In questo momento drammatico, non solo per l’Italia, ma per tutta l’umanità, il percorso di fede e spiritualità delle varie religioni, costituisce più che mai un motivo di consolazione e di speranza, vivendo in un regime di massimo rigore che l’attuale situazione richiede responsabilmente, per prendersi cura della salute personale e di quella altrui. Le varie religioni hanno aderito alle normative del Governo italiano, esortando i loro fedeli a rispettarle in pieno, abolendo i momenti comunitari, intensificando, invece, la preghiera personale e famigliare. La tragedia della pandemia con i forti disagi che impone, porta le varie religioni a riscoprire i valori essenziali del proprio percorso, al di là dei riti e delle tradizioni, intensificando l’impegno per la solidarietà nei confronti di coloro che si trovano più nel bisogno. Evidenzierò il contributo di alcuni rappresentanti religiosi con la riflessione o meditazione, con i comunicati o messaggi, con i momenti di preghiera, anche interreligiosi. Evidenzierò infine alcune indicazioni circa il rito esequiale nell’attuale situazione di precarietà.
Spunti di Riflessione
La riflessione sul senso della vita secondo la Tradizione Mahayana del Buddhismo Tibetano, nell’attuale condizione di pandemia, afferma Amedeo Imbimbo (Comunità Sangha Rimé di Casavatore – Napoli), “suggerisce a noi praticanti della via del Buddha la riflessione e la meditazione su alcune nozioni fondamentali, che troviamo alla base di tutti gli insegnamenti, con lo scopo di operare un cambiamento di mentalità, per passare da una mentalità egocentrica, caratterizzata dall’attaccamento ai fenomeni mondani, a una mentalità di libertà rivolta verso il risveglio, operando un rovesciamento, un cambiamento di attitudine”. La riflessione di A. Imbimbo si sviluppa in base a quattro tematiche: Il dono prezioso della vita e il Dharma; ‘Tutto scorre’: l’impermanenza e la morte; La libertà di agire e il karma; la coscienza e i nostri stati esistenziali; il samsara, ovvero il ciclo della coscienza, ovvero gli stati esistenziali attraverso i quali passiamo continuamente, condizionati dalle nostre illusioni e dalle nostre passioni conflittuali. Egli conclude facendo riferimento alla compassione: “Sua santità il Dalai Lama ripete spesso: ‘Se la madre non ci desse il latte per compassione subito dopo la nostra nascita, non sopravviveremmo, non saremmo qui’. Siamo il prodotto dell’amore e della compassione e con la nostra bontà possiamo risolvere questa crisi. L’onestà e la sincerità rendono chiara la nostra mente. Così con la mente chiara si ha la saggezza con cui troveremo la soluzione per superare questa pandemia”.
La riflessione Baha’i – come affermato da Silvio Cossa della Comunità Baha’i della Campania – parte dall’affermazione del Báb (La Porta – Araldo e Precursore della Fede Bahá’í), secondo cui “Tutti gli uomini sono venuti da Dio e a Lui tutti ritorneranno…” , e dall’insegnamento di Bahá’u’lláh (La Gloria di Dio Fondatore della Fede Bahá’í): “Invero, noi siamo di Dio… Ed a Lui ritorniamo”. Bahá’u’lláh parla ampiamente della vera vita dell’umanità, che è una vita spirituale: “la vera vita non è della carne ma dello spirito” – Egli afferma -, “Poiché la vita della carne è comune agli uomini e agli animali, mentre la vita dello spirito è posseduta soltanto dai puri di cuore che hanno bevuto abbondantemente dall’oceano della fede e mangiato il frutto della certezza. Questa vita non conosce morte e tale esistenza è coronata dall’immortalità”. L’individuo, quindi, perirà nella sua parte materiale, mentre la sua anima raggiungerà “Mondi santi e spiritualmente gloriosi”. In molte preghiere – evidenzia Silvio Cossa – troviamo accenni a questi mondi spirituali: “…Disponi per me e per coloro che amo il bene di questo mondo e di quello avvenire. Concedi loro dunque il Dono Supremo che destinasti agli eletti fra le tue creature…”. Molteplici sono le implorazioni affinché la persona defunta possa accedervi: “…Concedigli di entrare nell’ambito della Tua misericordia trascendente che esistette prima della creazione della terra e del cielo […] Ti prego di non allontanare da Te questo spirito che è asceso a Te, al Tuo luogo celestiale, al Tuo eccelso paradiso, ai recessi della Tua intimità. O Tu che sei il Signore di tutti gli uomini. […] Fà che essi entrino nel giardino della felicità, purificali con l’acqua più pura e concedi loro di ammirare i Tuoi splendori sul Tuo più eccelso monte. […] Egli ha ora abbandonato questa vita mortale e si è alzato in volo verso il regno dell’immortalità, struggendosi per la brama d’ incontrarTi….ammettilo nel Tuo paradiso di gloria e perpetuane l’esistenza nel Tuo eccelso giardino di rose, sì che egli si immerga nel mare della luce nel mondo dei misteri”.
Riflessione di Rev. Li Xuanzong, Prefetto Generale della Chiesa Taoista d’Italia, che ha evidenziato che il dramma che sta vivendo l’umanità non è una punizione divina, ma fa parte dell’eterna lotta della vita, che va affrontata con la solidarietà e la spiritualità. “I colori accecano gli occhi degli uomini, / i suoni assordano i loro orecchi… / Perciò i saggi lavorano per il centro…”(Daode Jing , salmo12). / Sono travolto da immagini e voci. / Un bombardamento continuo da tutte le direzioni. / Che ottunde, ove capziosamente non voglia davvero ottundere, / La chiarezza della mente. / Bisogna andare al centro. / Sicuramente il coronavirus non è una punizione divina / perché secondo la nostra tradizione religiosa, / il Tao non ha emozioni/ né agisce nei nostri confronti per interesse o con interesse. / Per cui, secondo il Taoismo, non ci premia né ci punisce. /I virus sono esseri viventi e si comportano come tali. / E non dimentichiamoci che / anche in ciascuno loro risplende la scintilla divina./ Non sono buoni o cattivi. / Lo ripeto: sono esseri viventi che cercano di occupare uno spazio vitale. Esattamente come facciamo noi esseri umani. / Siamo circondati da milioni di virus diversi, dal primo all’ultimo giorno della nostra vita,/ eppure ci accorgiamo di questo
solo perché mette in pericolo, reale e imminente, la nostra esistenza. / Ma questa è l’eterna lotta per la vita delle vite, /una necessità omeostatica del tutto naturale, /come ben espresse il nostro Patriarca Liezi,
in cui è giusto difenderci. /È una guerra / e vincerà chi sarà in grado di mettere in campo
strategie e tattiche efficaci /per uccidere l’avversario. / Oggi è il sapere umano contro un’azione invasiva naturale. / Per questo ritengo che, in questo momento, /serve a ben poco /esprimere opinioni o rapportare posizioni ideologiche. / Ovviamente questo non toglie nulla alla Fede e alla speranza. /Ma credo che il tempo dell’intervento divino diretto, /che manda o ci scomputa piaghe, /sia parte fondante delle nostre certezze /ma non dell’attualità. /Quello che sta accadendo / forse è frutto di errori umani,
forse è una naturale evoluzione di un ceppo virale. / La vera causa rimane una incognita,/
almeno per noi persone normali, / e forse non la sapremo mai. /Ma qualunque sia stata l’origine, /non è il momento delle riflessioni /e poi che c’è da dire? /La situazione è tragicamente chiara. /
Non c’è niente da capire o chiarirci. / Poiché la divinità non c’entra in questa situazione,/a meno che non vogliamo credere a demoni della malattia, / inviati da Enti più alti o venuti fra noi motu proprio,/
bisogna solo prendere consapevolezza della situazione. / Che cosa possiamo fare?/
adattarci seguendo l’evolversi della situazione./Fare il nostro dovere di cittadini per protegger tutti. /Oggi, almeno pro tempore,/ il valore del singolo o di una singola comunità /deve esser messo da parte /per favorire e proteggere l’intera comunità umana. /Poi, come donne e uomini di Fede, dobbiamo pregare./ La preghiera non uccide certo i virus / ma sicuramente rende più forti noi esseri umani /che abbiamo la Grazia Divina della Fede. /Preghiera./Silenzio./Prenderci cura di noi stessi e degli altri. / È tutto qui”.
