Lo splendore del creato

IL MESSAGGIO BIBLICO

La cultura attuale è una cultura del potere, con lo scopo di soddisfare i bisogni, anche ricorrendo allo sfruttamento scientifico-tecnologico del cosmo, che viene deturpato, ferito. Le gravi conseguenze di questo rapporto anomalo con il creato vengono sperimentate quotidianamente e si aggravano sempre più, causando forti sofferenze soprattutto nei popoli e nelle categorie sociali più fragili. La Bibbia ci invita a riorientare il nostro rapporto con la Madre Terra, rapporto di contemplazione, che è fonte di felicità, di esperienza della bellezza, di salvaguardia, di cura dell’ambiente, per tutelare la nostra sopravvivenza e quella delle generazioni future.

La visione religiosa biblica non è antiscientifica, ma non afferma la pretesa totalizzante scientifica. La fede ragionevole o la ragione credente cerca il senso e il valore del mondo per l’uomo in quanto è ‘essere nel mondo’. Il cosmo è creazione, è dono di Dio, di cui l’uomo non è il padrone ma il custode; il senso del mondo non proviene dall’uomo ma dall’Assoluto. Nella Bibbia ebraica il cosmo (olam) indica il tempo senza confini, per sempre; è un attributo di Dio e di tutto ciò che partecipa del divino. Il cosmo indica il tutto creato da Dio (cf. Is 44,24; 1Cr 29,11), il cielo-terra (cf. Gn 1,1; Is 50,2), il cielo-terra-mare (cf. Ez 38,20), gli inferi-cielo-mare (cf. Am 9,2). Per la Bibbia non esiste il cosmo separato dall’uomo; non è il contenitore di cui l’umanità è il contenuto. Il cosmo non è un’entità fissa immobile, oppure un organismo vivente, bensì un evento, un processo dinamico, poiché nella Bibbia non c’è una visione astratta, filosofica, ontologica, bensì storica, esistenziale, concreta, relazionale.

Da vari accenni che ci sono nella Bibbia si evince che gli ebrei, come i babilonesi, concepivano l’universo come una struttura a tre livelli: cielo, terra e mare, mondo sotterraneo (cf. Es 20,4). La struttura tripartita di cielo-terra-sheol  emerge dalla benedizione di Giuseppe (cf. Dt 33,13-16). Al di sopra di tutto l’universo c’è Dio, il Creatore, garante dell’ordine del cosmo (cf. Dt 33,13-16). Al di sopra di tutto l’universo c’è Dio, il Creatore, garante dell’ordine del cosmo (cf. Dt 33,13-16; kosmos = ordine, bellezza) con tutti i vari elementi. Tranne che nel Sal 13, l’uomo biblico non si preoccupa di provare l’esistenza di Dio attraverso il mondo creato, ma  di decifrare i segni della sua attiva presenza di Creatore. Il cielo è abitato dalle stelle che formano delle costellazioni (cf. Gb 9,9; 38,31). Sono individuati con certezza due pianeti, Saturno e Venere (cf. Is 14,12; Am 5,26). Per la Bibbia gli astri sono semplici creature (“In principio Dio creò il cielo e la terra” Gn 1,1), mentre in Babilonia c’era il culto degli astri e gli ebrei ne subivano il fascino; da qui la tentazione di darsi al culto di Saturno, di Venere associata con la dea Astarte. Come gli egiziani e i babilonesi anche gli ebrei erano impressionati dal sole, simbolo di eterna durata, ma lo smitizzano: “Il sole sorge e il sole tramonta, si affretta verso il luogo da dove risorgerà” (Qo 1,5). Il corso regolare del sole è il segno della stabilità e dell’ordine del cosmo, come avviene con l’avvicendarsi delle stagioni: “Finchè durerà la terra, seme e messe, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno” (Gn 8,22). Probabilmente il Salmo 19 trasforma un inno al sole in un inno alla Torah. Il cielo è la sede di Dio (cf. Is 40,22); Dio è nei cieli ma anche nel tempio di Gerusalemme (cf. 1Re 8,27). La distanza del cielo è simbolo della trascendenza di Dio (cf. Is 55,9); l’Altissimo però è anche immanente, vicino, non è assente. Le nubi sono il simbolo della sua presenza velata che guida gli ebrei verso il deserto (cf. Es 13,21; 14,19-20; 19,16-25). In una nube l’Altissimo scende per parlare con Mosè (cf. Es 24,15-18; 33,9-11; Nm 12,5-10). La nube rivela e nasconde l’attiva presenza di Dio. Mentre per i popoli dell’antico oriente la divinità è legata o definita dai fenomeni metereologici e geofisici (per i cananei, ad esempio, c’era il dio della tempesta), per gli ebrei invece il Signore controlla, domina, provoca tali fenomeni: “Dal Signore degli eserciti sarai visitata [Gerusalemme] con tuoni, rimbombi e rumore assordante, con uragano e tempesta e fiamma di fuoco divoratore” (Is 29,6; cf anche Os 13,15). I fenomeni geofisici, come terremoti o eruzioni vulcaniche, sono al servizio di Dio che ne ha il pieno dominio. Essi formano il corteo delle teofanie (cf. Gdc 5,4-5). Israele, avendo una concezione teologica del mondo, espressa con la categoria di ‘creazione’, ritiene che le esperienze del mondo naturale siano una manifestazione dell’intervento salvifico di Dio a favore del suo popolo, del suo intervento benefico a favore dell’uomo.

