Il diaconato femminile è una questione che ha suscitato il dibattito in questi ultimi anni, anche se essa ha cominciato ad acquistare rilevanza sin dall’immediato postconcilio, analogamente a quella concernente il sacerdozio femminile. In queste brevi note partirò dal dibattito attuale – che va distinto da quello del sacerdozio per le donne – per ampliare poi il discorso sulla problematica nel Magistero.
Il dibattito attuale
Il 12 maggio 2016 Papa Francesco[1] incontrò nell’Aula Paolo VI le partecipanti all’Assemblea plenaria dell’Unione internazionale delle Superiori generali, in occasione dei cinquant’anni dell’organismo. In tale occasione venne chiesto al Papa se c’è la possibilità di separare dall’ordinazione sia i ruoli di leadership nella Chiesa, che della predicazione. Il Papa aveva risposto che la donna deve contribuire al processo decisionale della Chiesa, ricoprire i ruoli dirigenziali che non richiedano l’ordinazione sacerdotale (ad es. la donna potrebbe dirigere il dicastero per i migranti), per cui non ci sono problemi che una donna tenga la predicazione durante la paraliturgia della Parola; per l’omelia durante la liturgia eucaristica, invece, si richiede l’ordinazione sacerdotale, in quanto è compito del presbitero. Una suora di lingua tedesca, come portavoce di altre, formulò la domanda specifica di consentire alle donne l’accesso al diaconato permanente. Attualmente c’è il diaconato permanente solo per gli uomini, sposati e non; perché – venne chiesto – non includere anche le donne come era nella Chiesa primitiva, perché non istituire una commissione per studiare la questione, tenendo presente che non si può far riferimento solo alle fonti storiche e magisteriali del passato, ma anche alle attuali esigenze ecclesiali e pastorali. Il Papa affermò che per la Chiesa il primato va alla rivelazione, per cui occorre discernere se Cristo abbia voluto un ministero sacramentale per le donne; non si può far riferimento solo all’attualità. Nella Chiesa antica – continuò il Pontefice – c’erano le diaconesse, ma occorre approfondire quale fosse la natura di questo ministero, poiché non è chiaro. Secondo alcuni il loro ministero era quello di amministrare il battesimo alle donne, praticando loro le unzioni rituali per una questione di decoro. Anche quando c’era un giudizio matrimoniale, presieduto dal vescovo, per casi di violenza alla moglie da parte del marito, alle diaconesse competeva di verificare le lividure lasciate sul corpo della donna per informarne poi il vescovo; inoltre, non c’è chiarezza sulla questione nel Concilio di Calcedonia (451). Il Papa evidenziò pure che avrebbe chiesto alla Congregazione per la dottrina della fede di riferirgli circa gli studi su questo tema, aggiungendo: “E inoltre vorrei costituire – puntualizzò – una commissione ufficiale che possa studiare la questione particolarmente nella Chiesa antica: credo che farà bene alla Chiesa chiarire questo punto; sono d’accordo, e parlerò per fare una cosa di questo genere”[2]. Il 25 novembre 2016 ci fu la prima riunione della Commissione di studio sul diaconato delle donne, istituita dal papa il 2 agosto “per fare uno studio oggettivo sulla situazione nei primi tempi della Chiesa”. La Commissione si riunì per due giornate nella sede della Congregazione per la dottrina della fede, sotto la presidenza dell’allora segretario della Congregazione, arcivescovo Luis Francisco Ladarìa.
Il Prof. Thomas Schirrmacher, un teologo evangelico, allora segretario generale dell’Alleanza Evangelica Mondiale, in un’intervista[3] rivelò che il cardinale Müeller, già prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, sostituito da Papa Francesco al termine del suo primo mandato quinquennale, non riteneva positiva la costituzione di una commissione di studio sul diaconato femminile, poiché “la considerava come una porta d’ingresso per l’argomento dell’ordinazione femminile”, per cui si sarebbe rifiutato di presiederla. Per questo incarico venne scelto, invece, il gesuita Ladarìa, allora segretario della Congregazione e attualmente successore di Müller come prefetto[4]. La Commissione, a causa dei pareri discordanti, non pervenne ad alcuna conclusione, poiché la questione richiede ulteriore approfondimento, come ha affermato Papa Francesco durante la conferenza stampa in aereo al ritorno dalla Macedonia (7 maggio 2019). L’8 aprile 2020 si è insediata la nuova Commissione[5]. Per Giorgia Salatiello in “questo quadro, diviene, a mio parere, meglio comprensibile l’importanza del lavoro della seconda commissione chiamata a impegnarsi con spirito di creativa inventività e al tempo stesso a inserirsi nel solco della Tradizione per svilupparla, alla luce della storia e dell’economia della salvezza, nel senso di una continuità capace di recepire i segni dei tempi”[6].
La prassi delle chiese ortodosse
La discussione sull’eventuale ripristino dell’ordinazione diaconale femminile e sul potenziale ruolo delle diaconesse nelle attività pastorali e nell’animazione missionaria è aperto da tempo all’interno di istituzioni teologiche dell’ortodossia calcedonese. Tra le chiese d’Oriente anche il Sinodo del Patriarcato greco-ortodosso di Alessandria d’Egitto, presieduto dal patriarca Theodoros II, riunitosi dal 15 al 17 novembre 2016, decise di ripristinare l’istituto del diaconato femminile, e nominò una commissione di vescovi “per un esame approfondito della questione”. Nel comunicato finale dei lavori, il Santo Sinodo sottolineò che “i diversi approcci ai problemi della vita della Chiesa non sono per noi deviazioni dalla verità ortodossa, ma rappresentano l’adattamento alla realtà africana”. Nella Chiesa apostolica armena il 5 gennaio 2018 è stata confermata l’ordinazione[7] come diaconessa di Ani-Kristi Manvelian, anestesista di 24 anni, conferita nel mese di settembre dall’arcivescovo Sebouh Sarkissian, alla guida dell’arcidiocesi apostolica armena di Teheran, con la diffusione di alcune foto che mostravano la diaconessa mentre serviva all’altare durante la liturgia della vigilia di Natale. Ani-Kristi Manvelian è laica e non appartiene a nessuna congregazione monastica femminile. La sua ordinazione è avvenuta mentre la Chiesa apostolica armena deve ancora formalmente ripristinare il diaconato femminile. “Quello che ho fatto è in conformità con la tradizione della Chiesa” – ha riferito l’arcivescovo Sarkissian – e vuole servire a “rivitalizzare la partecipazione delle donne anche nella nostra vita liturgica”.
