Edgar Morin, pseudonimo di Edgar Nahoum, è nato a Parigi l’8 luglio 1921 da una famiglia ebrea sefardita originaria di Salonicco. Ha aderito dapprima al socialismo e nel 1941 al Partito Comunista Francese; ha partecipato alla Resistenza. Nel 1950 è entrato al Centre national de la recherche scientifique (CNRS) nel campo dell’antropologia sociale. A partire dal 1965 è stato coinvolto in un ampio progetto multidisciplinare, finanziato dalla Délégation Générale à la Recherche Scientifique et Technologique (DGRST), su una Comune in Bretagna, a Plozévet. Nel 1968 Morin ha sostituito Henri Lefébvre all’Università di Nanterre. Nel 1969 Morin ha trascorso un anno al Salk Institute a La Jolla, California, dove ha partecipato agli studi di genetica iniziati con la scoperta del DNA. Si è dedicato anche agli studi di cinematografia. Il presidente dell’Associazione ‘Libera’, don Luigi Ciotti, che ha curato la Prefazione del saggio, ha sottolineato il prezioso contributo di Morin: “E’ raro leggere libri come questo di Edgar Morin, libri sorretti da uno sguardo straordinario per ampiezza e profondità. Il grande filosofo e sociologo francese parla di un tema quanto mai delicato e cruciale. Un tema che può essere trattato superficialmente ma anche strumentalizzato, reso oggetto di discorsi retorici o propagandistici. Un tema senza dubbio enorme: la fraternità”[1]. Secondo L. Ciotti l’originalità dell’Autore consiste nell’ampiezza del suo sapere, perché egli affronta il tema della fraternità dal punto di vista biologico, antropologico filosofico, etico-sociale e politico. Morin è dotato anche di una capacità di sintesi che denota un pensiero profondo; è un vero maestro per l’Europa lacerata da divisioni, egoismi e sovranismi, soggiogata dal culto del dio denaro, incapace di costruire il bene comune[2]. Don Ciotti definisce Morin il maestro del pensiero della complessità[3] che in modo chiaro propone un cambiamento culturale, per promuovere la giustizia e salvaguardare la vita, la sopravvivenza. Don Ciotti rileva anche l’assonanza del saggio di Morin con l’enciclica di Papa Francesco ‘Laudato sì’: “Quando Morin parla della triade scienza-tecnica-economia come di una forza che, se non governata da pensieri e azioni all’altezza, diventa distruttiva e autodistruttiva facendoci precipitare dal rango di homo sapiens a quello di homo demens, mi sembra – commenta il presidente dell’Associazione ‘Libera’ – denunci lo stesso pericolo individuato dal papa nel paradigma tecnocratico, modo di pensare e agire che detta legge in Occidente: approccio schematico che riduce l’ambiente a cosa e le persone a numeri, volgendo dunque la qualità – cioè la peculiare essenza di ogni forma di vita – in quantità, in puro dato statistico”[4]. Anche il sociologo e accademico Sergio Manghi – che ha curato la Postfazione del saggio – rileva l’assonanza con la Laudato sì[5], ad esempio per quanto riguarda il fatto che tutto è connesso (cf. LS n 16), il pericolo delle fraternità chiuse (cf. LS n 15) e la rivalità distruttiva (cf LS n 29). Morin è l’umanista planetario[6], il filosofo e il sociologo che porta avanti la sua riflessione anche con un metodo transdisciplinare[7]. Morin è l’umanista planetario, e lo “testimoniano – evidenzia Sergio Manghi – i numerosi testi autobiografici, la sua lunga vita è ricca di slanci generosi sempre al tempo stesso affettivi, amicali e ideali, ogni volta affiancati dal rigore dell’analisi e insieme dall’auto-esame più schietto e sincero. Da oltre settant’anni, con centinaia di articoli e svariate decine di volumi – molti tradotti in numerose lingue -, egli continua a accompagnare fecondare il nostro presente”[8]. Nel suo percorso biografico c’è però una discontinuità. Nel passaggio degli anni sessanta ai settanta Morin abbandona la sociologia, che pure gli aveva assicurato notevoli successi e sviluppa un radicale ripensamento “della condizione umana, intesa come porzione della più ampia avventura del vivente sul pianeta Terra e dell’ancor più ampia avventura del cosmo”[9]. E. Morin ha rielaborato in una unitas multiplex saperi fisico-naturalistici e antropo-sociali che la modernità ha separato in modo dualistico[10]. Questa svolta non è stata puramente teoretica, ma anzitutto esistenziale, per