La Giornata dell’approfondimento e dello sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei a Caserta è stata celebrata il 13 gennaio nella sala conferenze della biblioteca della diocesi. L’incontro si è tenuto in presenza, nel pieno rispetto delle regole anticovid. Il prof. don Eduardo Scognamiglio, teologo e direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della diocesi di Caserta, ha introdotto l’incontro sottolineando l’importanza del dialogo ebraico-cristiano, che favorisce anche lo sviluppo del dialogo ecumenico. La Giornata, infatti, precede la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, promossa dal 1990 dalla Conferenza episcopale italiana – Commissione per l’ecumenismo e il dialogo, congiuntamente all’Assemblea rabbinica d’Italia nella scelta del tema e nella preparazione del Sussidio. Quest’anno il tema viene scelto congiuntamente da cattolici ed ebrei a livello locale. Come Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della diocesi di Caserta, assieme a Rav Ariel Finzi, rabbino della Comunità ebraica di Napoli, si è convenuto di trattare come tema ‘Il Libro dei Giudici capitolo 5: il Cantico di Deborah’. Don Scognamiglio ha poi brevemente tratteggiato una introduzione al Libro dei Giudici (Shofetim) che assieme ai primi capitoli del Primo Libro di Samuele, costituiscono l’unica fonte della storia del popolo ebraico in Canaan, nel periodo che precede la monarchia, a cominciare dalla morte di Giosuè, tra il 1180 e il 1020 a.C., quando il potere giuridico e amministrativo era gestito dalle 12 tribù. Il Libro dei Giudici, ha sottolineato don Scognamiglio, che fa parte dei libri denominati Profeti anteriori, è costituito da 21 capitoli e presenta le vicende relative ai principali dodici Giudici, cioè alle guide militari e politiche che in successione in quel periodo avevano esercitato una notevole influenza in Israele, suscitati da Dio per risolvere il difficoltoso insediamento nella terra di Canaan, abitata da popolazioni politeiste. Il Libro dei Giudici – ha continuato don Scognamiglio – comprende una premessa (Gdc 1-2,5) sulla situazione delle tribù insediate in Canaan e sulla lenta e non organizzata ulteriore conquista dei territori della Terra promessa; un’introduzione (Gdc 2,6-3,6) che offre l’interpretazione teologica del periodo storico; le vicende dei 12 Giudici, come Jefte, Gedeone, Sansone, Deborah; la vicenda di Mica e del santuario delle tribù di Dan (Gdc 17 e 18), i racconti del delitto di Gabaa e della guerra con Beniamino (Gdc 19 e 20). Il capitolo 4 – ha rilevato il Direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso – narra la vicenda del comandante Barak e di Deborah, quarto Giudice d’Israele, ripresa in forma poetica nel capitolo 5. La narrazione del Libro dei Giudici segue un preciso schema letterario e teologico: Israele pecca contro Dio, che lo consegna nelle mani dei suoi nemici; gli israeliti si pentono e Dio suscita un Giudice, un capo carismatico per salvarli dai nemici, a cui fa seguito un periodo di pace, di circa 40 anni (Gdc 5,31c). Lo scopo del Libro dei Giudici è quello di insegnare che le crisi e le difficoltà di Israele sono causate dalla sua infedeltà a Dio, quando cede all’idolatria. Solo Dio può liberare Israele dalle sue sofferenze(Gdc 2,11-19). Il capitolo 21 narra le ultime vicende delle tribù e introduce l’esigenza della monarchia: “In quel tempo non c’era un re in Israele; ognuno faceva quel che gli pareva meglio” (Gdc 21,25).
