Dopo due anni di lockdown il Centro studi francescani per il dialogo interreligioso e le culture (in via San Francesco d’Assisi n. 117 a Maddaloni) ha potuto riprendere le sue attività, nel pieno rispetto delle norme anticovid. Le attività sono state inaugurate il 23 settembre dall’ incontro interreligioso del gruppo ‘Spirito di Assisi’. Tema dell’incontro: “Il sogno di un mondo senza frontiere: il contributo delle religioni”. Sono intervenuti: il teologo don Edoardo Scognamiglio direttore del Centro studi, il Rev. Li Xuan Zong, prefetto generale dei taoisti d’Italia, Amedeo Imbimbo del buddhismo tibetano, comunità Sangha Rimé, Angela Furcas e Silvio Cossa, Caterina Cirma e Bezhad Mirzaagha di fede Baha’i. Ha moderato l’incontro Lucia Antinucci, coordinatrice del gruppo Spirito di Assisi.
Il teologo don Edoardo Scognamiglio ha introdotto l’incontro evidenziando che negli ultimi due anni abbiamo sperimentato tutti quanti, a livello mondiale, un senso profondo di solitudine e di angoscia, accompagnato da una forte frustrazione per un bisogno inespresso di relazioni concrete, di incontri non solo virtuali ma personali. Abbiamo bisogno di ritrovarci tutti assieme, faccia a faccia, come una vera fraternità, nel pieno rispetto della sicurezza e delle norme anti-covid. Siamo tutti segnati da “vuoti” e da “assenze” di volti, di sorrisi, di abbracci. La sfida della fraternità che prova a fare rete e comunione, a farsi incontro concreto con gli altri, è davanti a noi e ci accompagna anche in questo tempo di pandemia. Il tema del primo incontro di quest’anno dello Spirito di Assisi è di grande attualità, presente nella lettera enciclica Fratelli tutti di papa Francesco. In verità è un sogno nascosto nel cuore di ogni persona che abita sulla faccia della Terra. Le frontiere – ha spiegato don Scognamiglio – non sono solo quelle geopolitiche, degli Stati, ma delle vere e proprie barriere culturali, sociali, economiche, morali, fatte di pregiudizi, luoghi comuni e alimentate dalla cultura dello scarto e dell’egoismo e dalla stessa logica del profitto. Gli incontri dello Spirito di Assisi rimarcano che il vissuto religioso, ossia l’esperienza di fede di ogni singolo credente, non è mai staccato dalla realtà sociale e civile e politica nella quale viviamo e ci muoviamo. La fede non ammette tempi privati, ossia divisione tra spazi profani e spazi sacri: siamo chiamati ad agire quotidianamente ispirandoci ai principi etici delle varie spiritualità religiose. In ogni esperienza religiosa c’è l’amore per il prossimo e il richiamo al bene, all’accoglienza, al superamento di pregiudizi e barriere. Nell’enciclica Fratelli tutti, anzitutto al n. 98, il tema della nostra serata viene declinato come cittadinanza, intesa come società aperte che integrano tutti. Il contesto indicato al n. 97 è quello delle periferie che si trovano “vicino a noi”, nel centro di una città, o nella propria famiglia. Il papa fa riferimento a un aspetto dell’apertura universale dell’amore che non è geografico ma esistenziale, ed è «la capacità quotidiana di allargare la mia cerchia, di arrivare a quelli che spontaneamente non sento parte del mio mondo d’interessi, benché siano vicino a me. D’altra parte, ogni fratello o sorella sofferente, abbandonato o ignorato – ha commentato il direttore del Centro studi – dalla mia società è un forestiero esistenziale, anche se è nato nello stesso Paese. Può essere un cittadino con tutte le carte in regola, però lo fanno sentire come uno straniero nella propria terra. Il razzismo è un virus che muta facilmente e invece di sparire si nasconde, ma è sempre in