L’incontro interreligioso promosso dal Centro studi francescani per il dialogo interreligioso e le culture del 19 febbraio 2020 si è svolto presso la parrocchia S. Cuore in Corso Vittorio Emanuele a Napoli, sul tema ‘La fratellanza universale secondo le varie religioni’. L’incontro si è aperto con il saluto del parroco Mons. Mario Cinti e con una preghiera tratta dall’enciclica ‘Laudato si’. Lucia Antinucci ha portato il saluto del direttore del Centro studi, il teologo don Eduardo Scognamiglio, assente per un imprevisto, ed ha illustrato la finalità degli incontri mensili interreligiosi, che è quella di portare avanti con costanza, umiltà e pazienza, l’ideale dello ‘spirito di assisi’, sorto il 27 ottobre 1986, quando il papa Giovanni Paolo II convocò ad Assisi i rappresentanti di tutte le religioni per pregare per la pace. Ella ha poi presentato alla numerosa assemblea parrocchiale i rappresentanti delle varie religioni presenti. Hanno quindi avuto inizio le riflessioni sul tema della serata secondo la religione di ciascun rappresentante.
Enrico Voghera (comunità ebraica di Napoli). Egli ha citato alcuni insegnamenti dei Maestri riguardo alla fratellanza universale.Secondo il Maestro Hillel il Vecchio “la fraternità umana consiste nell’amare il prossimo come se stesso, cioè il vero amore è riconoscere l’altro e in questo vero amore c’è la possibilità di stabilire la dignità dell’altro così come lui è”. Secondo il Maestro Shammaj “non c’è un popolo, una persona più sacra delle altre: ognuno nella propria misura, nella propria individualità è sacra perché è imago Dei e questo è il fondamento della sua dignità umana”. Secondo l’interpretazione chassidica, dove due si amano disinteressatamente, Dio entra in quell’unione come terzo. Per l’ebraismo l’impegno etico della fraternità universale nasce dalla fede nel Dio unico che è il Creatore, il padre che ama ogni uomo e donna senza alcuna distinzione. Dalla tradizione rabbinica emerge chiaramente che secondo l’ebraismo la fraternità non si limita all’altro ebreo, ma si rivolge a ogni essere umano, come dimostra un Midrash riportato nel Talmud: “Dopo il passaggio del Mar Rosso gli angeli volevano intonare un canto di gioia davanti al Signore. L’Eterno disse: Le opere delle Mie mani annegano nel mare e voi volete intonare un canto?” (Sanhedrin 39b), riferendosi agli stessi oppressori degli ebrei, gli egiziani. Dio, in quanto Creatore, è il Padre di ogni essere umano, di ogni creatura e dinanzi a lui non sussistono distinzioni etnico, religiose, sociali, culturali, perché tutti hanno la stessa dignità. L’uomo realizza se stesso solo amando tutti, perché in questo modo vive in modo coerente con la propria identità umana: “L’amore è un atto divino. Analoga testimonianza la si ritrova nella Mishnah: “E’ per questo che Abramo è stato creato unico, per insegnarci che chi uccide una persona è come se uccidesse il mondo intero, e chi fa vivere una persona è come se avesse fatto vivere il mondo intero. Inoltre, affinché nessun uomo dicesse al suo prossimo: mio padre è più grande del tuo” (Sanhedrin IV,5). I Maestri del giudaismo ritengono che Dio abbia creato un solo Adamo per favorire la pace tra i popoli. Dio ama tutti gli uomini con paterno amore. Il patto di alleanza tra l’Eterno e Avraham ha una dimensione universale, è rivolto a tutte le genti, non solo ai discendenti del patriarca amorreo errante: “Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gn 12,3). Avraham è un servo, un testimone, un mediatore fra l’Eterno e tutte le genti.