Una riflessione interreligiosa si è svolta domenica 29 marzo 2020 ad opera del gruppo interreligioso ‘Spirito di Assisi’ del Centro studi francescani per il dialogo interreligioso e le culture (CSFDIC), che ha organizzato un incontro via Skype, per confrontarsi fraternamente su a livello personale e secondo la propria tradizione religiosa o di spiritualità si sta vivendo questo periodo di isolamento a causa della pandemia. All’incontro hanno partecipato: Angela Furcas e Silvio Cossa di fede Bahai’, Maryam Rosanna Sirignano della Confederazione islamica della Campania, Luciano Tagliacozzo della Comunità ebraica di Napoli, Amedeo Imbimbo del Buddhismo tibetano (comunità Sangha Rimé), Luigi Vitiello del Buddhismo tibetano (comunità Dzogen), Maria Laura Chiacchio dell’Istituto Buddhista Soka Gakkai, Don Edoardo Scognamiglio, direttore del CSFDIC, Lucia Antinucci (CSFDIC), Michele Schioppa e Vincenza Moniello (CSFDIC). Dai vari interventi è emersa la convergenza della pluralità nell’unità. Nonostante la diversità delle esperienze umane, religiose e spirituali, è stata evidenziata la necessità della solidarietà universale per affrontare il dramma mondiale, dell’amore concreto compassionevole, testimoniando anche la fiducia e la speranza che proviene dal proprio percorso spirituale. Il gruppo si è dato appuntamento su Skype per domenica 26 aprile alle ore 17,00 sul tema previsto in base alla programmazione del Gruppo: ‘I giovani e la spiritualità secondo le varie religioni’.
Riflessione di Hocine Drouiche, algerino, imam di Nimes (Francia) e vicepresidente della Conferenza degli imam di Francia. Il coronavirus richiede solidarietà universale e farà avanzare la fraternità interreligiosa, mettendo a tacere i musulmani che sostengono idee estremiste, facendo prevalere, invece, la razionalità e la cultura dell’amore: “In presenza del virus, gli estremisti tacciono. Il momento – egli ha affermato – non è conveniente per un discorso strumentalizzatore. Ogni giorno la morte visita migliaia di persone e non fa alcune differenza tra gli esseri umani per il loro colore o la loro religione. Nei Paesi arabi, quartieri e città non sono mai stati puliti come ora. Molte persone si sono pentite non per condividere l’amore e la fede, ma per timore della punizione e paura del Signore. Gli stessi imam usano il virus per spaventare i giovani che non si sono ancora pentiti. Invece di coltivare la cultura dell’amore del Signore nei nostri cuori, riproduciamo gli stessi errori che ci hanno fatto tanto male per molti secoli. All’improvviso, il virus è divenuto il miglior imam delle società musulmane! Il virus che ha causato morte e scomparse è divenuto più forte dei versetti coranici e degli hadith del Profeta che insistevano sulla pulizia e l’igiene. Per diversi giorni musulmani, cristiani ed ebrei hanno pregato insieme e individualmente contro il virus senza alcuna protesta degli estremisti, tutti rivolgendosi allo stesso Dio e tutti con la paura dello stesso pericolo. Quanto è sorprendente? Come scopriamo per la prima volta che siamo davvero simili. Nessuno è migliore di un altro! Per molti musulmani, i discorsi degli imam devono essere rivisti! La crisi del coronavirus – sottolinea ancora l’imam di Nimes – ha risvegliato una ragione musulmana che è stata anestetizzata per lungo tempo e molti hanno iniziato a porre domande essenziali sull’Islam che ci hanno trasmesso per diversi secoli in modo violento e talvolta disumano. L’Islam, che è stato scritto durante tante guerre, mette i musulmani di fronte a una crisi di ragione. In Siria, Libano, Palestina, Giordania, Sudan del Sud, Egitto, Iraq, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e molti altri Paesi arabi, musulmani e cristiani hanno dimenticato i loro contrasti grazie al timore del virus. Dall’inizio della crisi, in questi Paesi si sono moltiplicate le azioni umanitarie comuni. Hanno concordato di mettere al primo posto la vita umana. Non era proprio lo scopo fondamentale di tutte le religioni monoteiste? La fondazione Syrie pour tous, presieduta dal franco-siriano Mohamed Izzet Khettab, ha aumentato le sue azioni umanitarie per riunire musulmani, ebrei e cristiani a Parigi, Bruxelles e Damasco per combattere il virus distribuendo pacchi alimentari, gel e mascherine alle famiglie anziane e vulnerabili. Nei quartieri e nelle periferie francesi, diverse associazioni cristiane francesi hanno fornito a migliaia di famiglie musulmane bisognose cibo e prodotti per l’igiene. Queste associazioni sono abituate a compiere queste azioni umanitarie nei confronti dei musulmani bisognosi in Francia e altrove. Se alcuni estremisti musulmani come altri non musulmani volevano porre fine al mondo, la crisi del coronavirus ha potuto ignorare le loro bugie. […] All’interno dell’Islam, molti hanno scritto che la sacralità, la purificazione e l’umanesimo non esistono solo tra i musulmani, che non devono più pensare di avere il monopolio della verità. Questo monopolio della verità – conclude l’imam di Nimes – è stato la causa principale del fanatismo islamista per diversi secoli: migliaia di cristiani, ebrei e persino musulmani sono stati vittime di questa dittatura oscurantista in nome di un Dio che invece doveva rappresentare l’amore e il perdono. Nonostante il danno che ha fatto, lo shock del coronavirus potrebbe essere utile all’interno dell’Islam per una maggiore umanizzazione e fratellanza umana in questo mondo”.
Consigli di Rav Adin Steinsatz agli ebrei per vivere la loro fede al tempo del Coronavirus : “A) Che ciascuno studi di più Torah, secondo le sue capacità e la sua posizione. Uomini, donne, fanciulli e fanciulle. B) Occorre incrementare il servizio divino, quello cui ottemperiamo nel nostro cuore, la preghiera. Quel che ci resta, sono la preghiera e la recitazione dei Salmi. Sia che comprendiamo fino in fondo quanto vi si dice, sia che non lo comprendiamo del tutto, con tutte le kavanot (intenti e intenzioni con cui si dice la preghiera) di Ari z”l (Ytzchaq Luria) o senza di esse. Questa è la sintesi di ciascuno degli ordini e delle disposizioni dei servizi divini con i quali serviamo il Signore. Forse conosciamo tutto ciò?! Forse lo comprendiamo?! Come disse Rabbi Shimshon di Kinon: “Io prego come un bambino”. Magari fossimo in grado di pregare in questa terribile circostanza come dei bambini! C) Occorre incrementare i nostri atti di benevolenza e di dedizione gratuita al nostro prossimo. C’è chi può dare solo un centesimo in aiuto ai bisognosi, che è un atto di giustizia sociale, e c’è chi può donare una grande somma. Non è solo chi ha un enorme capitale a poter fare della ghemilut chassadim (atti di benevolenza e di dedizione gratuita al nostro prossimo). Si può compiere un atto di giustizia sociale e di carità (tzedaqà) e un atto di benevolenza e di dedizione gratuita al nostro prossimo anche con l’aiuto fisico e psicologico a chi ci è accanto. Credetemi, anche solo sorridere a qualcuno, è già ghemilut chassadim”. 1 aprile 2020
Rav Jonathan Sacks, uno dei pensatori più influenti dei nostri giorni e già rabbino capo d’Inghilterra e del Commonwealth, ha rilasciato un messaggio di speranza – tramite un TedTalks – per un confronto consapevole con la crisi epidemica e lavorando per superarla. Rav Sacks, con riferimenti non solo all’ebraismo, ma anche alla cultura classica, inquadra la drammaticità dell’ attuale emergenza, senza mascherarne la gravità, e allo stesso tempo indica alcune vie da seguire per il futuro, per la ricostruzione, all’insegna della speranza e della bellezza. “Viviamo un tempo traumatico – evidenzia rav Sacks -; le persone stanno attraversano ogni dimensione della sofferenza, quella fisica, psicologica, economica, l’incertezza e l’ansia per il futuro, il non sapere quando questa pandemia durerà. Sono tempi difficili, viviamo un trauma collettivo”. E’ questo un periodo storico “davvero drammatico, davvero straordinario, non solo doloroso ma che segnerà la nostra storia e il nostro futuro. E quindi ci troviamo davanti a un grandissimo cambiamento storico” . Bisogna pensare al futuro non con ottimismo, che è ingenuo, ma con la speranza, che richiede coraggio e che spinge ad essere operativi. In questa situazione drammatica ci sono molti rischi per la società; per superarli “dobbiamo agire di conseguenza, lavorare insieme, con spirito di comunità”. Rav Sachs coniuga la tradizione ebraica con l’attualità politica; in questo momento la regione può donare molto conforto: “La preghiera sicuramente aiuta”, afferma il rav, consigliando in particolare di prendere in mano (o riprendere) il Libro dei Salmi. “Mi ha aiutato nei momenti di grande difficoltà. Quello, e sposare la donna giusta”. Sacks, per affrontare l’isolamento della quarantena, consiglia, riprendendo Nathan Sharansky, che per nove anni rimase fu imprigionato nell’ex Unione Sovietica come dissidente politico e per la sua attività sionista: “Uno. Focalizzati su cosa puoi controllare e non preoccuparti del resto. Due, mantieni sempre la tua mente attiva. Tre, non perdere il senso dell’umorismo. Quattro, pensa alla comunità, al gruppo di cui fai parte anche se non puoi fisicamente farne parte. Cinque, pensa al quadro più grande […]” . Un antidoto all’ ansia, spiega rav Sacks è la bellezza, come ad esempio la musica classica: “Ascoltando il quintetto per pianoforte di Schubert – afferma il rabbino britannico – si sente come lui riesce a trasformare il dolore in bellezza. Ti porta con lui in un viaggio”.