agguato». Qui non si parla del diritto civile di cittadinanza, ma sul bisogno-diritto di sentirsi accolti da parte di coloro che sono considerati il rifiuto o lo scarto della società civile, ed è preso di mira il razzismo, ossia ogni sorta di pregiudizio e di chiusura nei confronti del prossimo. L’emarginazione genera in noi un bisogno di nascondimento e costringe a vivere come in una tana, riducendo al minimo la propria visibilità, in un mondo chiuso e solitario e pieno di ombre. Successivamente, al n. 98, il papa menziona gli “esiliati occulti” che sono trattati come corpi estranei della società, e specifica in questo modo: «Tante persone con disabilità “sentono di esistere senza appartenere e senza partecipare”. Ci sono ancora molte cose “che [impediscono] loro una cittadinanza piena”. L’obiettivo è non solo assisterli, ma la loro “partecipazione attiva alla comunità civile ed ecclesiale. È un cammino esigente e anche faticoso, che contribuirà – ha continuato don Scognamiglio – sempre più a formare coscienze capaci di riconoscere ognuno come persona unica e irripetibile”. Ugualmente penso alle persone anziane “che, anche a motivo della disabilità, sono sentite a volte come un peso”. Tuttavia, tutti possono dare “un singolare apporto al bene comune attraverso la propria originale biografia”. Mi permetto di insistere: bisogna “avere il coraggio di dare voce a quanti sono discriminati per la condizione di disabilità, perché purtroppo in alcune Nazioni, ancora oggi, si stenta a riconoscerli come persone di pari dignità”». Nell’enciclica FT si parla di una forma d’isolamento e di “non appartenenza” che tocca le categorie più deboli della nostra società: gli ammalati, in particolare le persone limitate da forte disabilità, e gli anziani che sono completamente scartati dal mondo attuale segnato dalla cultura dell’edonismo, del benessere individuale e del consumismo sfrenato e dell’apparenza senza limiti. Le persone diventano “cose” e “fantasmi” se non hanno più alcuna rilevanza economica e sono relegate in un mondo sempre più piccolo, confinato negli spazi domestici e familiari. In rapporto ai migranti, nei paragrafi dedicati al limite delle frontiere, al n. 131 Bergoglio fa riferimento a quanti sono arrivati già da tempo e sono inseriti nel tessuto sociale, per i quali è importante applicare il concetto di “cittadinanza”, che si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia. «Per questo è necessario impegnarsi per stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità; esso prepara il terreno alle ostilità e alla discordia e sottrae le conquiste e i diritti religiosi e civili di alcuni cittadini discriminandoli». Innanzi a certe chiusure, la fede cristiana, il Vangelo stesso, impone – ha messo in risalto il teologo Scognamiglio – di agire con decisione e di andare contro corrente, aprendo nuovi varchi alla cultura dell’incontro, attingendo alle profonde convinzioni della propria fede e riconoscendo «l’inalienabile dignità di ogni persona umana al di là dell’origine, del colore o della religione, e la legge suprema dell’amore fraterno» (Fratelli tutti 39). La sfida, che è anche politica e giuridica, e non solo teologica o culturale e spirituale, è di pensare e generare concretamente un mondo aperto, ove le relazioni interpersonali abbiano sempre di più una rilevanza sociale e comunitaria, quindi pubblica. Si tratta di collegare la propria vita in un tessuto sociale più ampio di relazioni (cf. Fratelli tutti 88) e di andare oltre un “mondo di soci” (cf. Fratelli tutti 101-102) assumendo, anche sul piano giuridico, la cultura-prospettiva della