Dopo la sua introduzione don Scognamiglio ha ceduto la parola al Maskil, il Rabbino, della Comunità ebraica di Napoli, collegato online, Rav Ariel Finzi, che ha commentato i capitoli 4 e 5 del Libro dei Giudici, relativi alla vicenda di Deborah e al suo Cantico, accennando anche ad altri Giudici, particolarmente a Sansone, il più noto. Deborah è l’unica donna che nel Tanak (Bibbia ebraica) è denominata Giudice, guida carismatica del suo popolo, poiché – ha affermato Rav Finzi – risolveva le dispute che sorgevano ed emetteva gli ordini sotto la palma tra Rama e Betel, sulle montagne di Efraim (Gdc 4,5). L’apice del Libro dei Giudici è il Cantico di Deborah, che il relatore della Comunità ebraica ha messo in relazione al Cantico di Myriam, sorella di Mosè, che ha intonato il canto di liberazione nell’uscita dall’Egitto. Rav Finzi ha delineato la storia di Deborah, il cui nome significa ape, definita madre d’Israele dal Testo sacro, titolo di grande onore come quello delle Matriarche, donna con il carisma della profezia, moglie di Lappidot, anch’egli un Giudice d’Israele. Quando cominciano le sofferenze del popolo d’Israele, che si era allontanato dal suo Dio, Deborah manda a chiamare Barak (Gdc 4,6), al quale trasmette la volontà del Signore, che lo ha scelto come condottiero per la battaglia, portando il popolo alla vittoria. In base all’ispirazione divina, Deborah, donna coraggiosa e risoluta, ordina a Barak – ha sottolineato rav Finzi – di radunare diecimila uomini delle tribù di Neftali e di Zabulon e marciare verso il Tabor, dove metterà nelle sue mani al torrente di Kison, Sisara, generale di Iabin, con i suoi carri e le sue truppe (Gdc 4,7). Barak accetta, a condizione che Deborah lo accompagni. Ella gli rivela – ha continuato rav Finzi – che la vittoria si otterrà per mezzo di un’altra donna, Giaele, la cui vicenda è stata motivo di imbarazzo nel corso dei secoli per i commentatori del Talmud. Deborah si reca con Barak fino a Kades, ove avviene la convocazione dei diecimila soldati delle tribù di Zabulon e Neftali (Gdc 4,10). Sale al Tabor dove incoraggia Barak prima dell’inizio della battaglia dicendogli: “Alzati, perché questo è il giorno in cui il Signore ha messo Sisara nelle tue mani. Il Signore non esce forse in campo davanti a te?” (Gdc 4,14). La battaglia è descritta brevemente dall’Autore del Libro dei Giudici, con pochi passaggi per offrire al lettore la chiave per interpretare la vittoria: essa è opera del Signore (Gdc 4,15.16) che “umiliò quel giorno Iabin, re di Canaan, davanti agli Israeliti” (4,23). Rav Finzi si è poi soffermato sulla vicenda di Giaele, di cui si parla nel Cantico di Deborah, che ricorre ad un comportamento trasgressivo per uccidere Sisara, il generale dell’esercito nemico (Gdc 4,17-22). Giaele era moglie di Eber il kenita e Sisara in fuga si rifugia nella sua tenda “perché vi era pace tra Iabin, re di Azor e la casa di Eber il kenita” (Gdc 4,17). La donna gli esce incontro, gli parla in modo accattivante e lo invita a non temere (4,18). Sisara non replica, non chiede spiegazioni, subito entra (4,18c) e Giaele lo nasconde sotto la coperta. Sisara le chiede un po’ d’acqua e Giaele si mostra molto ospitale offrendogli il latte, facendolo bere dall’otre. La donna manifesta ancora una volta tutta la sua premura ricoprendo con la coperta Sisara (4,19). Non appena Sisara cade nel sonno profondo Giaele lo uccide (4,20-21) con un piolo della tenda che si trovava a portata di mano e un martello, probabilmente di legno, adoperato dai beduini per fissare la tenda a terra. Giaele si trasforma da donna pacifica ed ospitale in una donna forte e coraggiosa, circuendo Barak con dolci allettamenti. Rav Finzi, seguendo il commentatore Rashi (1100 ca) ha evidenziato che il comportamento di Giaele, forse neanche ebrea, assume un significato positivo nel Testo sacro, poiché con la sua risolutezza ha portato alla vittoria il popolo d’Israele. Il Rabbino della Comunità ebraica di Napoli ha poi commentato il Cantico di Deborah. La profetessa “sorge” quando le condizioni del popolo erano disastrose: non c’era sicurezza per i viandanti (Gdc 5,6); regnava l’anarchia (Gdc 5,7) e l’idolatria era diffusa (Gdc 5,8). Nel Cantico vi è la benedizione per Giaele (Gdc 5,24-26), una donna della tenda, cioè una beduina (5,24b) e come tale è molto ospitale (5,25); infatti offre al suo ospite del latte acido (forse yogurt) non in una coppa normale ma in una coppa da principi, segno di massima considerazione per l’ospite . Giaele nel Cantico è benedetta fra le donne, anzi è la più benedetta – ha sottolineato Rav Finzi – delle donne (Gdc 5,24). Il Testo sacro ha un cambiamento brusco tra i versetti 25-26 per evidenziare la trasformazione della personalità di Giaele, che utilizzando utensili quotidiani per i beduini, arriva a trafiggere Sisara (5,27). Il centro del brano poetico non è l’azione riprovevole, l’uccisione di un uomo già fisicamente provato, ma la realizzazione della profezia di Deborah: “Il Signore metterà Sisara nelle mani di una donna” (4,9). È quindi Dio che realizza – conclude Rav Finzi – la vittoria d’Israele, che libera il suo popolo, tramite l’eroina Giaele una donna pacifica, che si trasforma in una donna coraggiosa.