Tra il cielo e il mondo sotterraneo vi è il mare (jam), e si tratta soprattutto del Mediterraneo. Gli ebrei non erano navigatori ed avevano terrore del mare, simbolo del caos e sede di mostri terrificanti (cf. Is 51,10). Il Signore riporta la vittoria sui mostri e libera Israele dalle forze ostili e mortali che lo minacciano. Il mondo sotterraneo è il luogo della morte. La terra è il luogo dei viventi e lo sheol è il soggiorno dei morti, è la terra dell’oblio, delle tenebre, del silenzio, della non vita. Lo sheol è nel più profondo della terra (Dt 32,32), al di là dell’abisso sotterraneo (Gb 26,5; 38,16-17). Nella Bibbia non si dice che Dio abbia creato lo sheol, perché esso è il limite estremo dell’universo (Am 9,2); Dio però agisce sovranamente anche sullo sheol. Per indicare la terra gli ebrei usavano vari termini: ad esempio eres (territorio), adamah (suolo). I babilonesi immaginavano la terra come un disco al cui centro vi era Babilonia, mentre gli ebrei si rappresentavano la terra come una superficie al cui centro vi era Gerusalemme: “Così dice il Signore Dio: ‘Questa è Gerusalemme! Io l’avevo collocata in mezzo alle genti e circondata di paesi stranieri’ “ (Ez 5,5). Gerusalemme è considerata l’ombelico, il centro della terra (Ez 38,12; Gdc 9,37). La centralità di Gerusalemme non era pensata in termini geografici bensì teologici. Essa infatti sorge sul monte più alto perché da essa proviene la Parola del Signore, ed è simbolo del popolo di Dio, luce e modello per tutti i popoli.