Angela Furcas (Baha’i), è partita da una toccante esperienza spirituale personale ed ha evidenziato come il dialogo e l’amicizia fra le religioni sia il compimento del messaggio di Baha ullah: “Stiamo vivendo un momento esaltante nella storia delle Religioni! L’umanità stremata dalle incomprensioni, dalle lotte, dalle persecuzioni del passato e del presente, sta guardando – ella affermato – verso la luce del Dialogo, come unica soluzione al baratro che ci siamo scavati. L’Incontro ad Abu Dhabi di Papa Francesco e del Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb ha spalancato la Porta della speranza verso il cammino della Pace, che non è mai stata così vicina. Naturalmente ci saranno tanti ostacoli, ma saranno proprio questi che ne accelereranno il compimento. Ci sono delle forze in atto, contro le quali è inutile lottare, perché L’Unità nella diversità, a tutti i livelli, che non vuol dire omologazione, fa parte del Piano di Dio per questo giorno.Ciò che tutti i Profeti del passato hanno desiderato invano di vedere sta per compiersi. Bahá’u’lláh, ‘La Gloria di Dio’, Fondatore della Fede Bahá’ì lo ha proclamato nel 1863, esule a Baghdad, quando ha dichiarato al mondo la Nuova Rivelazione, che aveva preso avvio nel 1844 con l’Avvento del Báb, ‘La Porta’, Suo Precursore, che abolì le leggi e le usanze che avevano portato la Persia ad un livello di corruzione insostenibile e fu martirizzato dopo sei anni. Bahá’u’lláh fu imprigionato per quarant’anni perché la Sua Rivelazione rinnovava il messaggio d’amore portato da tutte le religioni del passato e avanzava una visione di armonia tra le fedi e i popoli, la cui unità favorirà il progresso dell’intera razza umana. Naturalmente, come ogni volta che appare un Messaggero di Dio, le forze contrarie si sono scatenate e ventimila Martiri hanno subito le pene più atroci, per mano di chi aveva dimenticato che anche il loro Profeta ed i seguaci nel tempo in cui vennero, avevano subito la stessa sorte, ma continuando a dire, solo a parole: ‘Benedetto Colui che viene nel nome del Signore’. E’ necessario che ognuno cerchi liberamente la Verità in tutte le Religioni e non si fermi al sentito dire e non si lasci ostacolare da nessuno. Dio non punisce chi lo ricerca per amore. Io sono nata con questo amore che mia madre mi ha trasmesso, che se non avesse fatto altro che questo, avrebbe meritato ugualmente il Paradiso. L’ho vista in sogno dopo il suo trapasso, raggiante come non l’avevo mai vista in vita, sempre trafelata ad accudire la sua famiglia, e mi ha detto: ‘Se l’avessi saputo, sarei venuta prima’.
- Furcas ha poi fatto riferimento all’esperienza personale: “Avevo quindici anni, ero devotissima e sempre presente a tutte le funzioni, quando venivano i Missionari ascoltavo rapita le loro omelie, per cinque Messe consecutive, senza stancarmi, la mia sete di Dio era grande. Un giorno qualcuno, disse che in paese c’erano i Protestanti e che sarebbe stato scomunicato chi fosse andato a casa loro. Io andai subito ad incontrarli, caso mai potessi sapere qualcosa in più del mio Signore e perché la Verità non può avere paura. Ho continuato negli anni le mie ricerche, come un assetato nel deserto cerca l’acqua. Dicevo sempre a Gesù: ‘Perché non mi hai fatto nascere nel Tuo tempo?’ Aveva fatto di più, mi aveva fatto nascere al Suo Ritorno. Io che Lo avevo tanto amato, sapevo che avrei riconosciuto il Suo Spirito, non potevo perdere la possibilità di incontrarLo, e in una notte col mare a forza nove, in viaggio per la Sardegna, mentre la nave fece rotta per l’Africa e le passeggere uscirono dalla cabina spaventate, io non mi curai del pericolo, più della vita mi interessava sapere di poter ritrovare lo Spirito del Cristo. Aprii il libro delle Spigolature dagli Scritti di Bahá’u’lláh e cominciai a leggere e fui sovrastata da un’emozione crescente e straripante e iniziai a piangere forte, gridando per il dolore che avevo al petto, e sembrava che il cuore volesse balzare fuori e cominciai a comprimerlo col libro per impedirglielo. In seguito, per un po’ di tempo non potei più leggere gli scritti, perché sentivo che cominciava a salire quella devastante emozione di cui avevo paura. Pregai per esserne preservata, ma non riuscii a ritrovare ciò che avevo letto. Forse non avevo nemmeno letto dal Libro che avevo in mano, e ripensandoci mi sembrò di ricordate di aver visto il mio cuore fuori dal suo alveo. Quella notte, quando mi rasserenai, le passeggere tornarono e dissero che il mare si era calmato, ma non mi accorsi di quanto tempo fosse passato. Ho seguito il consiglio di Bahá’u’lláh di ricercare e studiare le altre Religioni e di entrare in perfetta amicizia con gli altri credenti, ma fin da bambina non avevo pregiudizi e piangevo quando sentivo dire che chi non osservava i Sacramenti sarebbe andato all’Inferno. Che sollievo quando ho appreso i principi della Nuova fede che permette la libera ed indipendente ricerca della Verità; il riconoscimento dell’Unità della razza umana; L’Unità delle religioni; l’Armonia tra Scienza e Religione; l’abolizione di ogni pregiudizio e degli estremi di povertà e ricchezza; la parità dei diritti dell’Uomo e della Donna; l’istruzione obbligatoria universale; l’Istituzione di un tribunale mondiale e l’adozione di una lingua universale ausiliaria. Per sincerità nei vostri confronti – ha concluso Angela Furcas – ho ritenuto giusto raccontarvi questa che di tutte è la manifestazione più impressionante della mia vita, perché come dice Bahá’u’lláh:” Dio è più vicino a noi della nostra vena giugulare” Egli ci ama di un amore indescrivibile e non ci lascia mai e ama ognuno di noi come fosse la Sua unica creatura. Studiando le altre Religioni, trovo efficaci e sorprendenti concordanze e scopro le perle dei mari della Sua Rivelazione all’umanità, di tutti i tempi”.