Il Concilio Vaticano II
Per approfondire la questione del diaconato per le donne occorre partire anzitutto dalla teologia del diaconato del Concilio Vaticano II, che ha offerto delle piste innovative. Il Concilio Vaticano II ha messo in risalto che Il diaconato non imprime il carattere e i diaconi sono ordinati per il ministero e non per il sacerdozio. Il diaconato non è segno di Cristo Capo della Chiesa (o segno di Cristo Servo, analogo al Cristo Pastore e guida), ma è segno della Chiesa Corpo di Cristo, della diakonia della Chiesa (l’imposizione delle mani, infatti, non riguarda esclusivamente il sacerdozio). Il Vaticano II ha superato la teologia del Concilio di Trento, con l’affermazione della sacramentalità dell’episcopato, pienezza del ministero; la teologia del ministero ordinato è stata collocato nella teologia del popolo di Dio profetico, sacerdotale e regale, con varietà di ministeri e di carismi, per cui il ruolo del pastore e guida della comunità assume il significato di ‘carisma della sintesi e non sintesi dei ministeri’ (B. Forte). Riguardo al diaconato, nel Vaticano II ci sono pochi passaggi, segno di una riflessione ancora germinale, dopo secoli di oblio di questa figura ministeriale. Si tratta di affermazioni indirette sulla sacramentalità del diaconato[8], e due elenchi di compiti, come il servizio liturgico, il ministero della Parola ed evangelizzazione, della carità e assistenza. L’identità e la natura ministeriale del diaconato si delinea con l’appartenenza e il servizio alla chiesa locale, il legame con il vescovo, con il presbiterio, con tutto il popolo di Dio. In LG 29 si afferma che il diaconato non è per il sacerdozio ma per il ministero (“non ad sacerdotium, sed ad ministerium”), per il servizio: “In un grado inferiore della gerarchia sono i diaconi, ai quali sono imposte le mani non per il sacerdozio, ma per il servizio. Infatti, sostenuti dalla grazia sacramentale, nella ‘diaconia’ della liturgia, della predicazione e della carità servono il popolo di Dio, in comunione con il vescovo e con il suo presbiterio […] potrà essere ristabilito come proprio e permanente grado della gerarchia”. Il ministero diaconale, con l’imposizione delle mani, è a servizio dell’apostolicità della fede della comunità (come avviene per il vescovo e il presbitero), non connesso, però, all’esercizio di una funzione sacerdotale o di presidenza liturgica. I diaconi sono ordinati “non per offrire il corpo e il sangue del Signore, ma per il servizio della carità nella chiesa”. Nell’unica gerarchia c’è quindi una funzione ministeriale, comune a tutte le figure ministeriali e una sacerdotale, qualificante solo due figure ministeriali (episcopato e presbiterato). In Ad Gentes 16 si menziona come compito precipuo del diaconato l’evangelizzazione, per poi fare riferimento a quello pastorale (servizio caritativo-sociale e liturgico), con la possibilità di moderare (e non presiedere) le comunità senza presbitero. La teologa Serena Noceti fa notale che questi compiti sono già ministero di fatto delle donne, anche in Europa, non solo in terra di missione[9]. Dal punto di vista teologico si pone, però, un interrogativo: se funzioni del diacono sono quelle consentite ai laici in circostanze particolari, perché allora il diaconato fa parte della gerarchia (rientra nell’Ordine Sacro, anche se come grado inferiore)? E’ una questione ancora da approfondire, in quanto la teologia del diaconato permane a livello embrionale, ha bisogno di ulteriori sviluppi.
Il postconcilio
Un importante contributo alla questione del diaconato femminile è stato offerto dal Documento della Commissione teologica internazionale ‘Il diaconato evoluzione e prospettive’. Il Lavoro della Commissione è iniziato nel 1992 ed è stato ultimato nel 2003. In esso si evidenzia che nella Chiesa attuale viene avvertita come necessario ed urgente il riconoscimento del ruolo pastorale delle donne nella vita pastorale delle chiese, un suo maggiore coinvolgimento nelle strutture partecipative e decisionali della Chiesa. In Europa e nel Nord America c’è un ampio parere favorevole per le donne diacono, anche se “spetterà al ministero di discernimento che il Signore ha stabilito nella sua chiesa pronunziarsi con autorità sulla questione[10]. Si afferma nell’Introduzione: “Inoltre, benché il Concilio non si sia pronunciato sul ministero diaconale femminile di cui si trova menzione nel passato, questo dev’essere studiato affinché se ne stabilisca lo statuto ecclesiale e affinché si esamini l’attualità che gli si potrebbe riconoscere”. Il punto di partenza della Commissione è il fondamento cristologico che richiama quello ecclesiologico: “Con la sua condizione di servo, con la sua diaconia assunta in obbedienza al Padre e in favore degli uomini, secondo le Sacre Scritture e la Tradizione, Gesù Cristo ha realizzato il disegno divino di salvezza. Soltanto a partire da questo primo dato cristologico si possono comprendere la vocazione e la missione della diaconia nella Chiesa, manifestata nei suoi ministeri”. Il Documento sottolinea, inoltre, che bisogna distinguere la Tradizione dalle tradizioni storiche e regionali, “occorre compiere uno sforzo di discernimento alla luce di tali interventi, pur ammettendo che la conoscenza della storia nella sua generalità abbia il vantaggio inestimabile di far conoscere la vita concreta della Chiesa, all’interno della quale c’è sempre un vero elemento umano e un vero elemento divino (LG 8)”. Solo la fede consente di discernere nell’evoluzione storica la fedeltà alla rivelazione e la risposta alle contingenze storiche. Il Documento parte dal discorso sul diaconato in genere nel NT, a cui fa seguito un’accurata analisi storica. Nel NT emerge che tutti i battezzati, in virtù del battesimo, partecipano alla diakonia del