prossimità. Ci sono “diritti senza frontiere” che vanno ricollocati e riconosciuti nell’attuale società, trovando il giusto equilibrio tra il locale e il globale, il particolare e l’universale, consapevoli che una sana apertura non si pone mai in contrasto con l’identità. Fratelli tutti offre una visione molto più allargata, dal punto di vista giuridico, civile, socio-culturale e geo-politico di cittadinanza e dello stesso mondo che è veramente una “casa comune”, una terra abitata da tutti, senza confini di razza, di lingua, di cultura, di religione, di Stati e di passaporti. È chiaro che le sollecitazioni teologiche e i suggerimenti religiosi proposti da Fratelli tutti in ambito civile, per le migrazioni, hanno lo scopo di aiutare gli Stati a compiere passi in avanti per l’accoglienza delle minoranze e la revisioni di leggi e statuti interni, pur non potendo raggiungere nell’immediato risultati politici di grande rilievo. Si tratta, anche in questo caso, secondo papa Francesco, di avviare nuovi processi in campo sociale e civile. «Se ogni persona ha una dignità inalienabile, se ogni essere umano è mio fratello o mia sorella, e se veramente il mondo è di tutti, non importa se qualcuno è nato qui o se vive fuori dai confini del proprio Paese. Anche la mia Nazione è corresponsabile del suo sviluppo, benché possa adempiere questa responsabilità in diversi modi: accogliendolo generosamente quando ne abbia un bisogno inderogabile, promuovendolo nella sua stessa terra, non usufruendo né svuotando di risorse naturali Paesi interi favorendo sistemi corrotti che impediscono lo sviluppo degno dei popoli» (FT 125).
Nel presentare i rappresentanti religiosi che hanno partecipato all’incontro Lucia Antinucci ha messo in risalto che le notizie di divisioni, conflitti, barriere tra i popoli sono sempre all’ordine del giorno. Pensiamo ad esempio a quanto sta succedendo in Afganistan. I diritti umani vengono calpestati e domina la violenza. I regimi totalitari, i fondamentalismi religiosi, portano alla chiusura delle frontiere, all’innalzamento di muri. Il fondamentalismo, che nasce da motivi ideologici e strumentalizza il sentimento religioso, porta alla chiusura nei confronti delle società che non condividono i suoi princìpi e dogmi e sono imposti alla popolazione con la minaccia delle armi. I seguaci delle religioni, che sono impegnati – ha continuato L. Antinucci – nel dialogo interculturale e nella promozione della pace e della fraternità universale, hanno la grande responsabilità di testimoniare la verità senza ambiguità. Tutte le religioni perseguono l’ideale della pace; la lettura fondamentalista tradisce il vero messaggio dei testi sacri che vanno interpretati e attualizzati. L’esperienza spirituale delle religioni edifica il mondo unito, senza frontiere, abitato da un’unica grande famiglia che è quella umana, tuttavia senza sopprimere la ricchezza delle varie identità spirituali e tradizioni locali con il procedimento dell’omologazione, del livellamento mortificante. Le diversità sono una ricchezza per tutta l’umanità. Il cammino interreligioso dello Spirito di Assisi favorisce lo sviluppo dell’ideale del mondo senza frontiere, dell’accoglienza di tutti coloro che si trovano in difficoltà e nel bisogno, mettendo in atto in modo concreto le iniziative di solidarietà. Un richiamo a questo dieale lo troviamo già nella Dichiarazione congiunta di Abu Dabhi (2019) e sviluppata da Papa Francesco nll’enciclica Fratelli tutti (2020). E’ questa l’unica strada della autentica civiltà per tutta l’umanità, verifica dell’autenticità delle varie esperienze spirituali.