Riflessione di Luigi Vitiello (Buddhismo tibetano, Comunità Dzogchen di Napoli) sul tema ‘Il corpo e la morte nel Buddhismo’, in cui si sottolinea il distacco affettivo dal corpo quando perde la sua coscienza, mentre la situazione è diversa quando si tratta del corpo di uno yogi: “Il Buddhismo si è diffuso a partire dal V sec. a.C. dal nord dell’India in tutta l’Asia e poi nel resto del mondo. Nell’India di quel tempo, come ancora oggi, i rituali funebri prevedevano la cremazione del cadavere, ma la religione Buddhista ha mostrato in molti aspetti la capacità di adattare le sue forme e i suoi riti alla cultura dei paesi dove si diffondeva, per cui il trattamento del corpo dei defunti non ha indicazioni specifiche e segue le usanze del luogo. Nella visione Buddhista la nascita in un corpo umano è considerata preziosa perché offre alla coscienza una rara opportunità di evolversi verso la completa illuminazione; ma nel momento in cui, con la morte, la coscienza abbandona il corpo, questo perde ogni importanza. Quindi non bisogna conservare attaccamento verso il corpo fisico che ora è visto solo come materia in decomposizione: tutta l’attenzione si sposta sul percorso della coscienza, impegnata ad attraversare diverse fasi verso una successiva rinascita, durante le quali può essere aiutata e guidata con specifiche pratiche. Diversa è l’attenzione rivolta al corpo di uno yogi tantrico o a quello di un Maestro totalmente realizzato. Nella tradizione Vajrayana del Buddhismo tibetano e nello Dzogchen, lo yogi si allena a controllare i flussi energetici del corpo per sviluppare le più profonde capacità della mente ordinaria con il fine di risvegliare il riconoscimento della reale natura della nostra mente, lo stato del Buddha presente in ogni essere senziente: rig-pa in tibetano. In alcuni praticanti questo processo continua anche per alcuni giorni dopo che si è interrotto il respiro e il loro corpo resta nella posizione di meditazione conservando un tenue calore fino a quando il collo non si reclina, segno che indica la definitiva uscita della coscienza: fino a quel momento il corpo del praticante non deve essere disturbato. A volte – continua lo psicoterapeuta Luigi Vitiello – negli yogi più avanzati durante questa fase il corpo si riduce progressivamente di volume e nei monasteri del Tibet sono conservati alcuni di questi corpi, che divengono oggetto di venerazione similmente a quello dei santi nel Cristianesimo. Un segno di completa realizzazione è quello chiamato ‘corpo di arcobaleno’, che viene manifestato da alcuni praticanti dello Dzogchen. In questi casi lo yogi è in grado di integrare l’aspetto materico del corpo nella dimensione energetica della luce, per cui il suo corpo si dissolve completamente unendosi alla dimensione dello spazio o lasciando solo tracce di parti meno vitali come i capelli. Questo fenomeno, descritto per alcuni maestri del passato, si è verificato anche in tempi recenti, dopo l’occupazione cinese del Tibet, ed è stato documentato da alcuni autori. Un’accurata ricerca su uno di questi casi è stata pubblicata da Don Francis Tiso nel libro Rainbow Body and Resurrection”.
Paolo Ferrara della Comunità ebraica di Napoli, si è interrogato su ‘Come saremo quando tutto sarà finito?’, indicando alcune piste di riflessione in base alla sua competenza medica e alla sua saggezza umana e spirituale: “Stiamo vivendo una situazione UNICA che sta mettendo a nudo e ribaltando una serie di aspetti del modo di vivere che l’umanità ha acquisito in quasi 80 anni di benessere e assenza di guerre (almeno per il cosiddetto ‘mondo occidentale’). La ‘unicità’ della pandemia da Covid-19 su basa su almeno tre punti specifici: Interessa TUTTA l’umanità in ogni angolo del pianeta fino all’atollo più sperduto; Era una malattia che primitivamente interessava solo animali selvaggi, che ha fatto un salto di specie passando all’uomo; Il virus ‘cammina’ autonomamente in modo velocissimo ed è incontenibile da qualunque strategia difensiva fino ad ora immaginata dall’uomo. Questi tre paradigmi identitari del Covid-19, un esserino che è 38.000 volte più piccolo di 1 millimetro, che cosa ci possono insegnare? Innanzitutto che nessun essere umano, in nessuna parte del mondo – rileva P. Ferrara – si può ritenere ‘immune’ dall’essere contagiato. Se lo stesso problema interessa in modo uguale l’intera umanità, è ‘ovvio’ che tutti gli uomini devono concorrere INSIEME all’elaborazione di comuni strategie di salvataggio. Quindi non ha nessun senso alzare muri, chiudere frontiere, l’unico ‘muro’ che bisogna innalzare è quello tra contagiati e non contagiati che non è certo un muro identificabile con un confine nazionale o con una differenziazione tra gruppi sociali. Piuttosto servono manovre di contenimento e strategie coordinate a livello globale per evitare che il contagio possa creare ulteriori gravi differenziazioni tra gruppi di persone o tra nazioni, generando così ulteriori sacche di fragilità destinate a diventare aree di endemia e quindi di feed-back sia infettivologico che economico-sociale anche per le fasce di popolazione più agiate che vivono nelle nazioni più tecnologicamente avanzate. Quindi proprio il senso di Comunità e il reciproco soccorso devono diventare la base strategico-operativa per il contenimento di questo nemico invisibile. Vanno completamente rimodulati Ospedali e Servizio Sanitario sulla base di emergenze che possano coinvolgere contemporaneamente altissimi numeri di persone. L’Ospedale, di fronte ai grandi numeri in emergenza, mostra una specifica fragilità legata al livello massimo di accoglimento per cui è stato creato: se tale livello viene superato, il funzionamento del Sistema Ospedale diventa drammaticamente critico. Per evitare questi problemi l’Ospedale – sottolinea il cardiochirurgo P. Ferrara – deve essere inserito in un Sistema coordinato di gestione, diventando una Centrale (Hub) messa in rete con una serie di Strutture distribuite sul territorio (Sistema Hub/Spot) ciascuna delle quali, nel perimetro dei suoi compiti specialistici, deve essere in stretto rapporto colloquiale con l’Hub, con il quale condivide sia input che feed-back. In altri termini l’Ospedale deve fare rete con un Sistema territoriale, comprensivo anche di una rete di ricovero domiciliare, per i casi più semplici, capace di assorbire e filtrare i grandi numeri, che sia però capace di uno stretto controllo dei malati, anche mediante un diffuso uso delle tecnologie della Tele-Medicina. All’Ospedale in un Sistema Territoriale di questo tipo, devono immediatamente afferire solo i malati più gravi ed ad alto rischio, che necessitano di cure intensive o indagini tecnologicamente più avanzate e complesse, mentre viceversa tutti i malati trattati e migliorati devono venire riallocati, per il seguito della convalescenza, in specifici Spot territoriali per mantenere sempre il livello dell’Hub-Ospedale al disotto del livello di criticità. Questo significa che nel dopo Covid 19 in Italia si dovrà completamente rimodulare il Sistema Sanitario Territoriale e al contempo si dovrà anche profondamente rivedere il rapporto tra il Privato e il Sistema Sanitario Nazionale. Il Privato deve essere un aiuto per il Sistema Sanitario Nazionale, inserito in un progetto strategico comune, che abbia come principale orizzonte il miglioramento del welfare, e non un competitore che indebolisce il Sistema Pubblico, assorbendone, in modo non programmato, ingentissime risorse. La pandemia Covid 19 ha anche ampiamente dimostrato la fragilità delle filiere globali di merci, basate unicamente sulla equazione minor costo/maggior guadagno, li dove il minor costo viene essenzialmente ottenuto delocalizzando le produzioni in Paesi a tenore di vita più basso con costo della mano d’opera molto minore. Costo minore della mano d’opera, significa però anche minori diritti e tutele dei lavoratori. E’ difficile inoltre pensare che Paesi grandi e sviluppati come il nostro possano continuare ad accettare di importare la maggior parte dei presidi essenziali e delle forniture mediche vitali non avendone più una autonomia nazionale, per averne delocalizzato totalmente la produzione, e permettano che, nel momento dell’emergenza, una serie di ‘mediatori’ spregiudicati, approfittando dell’estrema debolezza dello Stato a causa dello stato di bisogno, trattino immense partite di merce di dubbia provenienza dettandone anche i prezzi ! Il fatto che dopo milioni di anni di presenza dell’Uomo sulla terra, questa sia la prima volta che questo virus sia venuto in contatto con la nostra specie è pure un fatto che ci dovrebbe indurre a riflettere. Infatti questo Corona virus, così come anche il virus dalla SARS, dell’Ebola o della MERS, erano delle Zoonosi, cioè dei virus presenti unicamente tra gli animali selvatici. L’Uomo, con la sua sistematica distruzione della Natura e l’inquinamento del Pianeta, ha generato un profondo sovvertimento dell’Habitat degli animali selvatici provocando così una loro drammatica progressiva riduzione, che, per molte specie è stata addirittura l’estinzione, e quindi questi virus, vedendo venir meno il loro storico substrato biologico, costituito dagli animali selvatici, si sono rivolti verso la specie di mammiferi più numerosa del Pianeta: l’Uomo !