l’esperienza della crisi dell’umanità, per cui ha avvertito l’esigenza della solidarietà come espressione di una religiosità laica. L’era planetaria ha portato alla frammentazione dei saperi e al dualismo tra natura e cultura, vita e pensiero, ragione e passioni, conoscenza e mistero, l’io e il noi[11]. Nella seconda metà del secolo XX l’era planetaria ha reso prossimi con velocità crescente gli esseri umani della terra, con l’esplosione di euforie neoliberali, che magnificavano le libertà individualistiche, in contrasto con le acquisizioni egalitario-solidali di welfare dei decenni precedenti. Morin avvertiva l’esigenza di coniugare il valore dell’uguaglianza con quello della fraternità, di cui egli evidenzia le fonti affettive, il bisogno della relazionalità con il tu e il noi, ma senza cedimenti verso le immagini perfettistiche – sottolinea Manghi – di natura ideologica o religiosa, verso i sentimentalismi o gli intimismi.
Il breve saggio di Morin si compone di dodici paragrafi, così intitolati: Libertà, uguaglianza, fraternità; Fraternità chiusa e aperta; Le fonti biologiche della fraternità: il mutuo appoggio; Concordia e discordia, padre e madre di tutte le cose; Le fonti antropologiche della fraternità; La fraternità umana; Le mie fraternità; Individualismo e solidarietà; I paradossi della mondializzazione; Le oasi di fraternità; Cambiare via?; Fraternizziamo nell’incertezza. Per il sociologo francese i termini libertà, uguaglianza e fraternità spesso entrano in conflitto tra loro, poiché la libertà, particolarmente quella economica, spesso tende a distruggere l’uguaglianza, che a sua volta, se viene imposta, mette a rischio la libertà. L’uguaglianza e la libertà possono essere imposte tramite la legge, ma questo non può avvenire con la fraternità: “La fraternità non può derivare da un’ingiunzione statuale superiore, deve venire da noi. Certo, esistono delle solidarietà sociali – come la previdenza sociale o il sussidio di disoccupazione – ma sono organizzate burocraticamente, e non possono offrire quel rapporto affettivo e affettuoso, da persona a persona, che è la fraternità”[12]. Per favorire il rapporto complementare fra la libertà, l’uguaglianza e la fraternità occorre trovare la giusta combinazione per queste tre realtà. La fraternità non può venire dall’esterno ma unicamente dalle persone, tramite la dialettica tra la spinta egocentrica dell’io e la relazionalità con il tu e il noi, cioè dei soggetti analoghi all’io, che gli sono vicini affettivamente, pur essendone distinti nell’alterità. L’io può sbocciare – evidenzia Morin – solo con questa relazionalità: “L’’io’ senza ‘noi’ si atrofizza nell’egoismo e sprofonda nella solitudine. L’’io’ non ha meno bisogno del ‘tu’, vale a dire di una relazione da persona a persona affettiva e affettuosa. Pertanto, le fonti del sentimento che ci portano verso l’altro, collettivamente (noi) o personalmente (tu), sono le fonti della fraternità”[13]. Anche per quanto riguarda la fraternità ci sono però delle criticità, perché c’è la fraternità chiusa e quella aperta: “La fraternità chiusa si richiude sul ‘noi’ ed esclude chiunque sia straniero a questo ‘noi’”[14]. La patria, ad esempio, che evoca l’autorità legittima del padre e quella avvolgente della madre, porta al nazionalismo, in quanto la propria nazione è considerata superiore alle altre che si tende a sopprimere. Il patriottismo, invece, consente una fraternità aperta, perché afferma l’inclusione dello straniero, del rifugiato, del migrante, evidenzia Morin che ama far riferimento a episodi di cui è stato testimone, e anche ad esperienze autobiografiche. La fraternità infrange le leggi dei regimi che praticano oppressione e discriminazione, come avvenne “sotto Vichy e sotto l’occupazione tedesca umili contadini, certi custodi di città e alcuni aristocratici ospitarono ebrei, stranieri illegali o combattenti della Resistenza a rischio della propria vita”[15]. Lo stesso Morin con altri nei pressi di Tolosa venne ospitato da una contadina. Oggi, purtroppo, commenta amaramente l’Autore, le azioni di fraternità degli umili contadini alpini nei confronti dei rifugiati, vittime di disgrazie e miserie, sono considerate un reato (reato di solidarietà) perseguito in Francia dalla giustizia.
