L. De Chirico, Stesse parole, mondi diversi. I cattolici e gli evangelici credono allo stesso Vangelo?, Apologetica, Associazione Evangelica Alfa & Omega, Caltanissetta 2021, pp. 167, euro 14,50.
L’autore di questo breve, ma intenso saggio, è pastore della Chiesa riformata battista Breccia di Roma e professore di Teologia storica presso l’IFED di Padova, nonché direttore della rivista Studi di Teologia e del Centro Studi di etica e bioetica dell’IFED. Nella Prefazione del professore Michael Reeves, membro dell’Union School of Theology a Bridgend (in Gran Bretagna), è ben sintetizzata la prospettiva di fondo del testo che qui proponiamo: «Quando si parla di differenze tra protestanti e cattolici, la maggior parte dei cristiani tende a far proprie le parole di Samuel Johnson: “Per quanto mi riguarda, Signore, penso che tutti i cristiani, papisti o protestanti che siano, concordino sui fondamenti e che le loro differenze siano triviali e più politiche che religiose”. La distinzione tra giustificazione per fede (la posizione di Roma) e giustificazione per sola fede (la visione protestante) è vista come una minuzia che potrebbe interessare solo uno sparuto gruppo di eruditi pignoli e particolarmente avvezzi a mettere i puntini sulle i. Con la cortesia e la profondità che lo contraddistinguono, Leonardo De Chirico ci fa vedere quanto sia diversa la realtà. Illustrando i fondamenti teologici del cattolicesimo, ci mostra che Roma può usare parole con cui gli evangelici hanno dimestichezza (“grazia”, “fede”, “giustificazione”, ecc.), dando ad esse un significato alquanto diverso. Vediamo così che Roma non si limita a fare qualche aggiunta (Maria, il purgatorio e il papato) a un Vangelo che è sostanzialmente condiviso. È una torta del tutto diversa, la ricetta e gli ingredienti sono diversi […]. Con questo libro, De Chirico compie un’operazione di chiarezza: ci spiega come pensare il cattolicesimo e come dialogare con i nostri amici cattolici con grazia e chiarezza bibliche» (pp. 9-10). Inoltre, osserva ancora Reeves, «questo libro spinge gli evangelici a pensare al Vangelo in termini più precisi, aiutandoli a essere evangelici nel senso più vero del termine» (p. 10). Il riferimento è soprattutto all’opera redentrice di Cristo che è hapax e completamente sufficiente, per cui il Vangelo è l’opera di salvezza di Dio e non un’offerta di aiuto. In tal senso, allora, «la redenzione è compiuta solamente da Cristo senza nessun contributo da parte nostra. Le conseguenze pastorali per i cristiani peccatori e afflitti sono enormi: se capiamo il senso di ciò che Dio ha detto e fatto in Cristo possiamo affidarci a lui e non a noi stessi. Solo allora possiamo vantarci della croce. Solo allora possiamo conoscere la vera liberazione» (p. 10).
Dopo la Prefazione (pp. 9-10), i Riconoscimenti (p. 11) e le Abbreviazioni (p. 13), seguono l’Introduzione (pp. 15-19, nella quale De Chirico distingue tra il linguaggio come sistema che dà significato alle parole e le parole che non sono entità assolute perché ricevono il loro significato nel contesto del sistema in cui sono usate, per cui cattolici ed evangelici usano parole simili ma con un significato teologico diverso), quattro capitoli (Stesse parole, stesso mondo?, pp. 21-48; Le parole chiave del cattolicesimo: i contesti teologici, pp. 49-88; Le parole chiave del cattolicesimo: un’indagine su alcuni termini specifici, pp. 89-106; Il mondo cattolico: collegare i punti, investigare il cuore, pp. 107-138), la Conclusione (pp. 139-142), tre brevi Appendici (La Riforma è conclusa?, pp. 143-148; Nove persone da conoscere per capire il Vaticano II, pp. 149-158; Perché gli evangelici dovrebbero occuparsi del cattolicesimo romano, pp. 159-162) e una Bibliografia selezionata (pp. 163-167).