Il Rev Li Xuan Zong ha messo in risalto che un mondo senza frontiere è un sogno che parte dalla prima volta che un uomo ha stabilito un confine, vuoi del suo piccolo campo o di una nazione. Certo i confini sono necessari sia per l’identità sia per sentirsi al sicuro ma inevitabilmente determinano una separazione tra chi è dentro e chi è fuori da chi ne fa parte e da chi ne è escluso. E questo ci deve portare a riflettere sul concetto di “straniero” e su tuti i pregiudizi che ciascuno di noi si porta dentro per retaggio culturale. Pregiudizi che portano al rifiuto. Il rifiuto dell’altro da sé, non solo un dato culturale perché trova origine anche nell’istinto di sopravvivenza. Ora, superare due montagne – ha sottolineato il Prefetto taoista – come l’istinto e la cultura diventa una impresa titanica. Ma se crediamo in un Bene comune, in un Bene-Essere comune, dobbiamo accettare questa sfida. Possiamo vincerla se però usiamo due parole magiche, nel senso di stupefacente risultato: Apertura e Accettazione. Se apriamo il nostro cuore all’altro, l’istinto al rifiuto non ci sarà perché l’altro sarà percepito e vissuto come un altro me. Se promuoviamo una cultura dell’apertura che conduce alla conoscenza reciproca, i pregiudizi scompariranno inevitabilmente. Se accettiamo l’altro perché membro dell’unica famiglia umana, la segregazione non troverebbe terreno fertile. Se non valutiamo lo straniero secondo i nostri propri giudizi morali e sociali, dov’è la difficoltà ad accettarlo come fratello e sorella? Infine come taoista, sono convinto – ha continuato il Prefetto dei taoisti – che possiamo vincere questa sfida se la smettiamo di ”pretendere di essere il primo sotto al Cielo”, come dice il nostro Daode Jing. Non siamo unici. Non siamo soli. A meno che non ci convincono o non ci convinciamo del contrario. Il Daode Jing dice che una strada di mille miglia comincia dal posto in cui hai piedi. Il Grande viaggio che porta all’abbattimento delle frontiere deve cominciare da noi stessi. Se noi stessi saremo l’esempio di questo progetto, sostenuti dal carisma divino, sarà solo questione di tempo ma vinceremo la sfida. Quale altra ragione – ha concluso il Rev Li Xuan Zong – noi avremmo per stare qui oggi? Se non questa?
Amedeo Imbimbo ha spiegato che Il termine ‘frontiera’ è associato a esperienze umane di guerre, di violenza, di paura di chi vive in condizione di pericolo grave e scappa, e di chi non vuole perdere privilegi di agio e di ricchezza. Lungo le frontiere si consumano lacrime, respingimenti, annegamenti, morti, divisioni dai propri cari, dalle proprie origini. Le frontiere segnano l’allontanamento dalla nostra natura, fondamentalmente buona, con qualità di apertura e di compassione. Nell’immagine evocata spesso da Sua Santità il Dalai Lama, quando si osserva la terra dallo spazio, non si può scorgere nessuna frontiera: si vede solo un piccolo pianeta blu. Tutti gli esseri viventi sono accomunati dallo stesso fondo esperienziale e, a livello ordinario, dallo stesso desiderio di non soffrire e di essere felici. Paradossalmente, spesso pensiamo ed agiamo in modi non virtuosi che causano invece tanta sofferenza, a causa della nostra confusione mentale. Gli aspetti che ci differenziano – ha evidenziato Imbimbo -possono essere considerati superficiali: il colore della pelle, i tratti somatici, la religione, l’etnia, ecc. sono secondari rispetto alla nostra natura comune. Problemi molti gravi sono conseguenti alla troppa enfasi sulle nostre piccole comunità, il mio paese, la mia religione, sulla mia etnia, sulla mia classe sociale. Riflettendo sui gravi problemi dell’umanità, come l’inquinamento atmosferico, le epidemie, le pandemie, i conflitti, è comprensibile da tutti la realtà dell’interdipendenza fra tutti gli individui, fra tutti i popoli e fra tutti gli esseri e l’ambiente. Tali aspetti non possono essere