Cristo (che si completa con la leitoughia e la martyria), anche se con forme diverse. In primis ci sono gli apostoli e i loro collaboratori, tenendo presente, però, che la terminologia non è ancora ben definita (vi si parla di preposti, capi, inviati, dottori, apostoli, profeti). “Nell’indirizzo della Lettera ai Filippesi (verso il 50 d. C.), san Paolo saluta in particolare ‘i vescovi e i diaconi’ (Fil 1,1). Qui, occorre pensare ai ministeri che stanno prendendo forma nella Chiesa”. Il termine diakonos (diakonéin) ha un significato generico. “Il diakonos può significare il servo a mensa (ad esempio, Gv 2,5 e 9), il servo del Signore (Mt 22,13; Gv 12,26; Mc 9,35; 10,43; Mt 20,26; 23,11), il servo di un potere spirituale (2 Cor 11,14; Ef 3,6; Col 1,23; Gal 2,17; Rm 15,8; 2 Cor 3,6), il servo del Vangelo, di Cristo, di Dio (2 Cor 11,23), le autorità pagane sono anche al servizio di Dio (Rm 13,4), i diaconi sono i servi della Chiesa (Col 1,25; 1 Cor 3,5)”. A causa di un malcontento tra gli ellenisti “At 6,1-6 descrive l’istituzione dei ‘Sette’ (con l’imposizione delle mani), ‘per il servizio delle mense’”; […] con l’atto delle imposizioni delle mani, volevano – sottolinea il Documento – preservare l’unità dello Spirito ed evitare la scissione. I commentatori degli Atti non spiegano il significato di tale imposizione delle mani dagli apostoli. È probabile che gli apostoli abbiano destinato i Sette ad essere a capo dei cristiani ‘ellenisti’ (ebrei battezzati di lingua greca) per svolgere lo stesso compito dei presbiteri tra i cristiani ‘ebrei’ […]. Rare, invece, sono le fonti storiche che citino i tre riuniti: vescovo, presbitero e diacono”. Nell’epoca sub apostolica (I Padri apostolici – II sec.), “in questa epoca antica i diaconi – si rileva nel Documento – erano responsabili della vita della Chiesa riguardo alle opere di carità in favore delle vedove e degli orfani, come era il caso nella prima comunità di Gerusalemme. Le loro attività erano senza dubbio connesse con la catechesi e probabilmente anche con la liturgia. I dati su questo argomento però sono talmente succinti che è difficile dedurne quale fosse di fatto la portata delle loro funzioni. […] al di là del fatto dell’ esistenza del diaconato in tutte le Chiese sin dall’inizio del II secolo e del suo carattere di ordine ecclesiastico, i diaconi all’inizio svolgono dappertutto lo stesso ruolo, benché gli accenti posti sui diversi aspetti del loro impegno siano distribuiti diversamente nelle varie regioni. […] Il diaconato raggiunge la sua stabilizzazione nel corso del IV secolo. Nelle direttive sinodali e conciliari proprie di tale periodo, il diaconato è considerato come elemento essenziale della gerarchia della Chiesa locale”.
Il paragrafo 4 del Documento della Commissione esamina in modo specifico il ministero delle diaconesse. Già in epoca apostolica emerge che “diverse forme di assistenza diaconale agli apostoli e alle comunità esercitate da donne sembrano avere un carattere istituzionale. Così Paolo raccomanda alla comunità di Roma ‘Febe, nostra sorella, diaconessa (he diakonos) della Chiesa di Cencre’ (cf. Rm 16,1-4)[11]. Ciò che pare certo è che Febe ha esercitato un servizio nella comunità di Cencre, riconosciuto e subordinato al ministero dell’ Apostolo. Altrove, in Paolo, le stesse autorità civili sono chiamate diakonos (Rm 13,4) e, in 2 Cor 11,14-15, si parla di diakonoi del diavolo. […] Gli esegeti sono divisi riguardo a 1 Tm 3,11. La menzione delle ‘donne’ dopo i diaconi può far pensare a donne-diaconi (stessa presentazione con ‘similmente’), o alle spose dei diaconi dei quali si è parlato prima”. In questa Lettera – pone in risalto la Commissione teologica internazionale – non sono descritte le funzioni del diacono, ma solamente le condizioni della loro ammissione. Si dice qui che le donne non devono insegnare né dirigere gli uomini (1 Tm 2,8-15); le funzioni di direzione e di insegnamento sono in ogni caso riservate al vescovo (1 Tm 3,5) e ai presbiteri (1 Tm 5,17), non ai diaconi. Le vedove costituiscono un gruppo riconosciuto nella comunità, da cui ricevono assistenza in cambio del loro impegno alla continenza e alla preghiera. 1 Tm 5,3-16 insiste sulle condizioni della loro iscrizione nella lista delle vedove aiutate dalla comunità e non dice altro sulle loro eventuali funzioni. Più tardi, esse saranno ufficialmente ‘istituite’, ma ‘non ordinate’ – puntualizza la Commissione -; costituiranno un ‘ordine’ nella Chiesa e non avranno mai altra missione che il buon esempio e la preghiera”. Solamente nel III secolo compaiono i termini specificamente cristiani di diaconissa o diacona. Infatti, a partire dal III secolo, in alcune regioni della Chiesa – e non in tutte – è attestato un ministero ecclesiale specifico attribuito alle donne chiamate diaconesse. Si tratta della Siria orientale e di Costantinopoli[12]. Nella Didascalia degli Apostoli (240) si “mette l’accento sul ruolo caritativo del diacono e della diaconessa”. I diaconi[13] sono scelti dal vescovo per ‘occuparsi di molte cose necessarie’, e le diaconesse solamente ‘per il servizio delle donne’ (Didascalia degli Apostoli [del 240] 3, 12, 1)[14]. La diaconessa deve procedere all’unzione corporale delle donne al momento del battesimo, istruire le donne neofite, andare a visitare a casa le donne credenti e soprattutto le ammalate. Le è vietato amministrare il battesimo o svolgere un ruolo nell’offerta eucaristica (DA 3, 12, 1-4)[15]. Delle diaconesse se ne parla a partire dal III secolo in Oriente, non hanno le stesse funzioni dei diaconi, ma si devono occupare della decenza delle donne. Se ne parla soprattutto in Siria e ricevono la consacrazione (imposizione delle mani). Nelle Costituzioni apostoliche (380/Siria), che non sono considerate una fonte canonica ufficiale[16], il