La chiarezza d’esposizione e la criticità dell’analisi di De Chirico ci permettono di conoscere effettivamente quale visione del cattolicesimo si ha in ambito evangelico che si può riassumere in questo giudizio: «anche se le parole del cattolicesimo assomigliano al Vangelo, la sua lingua è diversa dal Vangelo. La sua impostazione teologica diverge dal Vangelo biblico, quindi le parole che usa sono distorte e intese in modo diverso. Le dottrine del cattolicesimo romano e la giustificazione delle sue pratiche sono presentate in termini vagamente biblici» (p. 16). De Chirico prova a scardinare luoghi comuni e a infrangere sogni ed effimeri irenismi ecumenici che non pongono attenzione alla diversità delle dottrine teologiche professate in ambito cattolico rispetto al carattere puramente evangelico del messaggio della Riforma. I punti critici rilevati nel testo sono: l’agire della grazia nel credente (che per la teologia cattolica indica anche una capacità umana di compiere il bene, di dare un assenso positivo e deliberativo); il carattere sacramentale della Chiesa che si esprime essenzialmente in modo vicario e istituzionale, creando una sorta di gerarchia e di potere nel governo concreto della stessa realtà ecclesiale; la pietà popolare che si manifesta, molte volte, con derive e posizioni in contrasto con il Vangelo.
Così si esprime De Chirico: «La distinzione biblica tra “capo” (Cristo) e “membra” (Chiesa) è confusa con la categoria di totus Christus (il Cristo totale che include entrambi). Le conseguenze di questa confusione riguardano (e inquinano) tutto. La Chiesa mmistica-sacaramentale-istituzionale-papale è concepita in un modo gonfiato, abnorme. Il cattolicesimo si regge su questi due assi: l’ottimismo di fondo basato sull’interdipendenza tra natura e grazia, corrisponde al ruolo di guida dell’istituzione ecclesiastica romana basata sull’interconnessione tra Cristo e la Chiesa. Il problema fondamentale del cattolicesimo è che non è fondato sul Vangelo biblico ma su una sintesi spuria di Sì e di No in risposta ad esso. Questo schema di Sì e No innerva tutte le sue espressioni» (p. 18). Sembra che nel cattolicesimo romano, a detta di De Chirico, riprendendo una citazione del predicatore gallese Martyn Lloyd-Jones (1899-1981), non è tanto la negazione della verità che si verifica, quanto l’aggiunta alla verità che diventa un allontanamento da essa. È come se il complesso mondo della Tradizione viva della Chiesa abbia favorito un processo teologico di allontanamento dalla semplicità del Vangelo stesso. «Se si afferma qualcosa del Vangelo e si aggiunge qualcos’altro, ci si allontana dalla fede cristiana nel suo complesso» (p. 18). Dunque, cattolici ed evangelici non hanno lo stesso Vangelo, perché i primi usano parole bibliche gonfiate e distorte «da elementi esterni che le rendono sostanzialmente diverse dall’insegnamento chiaro della Bibbia» (p. 19).
Le critiche forti ma sincere e motivate di De Chirico, che concretamente ci dicono che cosa gli evangelici pensano di noi cattolici, danno molto a pensare per una conversione teologica e pastorale all’interno della stessa Chiesa cattolica. Ad esempio, circa le obiezioni che De Chirico pone all’uso ecumenico della fede nicena, a proposito del termine “salvezza” e del significato dell’intercessione dei santi e della speciale devozione alla Vergine Maria, non è forse da rimarcare ancora di più il fatto che la salvezza è solo Gesù Cristo? «Cosa significa professare una fede unitaria in modo unitario se, pur recitando le stesse parole, crediamo in dottrine sostanzialmente diverse? Per di più, la recitazione del Credo quanto può cambiare la vita dei cristiani nominali? Cosa significa dire “Credo…” per molte persone che, pur essendo state battezzate e frequentando sporadicamente le funzioni religiose, non sono state rigenerate, e non sono quindi credenti?» (p. 35).
