E. SCOGNAMIGLIO, Il sogno della fraternità universale. Una lettura biblica, storico-critica e teologico-spirituale, LEV, Città del Vaticano, Roma 2021.
La recente enciclica sulla fraternità e amicizia sociale di papa Francesco è apparsa a molti come un forte richiamo e appello alla responsabilità personale e sociale. Con l’intento di proporre a quanti si accingono a dare attuazione alle indicazioni del papa, il teologo don Edoardo Scognamiglio esplora il lessico della “fraternità universale”, proponendo sogni e utopie tra decostruzioni mitologiche e futuribili attuazioni profetiche. L’Autore declina il tema della “fraternità” nelle sue diverse contestualizzazioni bibliche, storico-critiche e teologico-spirituali. Fin dall’introduzione, consapevole della complessità dell’argomento, evoca due massimi scrittori del secolo scorso, Sigmund Freud ed Ernst Bloch, che hanno concettualizzato il tema del “sogno” e della “speranza”. Secondo Scognamiglio la fraternità deve uscire dalle nebbie “mitologiche” e diventare “autentica profezia”, grazie alla speranza di vincere la “sfida del perdono”.
L’Autore, sul piano antropologico, è ben consapevole di dover declinare il tema della fraternità in una condizione umana corrotta dall’animus nocendi, che il filosofo Hobbes sintetizzava nella sentenza “homo homini lupus”. È stato proprio il XX secolo a comprovare fino a che punto l’uomo possa spingersi contro il proprio fratello: due guerre mondiali e il dramma della Shoah. In questa temperie le religioni sono da alcuni ritenute colpevoli di non aver saputo condurre l’uomo alla concordia, e ancor più fautrici dello scontro tra civiltà. La stessa offerta del perdono cristiano è da questi ritenuta una forma di provocazione da parte della vittima nei confronti del carnefice o un riconoscimento di colpa di quest’ultimo nei confronti della vittima. Se il politologo Samuel Huntington e l’antropologo René Girard hanno declinato il legame inestricabile tra religione e violenza come matrice culturale del conflitto tra le civiltà, Scognamiglio viceversa, vede nella vocazione del patriarca Abramo, che riceve la benedizione divina, il grembo fontale che unisce e accomuna i grandi monoteismi. L’uomo è dotato di un anelito insopprimibile alla comunione fraterna, perciò occorre porsi le seguenti domande fondamentali: “Chi siamo?; “Da dove veniamo?”; “Perché ci troviamo qui?”; “Dove stiamo andando?”. L’uomo sperimenta la propria finitudine ed è in continua ricerca dell’ “Origine” e della “Patria”. La fraternità è un evento ontologico ed esistenziale. È il grembo che ci tiene in gestazione. Siamo esseri gettati nella finitudine dell’esistenza, in cammino verso la morte: “Dobbiamo essere fratelli non perché saremo salvati, ma perché siamo perduti”. Nell’organizzazione del cantiere della fraternità l’Autore non elude la spinosa questione del perdono: chi può perdonare: L’offeso o Dio?; Il perdono è possibile?; Si può perdonare in nome di chi non c’è più?; Perdonare significa dimenticare? Si può perdonare l’imprescrittibile e l’imperdonabile? A queste domande l’Autore risponde asserendo che il modello del perdono è Gesù, che verso i suoi nemici evita ritorsioni e vendette. Solo il perdono apre il cuore al sogno della fraternità universale.