compilatore – si sottolinea nel Documento – prevede l’imposizione delle mani con epiclesi dello Spirito Santo non solo per i vescovi, i presbiteri e i diaconi, ma anche per le diaconesse, i suddiaconi e i lettori (cf. CA VIII 16-23 )[17]. “La diaconessa non benedice e non compie nulla di ciò che fanno i presbiteri e i diaconi, ma vigila le porte e assiste i presbiteri in occasione del battesimo delle donne, per ragioni di decenza’ (CA VIII 28, 6)”[18]. Già nel IV secolo il genere di vita delle diaconesse si avvicina a quello delle claustrali[19]. Sino al VI secolo assistono ancora le donne nella piscina battesimale e per l’unzione. Benché non servano all’altare, possono distribuire la comunione alle ammalate. “Quando la prassi battesimale dell’unzione del corpo fu abbandonata, le diaconesse sono semplicemente vergini consacrate che hanno emesso il voto di castità. Risiedono sia nei monasteri, sia in casa propria. La condizione di ammissione è la verginità o la vedovanza, e la loro attività consiste nell’ assistenza caritativa e sanitaria alle donne”. Il Concilio di Nicea (325) nel can. 19 afferma in merito alla questione: “Quanto alle diaconesse, ricordiamo che non hanno ricevuto l’imposizione delle mani (cheirothesia) e che quindi devono considerarsi a tutti gli effetti appartenenti ai laici”. La Commissione si sofferma poi sul Concilio di Calcedonia (451) can. 15: “Non si ordinino le diaconesse prima dei 40 anni e dopo diligente esame. Se, ricevuta l’ordinazione (cheirotonia), dopo avere esercitato il ministero (leitourghia), ella si marita facendo ingiuria alla grazia di Dio, sia scomunicata lei e il marito”. In effetti il termine ‘cheirothesia’, è più indeterminato, riferibile anche, ad esempio, al gesto di benedizione dei malati, e il termine ‘cheirotonia’, è più specifico per la vera e propria ordinazione. Il Concilio di Calcedonia, quindi, ha riportato l’età di ammissione al ministero delle diacone a 40 anni, confermando il fatto che le diaconesse sono veramente ‘ordinate’ con l’imposizione delle mani (cheirotonia); il loro ministero è detto leitourgia, e ad esse non è più permesso di contrarre matrimonio dopo l’ordinazione[20]. Il gesto dell’imposizione delle mani da parte del vescovo non basta a collocare la donna che lo riceve nella sfera dei ministeri ‘ordinati’, poiché concilio Niceno II del 797 lo richiede anche per il lettore, che è sicuramente un ministero ‘istituito’. In Occidente non ci sono, invece, tracce di diaconesse nei primi cinque secoli[21].
Riguardo all’esame storico il Documento conclude che “è veramente esistito un ministero di diaconesse che si è sviluppato in maniera diseguale nelle diverse parti della Chiesa. Sembra evidente che tale ministero non era inteso come il semplice equivalente femminile del diaconato maschile. Si tratta per lo meno di una funzione ecclesiale, esercitata da donne, talvolta menzionata prima del suddiacono nella lista dei ministeri della Chiesa”[22]. La Commissione teologica internazionale fa notare che bisogna, però, tenere presente che i testi patristici e liturgici del primo millennio, anche se menzionano l’ordinazione del vescovo, del presbitero e del diacono, non affrontano la questione teologica della sacramentalità di ognuna di tali ordinazioni. A partire dal X secolo le funzioni sacerdotali hanno avuto la tendenza ad assorbire le funzioni inferiori, e il diaconato è divenuto transeunte, temporaneo, per i candidati al sacerdozio, in quanto tutte le funzioni ministeriali sono state assorbite da quelle di grado superiore (presbitero e vescovo); ciò determina anche la scomparsa delle diaconesse, essendosi affermata la vita claustrale femminile, senza servizi caritativi assistenziali; ad esse è vietata ogni ministerialità liturgica. Riguardo al Concilio Vaticano II, nel Documento della Commissione teologica internazionale si afferma: “Nella LG (n. 29), la proposizione secondo la quale si impongono le mani ai diaconi ‘non ad sacerdotium, sed ad ministerium’ diventerà un riferimento chiave per la comprensione teologica del diaconato. Tuttavia molti interrogativi sono rimasti aperti sino ai nostri giorni per le ragioni seguenti: la soppressione del riferimento al vescovo nella formulazione accettata, l’insoddisfazione di alcuni di fronte alla sua ambiguità, l’interpretazione data dalla Commissione e la portata della distinzione stessa tra sacerdotium e ministerium”. Il Documento mette in risalto che è incerta la dottrina circa la natura sacramentale del diaconato; l’imposizione delle mani può essere anche di natura non sacramentale, sebbene il diaconato faccia parte del grado più basso della gerarchia[23]. “A imitazione degli altri ministri sacri, i diaconi devono dunque consacrarsi alla crescita della Chiesa e al perseguimento del suo disegno di salvezza”. Riguardo alla questione specifica del diaconato femminile il Documento così conclude: “Per quel che riguarda l’ordinazione delle donne al diaconato, conviene notare due indicazioni importanti che emergono da quanto è stato sin qui esposto: 1) le diaconesse di cui si fa menzione nella Tradizione della Chiesa primitiva – secondo ciò che suggeriscono il rito di istituzione e le funzioni esercitate – non sono puramente e semplicemente assimilabili ai diaconi; 2) l’unità del sacramento dell’ordine, nella chiara distinzione tra i ministeri del vescovo e dei presbiteri da una parte, e il ministero diaconale dall’altra, è fortemente sottolineata dalla Tradizione ecclesiale, soprattutto nella dottrina del Concilio Vaticano II e nell’insegnamento postconciliare del Magistero. Alla luce di tali elementi posti in evidenza dalla presente ricerca storico-teologica, spetterà al ministero di discernimento che il Signore ha stabilito nella sua Chiesa pronunciarsi con autorità sulla questione”.