Un punto di non ritorno nella critica che De Chirico compie per il dialogo schietto e sincero tra evangelici e cattolici riguarda il ruolo della mariologia che sembra, oramai, soprassedere alla stessa cristologia. Egli fa notare che, dal pronunciamento dogmatico del Concilio di Efeso del 431 su Maria Theotokos (“Genitrice” o “Madre” di Dio), la venerazione alla Madre del Signore «è diventata prominente nelle pratiche devozionali, negli schemi dossologici e nell’arte sacra. Il cristianesimo ha preso una svolta mariana in termini liturgici e di orientamento generale. È paradossale che lo stesso Concilio che intendeva riaffermare la piena divinità e umanità di Cristo abbia finito per promuovere un’eresia funzionale» (p. 37). La rilettura cristiana della fede delle origini, alla luce della mariologia, per De Chirico, ha assunto «modalità ossessive», al punto tale che «Maria divenne il principale destinatario delle preghiere quotidiane. Non doveva distogliere attenzione da suo Figlio, ma la percezione di Maria dopo Efeso di fatto lo ha soprasseduto nelle forme esperienziali del cristianesimo. Il Figlio è sempre raffigurato assieme alla Madre, la Madre solitamente dipinta più grande del Figlio (neonato) e destinataria di una mole di preghiere sempre crescente; tutto ciò ha contribuito a una graduale riconfigurazione della spiritualità cristiana da Cristo (che appariva sempre più distante, troppo divino, troppo inavvicinabile) verso Maria, con il suo carattere materno, tenero e compassionevole. L’umanità di Cristo – essenziale per riconoscere il suo ruolo di mediatore come Figlio incarnato con noi creature – è stata ridotta progressivamente a vantaggio della sua divinità. Alla fine, la divinità di Cristo è stata messa in primo piano, ma lo ha fatto apparire troppo lontano per invocarlo direttamente» (p. 38).
Per De Chirico, l’equilibrio dei primi credi, secondo cui Gesù Cristo era pienamente Dio e pienamente uomo fu mantenuto solo nominalmente, ma praticamente abbandonato dalla spiritualità sempre più mariana della Chiesa dopo Efeso. «Il vuoto lasciato dalla mancanza di considerazione per l’umanità di Cristo fu riempito dalla crescita del ruolo di Maria la Madre. La vicinanza della Madre di Dio fu la risposta alla lontananza percepita del Figlio di Dio che fu pensato troppo distante per capire e preoccuparsi dei problemi della vita. In altri termini, probabilmente senza volerlo, la Madre ha divorato il Figlio» (p. 38). La critica di De Chirico si spinge oltre in riferimento alla pratica della pietà popolare e della devozione mariana che non tengono conto minimamente della vera fede conciliare, fino a determinare una sorta di mariologia totalizzante «che andava incontro ai bisogni spirituali delle persone e stimolava ulteriori sviluppi teologici in direzione mariologica» (p. 38). La critica di De Chirico, in ambito strettamente teologico-trinitario, tocca pure il rapporto tra Cristo e lo Spirito Santo che sembra essere stato sostituito dal rapporto Maria-Spirito Santo in seguito alla crescita sensazionale della mariologia (cf. pp. 39-40). Egli sostiene che «la concezione cattolica di Maria pone importanti interrogativi rispetto alle sue implicazioni trinitarie» e, inoltre, che «un’adesione formale a quanto dice il credo sulla persona e sull’opera di Gesù Cristo deve essere affiancata a una spiritualità coerente e centrata sulla lode del Dio uno e trino – Padre, Figlio e Spirito Santo – cosa che non avviene nella mariologia a motivo della considerazione esagerata di Maria e della conseguente marginalizzazione di Cristo e dello Spirito. Sebbene affermi di non voler togliere attenzione al Figlio, la mariologia tende a insinuarsi nell’armonia della Trinità costituendo così un ostacolo al pieno riconoscimento di chi è il Dio uno e trino e di cosa ha fatto per noi» (p. 39). Il nodo critico della mariologia ritorna successivamente nel libro (cf. pp. 96-100) con riferimento al dogma dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione e al discutibile titolo di Maria corredentrice della salvezza. Il dato è così tratto: «La Maria di Roma, sebbene abbia lo stesso nome, non è la Maria della Bibbia» (p. 100).
L’autore pone altre interessanti critiche e questioni che possono aiutare il mondo cattolico a riflettere sull’essenza del messaggio evangelico e favorire, così, un ritorno al cristianesimo delle origini, rivedendo pratiche devozionali, riti e liturgie molto distanti dal culto in spirito e verità che Gesù stesso ha predicato e vissuto. Ritorna in più punti la critica di De Chirico a proposito del Giubileo e delle indulgenze da lucrare (cf. almeno p. 102).