Allo scetticismo di antropologi, sociologi e laicisti l’Autore oppone il “sogno profetico del Vaticano II” e lo “spirito di Assisi”, che restano ancora davanti a noi come compito da adempiere. Lumen Gentium e Nostra Aetate sono stati documenti programmatici e profetici, che i pontefici del post Concilio hanno messo in atto con grande determinazione, nonostante non siano mancati attriti interreligiosi. In particolare, Nostra Aetate è diventata la magna charta del dialogo interreligioso e lo “spirito di Assisi” ne è certamente il frutto più maturo. Papa Francesco nella sua prospettazione pastorale sottolinea l’importanza del principio della fraternità nei contesti antropologico-sociale e psico-affettivo. La fraternità è un anelito insopprimibile che va attuato con apertura allo Spirito santo. Essa non va fondata unicamente sul principio di uguaglianza, come preferirebbe lo spirito egualitario delle costituzioni democratiche nate dalla rivoluzione francese, ma sul riconoscimento di una paternità divina comune. In Abramo le grandi religioni monoteistiche devono riscoprire il principio della loro fraternità. Il modello antropologico di questa fraternità è Cristo, fratello tra i fratelli. La fraternità è un cantiere sempre aperto come dimostrano le coppie di fratelli in conflitto nel Primo Testamento (Caino e Abele, Isacco e Ismaele, Esaù e Giacobbe, Giuseppe e i suoi fratelli…). La fratellanza è il protocollo col quale saremo giudicati (Mt 25,1ss; EG n. 179). Nel fratello si trova il permanente prolungamento dell’incarnazione per ognuno di noi. La fraternità dovrebbe entrare, dopo un necessario passaggio legislativo, anche nei processi finanziari ed economici vigenti. La fraternità, che include la sororità e la sinodalità, impronta lo stile della comunità ecclesiale. Essa va promossa con un giusto riconoscimento nelle strutture ecclesiali del ruolo delle donne e del laicato. La famiglia, con i suoi interni legami, è il nucleo costitutivo della fraternità, che si articola attraverso la coniugalità, la paternità e la maternità. Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi definì la Chiesa come “una comunità d’amore fraterno” e scelse come tema per la giornata della Pace del 1971 “Ogni uomo è mio fratello”. Da parte sua papa Francesco nei suoi viaggi in paesi a maggioranza islamica ha usato anche il lessema fratellanza per indicare il vincolo spirituale e naturale che sussiste tra tutte le creature. Nella Dichiarazione Universale dei Diritti degli Uomini del 1948, infine, si richiamò l’importanza dell’agire “in spirito di fraternità di tutti gli uomini”. La fraternità è un imperativo anche della comunità civile, oltre che di quella religiosa. Gesù nel suo ministero terreno, infatti, fu fratello di tutti: giusti e ingiusti, credenti e non credenti, peccatori e pagani.
Nella seconda parte del volume il professor Scognamiglio si sofferma sulle radici evangeliche della fraternità. Afferma che l’evangelista Marco ridefinisce la fraternità naturale riferendola alla famiglia di Gesù nella prospettiva del discepolato. Nel vangelo di Matteo lo statuto della fraternità si consegue rispondendo alla Sua chiamata. Chi segue Gesù diventa suo discepolo e, ancor di più, suo fratello! L’autore sostiene che Matteo abbia riletto il rapporto tra i cristiani nella Chiesa nascente in termini di fraternità, seguendo una tensione dialettica di “continuità nella discontinuità” tra la chiamata del popolo eletto e la novità dell’annuncio della risurrezione di Gesù, affidato alla comunità apostolica come “nuovo Israele”. L’aggettivo “nuovo” dà conto della discontinuità tra l’Israele antico e la comunità apostolica. In uno studio analitico sulla redazione del primo Vangelo l’esegeta tedesco Wolfang Trilling (Il vero Israele. Studi sulla teologia del vangelo di Matteo) sottolinea che il Risorto avrebbe comandato alla comunità apostolica la missione universale che il Dio di Israele aveva anticipato con l’elezione del Suo popolo in vista della salvezza universale. Molti esegeti osservano che fin dal Primo Testamento ci sono tracce significative di un disegno universalistico di salvezza. Pertanto, tra le due comunità non si sarebbe attuata una vera e propria successione, ma un processo di veridizione dell’originario progetto del Dio di Israele.