affrontati sul piano nazionale. L’istituzione di Stati Nazionali ha la sua utilità perché facilita l’organizzazione della convivenza in base alle diverse specificità delle varie popolazioni, come ad esempio: la cultura dei popoli occidentali ha origine dalla filosofia greca e dalle tradizioni ebraico-cristiane, il popolo tibetano cerca di preservare l’autenticità e la vitalità degli insegnamenti del Buddha secondo le tradizioni indo-tibetane, e così via. Ma gli Stati Nazionali non devono essere delle gabbie. Sua Santità il Dalai Lama nei suoi discorsi prende ad esempio il caso degli Stati europei. Fino a pochi decenni fa hanno vissuto atroci guerre, ma dopo il secondo conflitto mondiale hanno sentito una spinta all’unione, per cui è stato possibile il mantenimento della pace fino ad oggi. Tale senso di unità andrebbe esteso all’intera umanità. La solidarietà fra tutti gli esseri umani e un senso di responsabilità universale urgono per poter risolvere i tanti problemi planetari. Frontiera è sinonimo di separazione. La separazione è una produzione della mente dell’uomo. Al cuore degli insegnamenti del Buddha vi è la distinzione fra realtà ultima e realtà convenzionale. Tutti i fenomeni, come gli Stati Nazionali, non hanno un‘esistenza intrinseca, ma sono il frutto di processi cognitivi: questo è ciò che si intende per vacuità. L’ignoranza è il non realizzare la realtà così com’è, ma considerare i fenomeni convenzionali come realtà assolute, come intrinsecamente esistenti. Da questa ignoranza deriva la nostra propensione fondamentale, ovvero la separazione del sé, dell’ego dall’altro e dal mondo circostante, in cui vi è un soggetto che afferra un oggetto (l’altro diverso da me, un’altra nazione, ecc.), vi è una presa fissazione sull’oggetto. Ed è in questa relazione dualista di presa fissazione che si sviluppano tutte le passioni conflittuali e disturbanti, come l’odio, la rabbia, l’attaccamento, la bramosia, l’indifferenza. L’origine della disarmonia è nella reificazione di strutture concettuali. Nel contesto di una filosofia operativa, lo scopo della pratica – ha commentato A. Imbimbo – è di abbandonare la presa fissazione alla nostra identità (ad esempio di italiano, di napoletano, di buddhista, di coniugato, ecc) e alle costruzioni mentali (ad esempio, le frontiere, le divisioni in Stati) in un processo di trasformazione, di destrutturazione; lo scopo è la trasparenza dell’ego, è mettere tra parentesi l’io. Nāgārjuna (150 dopo Cristo, Andhra Pradesh, India-250 dopo Cristo, India), monaco buddhista indiano, filosofo e fondatore della scuola dei Mādhyamika e patriarca delle scuole Mahāyāna, affermò: «Io sono», «io ho», questo è contrario alla realtà ultima. La realizzazione della natura onnipervasiva, che abbraccia e penetra ogni cosa, la vacuità, corrisponde all’apertura della mente, alla lucidità, ovvero la qualità dinamica di intelligenza o di chiarezza nella esperienza, e porta alla compassione autentica, spontanea, universale, oltre ogni dualismo, verso tutti i viventi, sia verso chi ci è vicino che verso chi ci è lontano. Con la realizzazione della vacuità si ha una pienezza del vuoto, come afferma Kalu Rinpoce: “Viviamo nell’illusione e nell’apparenza delle cose. C’è una realtà. Siamo quella realtà. Quando capisci questo, vedi che non sei niente, ed essendo niente, sei tutto. Questo è tutto” (Kalu Rinpoce – dal libro “Breath by Breath: The Liberating Practice of Insight Meditation”). Ci si apre dunque ad una pienezza dell’esperienza, realizzando il vuoto di esistenza intrinseca. La saggezza – ha concluso A. Imbimbo – che realizza la vacuità e la grande compassione sono due aspetti della mente risvegliata. È giusto sognare un mondo senza frontiere; ma le frontiere sono il frutto di un’illusione simile ad un sogno, per cui bisogna risvegliarsi al fine di non rimanere ingabbiati nei limiti della frontiere.