Secondo la visione transdisciplinare del sociologo francese la fraternità ha un fondamento biologico. Egli si rifà a Petr Kropotkin[16], secondo il quale le specie che sopravvivono sono quelle più solidali, non quelle più aggressive (Charles Darwin). Lo sviluppo delle scienze ecologiche sta facendo emergere come “gli ecosistemi racchiudevano in sé non soltanto predazioni, aggressioni, competizioni, ma anche, complementarmente, associazioni, simbiosi e cooperazioni”[17]. Analogamente alla vita sociale, anche nel mondo vegetale, degli insetti e degli animali si riscontrano delle associazioni durevoli tra specie diverse (come ad esempio tra vegetali e alghe). La legge del mutualismo, della simbiosi tra specie diverse, viene spezzata solo dalla morte di una di esse; secondo il commensalismo un animale beneficia dell’alimentazione di un altro senza danneggiarlo, poiché si nutre dei suoi avanzi. Tra le forze di associazione e unione negli ecosistemi – evidenzia Morin senza indulgere verso il facile irenismo – c’è anche il conflitto e la distruzione, che porta a creare solidarietà molteplici per resistere ai predatori. L’Autore saggiamente sostiene che bisogna tener presente sia Darwin per la teoria della selezione e sia Kropotkin per quella della cooperazione, in quanto c’è coesistenza tra rivalità e solidarietà[18]. Anche a livello cosmologico emerge che tutto dipende dagli opposti, dalla concordia e dalla discordia, dalle forze di unione e di dispersione, distruzione, morte: “Concordia crea le organizzazioni associando elementi in sistema, Discordia conduce alla disintegrazione di questi sistemi, e tutto questo continua e continuerà fino a non si sa quando”[19]. Morin definisce tutto ciò anche come la “relazione indissolubile tra Eros, che cerca sempre di unire, Polemos, che cerca sempre di contrapporre, e Thanatos, che cerca sempre di distruggere”[20]. L’Autore sostiene che all’origine di tutto c’è la sororità-fraternità, perché la maternità e la paternità sono relative, non universali, come dimostrato anche dalla biologia[21]. La fraternità umana, secondo il pensatore francese, ha queste caratteristiche: “Mutuo appoggio, cooperazione, associazione, unione sono componenti inerenti alla fraternità umana. Ma essa le ingloba, le avvolge all’interno di un calore affettivo. Se la fraternità familiare comporta il sentimento profondo di una maternità comune, nelle fraternizzazioni extrafamiliari, consapevolmente o meno, il riferimento è invece a una maternità ideale o mitica”[22]. La fraternità deve rigenerarsi continuamente, perché essa è sempre minacciata dalla rivalità, come espresso emblematicamente dall’episodio dell’uccisione mitica di Abele da parte di Caino[23]. Morin, che ama caratterizzare le sue riflessioni con la concretezza esistenziale, nel saggio racconta le sue esperienze di fraternità. Nel mese di giugno del 1940, ad esempio, a Tolosa si creò la fraternità nel centro di accoglienza per studenti rifugiati, antifascisti, creato dal professore universitario Daniel Faucher; del centro l’Autore divenne il segretario. Egli parla anche della fraternità creata dalla Resistenza, anche se non mancavano conflitti e divergenze, ma il legame è sopravvissuto alla guerra e spesso riaffiora nei suoi ricordi. Un’altra esperienza di fraternità è stata anche l’esaltazione collettiva per la liberazione di Parigi. Morin afferma che dopo nella sua vita ci sono state anche altre esperienze di fraternità, di oasi fraterne, come ama definirle. L’Autore confessa candidamente: “Come non ho mai potuto vivere senza amore, non ho mai potuto vivere senza fraternità e neppure continuare a vivere senza amore né fraternità”[24].