Sviluppi ulteriori si sono avuti con Benedetto XVI che ha modificato il canone del CIC in base alla distinzione di LG 29, secondo cui il diaconato non è per il sacerdozio ma per il ministero, con il Motu Proprio ‘Omnium in mentem’ (Lettera Apostolica del 26 ottobre 2009, pubblicata il 15 dicembre), con l’integrazione del can. 1009 al paragrafo 3 “[…] episcopato e presbiterato hanno la missione di rappresentare Cristo […] i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità” (Motu Proprio art. 2). Particolarmente rilevante risulta essere la proposta del cardinale Walter Kasper: partendo dai segni dei tempi delle funzioni e dei servizi che le donne svolgono nella comunità cristiana, suggerisce un ministero istituito (per sole donne?) della carità. Il suo discorso insiste non sul passato, ma sull’azione innovativa dello Spirito con i segni dei tempi: “La risposta ai ‘segni dei tempi’ in definitiva non arriverà né da Roma né dalla conferenza episcopale; la risposta saranno donne profetiche, carismatiche, sante che speriamo Dio ci donerà. I carismi non sono pianificabili e organizzabili; la maggior parte delle volte arrivano inattesi e spesso diversamente da come ce li eravamo immaginati. Forse oggi abbiamo di nuovo bisogno di una apostola apostolorum come Maria di Magdala, che la mattina di Pasqua ha svegliato gli apostoli dal loro letargo e li ha messi in moto”[24].
Il sinodo dei vescovi sull’Amazzonia e il diaconato femminile
Durante il Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia (6-27 ottobre 2019) è emerso fortemente il tema del ministero femminile e anche del diaconato. Nel documento di conclusione è stato proposto il lettorato e l’accolitato (ministeri istituiti) per le donne, con la revisione di Ministeria quaedam di Paolo VI (Lettera apostolica in forma di Motu proprio del 1972, secondo cui tale ministero è solo per gli uomini)[25], l’istituzione del ministero di ‘coordinatrici di comunità’ (ministero istituito di donne dirigenti di comunità). Il Papa si è impegnato con i Padri e le Madri sinodali (che non hanno avuto diritto di voto ma hanno dato il loro contributo ai lavori) di riconvocare quanto prima la commissione, con nuovi membri, per studiare la questione del diaconato per le donne, come del resto è avvenuto. Nell’Esortazione apostolica postsinodale Querida Amazonia (12 febbraio 2020) Papa Francesco evidenzia la forza e il dono delle donne. Egli riconosce che “In Amazzonia ci sono comunità che si sono sostenute e hanno trasmesso la fede per lungo tempo senza che alcun sacerdote passasse da quelle parti, anche per decenni. Questo è stato possibile grazie alla presenza di donne forti e generose: donne che hanno battezzato, catechizzato, insegnato a pregare, sono state missionarie, certamente chiamate e spinte dallo Spirito Santo” (n. 99). Papa Francesco ha però sottolineato che bisogna evitare il pericolo di clericalizzazione delle donne, con l’invito “ad allargare la visione per evitare di ridurre la nostra comprensione della Chiesa a strutture funzionali. Tale riduzionismo ci porterebbe a pensare che si accorderebbe alle donne uno status e una partecipazione maggiore nella Chiesa solo se si desse loro accesso all’Ordine sacro. Ma in realtà questa visione limiterebbe le prospettive, ci orienterebbe a clericalizzare le donne, diminuirebbe il grande valore di quanto esse hanno già dato e sottilmente provocherebbe un impoverimento del loro indispensabile contributo” (n. 100). La ministerialità femminile trova il suo fondamento nella mariologia: “Perché il Signore ha voluto manifestare il suo potere e il suo amore attraverso due volti umani: quello del suo Figlio divino fatto uomo e quello di una creatura che è donna, Maria. Le donne danno il loro contributo alla Chiesa secondo il modo loro proprio e prolungando la forza e la tenerezza di Maria, la Madre. In questo modo non ci limitiamo a una impostazione funzionale, ma entriamo nella struttura intima della Chiesa” (n. 101). La Chiesa è chiamata a valorizzare i servizi e i carismi femminili (cf. n. 102), creando anche nuovi ministeri istituiti: “In una Chiesa sinodale le donne, che di fatto svolgono un ruolo centrale nelle comunità amazzoniche, dovrebbero poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali che non richiedano l’Ordine sacro e permettano di esprimere meglio il posto loro proprio. È bene ricordare che tali servizi comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del Vescovo. Questo fa anche sì che le donne abbiano un’incidenza reale ed effettiva nell’organizzazione, nelle decisioni più importanti e nella guida delle comunità, ma senza smettere di farlo con lo stile proprio della loro impronta femminile” (n. 103).
