusa su tutte le sue opere (Sir 1,9). Essa era presente originariamente quando Dio ha realizzato il suo progetto della creazione (Pv 8,27-29): “io ero con lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno, dilettandomi davanti a lui in ogni istante; dilettandomi sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo” (Pv 8,30-31), ammaestrandoli ed insegnando loro ad essere saggi (Pv 8,32-36). Il Libro della Sapienza la descrive come un’emanazione della potenza di Dio, della sua gloria (Sal 7,25). Anche la Sapienza è una realtà essenzialmente dinamica, collegata alle opere di Dio nel mondo, manifestazione del progetto divino e compimento dello stesso. Attraverso la storia della salvezza Dio la manda in missione: “Pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova e attraverso le età entrando nelle anime sante, forma amici di Dio e profeti” (Sap 7,27). Dispensa la bontà di Dio e la sua amicizia (Sap 7,14). La Sapienza è la fonte del diritto e della condotta perfetta secondo il timore di Dio e la giustizia (Pv 3,7); è la fonte della salvezza per coloro che l’accolgono (Sap 6,19). Coloro che trovano la Sapienza hanno la vita (Pv 8,35). La Sapienza ammaestra le persone (Pv 8,32). Riguardo alla sua azione nell’opera della creazione essa ha protetto il padre del mondo, creato per primo da Dio; opera da Adamo fino a Mosè (Sap 10,1-24). La Sapienza è “uscita dalla bocca dell’Altissimo” (Sir 24,3); prende possesso di ogni popolo e nazione e cerca in mezzo ad essi un luogo in cui riposare (Sir 24,7). La Sapienza presiede al destino del popolo eletto (Sap 10,15-11,3). Ha posto la sua tenda in Israele per esercitarvi il suo ministero (Sir 24,8-12); esorta le persone a cercarla (Sir 24,19) per poterle riempire di sapienza (Sir 24,25). Analogamente alla Parola di Dio, anche la Sapienza è descritta come una persona. E’ colei che ha il compito della predicazione popolare; si ferma agli incroci, richiamando i passanti, esortandoli ad entrare nella sua casa e li invita a prendere posto alla sua tavola e a trarre profitto dal suo insegnamento (Pv 9,1-12). La Sapienza si prende cura dei suoi figli come una madre e li ricolma delle benedizioni di Dio (Sir 4,11-15). La personificazione della Sapienza è molto rilevante nel Libro dei Proverbi, nel Siracide ed è molto enfatizzata nel Libro della Sapienza. Essa è onnipotente come Dio stesso; collabora con lui per tutte le sue opere, è la sua consigliera, siede su un trono accanto a Lui (Sap 9,4) ed è presentata anche come una sposa (Sap 8,3). Analogamente alla Parola, la personificazione della Sapienza è solo un espediente letterario: “Rappresenta – chiarisce l’Autore – l’automanifestazione di Dio, significando la bellezza, l’ordine e la saggezza del disegno divino che si dispiega nella storia della salvezza quale riflesso dell’armonia che sussiste in Dio stesso. In ultima analisi, la Sapienza di Jh è Jh che si rapporta agli esseri umani, in opere ed auto manifestazione, e che dirige i destini del popolo eletto. La sua azione in Israele è un’azione privilegiata, ma per nulla esclusiva. Essa è universalmente presente nell’umanità e nella storia” (65). Il tema della Sapienza verrà ripreso nel NT per la cristologia del Logos, in Gv e Paolo come cristologia della sapienza.