Concordiamo con Scognamiglio quando conclude che nel NT il termine fratello ha assunto un significato traslato e strettamente teologico e cristologico, ossia pasquale, di fede e poi anche spirituale. Prima di affrontare il significato biblico della fraternità Scognamiglio inserisce un interessante e articolato excursus sull’etimologia dei lessemi fratello e fratellanza in ambito letterario greco-ellenistico, del giudaismo biblico ed extrabiblico. Il significato biblico è ritenuto di valore bisemico (carnale e spirituale). Nel Primo Testamento, infatti, sono considerati fratelli o sorelle le persone nate dallo stesso seno e per estensione semantica i membri di una medesima famiglia, di una stessa tribù, del medesimo popolo. Come pure i popoli discendenti da un identico antenato (fraternità per fede). L’uso simbolico ricorre anche nei rapporti epistolari, nei lamenti funebri, nelle relazioni tra amanti e nel diritto familiare. Nel libro del Deuteronomio il fratello assume un significato teoforico e indica Dio stesso. La Bibbia ci insegna che la fraternità è un compito che sta sempre davanti a noi: è da costruire ogni giorno, come un cantiere sempre aperto al futuro, perché non è spontanea. In un pertinente approfondimento è sintetizzato il tentativo di costruire la fraternità universale del noto sociologo ebreo Edgar Morin. La passione per l’uomo e le sue aggregazioni sociali ha prodotto nella sua lunga attività culturale e civile il tentativo di dare unità ai saperi, assumendo la complessità del reale in modelli sistemici. Per Morin la fraternità non può essere principio rigido, piuttosto deve rigenerarsi senza posa, giacché senza posa essa è minacciata dalla rivalità. Vi sono fraternità durevoli e momenti provvisori di fraternità. Occorre creare la fraternizzazione attiva, rinascente, aperta, amorosa, […] Si tratta di gestire l’ipercomplessità per custodire e rigenerare ogni forza amorosa nella fraternità. La forza viva per la costruzione della fraternità in una realtà ipercomplessa è l’intelligenza. La storia di Israele con le note vicende di coppie di fratelli in conflitto, nelle quali s’inserisce l’azione efficace di Jhwh, rappresenta un tentativo di promuovere la piena fraternità. C’è il rischio nella storia di Israele di ridurre la fraternità a un ideale astratto, privo di attuazione nella prassi della fede. I profeti denunciano tutte le violazioni della fraternità: nessun amore fraterno (Os 4,2); nessuno risparmia il proprio fratello (Is 9, 18-20). Geremia è il profeta tragico perseguitato dai suoi fratelli, dal suo popolo (Ger 11,18). Il vero saggio, il sapiente ama la fraternità. Un fratello aiutato dal suo fratello è una roccaforte (Pv 6,9). A partire dalla fraternità abramitica ed escatologica, rinnovata dallo Spirito santo, si costruirà una fraternità universale, cosmica, aperta a tutte le nazioni, ai pagani.
L’Autore dedica un approfondimento al tema della fraternità nel capitolo 23 del vangelo di Matteo. Dopo aver esaminato il contesto ecclesiale in cui si è formato il testo e le intenzioni dell’evangelista conclude che il lessema fratelli non ha un valore biologico, né politico o giuridico e neanche civico-religioso, bensì teologico e cristologico. Uniti a Cristo come fratelli e sorelle, i membri della comunità fraterna pensata da Matteo stanno sotto la protezione del Padre. Per Matteo essere fratelli è essere in comunione nella Chiesa-comunità. L’unico potere che è possibile esercitare è quello dell’amore e della diaconia.
Si sarebbe potuto accostare al capitolo 23 anche il discorso ecclesiale (Mt 18,1-35), che si apre con una domanda da parte dei discepoli a Gesù: «Dunque, chi è più grande nel regno dei cieli?» (18, 1). A tale domanda il Maestro replica con l’esigenza di farsi piccoli e di accogliere i piccoli (18,2-11), cui segue l’episodio della pecorella smarrita (18, 12-14), della correzione fraterna (18, 15-18), e della preghiera in comune (18, 19-20). Una seconda domanda di Pietro (18,21), provoca l’insegnamento sul perdono delle offese e la parabola del servo spietato (18, 22-35). Per Matteo farsi piccolo, prendersi cura del fratello, correggerlo amorevolmente, pregare in comunione, disporsi al perdono senza limiti sono le condizioni imprescindibili per progettare il cantiere della fraternità.
Dopo l’evento pasquale il Crocifisso-Risorto è evocato nel NT come l’Autore della nuova fraternità procurata dal dono dello Spirito santo. Egli è il primogenito tra molti fratelli che fonda la fraternità sull’agápê, dono di sé per il bene dell’altro, fino alla morte. L’Autore illustra i principali testi del NT (letteratura paolina, letteratura giovannea, lettere apostoliche…), nei quali la fraternità è ricollegata al Cristo Risorto, al Padre che l’ha risuscitato e allo Spirito santo dato in dono alla comunità apostolica. Nella fraternità pasquale il Padre di Cristo è divenuto il Padre dei discepoli. E rileva che Matteo nella prima apparizione del Risorto alle donne riferisce la locuzione d’invio: «Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno» (Mt 28, 10). Siamo del parere che il lessema “fratelli” si riferisca non solo ai discepoli perdonati dopo la fuga, ma più universalmente a tutti gli uomini, pagani, giudei, ecc…, che accoglieranno la verità della Sua risurrezione gloriosa. L’evangelista, infatti, alla presenza degli undici sul monte della Galilea, luogo fissato per l’incontro col Risorto, proferirà le Sue ultime e decisive parole, «…andate dunque e fate discepoli tutti i popoli…» (Mt 28, 19).