Conclusione[26]
Il Magistero ha subito un’evoluzione circa la problematica teologica del diaconato femminile. Tale ministero risulta fondato teologicamente, poiché il è segno della Chiesa Corpo di Cristo, Serva di Cristo, non di Cristo Capo della Chiesa. La questione va affrontata sistematicamente, non solo analizzando la storia della Chiesa, ma anche operando il discernimento dei segni dei tempi, perché le condizioni e le esigenze della Chiesa di oggi sono diverse da quelle del passato (Serena Noceti). Anche per il diaconato permanente maschile non si è trattato, del resto, di ristabilimento della forma storica dell’antichità. Il diaconato permanente attuale può amministrare il battesimo, mentre non era previsto nell’antichità (Gilles Routhier). Le difficoltà che vennero mosse in passato per l’istituzione del diaconato permanete maschile, secondo cui si sarebbe trattato di clericalizzare i laici, si ripresentano attualmente per il diaconato femminile[27]. Occorre, invece, il confronto fontale con il NT, la fedeltà alla Tradizione (che va oltre le tradizioni legate a un determinato hic et nunc), ma anche la creatività che è opera dello Spirito, in comunione con il ministero del discernimento nella Chiesa.
[1] Cf. Le donne consacrate icona della Chiesa, in Il Regno Documenti 9 (2016) 267ss. (cf anche www.vatican.va [30.05. 2026]),
[2] L. ACCATTOLI, Simposio su donne nella Chiesa, in Il Regno attualità 18 (2016) 562. Simposio promosso dalla Congregazione per la dottrina della fede che si tenne dal 26 al 28 settembre 2016 nel campus dell’Urbaniana. All’incontro, aperto dal card. Gerhard Müller, parteciparono una cinquantina di teologhe, storiche e canoniste, religiose e laiche, provenienti da tutti i continenti, consultori e ufficiali del dicastero.
[3] Cf. https://www.marcotosatti.com>2017/09/01 [ultimo accesso il 3 novembre 2019]. Intervista al sito austriaco Kat.net. Il prof. Thomas Schirrmacher, secondo Marco Tosatti, è amico di Müller da molto tempo, ha molteplici contatti in Vaticano, conosce e ha frequentato il Pontefice, e ha addirittura scritto un libro sulla sua frequentazione papale.
[4] Secondo Schirrmacher, Ladaria Ferrer SJ aveva cominciato ad aiutare il Pontefice sin dal 2013 come consulente teologico. Ladaria e Bergoglio avevano studiato insieme, per un certo periodo, a Francoforte a Sankt Georgen (il periodo tedesco di Bergoglio, che si concluse senza che conseguisse il dottorato, né che scrivesse la sua tesi).
[5] Cf. Il Regno Attualità 10(2020) 302.
[6] www.osservatoreromano > news > 2020-05 > sul-diaconato-femmi…(ultimo accesso il 23 giugno 2020).
[7] Chiesa apostolica armena. Diaconessa (ordinazione), in Il Regno Attualità 4 (2018) 111.
[8] Alla fine del cap. III della LG sulla struttura gerarchica della chiesa al n. 29; l’edificazione delle nuove chiese per la costituzione di un clero indigeno AG 15-16.
[9] Cf. S. NOCETI, Donne diacono? Una riflessione teologica nell’orizzonte del concilio Vaticano II, in ID (ed.), Diacone. Quale ministero per la Chiesa, Queriniana, Brescia 2017, 71.
[10] Commissione teologica internazionale, Il diaconato: evoluzione e prospettiva, in E. PETROLINO (ed.), Enchiridion sul diaconato, LEV, Città del Vaticano 2009, 447. Cf. anche www.vatican.va > cfaith > rc_con_cfaith_pro_05072004_di.itaconate [ultimo accesso 27 dicembre 2019].
[11] Benché qui sia usata la forma maschile di diakonos, non si può concludere – secondo il Documento – che essa indichi già la funzione specifica di ‘diacono’; da una parte, perché, in questo contesto, diakonos significa ancora, in un senso molto generale, servo e, d’altra parte, perché la parola ‘servo’ non ha un suffisso femminile, ma è preceduta da un articolo femminile.
[12] Verso il 240 compare una compilazione canonico-liturgica singolare, la Didascalia degli Apostoli (DA), che non ha carattere ufficiale. Il vescovo vi ha i tratti di un patriarca biblico onnipotente (cfr DA 2,33-35,3). È a capo di una piccola comunità, che egli dirige soprattutto con l’aiuto di diaconi e diaconesse. Queste ultime fanno qui la loro prima apparizione in un documento ecclesiastico. Secondo una tipologia presa a prestito da Ignazio di Antiochia, il vescovo occupa il posto di Dio Padre, il diacono quello di Cristo e la diaconessa quella dello Spirito Santo (parola al femminile nelle lingue semitiche), mentre i presbiteri (poco citati) rappresentano gli Apostoli, e le vedove l’altare (DA 2,26,4-7). Non si parla dell’ordinazione di questi ministri”.
[13] Il ministero della diaconia deve apparire come ‘una sola anima in due corpi’. Esso ha per modello la diaconia di Cristo, che ha lavato i piedi ai suoi discepoli (DA 3, 13, 1-7). Tuttavia, non c’è uno stretto parallelismo tra i due rami del diaconato quanto alle funzioni esercitate.
[14] È desiderabile che ‘il numero dei diaconi sia in proporzione a quello dell’assemblea del popolo di Dio’ (DA 3, 13, 1) [62]. I diaconi amministrano i beni della comunità in nome del vescovo; e, come il vescovo, sono mantenuti da essa. I diaconi sono detti orecchie e bocca del vescovo (DA 2, 44, 3-4). Il fedele deve passare attraverso di essi per accedere al vescovo; allo stesso modo le donne devono passare attraverso le diaconesse (DA 3, 12, 1-4). Un diacono vigila gli ingressi nella sala delle riunioni, mentre un altro assiste il vescovo per l’offerta eucaristica (DA 2, 57, 6).
[15] “Le diaconesse hanno preso il sopravvento sulle vedove. Il vescovo può sempre istituire vedove, ma esse non devono né insegnare né amministrare il battesimo (delle donne), ma soltanto pregare (DA 3, 5, 1-3; 6, 2)”. In Siria le diaconesse ricevono l’imposizione delle mani e fanno parte del clero (mentre le vedove ne sono escluse).