Il Covid 19 ci dovrebbe aver anche insegnato che di fronte ad una emergenza di queste dimensioni e complessità, si dovrebbe mantenere sempre un atteggiamento collaborativo e propositivo, poiché vedendo e sottolineando solo le cose negative, specie dove esiste un sistema politico costituito da forze che sono conflittuali sempre e comunque… per preconcetto come in Italia, si finisce inevitabilmente preda delle bufale e dei complottismi. Invece l’emergenza epidemica specie se di questa portata, va affrontata con razionalità, prendendo ad esempio i Paesi pragmatici e rigorosi, come la Germania, che stanno gestendo questa terribile crisi con un livello di danno sicuramente minore. In questa tragedia, cercando di non farci sopraffare dal dolore e dalla rabbia, dovremmo cercare un’occasione di rigenerazione profonda. Un’opportunità per scoprire vicinanza e solidarietà. Non si è trattato di una “guerra” anche se la retorica dilagante ci ha propugnato questo paragone come un a vessillo. Nelle guerre il nemico va ucciso, e bisogna anche essere più veloce di lui, perché altrimenti a soccombere saremo noi. Qui, il nemico comune ci deve unire tutti come abbiamo anche imparato stando rinchiusi in casa al limite della detenzione, ma mettendo in atto lo slogan ‘Fai bene a te stesso e agli altri’. L’idea, di per se semplicissima – conclude Paolo Ferrara – ma socialmente rivoluzionaria, che, aiutando noi stessi, aiutiamo anche gli altri, deve mettere in moto un movimento sia razionale che emotivo atto a far crescere la solidarietà”.
Messaggi e Comunicati
Comitato Interfedi di Torino, costituito da rappresentanti della Chiesa Cattolica, della Federazione delle Chiese Evangeliche d’Italia (FCEI), della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni, della Chiesa Romena, dell’Unione Buddhista d’Italia, dell’Istituto Buddhista Soka Gakkai, dell’Unione delle Comunità ebraiche d’Italia (UCEI), dell’Unione Induista d’Italia, con presidente Valentino Castellani. Nel Messaggio del 15 marzo 2020 vengono espressi sentimenti di profonda partecipazione al dolore degli italiani, a causa dell’epidemia, e di massimo sostegno per coloro che sono impegnati a fronteggiare l’emergenza sanitaria e umanitaria: “Care concittadine e cari concittadini, noi membri del Comitato Interfedi della Città di Torino, rappresentanti di otto confessioni religiose sul territorio, ci uniamo alla sofferenza della collettività e siamo solidali con tutti coloro che patiscono per l’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus: una minaccia senza precedenti che mette a dura prova la nostra società e la nostra civiltà. Esprimiamo il nostro cordoglio ai familiari di coloro che purtroppo non ce l’hanno fatta a vincere la malattia. Esprimiamo il nostro sostegno a favore di tutti gli ammalati che tuttora combattono per la salute e per la vita e preghiamo per la loro pronta e completa guarigione. Esprimiamo il nostro plauso e compiacimento a tutto il personale medico e paramedico, alla Protezione Civile e ai numerosi volontari impegnati giorno e notte nelle strutture predisposte sul territorio nazionale a fronteggiare l’emergenza, nello sforzo supremo, costante e improbo di salvare vite umane. Esprimiamo la nostra solidarietà fraterna a tutti coloro che hanno perduto il lavoro per effetto dell’emergenza e hanno comunque risentito della crisi sotto il profilo economico. Esprimiamo il nostro supporto morale a coloro che si trovano isolati in quarantena e sono in attesa di un responso sulle loro condizioni di salute. Esprimiamo la nostra vicinanza a coloro che per motivi più che giustificati avevano lasciato l’Italia prima dell’emergenza e ora si trovano nell’impossibilità di fare rientro a casa per via della sospensione dei collegamenti con molti paesi esteri. Esprimiamo infine la nostra comprensione per i disagi imposti a tutti noi che subiamo limitazioni nei nostri movimenti. A fianco della Sindaca e delle istituzioni ribadiamo l’invito a fare nostre le disposizioni del Governo nazionale a tutela della salute pubblica, a rispettarle e osservarle. Ci appelliamo al senso di responsabilità di ciascun cittadino affinché si munisca della massima prudenza e pazienza. Molti si riuniscono a pregare vicini nel cuore, ma distanti restando nelle proprie case; ognuno lo fa a suo modo, ed è per questo che come Comitato Interfedi vogliamo rivolgere le nostre preghiere, nei diversi linguaggi propri di ciascuno di noi, uniti mai come ora per avvolgere tutti in un abbraccio di speranza e di luce, sulle note di un coro di voci che si elevano al Divino. Il nostro Paese sta dando prova di grande maturità e sicuramente saprà superare degnamente questo difficile periodo in uno spirito di rinnovata solidarietà. “Il Giusto cade sette volte, ma poi si rialza” (Proverbi 24,16). Siamo certi che l’Italia risorgerà più forte, più rigogliosa e più bella che mai. Un caro saluto fraterno e un augurio di bene e salute a tutti”.