Riguardo alle origini del cosmo la Bibbia non si pone il problema di come il mondo abbia avuto origine, bensì vuole comprendere il senso della creazione. La narrazione jahvista delle origini (Gn 2-3) porta avanti un discorso eziologico: “Ciò che è permanentemente vero e costitutivo dell’uomo e del mondo è fatto risalire agli inizi. Così pure è nel testo sacerdotale di Gen 1”[1]. La tradizione javista presenta il cosmo come il luogo della presenza benedicente di Dio a favore dell’uomo, che ha un legame indissolubile con il cosmo in quanto viene dalla terra (cf. Gn 2,7). La terra con i suoi ritmi stagionali è a servizio dell’uomo (cf. Gn 8,22). L’uomo fissa il ruolo degli animali perché impone loro il nome (cf. Gn 2,19-20). L’uomo deve custodire il mondo con il suo lavoro: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gn 2,15). Il mondo è quindi inseparabile dall’uomo e viceversa, perché entrambi dipendono dal Creatore. Poiché l’uomo è peccatore (cf. Gn 3), è malvagio, “il suo cuore è rivolto tutto il giorno al male” (Gn 6,5), anche il rapporto con il mondo è stravolto. Il suolo è maledetto a causa dell’uomo e con affanno ne trarrà il nutrimento (cf. Gn 3,17). Il cosmo diventa ostile all’uomo, come dimostra il diluvio (cf. Gn 7,17-24). Con il peccato si è distrutto il rapporto armonico tra Dio, l’uomo, il mondo e il cosmo diventa ambiguo non in sé, ma a causa dell’uomo malvagio. Con la chiamata di Abramo (cf. Gn 12,1-3) Dio benedice l’uomo, gli offre la salvezza, e attraverso lui, libera anche il cosmo dalla rovina. Il racconto della tradizione sacerdotale (cf. Gn 1,1-2,4a) non manifesta una concezione scientifica o cosmologica del mondo, bensì storico-salvifica. I mondo è un tutto armonioso e ordinato, infatti Dio separa le acque del cielo da quelle della terra, colloca al suo posto gli astri, dà un nome, ad esempio Dio chiama l’asciutto ‘terra’, assegna una funzione (il sole serve a regolare il giorno). Tutto ciò che opera Dio è bello-buono (tov), ritornello ripetuto sette volte, gode cioè di un’armonia perfetta. L’uomo è il vertice della creazione perché è ala sua immagine e a lui è affidato il cosmo (cf. Gn 1,28), per cui non deve dominarlo in modo distruttivo, ma deve custodirlo. Il mondo è anche un evento che accade nel tempo, per cui l’uomo ha con esso un rapporto storico, aperto alle variazioni, sia positive che negative, che dipendono dalla sua libera scelta del bene e del male. Con la creazione Dio vince il caos primordiale[2] attraverso un’attività di ordinamento. Le forze del caos su cui Dio riporta la vittoria sono personificate, come i mostri Leviatan e Dragone. Dio che è il Vivente dona la vita e con la sua benedizione rende gli esseri viventi capaci di trasmettere la vita (cf. Gn 1,22.28). L’uomo introduce nel mondo la violenza (cf. Gn 6,11) e ritorna il caos. L’ordine cosmico è sempre connesso on l’ordine morale e sociale (cf. Sal 72,1-7).

Per la Bibbia Dio è trascendente, è colui che mantiene saldamente la stabilità del mondo: “I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento” (Sal 19,2). Il mondo è sotto il suo dominio e i fenomeni naturali (catastrofi, terremoti, siccità) sono attribuiti direttamente a Dio. Nel cosmo non ci sono leggi fisse e immutabili, ma esso è aperto al libero intervento salvifico di Dio. Israele è partito dall’esperienza del Dio liberatore e salvatore, soprattutto attraverso l’evento dell’esodo, per arrivare alla fede nel Dio creatore. L’ebreo orante dei salmi è affascinato dallo splendore del sole (cf. Sal 19) simbolo della Torah, o dalla furia della tempesta (cf. Sal 29) simbolo della potenza di Dio. Ogni cosa proviene dalla parola creatrice di Dio e parla senza parole (cf. Sal 19,4-5). Il Salmo 104 contempla il cosmo che si rinnova e rinasce continuamente. Il cosmo è il luogo della vicinanza di Dio, ma anche della sua lontananza, della sua prova (cf. Sal 139,7-10). Il mondo e la storia sono l’opera meravigliosa dell’amore di Dio; il suo amore salvifico è quindi la sorgente del mondo creato (cf. Sal 136,5-9). Dio crea e salva nello stesso tempo; la sua salvezza è universale, offerta a tutti gli uomini, attraverso il suo intervento creatore che libera dal caos l’intero cosmo.