Angela Furcas ha sottolineato che i Baha’i credono che la rivelazione di Bahá’u’lláh (La Gloria di Dio), il Fondatore della Fede bahá’í, abbia inaugurato un periodo storico in cui l’umanità ha la capacità, gli insegnamenti e gli strumenti per costruire una pace lunga e duratura. Bahá’u’lláh ha scritto: “Questo è il Giorno in cui i più eccellenti favori di Dio sono stati riversati sugli uomini, il Giorno in cui la Sua più potente grazia è stata infusa in tutte le cose create. Incombe a tutti i popoli del mondo di conciliare i dissensi e dimorare in perfetta unione e in pace all’ombra dell’Albero delle Sue cure e della Sua amorosa premura. (Bahá’u’lláh, Spigolature). Non ci si deve gloriare di amare la propria patria ma piuttosto di amare il mondo intero. La terra è un solo paese e l’umanità i suoi cittadini.” (Bahá’u’lláh, Spigolature). Con questa famosa frase, “La terra è un solo paese e l’umanità i suoi cittadini”, Bahá’u’lláh ha proclamato profeticamente – ha commentato A. Furcas – l’unicità del nostro pianeta e della sua gente. A metà del diciannovesimo secolo, con i suoi insegnamenti molto in anticipo sui tempi e allora persino inimmaginabili, i bahá’í iniziarono a lavorare per l’unità del mondo. “Lo scopo centrale delle religioni divine è l’instaurazione della pace e dell’unità fra gli uomini. La loro realtà è una sola, perciò, il loro risultato è uno e universale, tanto attraverso le ordinanze essenziali di Dio, quanto attraverso quelle materiali. Esiste una sola luce del sole materiale, un solo oceano, una sola pioggia, una sola atmosfera. Analogamente, nel mondo spirituale esiste una sola realtà divina, che costituisce il centro e la base altruistica della pace e della riconciliazione fra le varie nazioni e i diversi popoli contendenti” (‘Abdu’l-Bahá, La promulgazione della pace universale 108). “Dio vuole che gli uomini stabiliscano- ha concluso A. Furcas con questa citazione – una giusta uguaglianza, che non trasgrediscano le leggi, che si aiutino l’un l’altro e che vivano amorevolmente insieme. Fate quello che Dio chiede, siate causa di unità e di pace: cancellate gli orrori della guerra e dell’odio! Siate capaci di ogni bene, desiderosi di lavorare per la causa dell’unità e della pace sacrificando tutto per questo. Siate ansiosi di soffrire per questo. Dimenticate voi stessi, dimenticate ogni pericolo, ogni male e ogni disagio. Non temete di soffrire nella grande causa dell’unità e della pace. Annullatevi nell’amore a tal segno da dimenticare tutto tranne il bene comune” (‘Abdu’l-Bahá, Star of the West, Volume 2, p. 5.).
Caterina Cirma ha commentato alcuni testi di Baha’Ullah ch evidenziano l’unicità del nostro pianeta e dei suoi abitanti. Occorre superare gli orrori dell’odio e della guerra con il percorso della riconciliazione. Silvio Cossa ha sottolineato che che il piano di Dio è l’unità fra tutti i popoli e le religioni e Dio lo attuerà. Varie le problematiche che sono state affrontate dai vari interventi, come l’intolleranza laicista presente nella nostra società. Don Scognamiglio ha rimarcato il messaggio positivo della speranza di un mondo migliore in cui si affermi la fraternità.
E’ questo il senso degli incontri dello Spirito di Assisi! Piantare e curare il seme della speranza. Nel mondo diviso da frontiere la pace, la giustizia, la fraternità non sono chimere, ma una realtà che germina nella storia, coltivata con l’impegno costante, sostenuta dalla spiritualità delle varie religioni.
di Lucia Antinucci
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