Il Principe El Hassan Bin Talal di Giordania il 23 marzo ha rilasciato un lungo e articolato videomessaggio in cui ha sottolineato la necessità della solidarietà e del risveglio della coscienza umana: “Quella che stiamo affrontando in questo momento, a livello mondiale, in termini di impatto umano, sociale ed economico, a causa della diffusione della pandemia Covid-19, è una sfida per verificare come il concetto di cittadinanza attiva sia radicato in ognuno di noi. Allo stesso modo, questa sfida costituisce una prova della nostra capacità – ha evidenziato il Principe – di superare i nostri limiti e ampliare il concetto olistico del significato di armonia collettiva, di solidarietà, di cooperazione e soprattutto della capacità di resilienza dell’individuo; strumenti che servono per interagire i problemi della propria comunità, del proprio Paese e della società umana alla comprovata necessità di cercare di costruire un mondo sociale caratterizzato dall’efficienza e la partecipazione personale e interazione con gli altri. Ciò che stiamo affrontando è una nuova guerra mondiale a tutti gli effetti, il cui nemico è una pandemia che sta colpendo 159 Paesi nel mondo. Perciò, dobbiamo fare delle profonde riflessioni e chiederci se la vera epidemia stia di fronte a noi oppure alle nostre spalle. Sarà possibile, in questo contesto così specifico, cogliere la dimensione più globale e ampia di questa sfida, e quindi affrontarla, con la massima serietà e pazienza, avvalendosi degli strumenti necessari per superare non solo questa crisi, ma anche quelle future, per uscirne più forti di prima? Le risposte a simili domande – ha continuato El Hassan Bin Talal – devono basarsi sull’intuizione nella quale la responsabilità umana e morale sono requisiti di un forte impegno, mano nella mano, nel prossimo periodo, al fine di sensibilizzare e di promuovere i valori fondamentali che costituiscono l’essenza della nostra umanità. Mi riferisco in particolare alla misericordia, alla compassione, al rispetto reciproco e alla condivisione. È assolutamente necessario massimizzare lo spirito collettivo, inteso come il ‘weness’ (collettivismo), la pluralità e confermare il concetto collettivo che si identifica con il pronome ‘noi’, quindi posizionando il bene comune sopra l’individualità dell’io. Non c’è modo di affrontare questa tematica, se non attraverso – ha sottolineato il Principe di Giordania – l’intraprendere una vera azione collettiva che vada oltre il semplice ‘augurio’ per affrontare direttamente le ripercussioni di questa pandemia globale, lasciandoci guidare dalla ragione e dalla saggezza, prestando aiuto e assistenza con tutti i mezzi e le risorse disponibili, con il fine di difendere la dignità umana. La nostra solidarietà con gli altri, come la compassione per gli ammalati e gli afflitti, deve inoltre nascere dalla nostra indole umana e dal nostro senso civico, così com’è espresso nello hadith del Profeta Maometto: ‘I credenti, nel loro amore, misericordia e benevolenza gli uni con gli altri sono come un corpo: se qualunque parte è malata, il corpo intero condivide l’insonnia e la febbre’ (narrato da al-Bukhari e da Muslim). L’intera umanità deve unirsi, coordinare i suoi sforzi – ha continuato El Hassan Bin Talal – e condividere le informazioni e il sapere per uscire da questa catastrofe che colpisce tutti noi senza distinzione alcuna tra ricchi e poveri, tra giovani e anziani, né tra etnie, razze e credenze. Tutti noi siamo in pericolo davanti a questa epidemia che si diffonde in maniera rapida e indistinta e, anche se il progresso scientifico e medico sta avanzando fortemente e si pone al servizio della società, l’unica soluzione per qualsiasi crisi inizia dalla presa di coscienza degli uomini, dalla solidarietà e dal consolidamento del principio della sicurezza democratica. Questi momenti sorprendentemente eccezionali rappresentano un’opportunità per essere umili e riconoscere i nostri limiti in quanto esseri umani, e la necessità di condividere lo sforzo per il bene comune ed il beneficio di tutti. Conseguentemente, sorge evidente l’importanza del consolidamento e del coordinamento tra le diverse reti ed entità, così come è importante mobilitare tutte le nostre energie in una comunicazione efficace e funzionale, il buon comportamento e il massimo impegno, nel quadro nazionale, sia esso pubblico, sociale o individuale, con lo scopo di creare solide dinamiche di interazione e ristabilire la fiducia tra il pubblico e i funzionari statali e non. Nel contesto della gestione della crisi, è necessario ricordare che dobbiamo affrontare questa situazione di instabilità in termini di idee e vuoto morale, le quali cause e ragioni devono essere affrontate attraverso la massima interazione delle sedi universitarie, centri di studio, sindacati, organizzazioni professionali e tutti gli enti della società civile. Dobbiamo inoltre avere il dovere di imparare dal prossimo e prendere spunto dalle sue lezioni e dalle sue esperienze, mentre riconsideriamo quello che abbiamo ottenuto e acquistato, con il fine di riflettere di più sull’altro, e di renderci conto dell’importanza di ciò che stanno facendo le istituzioni internazionali per enfatizzare la conservazione dell’identità e l’impegno al lavoro collettivo. Tuttavia, questo non ci esclude dal domandarci a che punto siamo con la fondazione di una banca regionale di ricostruzione post-guerra e dal progetto di una organizzazione globale della zakat [l’elemosina islamica] e la solidarietà umana. In questo caso, la zakat si intende con il contributo e l’offerta di un servizio umanitario destinato a tutti. E come disse Dio nel Corano: ‘O uomo che aneli al tuo Signore, tu Lo incontrerai!’ (Al-Inshiqâq, 6), troviamo il Creatore avvicinarsi dolcemente ed amabilmente all’essere umano, chiedendogli di operare seriamente e responsabilmente, poichè la religione è al servizio dell’intera umanità. Ciascuno di noi – ha continuato il Principe di Giordania – è membro del mondo umano, nel quale abbiamo diritti e doveri che definiscono e determinano le nostre costituzioni e le nostre responsabilità, secondo il principio dell’uguaglianza. Inoltre, le radici della civiltà umana si definiscono attraverso la continua dinamica comunicativa che muove le relazioni umane in maniera organica e olistica. Negli ultimi due secoli, le migrazioni di massa hanno provocato un grande numero di espatriati arabi nelle Americhe, una misura equivalente circa alla metà della popolazione totale del mondo arabo e, nonostante ogni generazione possa pensare di affrontare un evento senza precedenti, la storia continua, si ripete, e ci insegna che questo non è vero. Da un punto di vista storico, siamo figli dell’esperienza umana civilizzata e non siamo isolati dai nostri compagni, bensì allacciati e connessi al resto dell’umanità. Spesso confondiamo questo concetto di comunicazione quando ci consideriamo un’estensione dell’Asia, o dell’Europa, così come la nostra estensione (in termini di identità) non si limita all’Oriente e all’Occidente, che può anche considerarsi un’estensione di noi stessi”.
Dal tema della solidarietà il Principe è poi passato a quello della spiritualità e dell’importanza dell’azione educativa, alla soluzione dei problemi sociali: “Il nostro obiettivo è quello di cercare la pace interiore, in noi stessi e tra di noi. Tuttavia, la pace non significa solamente l’assenza di guerra. In altre parole, la pace implica anche uno stato di rinascimento e illuminazione. L’esempio dell’Unione Europea basata sulla pace ci presenta in tal caso un argomento a favore dell’importanza di un approccio pacifico. Ci dobbiamo chiedere legittimamente: Come ci riprendiamo dalle nostre sciagure? La risposta ci arriverà solo attraverso l’attivazione di un equilibrio che sia la base di una profonda riflessione e della volontà, perché le idee sono più importanti del denaro. Possiamo forse applicare questo concetto ai nostri giovani che migrano a centinaia di migliaia verso diversi Paesi? Come possiamo dare ai giovani un reale significato alla vita? Come affronteremo le tre sfide che sono i disastri di natura antropica, le guerre, e i disastri naturali (come la desertificazione e la siccità) e l’urbanizzazione incontrollata? Questi possono essere già considerati fattori sufficienti per rivalutare le nostre priorità. Quindi, è necessario rivoluzionare il modo di pensare, cercando nuovi poli della bussola che siano in linea con la costruzione di un ponte tra partecipazione scientifica e pratica, con l’educazione, con i nostri dintorni spaziali, umani e geografici a cui ci riferiamo sono i giovani che risiedono fuori e dentro il Paese, per la quale la fusione tra le scienze naturali ed umane sono quello che costituiscono un avanzamento importante nella nostra comprensione nel costruire un sapere condiviso e promuovere la ricerca scientifica e il pensiero scientifico critico. In questo senso, dovremmo riconoscere che la pressione morale dei giovani è accettabile nel contesto dello sviluppo intellettuale e del valore per sviluppare programmi educativi e programmi di salute preventiva ancora prima che una cura. Inoltre, è necessario impegnarsi e lavorare per rendere più umani i nostri spazi, e meglio sviluppare gli effetti del quadro delle intenzioni sublimi della religione. E da qui possiamo parlare di codici di condotta e solidarietà morale nelle ampie aree di interesse e di larghi benefici. Non ci sono dubbi sul fatto che le priorità non possano essere unicamente legate al contesto economico, come sta succedendo in alcuni Paesi, bensì è necessario pensare attentamente e avere come priorità la dignità umana. Oltre alla dimensione morale di questa crisi medici, pazienti e cittadini devono affrontare questa grave crisi come un esame, una prova – e allo stesso modo – aiutare a costruire società più immuni, che resistano a malattie e virus che potrebbero attaccare in futuro l’intero globo. Bisogna inoltre lavorare per sviluppare meglio una visione umana, orientata verso la scienza e la tecnologia che richiede di soddisfare le necessità dei poveri, degli emarginati sociali e in senso lato delle classi più deboli dei servizi e i prodotti come una priorità assoluta. Inoltre, non dobbiamo dimenticare l’importanza di costruire una ‘immunità psicologica’ e migliorare il livello di offerta dei servizi per la salute mentale, l’appoggio sociale per proteggere noi stessi e gli altri. L’integrazione armoniosa del corpo, la mente e l’ambiente circostante è la chiave per costruire una società più sana e sicura”.