Don Edoardo Scognamiglio ha poi ceduto la parola alla teologa Lucia Antinucci, Presidente dell’Amicizia ebraico-cristiana di Napoli, che ha sottolineato come il dialogo ebraico-cristiano sia una scelta irreversibile per la Chiesa cattolica, a cominciare dal Concilio Vaticano II. La Dichiarazione Nostra Aetate n. 4 evidenzia il vincolo profondo con l’ebraismo perché il cristianesimo deriva dall’ebraismo. Bisogna realizzare, attraverso una capillare azione di formazione, il superamento dei pregiudizi e bisogna collaborare con i fratelli ed amici ebrei per superare l’antisemitismo, promuovendo la pace e la giustizia nella società. Bisogna conoscere e approfondire l’ebraismo, rispettandolo anche nella sua diversità dal cristianesimo, poiché la profonda amicizia si attua proprio nel rispetto reciproco. L. Antinucci ha poi fatto un accenno ad alcune donne del Primo Testamento (Antico Testamento), cominciando dalle quattro Matriarche: Sara la moglie di Abramo, Rebecca moglie di Isacco, Rachele seconda moglie di Giacobbe da lui preferita, Lea prima moglie di Giacobbe, sorella di Rachele. La relatrice ha citato un’affermazione della filosofa ebrea Catherine Chalier nel suo saggio sulle matriarche: “Se è vero che il dogma non ispirò la vita dei patriarchi del libro di Bereshit, se, piuttosto, è la loro vita che fonda la religione biblica, sembra legittimo associarli alle loro donne, a coloro che la tradizione definisce ‘matriarche’. Le ‘quattro madri d’Israele’, chiamate ‘incenso’ da Rashi, tanto la loro esistenza fu preziosa, giocando in effetti un ruolo cruciale nell’economia delle gesta dell’elezione, vegliano al suo compimento e soprattutto – […] – permettono di pensarne il senso attraverso la loro vita, le loro scelte e il loro impegno” (Editrice Giuntina, Firenze 2002, 22. L. Antinucci ha ricordato anche Anna, la moglie di Elkana (1Sam 1,5) e madre del profeta Samuele. Myriam, la sorella di Mosè e Aronne, dopo avere attraversato prodigiosamente il Mar Rosso con il popolo d’Israele guidato da Mosè, compone un canto di lode a Dio e organizza cori femminili di danze: “Allora Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un timpano: dietro a lei uscirono le donne con i timpani, formando cori di danze. Maria fece loro cantare il ritornello: ‘Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere!’” (Es 15,20-21). Salvatrici del loro popolo sono state pure Giuditta ed Ester, eroine di due storie edificanti. La relatrice ha citato l’incipit della Preghiera della regina Ester: “Mio Signore, nostro re, tu sei l’unico! Vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso se non te, perché un grande pericolo mi sovrasta” (Ester 4,17). Le donne d’Israele partecipano – ha continuato la teologa Antinucci – alla vita religioso-cultuale celebrando feste, offrendo sacrifici, facendo voti, condividendo la gioia del banchetto sacrificale nel santuario. Alcune di esse prestano servizio all’ingresso della tenda del convegno (Es 38,8; 1Sam 2,22); altre confezionano e custodiscono arredi sacri, oppure sono votate intensamente alla vita religiosa e prendono parte attiva al culto con musica, canti, danze e processioni. Ad alcune donne la Bibbia dà il nome di profetessa (nebi’ah): Myriam, sorella di Mosè, Deborah, la moglie di Isaia (cf. 8,3) e Culda (cf. 2Re 22,14). Quest’ultima è la moglie del guardarobiere del tempio, Sallùm, e contemporanea di Geremia. Si ritiene che abbia goduto di un autentico carisma profetico al tempo della riforma religiosa di Giosìa. Secondo Gl 3,1-2 – ha concluso la relatrice – anche nell’età messianica le donne saranno ispirate dal carisma profetico.
Don E. Scognamiglio ha poi invitato il vescovo di Caserta, Mons. Pietro Lagnese, a porgere il suo saluto ai relatori e all’assemblea. Il vescovo ha pure richiamato l’importanza del dialogo ebraico-cristiano e ha evidenziato varie donne della Bibbia, come ad esempio le levatrici d’Israele al tempo dell’Esodo e Myriam di Nazaret, il cui Cantico (il Magnificat) richiama proprio il Cantico di Deborah. Mons. Lagnese ha poi sottolineato che la logica di Dio è quella di scegliere i piccoli e i deboli per realizzare la sua opera di salvezza, come emerge dalla storia di Deborah e di altre donne della Bibbia.
Nonostante le difficoltà create dalla pandemia, c’è stata una buona partecipazione all’evento ebraico-cattolico, con una rappresentanza del Centro italiano femminile, del Centro studi francescani per il dialogo interreligioso e le culture e del Movimento Pax Christi. Nel salutare e ringraziare i convenuti don Edoardo Scognamiglio ha espresso l’auspicio di poter realizzare un incontro in presenza con rav Ariel Finzi per approfondire sempre più l’amicizia tra ebrei e cristiani, segno di pace e fraternità universale.
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