Ci sono fraternità durevoli, ma anche fraternità provvisorie, momenti solari, dovuti all’adesione entusiasta per una manifestazione di strada, ad esempio. La nostra società ha generato l’individualismo, che di per sé è positivo, perché favorisce l’autonomia personale, ma è problematico quando genera la concorrenza, la competizione aggressiva, l’ossessione per il profitto, l’affermazione dell’egoismo e il degradarsi della solidarietà, ma nonostante ciò, particolarmente in occasione di catastrofi, la solidarietà si risveglia[25]. Morin deve riconoscere però che oggi la fraternità è venuta a mancare – senza tentare di idealizzare il passato – già a livello parentale, ma anche di vicinato e lavorativo. Il sociologo francese, nella sua acuta analisi, stigmatizza la causa di tutto ciò: “Alla perdita del senso della solidarietà contribuiscono l’isolamento delle persone all’interno del proprio ambito specializzato di lavoro, che impedisce loro di accedere a una visione o concezione d’insieme, e anche il dominio di un pensiero che separa e compartimenta, esso stesso incapace di accedere ai problemi fondamentali e globali della vita in società. Aggiungiamo – rimarca Morin – che il modo di conoscenza dominante è il calcolo, che traduce tutte le realtà umane in cifre e non vede negli individui-soggetti altro che oggetti”[26]. Oggi ci sono certamente molti mezzi di comunicazione, ma paradossalmente predomina l’incomprensione e il risentimento tra le persone, le culture, gli stessi membri della famiglia. Il liberalismo economico e il capitalismo hanno creato un sistema di comunicazione planetario, con l’effetto della tendenza a ripiegarsi su stessi, a rinchiudersi nel noi etnico, nazionale, religioso. Morin rimarca i grandi pericoli della mondializzazione, come l’incertezza economica e la crescita delle diseguaglianze, le armi nucleari, la degradazione della biosfera. Come reazione a tutto ciò emerge però un bisogno impellente di riscoprire la comune identità antropologica; gli esseri umani, pur essendo diversi per vari fattori, tra cui anche quello affettivo, fisiologico, per la lingua, la cultura e le arti, sono nello stesso tempo anche molto simili, con una stessa struttura di linguaggio. Il sociologo francese fa suo il pensiero di Albert Cohen, secondo cui “tutti sono mortali, e questa mortalità comune dovrebbe ispirare una mutua fraternità di compassione”[27]. L’umanità è quindi caratterizzata dall’unità e dalla diversità: “Detto altrimenti – chiarisce l’Autore -, l’unità umana è il tesoro della diversità umana, la diversità umana è il tesoro dell’unità umana. Questo significa che comprendere l’altro comporta il riconoscimento della nostra comune umanità e il rispetto delle sue differenze. Sono queste le basi su cui potrebbe svilupparsi la fraternità fra tutti gli umani in un’avventura comune di fronte al nostro destino comune. E’ paradossalmente nel momento del più grande bisogno di fraternità umana che dappertutto le culture si richiudono”[28]. Spontaneamente, però, emergono segnali che attestano il bisogno di affettività e di amicizia: “Si tratta di resistenze spontanee alla grande macchina calcolatrice, algoritmizzante, che riduce la vita umana alla sua dimensione tecno-economica e l’essere umano a un oggetto di calcolo, resistenze alla grande macchina che ignora l’affettività umana – il piacere e il dolore – e che è animata dalla ricerca ossessiva e demente della