I profeti vedono nel cosmo la presenza del Dio creatore che conserva la vita. La pioggia e la neve portano fecondità e quindi benessere (cf. Is 55,10). Nel cosmo opera Dio trascendente e libero (cf. Is 45,7), che ha su di esso, come pure sull’uomo, un dominio assoluto (cf. Am 4,13). La sapienza divina presiede alla formazione e alla sussistenza del cosmo: “Egli ha formato la terra con potenza, ha fissato il mondo con sapienza, con intelligenza ha disteso i cieli” (Ger 10,12). I fenomeni naturali negativi sono flagelli, cioè strumenti del giudizio divino, come ad esempio la siccità (cf. Ger 14,3-6), il terremoto (cf. Am 1,1), l’invasione delle cavallette (Am 7,1-3), l’uragano (cf. Is 40,24; Ger 25,32), la pioggia torrenziale (cf. Ez 13,13; Ger 23,19). Se l’uomo va contro la Torah, ossia contro l’ordine cosmico stabilito da Dio per il mondo e la storia umana, allora si rompe l’unità tra uomo e cosmo e sopraggiungono le catastrofi. Quando l’uomo abbandona la giustizia di Dio vede attorno a sé il mondo crudele, caotico, nemico, perché non riesce più a scorgere il Dio buono della creazione. I profeti dell’esilio e del postesilio che annunciano l’intervento salvifico di Jahvè, nonostante la corruzione umana, lo vedono sempre nell’unità della storia e del cosmo (cf. Is 49,9-11), perché esso sarà riconciliato con l’uomo (cf. Is 11,6-8). Qui non si parla di una trasformazione fisica in quanto il profeta ricorre a un linguaggio poetico; esso sarà un ambiente benefico per l’uomo. Secondo Is 65,17; 66,22 la speranza escatologica riguarda anche il rinnovamento del mondo: “Ecco, io creo nuovi cieli e nuova terra”. Il mondo parteciperà con l’umanità alla trasformazione finale (cf. Dan 12,1-3; cf anche 2Mac 7).

Per la letteratura sapienziale il mondo è creato da Dio secondo un ordine fondamentale. Il sapiente deve scoprire, riconoscere e adeguarsi all’ordine universale per incontrarvi così la presenza di Dio. Il cosmo è pieno di misteri, come segno della presenza del mistero di Dio (cf. Gb 38-40). All’origine e a fondamento del mondo creato vi è la sapienza (cf. Pv 8,22-31; Gb 28; Sir 24). Di fronte al caos presente nel mondo (catastrofi, malattie, ingiustizie) il sapiente riafferma la giustizia divina che opera con sapienza. Dio dà al cosmo ordine e stabilità, infatti annota i legami delle Pleiadi (cf. Gb 38,31), fissa le leggi del cielo: “Conosci tu le leggi del cielo o ne applichi le norme sulla terra?” (cf. Gb 38,33); dà ordini alle nubi (cf. Gb 38,34). Tutto  è conosciuto soltanto da Dio (Gb 38,16-18) che agisce nel cosmo con grande libertà perché, ad esempio, può far piovere su regioni desolate (cf. Gb 38,26-27°). Giobbe rimprovera a Dio di essersi servito del cosmo per colpire lui mortalmente (cf. Gb 12,15; 30,21). Dio gli risponde che il cosmo intero è governato dalla sua misteriosa sapienza, per cui di fronte ad essa l’uomo deve riconoscere il proprio limite. La creazione è buona per l’azione creatrice di Dio (cf. Sir 39,32-34). Tale bontà è dinamica e stabilisce la funzione di ciascun elemento (cf. Sir 16,26-27). E’ da queste funzioni che scaturiscono gli elementi positivi e negativi presenti nel cosmo (cf. Sir 39,16.21.25). Tutto questo discorso  rimanda alla responsabilità dell’uomo, all’uso buono o cattivo che egli fa delle cose. Per il libro della Sapienza il cosmo è armonioso e unito, attraversato dallo Spirito e dalla Sapienza di Dio: “Difatti lo spirito del Signore riempie l’universo e, abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce” (Sap 1,7). Il cosmo è buono (cf. Sap 1,14), creato con sapienza (cf. Sap 8,6). Gli elementi del cosmo hanno importanza anche per la realizzazione della storia della salvezza, come emerge dagli eventi dell’esodo (Es 11,5-14). Attraverso il cosmo si può giungere a Dio, come aveva già intuito il giovane Aristotele, ma i filosofi, come gli stoici, imboccarono la via errata del panteismo (cf. Sap 13,1-3). Il cosmo è benefico per i giusti, ma è ostile ai malvagi (cf. Sap 16,24). Al giudizio finale il cosmo combatterà a fianco di Dio contro gli empi (cf. Sap 5,20), ma tutto ciò è già iniziato con la storia salvifica (cf. Sap 16,17).