Il frutto della fraternità riconciliata è il corpo di Cristo, cioè l’eucarestia. Per la Chiesa primitiva l’amore fraterno si esercita innanzitutto nella comunità eucaristica. Nel Suo corpo glorioso c’è spazio per ogni uomo, per chi non si sente fratello, per chi ha smarrito il senso della fraternità, per chi ne progetta un nuovo inizio. In merito il teologo luterano Bonhoeffer afferma che solo per mezzo di Cristo siamo fratelli. È Cristo che compie “in me e nell’altro” la comunione. La fraternità è un dono da accogliere nella libertà, eliminando a priori ogni confusa aspirazione “a un di più”. Chi vuole avere più di quanto Cristo ha stabilito, non vuole fraternità cristiana, ma cerca qualche sensazionale esperienza di comunione.
Nelle comunità sub-apostoliche i catecumeni che si preparavano al battesimo erano indicati con l’appellativo fratelli. Il battesimo diventa elemento costitutivo della fraternità universale (Cf. Giustino, Ignazio di Antiochia, Tertulliano…). Nel terzo secolo l’uso del lessema diventa meno frequente. Costantino indicherà come fratelli i vescovi e Agostino i chierici. Il suo uso sarà ripreso dai monaci e dalle monache. L’eucarestia insieme al battesimo continuerà a essere il riferimento sacramentale della fraternità. La Chiesa è la fraternità visibile.
Nell’ultima parte del saggio Scognamiglio evoca l’esperienza spirituale di san Francesco di Assisi, collegandola al pontificato di papa Bergoglio e alla sua enciclica Fratelli tutti, che si richiama all’ Ammonizione VI del santo. Il santo di Assisi considerava i fratelli un dono del Signore con i quali iniziare una nuova vita, quella evangelica. Oltre la fraternità nella Regola non bollata comanda ai frati anche la minorità: “tutti generalmente si chiamino fratelli minori”, consapevole che non si può vivere la fraternità senza che “l’uno lavi i piedi dell’altro”. La fraternità è il luogo dove abbonda il peccato e, soprattutto, dove sovrabbondano la misericordia e il perdono. Nella fraternità bisogna cercare il bene del fratello e non lasciarsi turbare dal male. Infine, l’Autore argomenta su alcuni aspetti nodali dell’enciclica Fratelli tutti alla luce del Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi. In sintonia con papa Ratzinger conclude che la sola ragione umana, senza un’apertura al trascendente e al comune riconoscimento della paternità divina, non può conseguire alcuna durevole fraternità. Proprio il riconoscimento della comune paternità divina esorta le grandi religioni monoteiste a prendere in seria considerazione l’incarnazione di Dio (Dio nell’uomo e l’uomo in Dio) e la Trinità divina. La prima e più urgente fraternità si realizza nell’adesione coerente all’impegno di vivere lo straordinario incontro in Cristo tra l’umano e il divino, fino a convincersi che tutto ciò che è umano è anche divino. E allora se Dio s’incontra nel prossimo, perché Cristo è morto per ogni uomo, il fratello è portatore d’istanze divine. La fraternità universale può avvenire solo recuperando il carattere trinitario e cristocentrico dell’amore del prossimo.
In conclusione Scognamiglio tematizza nuovi sogni: quello del poeta-profeta libanese Gibran e quello che Tommaso Moro propone nel libello Utopia. La fraternità universale, pur in un contesto storico segnato da attacchi terroristici, attriti socio-religiosi, culturali, politici, ideologici… va, tuttavia, declinata come sogno diurno, utopia realizzabile, speranza garantita, profezia avverantesi. Occorre continuare a costruire il cantiere della fraternità, che ha già annoverato tra i suoi operatori Francesco d’Assisi, Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi, il beato Charles de Foucauld… Sono questi i testimoni credenti, appartenenti a fedi diverse, che sono stati credibili, perché capaci di seminare qualcosa di buono, seppur nella terra malaugurata degli uomini.
di Nicola Di Bianco
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