massimizzazione”[29]. Morin evidenzia che la ricerca ossessiva del profitto è espressione del delirio dell’homo demens, non della ragione dell’homo sapiens. C’è una fioritura di iniziative atte a promuovere le iniziative individuali o comunitarie, come la rinuncia all’acquisto di prodotti dalle qualità mitizzate dalla pubblicità, il rifiuto dell’uso e getta per privilegiare il durevole e l’artigianato delle riparazioni, per resistere ai tentacoli delle potenze tecno-economiche. Queste autonomie fanno parte di reti mondiali che favoriscono scambi permanenti già diffuse in Francia, Germania e Stati Uniti. Si tratta di oasi di fraternità con lo sviluppo dell’alimentazione locale, stagionale, biologica o contadina. Queste oasi si creano a livello famigliare oppure cittadino: “Queste oasi sono e saranno luoghi di un’economia solidale, luoghi del disinquinamento e della detossificazione delle vite, e dunque luoghi di vita migliore, e al contempo luoghi di solidarietà e di fraternità”[30]. Le oasi sono ancora molto disperse, mancano di un pensiero all’altezza delle sfide globali, tuttavia sono gli abbozzi, i germi di una civiltà basata sulla fraternità, sul passaggio dall’io al noi.
L’attuale società tende a creare il transumanesimo – rileva l’Autore – di un uomo che vede accresciuta la sua potenza, del tutto svincolata da valori etici e dalla fraternità. Morin fa concrete proposte per salvarsi dal disastro ecologico, dal pericolo delle armi nucleari, dalla simbiosi uomo-macchina: “Per cambiare vita bisognerebbe preliminarmente abbandonare il nostro modo di conoscere e il nostro modo di pensare – riduttivo, disgiuntivo, compartimentato – in favore di un modo di pensare complesso capace di legare, capace di comprendere i fenomeni al tempo stesso nella loro diversità e nella loro unità, così come nella loro contestualità”[31]. Si tratta di smetterla di andare alla ricerca del futile, come il ringiovanimento, per promuovere invece un’economia sociale e solidale, contrapponendo alla mondializzazione – causa della desertificazione umana ed economica – la localizzazione, la vita delle regioni con le oasi di vita connesse mondialmente. La società basata su scienza-tecnica-economia va verso la catastrofe a catena; occorre invece mirare a migliorare gli umani nelle loro capacità di comprensione, di amore, di fraternità, salvaguardando e sviluppando le oasi di fraternità, che Morin definisce isolotti di vita altra[32], affinché la fraternità diventi una realtà generalizzata che crei una civiltà riformata. Il realismo dell’Autore francese gli impedisce di vedere la realtà in modo romantico, perché è consapevole che anche queste oasi possono andare incontro al conflitto, alla distruzione, alla scomparsa, come è successo in California negli anni Sessanta, tranne che per le comunità cementate dalla fede religiosa. Le differenze sono diventate divergenze, le posizioni si sono trasformate in opposizioni e le comunità solari sono divenute buchi neri. Per sfuggire alla degenerazione c’è bisogno di una continua rigenerazione: “Così come tutto ciò che non si rigenera degenera. E il partito della fraternità è il partito in rigenerazione permanente di Eros contro Thanatos”[33]. Secondo Morin bisogna nutrire e sviluppare una coscienza di umanità a partire da un umanesimo rigenerato: “L’umanesimo rigenerato non si limita al riconoscimento dell’uguaglianza di diritti e della piena umanità