[16]“[…] apparse verso il 380 in Siria, utilizzano e interpolano la Didascalia, la Didachè e anche la Tradizione apostolica. Eserciteranno un influsso durevole sulla disciplina delle ordinazioni in Oriente, benché non siano state mai considerate una raccolta canonica ufficiale”.
[17] La nozione di klēros è estesa a tutti coloro che esercitano un ministero liturgico, che traggono la loro sussistenza dalla Chiesa e godono dei privilegi civili che la legislazione imperiale concede ai chierici, in modo che le diaconesse fanno parte del clero, mentre le vedove ne rimangono escluse”. “Vescovo e presbiteri sono visti in parallelo rispettivamente con il sommo sacerdote e i preti dell’antica Alleanza, mentre ai leviti corrispondono tutti gli altri ministri e stati di vita: «diaconi, lettori, cantori, ostiari, diaconesse, vedove, vergini e orfani» (CA II, 26, 3; VIII 1,21). Il diacono è posto ‘al servizio del vescovo e dei presbiteri’ e non deve usurpare le funzioni di questi ultimi. Il diacono può proclamare il Vangelo e guidare la preghiera dell’assemblea (CA II 57, 18), ma soltanto il vescovo e i presbiteri esortano (CA II 57, 7)”. Il ministero delle diaconesse viene conferito con “epithesis cheiron o imposizione delle mani che conferisce lo Spirito Santo, come per il lettore (CA VIII 20; 22). Il vescovo pronuncia la seguente preghiera: ‘Dio, eterno, Padre di Nostro Signore Gesù Cristo, creatore dell’uomo e della donna, tu che hai riempito di spirito Myriam, Debora, Anna e Ulda, che non hai giudicato indegno che tuo Figlio, l’Unigenito, nascesse da una donna, tu che nella tenda della testimonianza e nel tempio hai istituito custodi per le tue porte sante, tu stesso guarda ora la tua serva qui presente, proposta per il diaconato, donale lo Spirito Santo e purificala da ogni impurità della carne e dello spirito perché compia degnamente l’ufficio che le è stato affidato, per la tua gloria e a lode del tuo Cristo, da cui a te gloria e adorazione nello Spirito Santo per i secoli. Amen’ “. “Le diaconesse sono nominate prima del suddiacono, il quale riceve una cheirotonia come il diacono (CA VIII 21), mentre le vergini e le vedove non possono essere ‘ordinate’ (VIII 24-25). Le Costituzioni insistono perché le diaconesse non abbiano alcuna funzione liturgica (III 9, 1-2), ma estendono le loro funzioni comunitarie di ‘servizio presso le donne’ (CA III 16,1) e di intermediarie tra le donne e il vescovo. Si dice sempre che esse rappresentano lo Spirito Santo, ma ‘non fanno nulla senza il diacono’ (CA II 26, 6). Devono stare agli ingressi delle donne nelle assemblee (Il 57, 10)”.
[18] A questa osservazione fa eco quella, quasi contemporanea, di Epifanio di Salamina nel Panarion (verso il 375): ‘Esiste nella Chiesa l’ordine delle diaconesse, ma non serve per esercitare le funzioni sacerdotali, né per affidargli qualche compito, ma per la decenza del sesso femminile, al momento del battesimo’. Una legge di Teodosio del 21 giugno 390, revocata il 23 agosto successivo, fissava a 60 anni l’età di ammissione al ministero delle diaconesse.
[19] È detta allora diaconessa la responsabile di una comunità monastica di donne, come attesta, tra gli altri, Gregorio di Nissa. Ordinate badesse dei monasteri femminili, le diaconesse portano il maforion, o velo di perfezione. Il ministero delle diaconesse viene assorbito quindi dalla vita monastica. “A Costantinopoli, la più nota diaconessa nel IV secolo è Olimpia, igumena (badessa) di un monastero di donne, protetta da san Giovanni Crisostomo, la quale mise i propri beni al servizio della Chiesa. Fu ‘ordinata’ (cheirotonein) diaconessa con tre sue compagne dal patriarca”.
[20] Nel sec. VIII, a Bisanzio, il vescovo impone sempre le mani sulla diaconessa e le conferisce l’orarion o stola (i due lembi vengono sovrapposti sul davanti); le consegna un calice che ella depone sull’altare, senza far comunicare nessuno. È ordinata durante la liturgia eucaristica nel santuario come i diaconi. Nonostante le somiglianze dei riti di ordinazione, la diaconessa non avrà accesso né all’altare né ad alcun ministero liturgico. Tali ordinazioni riguardano soprattutto igumene (badesse) di monasteri femminili”.
[21] “Gli Statuta Ecclesiae antiqua prevedevano che l’istruzione delle donne catecumene e la loro preparazione al battesimo fossero affidate alle vedove e alle claustrali ‘scelte ad ministerium baptizandarum mulierum. Alcuni Concili del IV e V secolo respingono ogni ministerium feminae e vietano ogni ordinazione di diaconesse. Secondo l’Ambrosiaster (a Roma, fine IV secolo), il diaconato femminile era appannaggio degli eretici montanisti. Nel VI secolo, come diaconesse si indicano talvolta donne ammesse nel gruppo delle vedove. Per evitare ogni confusione, il Concilio di Epaona vieta ‘la consacrazione di vedove che si fanno chiamare diaconesse’. Il II Concilio di Orléans (533) decide di escludere dalla comunione le donne che avessero ‘ricevuto la benedizione del diaconato malgrado la proibizione dei canoni e che si fossero risposate’. Diaconissae erano pure chiamate badesse o spose di diaconi, per analogia alle presbyterissae e perfino alle episcopissae”.