I mezzi virtuali, ha sottolineato il Principe di Giordania sono efficaci per trasmettere la fede e i grandi valori umani e spirituali: “Nel contesto dell’attivazione della comunicazione per via di mezzi elettronici e l’incontro virtuale che aiuta a mitigare gli effetti di questa crisi, è necessario lavorare con tutti i mezzi tecnologici per diffondere la speranza e ricordare l’efficacia della fede che massimizza e rafforza le nostre credenze e la nostra umanità, anziché diffondere false notizie, pettegolezzi, retorica propagandistica e diffamazioni contro la sofferenza e il dolore del prossimo. Le eccezionali circostanze avverse, le quali purtroppo legittimano la riduzione dei diritti fondamentali, delle libertà costituzionali e del principio di sovranità dello stato di diritto e legale, anche se implementati correttamente in circostanze normali, non possono essere pienamente garantiti quando si è fondamentalmente in uno stato generale di pericolo. Di conseguenza, in primis, deve prevalere il bene comune per salvaguardare l’integrità degli individui considerati come membri della collettività pubblica, in maniera che si possa ritornare alla sfera della legittimità e della normalità, una volta cessata la crisi. Ripongo molta speranza nella nostra capacità di superare questa crisi e credo fermamente che il nostro futuro dipenda non solo dalla scoperta e dal progresso scientifico per risolvere i nostri problemi, ma anche dal capire che lo sviluppo scientifico debba essere diretto verso il bene e il benessere dell’umanità, ed essere la base degli sforzi innovativi e dello sviluppo. È necessario anche credere nella capacità delle persone e delle loro doti di resilienza per incorporare la nostra capacità di resistere, ricostruire e rinnovare, lontani da qualsiasi divergenza che possa dividerci e indebolire la coesione sociale. Era necessario – ha affermato il Principe concludendo il suo video messaggio – avere una forte scossa per svegliare la nostra coscienza umana e che ci facesse uscire dall’illusione della dominazione e della supremazia, unita al sentimento ingannevole dello sfruttamento del prossimo e del trascuramento della morale umana. Questo è un momento storico nel quale i timori, le speranze e i sentimenti di umanità hanno unito le nostre preoccupazioni creando così un destino comune. Prestando attenzione alla storia, è chiaro osservare che è attraverso il rinascimento e l’illuminazione che possiamo evitare di ritornare agli angoli dell’annientamento, com’è stato per alcune civiltà antiche. E qui ribadisco che la Storia è una saggia guida al cambiamento quando l’uomo riforma il suo essere in maniera adatta alla sua situazione, alla sua vita e al futuro della sua umanità”.
Lo sceicco Ahmad Al-Tayyeb, Grand Imam di al-Azhar, il 30 marzo 2020 in diretta TV, ha rilasciato questo messaggio: “Esprimo la solidarietà di Al-Azhar a tutti i Paesi e tutti i popoli del mondo che stanno combattendo la diffusione di questa epidemia”. Sostenere coloro che in queste ore stanno dando soccorso alle vittime e aderire ciascuno personalmente e con responsabilità alle regole del contenimento dell’epidemia sono “un dovere religioso e umanitario, ma anche un’applicazione pratica della fratellanza umana”. Il Grande Imam ha così continuato: “Il mondo oggi vive in un grande terrore e in un’angoscia intensa, a seguito della rapida diffusione dell’epidemia di Coronavirus, che ha causato il contagio e la morte di centinaia di migliaia di persone e ha travolto il corso della vita normale in tutto il mondo. In queste dure condizioni, Stati, popoli, individui, istituzioni, ciascuno di noi, tutti abbiamo la responsabilità di fare la nostra parte nella lotta contro questa epidemia, contenendola e proteggendo l’umanità dai suoi pericoli”. Al-Tayyeb ha ricordato “con grande orgoglio e apprezzamento, gli enormi sacrifici che stanno facendo medici, infermieri e tutti gli operatori sanitari, coloro che rischiano la loro stessa vita per affrontare questa sfida per l’intera umanità”. Questi grandi sforzi fanno sperare di poter sconfiggere questa epidemia. Ma “il nostro successo in questa battaglia” – ha aggiunto il Grand Imam – dipende principalmente dalla nostra determinazione” a seguire con “risoluta decisione” e “rigore” le regole che le autorità competenti hanno previsto come la cura dell’igiene personale, l’adesione alla distanza sociale e a rimanere a casa, la sospensione delle preghiere del venerdì e dei gruppi, con l’impegno però a svolgere la preghiera nelle case senza radunarsi. Tutti questi insegnamenti e altri – sia in Egitto che in qualsiasi altro Paese – “sono imperativi legali” e non attenersi a queste regole è, secondo anche la legge islamica, “un peccato”.
Il messaggio del Grande Imam si conclude con l’auspicio che la comunità scientifica, studiosi e ricercatori, trovino al più presto un trattamento per la cura di questo virus ed ha espresso una preghiera al Dio Misericordioso: “Questo è il mio messaggio ai nostri fratelli che sono stati colpiti dal Coronavirus in Egitto e in tutto il mondo: siamo con voi con i nostri cuori e le nostre suppliche. Preghiamo Dio – Gloria sia a Lui – perché dia a tutti una pronta guarigione e accolga tutti coloro che sono morti a causa di questa malattia, dando alle loro famiglie e ai loro cari pazienza e conforto”.
Comunicato dell’Unione Induista Italiana in cui si invitano i fedeli a restare a casa, ad evitare gli assembramenti, ad essere solidali con il personale medico e con tutti coloro che si stanno prodigando per gli altri; nello stesso tempo si esorta ad organizzarsi per la preghiera in casa, allestendo nelle proprie abitazioni le puja room per le preghiere domestiche: “Namasté in questo momento così delicato per il nostro Paese, l’Unione Induista Italiana è vicina a chi soffre e a chi sta dando il massimo per risolvere la situazione, in primis il personale medico e le forze dell’ordine. È necessario attenersi scrupolosamente a tutte le indicazioni date dal Governo italiano, quindi limitare gli spostamenti non strettamente necessari e rispettare la sospensione delle celebrazioni religiose nei luoghi di culto. Lanciamo sull’onda di #iorestoacasa l’iniziativa #iopregoacasa, che ci auguriamo venga applicata con intelligenza e responsabilità da tutta la comunità induista italiana fino alla fine di questa emergenza”.
I cristiani e gli ebrei di Panama, il 30 marzo in un video messaggio, hanno testimoniato la loro unità, sottolineando la necessità di uno sforzo comune. Hanno invitato la popolazione a restare a casa per fermare la pandemia del Covid-19, che nel Paese dell’istmo sfiorava già i mille contagi, con 24 decessi: un dato che poneva il Paese al quinto posto in tutta l’America Latina (e largamente al primo in America Centrale) nella triste ‘classifica’ dei casi di coronavirus. L’arcivescovo di Panama, mons. José Domingo Ulloa Mendieta, mons. José Agustín Ganuza, vescovo emerito della prelatura di Bocas del Toro, e il rabbino Gustavo Kraselnik della Congregazione Kol Shearith Israel, nel videomessaggio hanno chiesto agli ebrei, cristiani, ai cattolici, ai credenti e non credenti di sentirsi tutti fratelli, legati l’un l’altro. Nel videomessaggio è stato evidenziato che gli ebrei e i cristiani si uniscono nella fede e nell’unico Dio e nella preghiera, invitando, nel contempo, il popolo panamense a usare il tempo dell’isolamento per riflettere e dare valore alle persone vicine, rimanendo a casa. L’arcivescovo di Panama ha ribadito che “Dio non disprezza mai un cuore contrito e che siamo guerrieri del Signore, non siamo un popolo che ha paura, siamo un popolo che ha fede”.
I leader della religione ebraica e delle varie confessioni cristiane, sempre il 30 marzo, si sono riuniti per dare un messaggio di speranza alla popolazione, attraverso un videomessaggio girato in Plaza Independencia, a Montevideo a causa della pandemia. L’arcivescovo di Montevideo, il cardinale Daniel Sturla, ha invitato a guardare oltre e a essere uniti “di cuore in cuore”. Il gran rabbino della Comunità ebraica della capitale, Max Godet, ha ribadito con forza l’indicazione di rimanere a casa e di seguire le indicazioni delle autorità, invitando nel contempo a valorizzare la famiglia. Daniel Genovesi, vescovo della Chiesa anglicana dell’Uruguay ha evidenziato: “Vi invitiamo a fare gesti di amore compassionevole e utile”. Il rabbino della Nuova Congregazione Israelita dell’Uruguay, Daniel Dolinsky, ha espresso gratitudine per il personale sanitario e coloro che stanno lavorando in questo momento drammatico. Ha proseguito aggiungendo: “La notte oscura finirà, la luce arriverà e godremo di nuovo la vita”. Pedro Lapadjian, pastore della Chiesa evangelica armena, si è concentrato sulla preghiera e sul dialogo con Dio, che perdonerà i peccati e guarirà la terra. Il vescovo Arturo Fajardo, presidente della Conferenza episcopale dell’Uruguay, ha espresso una preghiera e un augurio di pace.
L’Unione buddhista italiana il 17 marzo ha comunicato di avere stanziato tre milioni di euro come sostegno immediato a chi è impegnato a contrastare la diffusione del Covid 19, chiarendo che un milione e mezzo saranno inviati subito alla Protezione civile. L’altro milione e mezzo sarà destinato a un fondo speciale emergenziale per le organizzazioni del Terzo settore per il sostegno e la vicinanza ai più fragili, monitorando le urgenze e le richieste in coordinamento con le varie organizzazioni che operano sul territorio. “ “Siamo fiduciosi – si legge nel comunicato – che in questo periodo di prova ch stiamo vivendo rafforzerà appieno lo spirito di apertura di tutti noi e come buddhisti sentiamo forte l’invito a tradurre in azioni la compassione verso l’altro”.