Alla domanda: “Perché gli evangelici dovrebbero occuparsi del cattolicesimo romano?” (cf. Appendice 3), De Chirico risponde con più motivazioni. Anzitutto perché i cattolici superano il miliardo e trecento milioni di fedeli e, quindi, sono presenti ovunque, anche come minoranza: la Chiesa di Roma resta protagonista, attraverso i suoi documenti e iniziative, sul piano mondiale nei principali dibattiti interreligiosi, ecumenici e di solidarietà. In altri termini, la «presenza del cattolicesimo è pervasiva. A meno che non vi accovacciate nel vostro piccolo angolo di mondo, dovete fare i conti con il cattolicesimo romano» (p. 159-160). Poi, c’è una motivazione non solo pratica e strategica, ma altamente teologica, che richiede il confronto tra evangelici e cattolici: il fatto che la Riforma è ancora in atto. Per De Chirico, «la Riforma non è conclusa, il Vangelo è ancora al centro della controversia con Roma e tutti quelli che vogliono stare fermi nella verità devono capire che cosa il cattolicesimo crede e promuove» (p. 160). C’è, inoltre, anche un’esigenza di evangelizzazione, ossia una questione evangelistica: molti cattolici, a detta di De Chirico, vivono come le persone secolarizzate, ossia senza alcun senso reale di Dio nelle loro vite, quindi non sono persone rinate. Da qui nasce la sfida gentile a evangelizzare gli stessi cattolici, offrendo loro la visione semplice e non ingarbugliata del Vangelo vivo. Ci sono anche ragioni strategiche che spingono a conoscere il mondo cattolico: l’unità tra i cristiani non si può concludere con l’inglobamento degli evangelici e delle altre confessioni cristiane sotto l’ala protettrice di Roma, perché «l’unità a cui aspiriamo è l’unità del popolo di Dio, sotto la signoria di Gesù Cristo, e non una generica unità del genere umano sotto Roma. Dunque, per ragioni missiologiche, teologiche, evangelistiche e strategiche, gli evangelici devono confrontarsi con il cattolicesimo oggi» (p. 161).
È interessante l’Appendice 2 dedicata ai nove protagonisti del Vaticano II che, in qualche modo, ne hanno determinato gli inizi, lo sviluppo e la recezione nel presente e nell’oggi della Chiesa di Roma. Attraverso nove semplici pennellate, De Chirico delinea i volti e i tratti essenziali di quei protagonisti che, nella storiografia e nella letteratura dedicate al Vaticano II e alla storia del cattolicesimo da parte del mondo evangelico, sono considerati indispensabili per la comprensione dell’identità del cattolicesimo conciliare: John Henry Newumann (1801-1890, al quale si deve l’idea di una Tradizione viva in crescendo, come un tutto unitario e autentico sviluppo del cristianesimo); Romano Guardini (1886-1968, con l’idea del cattolicesimo come visione del mondo, ossia come elemento che abbraccia ogni realtà e tutta la realtà); Yves Congar (1904-1995, riconosciuto come uno dei principali sostenitori dell’inversione a U eseguita da Roma in materia di ecumenismo); Karl Rahner (1904-1984, che ha cambiato notevolmente il significato del motto extra ecclesiam nulla salus assumendo una visione gradualista del cristianesimo); Henri-Marie de Lubac (1896-1991, grazie al quale il cattolicesimo ha riformulato il suo rapporto con la tradizione non più vista come uno schema rigido, ma come una traiettoria vivente e in espansione); Hans Urs von Balthasar (1905-1988, che ha offerto la distinzione su ciò che è “cattolico” come un altro contributo al discorso sulla visione del mondo di Romano Guardini); Giovanni Paolo II (1920-2005, riconosciuto come l’interprete geniale del Vaticano II, conservatore in fatto di dottrina e morale e progressista sui temi sociali e nella comunicazione); Benedetto XVI (1927-, che incarna magnificamente la cattolicità del cattolicesimo post-Vaticano II, leggendo la Bibbia sempre e solo alla luce del magistero, intrecciando sempre credo di Nicea ed ecclesiologia, Vangelo e concilio di Trento); Jorge Mario Bergoglio (1936-, che incarna la visione del Vaticano II pur non avendovi preso parte, attento alle questioni umane e alla coscienza dell’uomo e ai problemi dell’ambiente più che ai grandi interrogativi sulla verità e sulle questioni dottrinali).
Edoardo Scognamiglio
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