a ogni persona. Comporta anche la coscienza dell’inseparabilità dell’unità e della diversità umana. Comporta la coscienza della responsabilità umana nei confronti della natura vivente della nostra Terra. Comporta la coscienza della comunità di destino di tutti gli umani, sollecitata sempre più dal processo scatenato dalla mondializzazione”[34]. Ciascuno di noi – sottolinea il sociologo francese – deve sentirsi parte della formidabile avventura umana, che è un ramo ipersviluppato dell’incredibile e formidabile avventura umana, che a sua volta è un ramo ipersviluppato della formidabile e incredibile avventura del cosmo. Si tratta di lasciarsi guidare dall’Eros, cioè dal dinamismo dell’amore e della fraternità, tuttavia senza ingenuità, perché può capitare, inconsapevolmente, di agire invece a favore di Thanatos, come è successo con il socialismo emancipatore che si è rivelato una tirannide totalitaria. La fraternità è fragile come l’amore stesso, per cui può degenerare se non si rigenera: “La fraternità, mezzo per resistere alla crudeltà del mondo, deve diventare scopo senza smettere di essere mezzo. Lo scopo non può essere un termine, deve diventare il cammino, il nostro cammino, quello dell’avventura umana”. Partendo dalle oasi di fraternità, che oppongono resistenza alla barbarie disumanizzante trionfante, bisogna aprirsi alla grande avventura antropocosmica, afferma Morin concludendo il suo saggio, che in modo conciso offre stimolanti spunti di riflessione, sia religiosa che laica.
di Lucia Antinucci
[1] E. MORIN, La fraternità perché? Resistere alla crudeltà del mondo, AVE, Roma 2019, 5.
[2] Cf. ivi 10.
[3] Cf. ivi.
[4] Ivi 7.
[5] Morin ha definito provvidenziale l’enciclica (cf. Avvenire 10 settembre 2015). Tale convergenza si è rinsaldata con l’incontro di Morin con papa Francesco nel giugno 2019. Citato in Postfazione 65.
[6] Cf. G. LOPEZ OSPINA – N. VALLEJO-GOMEZ (curr.), L’Humaniste planétaire. Edgar Morin en ses 80 ans – Hommage International, Unesco, Paris 2004.
[7] Tra le sue numerose opere cf. Autocritica (1959), Moretti & Vitali, Bergamo 1991; Il paradigma perduto. Che cos’è la natura umana? (1973), Feltrinelli, Milano 2201; Il metodo. 1: La natura della natura (1977), Raffaello Cortina, Milano 2001; Il metodo.2: La vita della vita (1980), Raffaello Cortina, Milano 2001; Il metodo.3: La conoscenza della conoscenza (1986), Raffaello Cortina, Milano 2007; Il metodo.4: Le idee: habitat, vita, organizzazione, usi e costumi (1991), Raffaello Cortina, Milano 2008; Il metodo.5: L’identità umana (2001), Raffaello Cortina, Milano 2002; Il metodo.6: Etica (2004), Raffaello Cortina, Milano 2005.
[8] S. MANGHI, Postfazione. Fragili, preziose fraternità, in ivi 58 s.
[9] Ivi 59.
[10] Cf. E. MORIN, Il paradigma perduto, Feltrinelli, Milano 2001; ID. Il metodo, voll. 1-6, R. Cortina, Milano 2001-2005. Nel secondo volume già affiora il concetto di fraternità.
[11] Cf. MANGHI, Postfazione, 60-62.
[12] MORIN, La fraternità, 13.
[13] Ivi 14.
[14] Ivi 15.
[15] Ivi 16.
[16] Cf. Il mutuo appoggio: un fattore dell’evoluzione, Eléuthera 2020.
[17] MORIN, La fraternità, 20.
[18] Cf. ivi 23.
[19] Ivi 25-26.
[20] Ivi 26.
[21] Cf. ivi 28.
[22] Ivi 29.
[23] Cf. ivi.
[24] Ivi 35.
[25] Cf. ivi 37.
[26] Ivi 38-39.
[27] Ivi 42.
[28] Ivi 42.
[29] Ivi 43.
[30] Ivi 46.
[31] Ivi 50.
[32] Cf. ivi 53.
[33] Ivi 54.
[34] Ivi 55.
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