Preghiera
La Confederazione Islamica Italiana (CII) e la Grande Moschea di Roma si sono unite alla preghiera del papa del 25 marzo. Il presidente della CII, Mustapha Hajraoui, con il Centro islamico culturale d’Italia (noto come la Grande Moschea di Roma) ha invitato venerdì 27 marzo “tutti i fedeli musulmani d’Italia ad invocare Iddio l’Altissimo e Misericordioso unendosi tutti insieme spiritualmente e volgendo un compassionevole pensiero ai malati e ai defunti” a causa della terribile pandemia.
A Gerusalemme, sempre il 25 marzo, rappresentanti del Rabbinato, dell’Islam e di altre religioni, del patriarcato latino e di quello ortodosso, l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, si sono ritrovati al municipio della Città Santa per recitare una preghiera ciascuno secondo la propria tradizione per invocare la fine della pandemia. Presente l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme.
Anche il Libano il 25 marzo ha raccolto l’appello lanciato da Papa Francesco che ha chiesto a tutte le Chiese del mondo di unirsi nella preghiera. A Beirut, a causa della pandemia, cristiani e musulmani libanesi hanno celebrano in privato l’Annunciazione, dichiarata nel 2010 festa nazionale comune islamo-cristiana. Il segretario generale Nagi el-Khoury, incaricato di seguire il dossier islamo-cristiano per il presidente della Repubblica, in un comunicato ha sottolineato che nel contesto dell’emergenza planetaria, il richiamo ad unirsi “assieme attorno a Maria” che da sempre anima la festa deve essere collegato “alla preghiera del Padre Nostro”. La cerimonia che caratterizza la festa nazionale dovrà svolgersi quest’anno, anche all’interno del Parlamento, dopo le commemorazioni al Palazzo presidenziale e al palazzo del Gran Serraglio. La Fondazione Adyan, all’insegna dello slogan ‘Insieme… ma a distanza’ ha invitato le diverse fedi ad unirsi alla celebrazioni per l’Annunciazione, accendendo alle 19 una candela sul balcone delle loro case e recitando una supplica comune, per chiedere a Dio e alla Vergine Maria di aiutare il Libano in questo momento di prova.
Tefilla del Rav Adin Steinsatz al tempo del Coronavirus
“ ‘E prima che essi invochino, Io avrò già risposto; mentre ancora parlano, Io avrò dato ascolto’ (Isaia 65:24) /Sovrano dell’universo, Padre di misericordia, Signore della giustizia: / Abbi pietà e salva i Tuoi figli e i Tuoi fanciulli che dimorano nel Tuo mondo, /quel mondo che hai creato con amore incondizionato. / Salvali da un nemico invisibile, riscattali dalla morte, proteggili dalla minaccia. / Invia la Tua luce ad illuminare il cuore spezzato degli orfani e delle orfane, dei padri e delle madri, degli uomini e delle donne che hanno perso i loro cari. / Guarisci completamente i malati e i contagiati, quanti respirano con l’aiuto delle macchine, coloro che sono in isolamento e in solitudine, dai forza ed energia, speranza e prospettiva al Tuo popolo, alla Tua terra, al Tuo mondo. /Sovrano dell’universo, dai intelletto e comprensione ai popoli affinché rimuovano dal loro cuore in questo tempo l’ostilità per il prossimo, invia la luce della Tua intelligenza al cuore di quanti credono alle menzogne, illumina gli occhi degli ingenui che credono a complotti inesistenti, invia lo spirito della giustizia sociale e del retto giudizio in questo Tuo mondo, aiuta gli esseri umani a costruire e a piantare, ad aiutare quanti soffrono veramente, a raddrizzare le vie di questa Terra, a trovare una guarigione completa per il Tuo popolo, la casa d’Israele, in ogni luogo, e per i Tuoi figli in tutto il mondo. / Padre di misericordia, fedele al Tuo patto, è già venuto il momento che Tu mandi al Tuo mondo un annuncio di salvezza e di redenzione. /Consola tutti i Tuoi figli, dai loro pace, benedicili, invia loro luce e felicità”.
A Firenze, il 3 aprile in Piazza della Signoria deserta a causa della situazione pandemica, sull’arengario di Palazzo Vecchio, ha avuto luogo la preghiera cattolica, ebraica e islamica, per invocare salute e conforto in un momento di sofferenza, a cui hanno partecipato l’arcivescovo il card. Giuseppe Betori, il rabbino Gad Fernando Piperno, e l’imam Izzedin Elzir. La preghiera è stata promossa dal sindaco Dario Nardella “nel segno della storia e della vocazione di Firenze – come ha dichiarato – al dialogo interreligioso”. Il card. Betori ha affermato introducendo la sua preghiera: “Vedo nel ritrovarci insieme di tre religioni legate in modo diverso alla eredità di Abramo un legame così caro alla visione religiosa e politica del sindaco Giorgio La Pira, un messaggio di unità che le fedi offrono all’intera società fiorentina, che solo in una responsabilità condivisa potrà trovare la strada per vivere il tempo dell’emergenza, con le fatiche che comporta, e poi quello di un futuro nuovo, che o sarà assieme o non sarà”. Il rabbino ha pregato con alcuni salmi e l’imam ha letto alcune sure del Corano; ciascuno ha concluso con una preghiera di invocazione. Al termine della preghiera, l’arcivescovo, il rabbino, l’imam e il sindaco hanno acceso con i loro ceri la fiamma unica di un braciere, come “segno di luce e speranza per tutta l’umanità”.
Riti esequiali e pandemia
“Per il Buddismo di tradizione tibetana – come ha affermato Luigi Vitiello – non c’è nessun vincolo [per il rito esequiale], anche se si preferisce la cremazione. Di solito si seguono le norme del luogo in cui si vive. Una volta che la coscienza ha lasciato il corpo di una persona, esso [il corpo del defunto] viene ritenuto [dal buddhismo] come materia senza valore e verso cui non bisogna provare attaccamento. Il corpo di un Maestro illuminato, invece, viene considerato come il corpo di un Buddha”.
La fede Baha’i prescrive delle norme riguardo al rito esequiale. Il corpo – rileva Silvio Cossa – deve essere sepolto, non cremato. La cerimonia funebre deve essere estremamente semplice, che consiste nella recita di una preghiera congregazionale da leggersi prima della sepoltura, eventualmente accompagnata da una selezione di Scritti Bahá’í. Il del defunto corpo non deve essere trasportato a più di un’ora di viaggio dal luogo del decesso; lo spirito della Legge è in sostanza che sia sepolto vicino al luogo del decesso. Dopo la recitazione della preghiera specifica e degli altri Scritti, la bara viene inumata e “il defunto deve essere sepolto con il viso rivolto verso la Qiblih”, il luogo dove è sepolto Bahá’u’lláh, in Terra Santa, a Bahji nella città di Akká in Israele. Riguardo alla preparazione del corpo per la sepoltura l’insegnamento del Báb è il seguente: “Essendo la forma materiale il trono dell’intimo tempio, questo risente tutto ciò che accade a quella. In realtà chi si rallegra nella gioia, o nel dolore si rattrista, è l’intimo tempio del corpo, non il corpo stesso. Essendo questo il trono su cui è assiso l’intimo tempio, Dio ha disposto che se ne prenda la massima cura, sì che non ne abbia a provar nulla che possa cagionare ripugnanza. L’intimo tempio vede la propria forma materiale, che ne è il trono. Così, portando rispetto a questa, è come se ne fosse oggetto quello; altrettanto dicasi in caso contrario. Pertanto, è stato ordinato che alle salme sia reso il massimo onore e rispetto”. Il corpo, prima di essere messo in una bara di legno duro di buona qualità, viene accuratamente lavato, poi avvolto in un sudano bianco di seta o di cotone e al dito viene messo un anello con l’iscrizione: “Sono venuto da Dio e a Lui ritorno, distaccato da tutti tranne che da Lui, tenendomi stretto al Suo nome, il Misericordioso, il Compassionevole”. Non avendo la Fede Bahá’í ministri di culto – sottolinea Silvio Cossa – o officianti per il rito funebre, la cura della cerimonia è deputata all’istituzione dell’Assemblea Spirituale Locale, che è un organo al tempo stesso amministrativo e spirituale, previsto dagli scritti Bahá’í, unitamente ai familiari del defunto. I credenti bahá’í hanno il dovere di attenersi alle leggi dello stato in cui risiedono.