Lo Spirito di Dio// La ruah di Dio è l’energia e la potenza di Dio che opera nella creazione. Aleggia sulle acque primordiali (Gn 1,2) liberando la vita dal caos. L’opera dello Spirito è anche quella del rinnovamento, della ricreazione. La vita dipende totalmente dallo Spirito di Dio: “Mandi il tuo Spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra” (Sal 104,30). La ruah di Dio opera soprattutto negli esseri umani come energia vivificante. Nel giorno del Signore lo Spirito sarà effuso su ogni uomo (Gl 2,28); secondo At 2,16-21, discorso di Pietro, questa profezia si è realizzata con la Pentecoste (At 2,17). Lo Spirito trasforma le persone in strumenti dell’intervento di Dio nella storia, concedendo loro la potenza divina. Lo Spirito è Santo perché appartiene alla sfera divina (Is 63,10-11). L’azione dello Spirito di Dio si manifesta in modi diversificati nella storia di Israele. Si impossessa degli esseri umani per trasformarli in strumenti dell’azione di Dio in mezzo al suo popolo; in modo particolare lo Spirito di Dio si è posato sul re d’Israele (1Sam 16,13). Si posa anche sull’unto del Signore (Is 11,2), sul suo servo (Is 42,1). Lo Spirito di Dio discende soprattutto sui profeti e li rende capaci di annunciare la Parola di Dio. La dimensione profetica si manifesta soprattutto nel tardo giudaismo, parla “per mezzo dei profeti”. Anche se lo Spirito opera soprattutto in Israele, la sua azione ha pure una dimensione universale: “Lo spirito del Signore riempie l’universo” (Sap 1,7); l’onnipotenza di Dio si manifesta soprattutto con il suo Spirito (Ger 23,24). Lo Spirito realizza un’attività vivificante universale (Gdt 16,14), che viene chiaramente attestata soprattutto da Sap 11,24-12,1. Riguardo alla Parola-Sapienza-Spirito, l’Autore belga conclude  che si tratta del rapporto di Dio con l’umanità nella storia della salvezza. “La storia è, dall’inizio alla fine, una storia della salvezza, cioè un dialogo che Dio ha intrapreso con l’umanità fin dall’alba dei tempi, e che attraverso varie fasi la sta conducendo al destino prescelto. Nell’AT, Parola-Sapienza-Spirito sono già una testimonianza di tale impegno di Dio, in attesa che esso trovi la sua realizzazione nella Parola-Sapienza fatta carne e nell’effusione dello Spirito”[42].

di Lucia Antinucci

 

[1] Cittadella, Assisi 1991 (originale francese 1989).

[2] DUPUIS, Verso una teologia cristiana, 5.

[3] Ivi 5-6.

[4] Ivi 6.

[5] Queriniana, Brescia 1997 (cito dall’edizione del 2015).

[6] Ivi.

[7] Ivi  517.

[8] Ivi.

[9] Ivi 518.

[10] Ivi.

[11] Ivi.

[12] Ivi 519.

[13] Cf. E. SCHILLEBEECKX, Umanità. La storia di Dio, Queriniana, Brescia 1992 (originale del 1989), 217.221;  Cl. GEFFRE’, La singolarità del cristianesimo nell’età del pluralismo religioso, in Filosofia e teologia 6 (1992) 38-58.

[14] Ivi 520.

[15] Ivi.

[16] Ivi 520-521.

[17] Ivi 521.

[18] GEFFRE’, La singolarità del cristianesimo, 45.

[19] Ivi 522.

[20] Ivi.

[21] Eresia del II-III secolo. Il Figlio è subordinato al Padre e lo Spirito a entrambi. Scomparve dopo il Concilio di Nicea (325). Cf. docetisti, adozionisti, ariani.

[22] DUPUIS, Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 523; P. TEILHARD DE CHARDIN, La mia fede, Queriniana, Brescia 1993, 124.

[23] Disagi contemporanei di fronte al paradosso cristiano dell’incarnazione, in PATH 2 (2003) 464)

[24] Cf. C. MOLARI, Teologia delle religioni e dialogo interreligioso, 1574,  in https://pars-edu.it > sites > default > files > 92_Teo… (ultimo accesso 23 febbraio 2022); cf acnche ID, Teologia del pluralismo religioso, Pazzini 2013.

[25] Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Queriniana, Brescia 1997, 180 (originale inglese del 1997).

[26] Ivi 33.

[27] Ivi 34.

[28] Ivi.

[29] Ivi 35.

[30] Ivi.

[31] Ivi.

[32] Ivi 36.

[33] Ivi 49.

[34] Ivi 51.

[35] Ivi 52.

[36] Ivi 53.

[37] Ivi 54.

[38] Ivi.

[39] Ivi 57.

[40] Ivi 58-59.

[41] Ivi 61.

[42] Ivi 66.

 

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