Nel NT viene affermata l’unità tra la creazione e l’intervento salvifico di Dio (cf. Rm 11,33-36), tra il cosmo e la storia, tra la storia pagana e la storia sacra (cf. At 17,24). La comunità primitiva ha sempre professato la fede nell’intervento creatore di Dio (cf. At 4,24; Mt 25,34; Mc 10,6; Rm 4,7). La creazione è cristocentrica (cf. Col 1,15-17). Il cosmo è considerato in relazione al Cristo e in relazione all’uomo, perché il mondo è quello umano in cui Dio agisce, e in cui opera lo stesso uomo con la libertà e la responsabilità. Tra il cristiano e il mondo c’è sempre un rapporto dialettico. Le rappresentazioni cosmologiche sono quelle bibliche o quelle ellenistiche, ma hanno una funzione puramente strumentale per l’annuncio evangelico.

Per Paolo il kosmos è tutto ciò che non è Dio, è l’universo, è tutte le cose (tà panta: Rm 11,36) che sono sotto il segno del peccato e quindi della disarmonia (cf. Gal 3,22; Rm 11.32). Per indicare il mondo sottoposto al potere del peccato Paolo usa l’espressione ‘questo mondo’ (1Cor 1,20-21; 3,19; 5,10); 7,31.33-34). Il mondo si presenta in una forma (gli eoni) passeggera e caduca: “…quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!” (1Cor 7,31). Paolo fa riferimento anche alle cosmologie del tempo: “…le pretese divinità nel cielo e sulla terra, i molti dèi e i molti signori” (1Cor 8,41). Non esiste nel mondo nessuna potenza che sfugga alla signoria di Cristo, che è l’alfa e l’omega, il fondamento primordiale del mondo (cf. Ap 1,8). Cristo opera la riconciliazione sia degli esseri della terra sia di quelli celesti (cf. Col 1,20; Ef 1,10); è il Capo della chiesa e per mezzo di essa di tutti gli esseri, perché la chiesa è il pleroma (cf. Ef 1,23; Col 2,10). Dio ha sottomesso ogni cosa al Cristo (1Cor 15,27) e in lui ci sarà la liberazione futura dell’universo (cf. Rm 8,19-25), il mondo sarà integrato nella gloria escatologica. La glorificazione del corpo di Cristo è un anticipo della salvezza dell’uomo anche nella sua corporeità (Fil 3,21). Sia l’umanità che il cosmo sono finalizzati al Cristo (cf. 1Cor 3,22-23).

Per quanto riguarda il rapporto tra il cristiano e il mondo ci sono due aspetti. Il mondo è creato da Dio e quindi è buono in sé, ma il mondo attualmente è sotto la forza negativa del peccato. Cristo però ha esorcizzato l’universo liberandolo dal dominio del “dio di questo mondo” (2Cor 4,4). Gli elementi di questo mondo non hanno più alcun potere (cf. Col 2,20-23); per chi è unito al Cristo non ci sono proibizioni sacrali particolari (cf. 1Cor 10,31). Per Paolo il cristiano, nella misura in cui si lascia trasformare dal Cristo, contribuisce al cambiamento del mondo (cf. Rm 12,2). Occorre vivere secondo lo Spirito per poter discernere la volontà di Dio, che chiama a compiere il bene, rifiutando la logica del mondo, la sua sapienza (cf. 1Cor 3,19), avendo cioè la “mente di Cristo” (1Cor 2,16), la “sapienza divina”: “Parliamo di una sapienza divina, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria” (1Cor 2,7). In questo mondo continua ad agire l’eone malvagio (Gal 1,4), la potenza del male che si manifesta attraverso i peccati dei singoli uomini e delle strutture della società, anche se Cristo ha sconfitto alla radice il potere del male. I cristiani, da una parte vivono come le altre persone, ma dall’altra sono già protesi verso il mondo celeste, perché quello terreno passa (cf. 1Cor 7,29-31). Questo non significa avere il disprezzo gnostico per il mondo o l’impassibilità interiore (ataraxìa) degli stoici. I cristiani vivono come gli altri ma non divinizzano il mondo (cf. 1Cor 8,6); sono i peccatori a fare di questo mondo un dio (cf. 2Cor 4,4).