[22] “Tale ministero era conferito con un’imposizione delle mani paragonabile a quella con cui erano conferiti l’episcopato, il presbiterato e il diaconato maschile? Il testo delle Costituzioni apostoliche lo lascerebbe pensare, ma si tratta di una testimonianza quasi unica, e la sua interpretazione è oggetto di intense discussioni. L’imposizione delle mani sulle diaconesse dev’essere equiparata a quella compiuta sui diaconi o si situa piuttosto nella linea dell’imposizione delle mani fatta sul suddiacono e sul lettore? E difficile dirimere la questione partendo dai soli dati storici. Nei capitoli seguenti alcuni elementi saranno chiarificati e degli interrogativi resteranno aperti. In particolare, un capitolo sarà dedicato a esaminare più da vicino come la Chiesa attraverso la sua teologia e il suo Magistero abbia preso coscienza della realtà sacramentale dell’Ordine e dei suoi tre gradi. Ma prima conviene esaminare le cause che hanno determinato la scomparsa del diaconato permanente nella vita della Chiesa”.
[23] “In conclusione: se il Vaticano II ha parlato con prudenza ed ex obliquo della natura sacramentale del diaconato, non è stato solamente a causa della preoccupazione di non condannare nessuno, ma piuttosto a motivo dell’’incertitudo doctrinae’ . Dunque, per assicurare la natura sacramentale non basta né l’opinione maggioritaria dei teologi (c’era anche relativamente al suddiaconato), né la sola descrizione del rito dell’ordinazione (che occorre chiarire alla luce di altre fonti), né la sola imposizione delle mani (che può essere di natura non sacramentale)”. “Il Vaticano II riconosce il diaconato come uno degli ordini sacri. La LG (n. 29a) stabilisce che i diaconi appartengono al grado più basso della gerarchia (in gradu inferiori hierarchiae sistunt diaconi). Sono «sostenuti dalla grazia sacramentale» (gratia sacramentali roborati) e ricevono l’imposizione delle mani «non ad sacerdotium, sed ad ministerium». Ma da nessuna parte si spiega nei documenti conciliari questa espressione importante tratta dagli Statuta Ecclesiae antiqua, variante di un’espressione più antica proveniente dalla Traditio apostolica di Ippolito. […]
[24] Cf. Relazione pronunciata a Treviri il 20 febbraio 2013 [Il Regno Documenti 5 (2013) 166-175].
[25] Paolo VI in Ministeria quaedam (1972)[25] [In Enchiridion Vaticanum, EDB, Bologna 1978, nn. 1749-1779], riguardo ai ministeri istituiti osserva che essi devono rispondere alle necessità attuali, perché gli ordini minori non sono rimasti sempre gli stessi e nel corso dei secoli sono stati aggiunte ad esse alcune funzioni. Essi vanno adattati alle necessità attuali, per cui le conferenze episcopali, in base alle loro esigenze, possono crearne anche di nuovi. Attualmente il lettorato e l’accolitato come ministero istituito riguardano solo gli uomini.
[26] “Per quel che riguarda l’ordinazione delle donne al diaconato, conviene notare due indicazioni importanti che emergono da quanto è stato sin qui esposto: 1) le diaconesse di cui si fa menzione nella Tradizione della Chiesa primitiva – secondo ciò che suggeriscono il rito di istituzione e le funzioni esercitate – non sono puramente e semplicemente assimilabili ai diaconi; 2) l’unità del sacramento dell’ordine, nella chiara distinzione tra i ministeri del vescovo e dei presbiteri da una parte, e il ministero diaconale dall’altra, è fortemente sottolineata dalla Tradizione ecclesiale, soprattutto nella dottrina del Concilio Vaticano II e nell’insegnamento postconciliare del Magistero. Alla luce di tali elementi posti in evidenza dalla presente ricerca storico-teologica, spetterà al ministero di discernimento che il Signore ha stabilito nella sua Chiesa pronunciarsi con autorità sulla questione” [Cf. A. DEORITI, Ministeri ecclesiali e questione femminile. Non vi sarà né uomo né donna, in Il Regno Attualità 12 (2017) 365-379].
[27] SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Inter Insigniores. Dichiarazione circa l’ammissione delle donne al sacerdozio (15 ottobre 1976) Cf. www.vatican.va>cfaith>rc_con_cfaith_doc_19761015_inter-insigniores_it [ultimo accesso 7 novembre 2019]. [Motivazione per chiesa cattolica e ortodosse: sacerdozio femminile solo in alcune comunità ereticali, Cristo che pure ha avuto delle discepoli non le ha accolte nel gruppo dei Dodici, il presbitero è segno sacramentale del Cristo Capo, Pastore guida della Chiesa (figura maschile. Non è questione di rivendicazioni sociali ma di fedeltà alla volontà del Cristo, come emerge dalla testimonianza della storia della Chiesa. Per le Chiese evangeliche: il fatto Gesù non abbia chiamato le donne come apostolo non esclude che le donne oggi possano avere il ministero ordinato)]. GIOVANNI PAOLO II, Ordinatio sacerdotalis. Lettera apostolica ai vescovi della Chiesa Cattolica sull’ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini (22 maggio 1994) Cf. https://w2.vatican.va>content>john-paul-ii>apost_letters>documents [ultimo accesso 7 novembre 2019]. Ordinazione delle donne. «La Congregazione per la dottrina della fede, in risposta a un dubbio sull’insegnamento di Ordinatio sacerdotalis, ha ribadito che si tratta di una verità appartenente al deposito della fede»: l’afferma, in riferimento all’ordinazione sacerdotale riservata ai soli uomini, l’arcivescovo e neocardinale Luis Ladaria, prefetto della Congregazione, in un articolo pubblicato da L’Osservatore romano del 29 maggio intitolato «Il carattere definitivo della dottrina di Ordinatio sacerdotalis. A proposito di alcuni dubbi». L’articolo ricorda parole dette da Francesco durante il volo di ritorno dalla Svezia, il 1° novembre 2016: «Sull’ordinazione di donne l’ultima parola chiara è stata data da san Giovanni Paolo II, e questa rimane»[27].
di Lucia Antinucci
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