I Sapienti della Comunità islamica europea e internazionale hanno emanato disposizioni speciali su come svolgere i riti funebri e le sepolture islamiche in seguito all’emergenza pandemica del Covid 19. La Comunità religiosa islamica italiana (COREIS) ha dato l’indicazione di seguire le regole del Tayammum (abluzione sacca), in sostituzione di Ghusl (abluzione con acqua), con obbligo per chi esegue il rito di indossare dispositivi di protezione individuale. Nel caso in cui in cui il defunto giunga nell’edificio preposto alla purificazione in un sacco mortuario o in una bara, “per evitare la diffusione dell’infezione, il defunto non dovrà essere rimosso da queste ultime, né sacco mortuario, né bara potranno essere più aperte”. Per la preghiera bisogna rispettare le disposizioni vigenti del Governo italiano. Il COREIS ha stabilito che l’orazione sarà svolta da un solo imam con un solo membro della famiglia, mantenendo le distanze di sicurezza e adottando le misure precauzionali.
Yassine Lafram, presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia (UCOII), martedì 24 marzo ha segnalato una situazione drammatica nel comune di Pisogne in provincia di Brescia, dove una famiglia musulmana è stata costretta a stare nella propria abitazione da una settimana con la madre, morta il 18 marzo, chiusa in una bara in casa. Questo fatto incredibile si è verificato perché il comune di Pisogne è privo di un’area di sepoltura per musulmani, di cui invece è dotato il comune di Brescia, ma che non aveva “autorizzato la sepoltura”. Lafram ha evidenziato in merito all’accaduto: “È allucinante l’accaduto, sono scioccato da questo notizia e spero che le autorità competenti si muovano al più presto per permettere una degna sepoltura a questa donna. Questa emergenza che stiamo vivendo tutti non deve costringerci, quando possiamo, a trascurare l’umanità che è l’essenza della nostra società”. L’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia si era già attivata da giorni, chiedendo un intervento da parte del governo e dell’ANCI, per poter agevolare la sepoltura dei defunti musulmani nei cimiteri islamici già esistenti, anche se provenienti da altre province o regioni. All’UCOII è arrivata la segnalazione del decesso di diversi islamici durante l’emergenza, tra cui anche medici contagiati mentre prestavano servizio per salvare tutti noi. L’UCOII ha manifestato la forte preoccupazione per “l’emergenza che si sta generando, spesso per incuranza e mancata attenzione nei confronti della numerosa comunità islamica italiana”.
Un’altra situazione drammatica si era verificata a Bologna, come segnalato dall’UCOII: “Salme di persone musulmane – morte di coronavirus o di altro – sono allineati negli obitori, ferme in Italia, perchè rimpatriarle in questo momento non è possibile. E i cimiteri musulmani in Italia hanno problemi di capienza”. L’UCOII ha cercato una soluzione al problema permettendo le sepolture di defunti nei cimiteri presenti in Italia, anche se provenienti da regioni differenti. L’UCOII ha stabilito che “Ai fedeli di religione musulmana, come alcuni riti legati ai funerali islamici siano sospesi in caso di chi muore per coronavirus: niente lavaggio delle salme e preghiere funebri”. L’UCOII “Dopo aver ringraziato medici, infermieri e operatori impegnati per l’emergenza coronavirus”, ha rilasciato il seguente comunicato: “In questo momento di grande lutto per la nostra Italia esprimiamo le nostre più sincere condoglianze alle famiglie delle 3.405 vittime, e chiediamo all’Iddio di guarire i contagiati”. Viene poi spiegata la grave situazione che si è creata: “A causa dell’emergenza Covid-19, le rotte aeree e marittime del nostro Paese con l’estero sono interrotte“. Tutto ciò “ha portato alla giacenza di molti corpi di musulmani deceduti, sia per il coronavirus che per altri motivi, nelle celle di diversi obitori. Salme che in altri tempi, sarebbero state rimpatriate, in tempi ragionevoli, verso i paesi d’origine”. L’UCOII ha rilevato anche un altro problema: “La carenza del numero di cimiteri islamici sul territorio nazionale e le strette regole comunali sui cimiteri che difficilmente permettono di ospitare defunti di altre province o regioni, rende ancor più difficile ogni operazione di sepoltura dei musulmani nel territorio nazionale”.
L’UCOII – viene spiegato nella Nota – si è dunque attivata, assieme ad alcune Prefetture, ed in contatto con il Ministero dell’Interno, “per poter agevolare la sepoltura dei defunti musulmani nei cimiteri islamici già esistenti anche se provenienti da altre province o regioni. A maggior tutela del diritto di lutto e per garantire una degna sepoltura l’UCOII ha anche diramato un Vademecum per le ritualità funebri per la comunità islamica italiana al fine di dare chiare indicazioni sulle procedure da adottare e le deroghe sulle pratiche religiose in fase di emergenza”. E’ stato sospeso il lavaggio delle salme per evitare contagi. Infatti, per i deceduti di Coronavirus, “al fine di arginare il contagio, viene sospeso il lavaggio delle salme e il rito del Janaza, la preghiera funebre, sarà riservata a pochi familiari e l’imam rispettando le indicazioni ministeriali”. Infine, l’UCOII ha messo a disposizione la lista dei cimiteri islamici presenti in Italia e delle agenzie per le onoranze funebri in grado di rispettare i canoni islamici indicati per le procedure di seppellimento. Ha messo pure a disposizione anche il proprio canale whatsapp (al numero 351.510.16.66) per la segnalazione di casi affinché possa intervenire per facilitare la sepoltura nelle aree cimiteriali dedicate ai musulmani.
A Piacenza è stato realizzato uno spazio per i defunti musulmani nel cimitero comunale. Tutto ciò è avvenuto dopo la morte di Iyad Aldaqre, giovane ricercatore di origine siriana di 32 anni, in piena salute, colpito dal Covid-19 che lo ha strappato ai suoi cari. Lavorava in una azienda di Milano, aveva un bimbo di 5 anni ed era sposato con Francesca Bocca, teologa italiana, docente di lingua e cultura araba alla società umanitaria di Milano, nonché direttrice dell’Istituto di Studi Islamici Averroè a Piacenza, città di origine di Francesca, ma anche città che anni fa aveva accolto Iyad e che lui sentiva come casa, tanto da averne anche imparato il dialetto. La moglie Francesca Bocca Aldaqre ha dichiarato il 3 aprile a Vatican News: “L’aspetto che vorrei far notare di tutto questo è l’assoluta spontaneità con cui è avvenuto tutto. La sindaca si è mossa personalmente affinché avvenisse questa apertura. Lei stessa (la sindaca Patrizia Barbieri) era in quarantena, la decisione l’ha maturata nell’intimità della sua stessa situazione di isolamento”. La scelta è stata accolta con grande riconoscenza da Francesca e dalla comunità islamica tutta, scelta che in un momento che “costringe tutti a sentirci soli, ci fa sentire finalmente parte – ella ha affermato – della nostra città”. Già il segretario dell’UCOII Yassube Baradai aveva chiesto aiuto alla sindaca Barbieri: “Non chiediamo nulla – aveva spiegato in un’intervista – solo uno spazio al cimitero dove i defunti possano riposare, rivolti alla Mecca”. Dopo la morte del giovane ricercatore, che ha colpito molto la cittadinanza, è stata attivata la soluzione: uno spazio da circa 30 posti per i defunti musulmani nel cimitero comunale di Piacenza. La moglie Bocca ha quindi affermato: “Sarà bello andarlo a trovare, anche perché è la parte del cimitero è nella zona della città dove si trova anche la sede della Comunità islamica, poterlo andare a trovare quando ci sono le preghiere è veramente un grande sollievo”.
Per l’ebraismo il rito del lavaggio del defunto – ha spiegato Luciano Tagliacozzo gym della Comunità ebraica di Napoli – e dell’inumazione è la REHIZAT METIM (TAHARA). A causa dell’emerga pandemica, il Tribunale Rabbinico di Gerusalemme e quelli italiani hanno sospeso questo rito, per cui l’inumazione deve avvenire secondo le norme igieniche (sacco di polietilene bara zincata) e il rito funebre abbreviato. Tutto ciò è per Shemirut HaGuf cioè per rispettare la salvaguardia dei viventi perchè è un principio massimo della Torah.
La situazione mondiale drammatica rafforza la fraternità interreligiosa e universale, perché – come ha detto Papa Francesco – ci troviamo tutti nella stessa barca e solo assieme potremo salvarci. L’umanità si riscopre come una grande famiglia e l’unica strada per sopravvivere all’emergenza è quella della solidarietà, soprattutto nei confronti delle categorie sociali più deboli. L’esperienza di fede e di spiritualità si traduce sempre nell’amore compassionevole per alleviare le sofferenze altrui.
di Lucia Antinucci
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