Anche in Giovanni il mondo (kòsmos) assume significati diversi: il mondo fisico, l’universo (cf. Gv 17,5.24), la terra (cf. Gv 11,19; 21.25), l’umanità intera (cf. Gv 1,9-10.29; 3,16-17.19) o l’umanità che rifiuta Dio (cf. Gv 7,4.7; 8,23.26). Nel quarto Vangelo prevale l’accezione antropologica per la prevalente prospettiva soteriologica. Giovanni non parla di creazione, ma usa il termine egèneto per designare la genesi, il venire all’esistenza: “Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste (…). Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe” (Gv 1,3.10). Dio è l’unico e manifesta la sua signoria sul mondo attraverso il Salvatore Gesù Cristo; Dio è l’alfa e l’omega, il principio e la fine (cf. Gv 21,6), il Dominatore universale. Gesù è stato inviato nel mondo per operare la salvezza (cf. Gv 3,17). La predestinazione di Gesù, era “prima del mondo” (Gv 17,5.24), crea il collegamento tra la creazione e l’opera della redenzione. Dio ha inviato il Figlio per dare la salvezza al mondo, che è stato creato per mezzo di lui. Dio ama il mondo (cf. Gv 3,16) e ha mandato il Figlio per togliere il peccato del mondo (cf. Gv 1,29), per salvarlo (cf. Gv 3,17), perché egli è il “pane disceso dal cielo per dare la vita al mondo” (Gv 6,33). Gesù è la luce del mondo (cf. Gv 8,12) che comunica agli uomini la vita divina. La parola mondo in senso giovanneo ha anche un’accezione negativa. Il mondo odia Gesù (cf. Gv 7,7), non l’accoglie e non lo riconosce (cf. Gv 1,10-11), lo perseguita (cf. Gv 15,20) e alla fine decide di ucciderlo (cf. Gv 5,16.18; 11,53). Il mondo è opposto a Gesù perché pratica il peccato (cf. Gv 8,21.23.34), la violenza e l’omicidio (cf. Gv 8,44). Gesù non prega per il mondo nemico di Dio cf. (Gv 17,9), anzi trae fuori da esso i suoi discepoli (cf. Gv 15,19; 17,6) per salvarli. Egli giudica il mondo condannandolo (cf. Gv 12,31). Lo Spirito di Gesù farà capire ai suoi discepoli che il mondo ha peccato (cf. Gv 16,9-11) perché Gesù “ha vinto il mondo” (Gv 16,33). Il discepolo deve vincere il mondo con la fede in Gesù (cf. 1Gv 5,4-5), perché egli ha introdotto nel mondo la forza divina, la gloria di Dio (cf. Gv 1,14; 2,11; 11,40) che sconfigge il mondo che pretende di auto divinizzarsi e auto salvarsi. Sia i beni di questo mondo che il desiderio di possederli sono passeggeri. Non danno la salvezza, che risiede solo nella volontà di Dio (cf. 1Gv 2,17).

Il mondo presente è proteso verso lo splendore dei ‘nuovi cieli e terra nuova’ che verrà dall’Alto. La nostra responsabilità ci chiama a preparare questo avvento, non ad ostacolarlo o a ritardarlo. Lo stile feriale della cura e salvaguardia della casa comune va in questa direzione, non solo, però, per il benessere globale futuro, ma anche per quello attuale.

di Lucia Antinucci

[1] A. BONORA, Cosmo, in Nuovo Dizionario di teologia biblica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano), 325.

[2] Nella Bibbia non c’è la concezione mitologica della lotta tra gli elementi preesistenti, come invece avveniva negli antichi poemi babilonesi.

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