Fabio Risolo (Buddhismo tibetano scuola Dzogchen di Namdeling) ha evidenziato che ciò che accomuna gli esseri umani è la sofferenza e si può essere capaci di compassione universale nella misura in cui si da meno importanza alla sofferenza personale, seguendo la parte essenziale del proprio essere. La compassione significa soffrire con l’altro perché la nostra natura è incompleta.
Amedeo Imbimbo (buddhismo tibetano comunità Sangha Rimé) . Egli ha affrontato il tema della serata spiegando il significato dei termini ‘Sangha Rimé’. “Rimé, (…), è un termine tibetano che significa ‘aperto’, ‘senza pregiudizi’, ‘senza parti’, ‘non settario’. Rimé veicola il concetto di ‘unità nella diversità’, vale a dire, unità fondamentale dell’esperienza del risveglio, in una varietà di espressioni e metodi in armonia con le circostanze storiche e geografiche. Il movimento ‘Rimé’ nacque in Tibet nel XIX secolo dall’unione di diverse tradizioni con una dominante contemplativa, per superare chiusure partigiane e le gabbie delle organizzazioni istituzionali e pone l’accento sull’esperienza spirituale profonda”. A. Imbimbo ha poi illustrato il significato dell’unità nella diversità. “Tutte le tradizioni autentiche hanno un fondo comune, l’esperienza di base che è al cuore delle manifestazioni particolari, che alcuni filosofi occidentali definirono la ‘philosophia perennis’. Il cuore comune è la riscoperta della nostra natura primordiale su cui si basano i diversi tipi di sentiero proposti dalle varie tradizioni nella loro ricchezza”. A. Imbimbo ha poi approfondito l’affermazione del Lama Denis Rinpoce, secondo cui l’esperienza unisce e i concetti dividono: “L’attitudine d’apertura Rimè riguarda sia l’incontro di diversi lignaggi tibetani che interreligiosi e inter-tradizione e negli scambi interdisciplinari fra religione e scienze. Se il confronto fra le varie religioni si sviluppa ad un livello superficiale, concettuale, si evidenzieranno divisioni anche significative. Il confronto invece è più profondo se è centrato sull’esperienza di pratica nella ricerca della natura fondamentale comune che è l’origine di tutte le qualità umane. Una stessa esperienza soggiace alla diversità di forme delle diverse tradizioni e delle diverse religioni. A questo livello profondo si tocca la fraternità autentica nel dialogo interreligioso. Il movimento Rimè – ha continuato Imbimbo – ha prodotto numerosi maestri contemporanei tra i quali Kiabje Kalu Rinpoce (1904-1989) e Dilgo Khyentse Rinpoce (1910-1991). Sua Santità il Dalai Lama e S.S il Karmapa sono oggi esempi viventi di questa attitudine Rimè: con spirito d’apertura partecipano ad incontri inter-religiosi e inter-tradizione o a scambi transdisciplinari scienza-tradizione. Il termine Rimé è oggi un attributo di tutte le tradizioni del buddhismo tibetano e indica un’attitudine al dialogo aperto, al confronto che ha come base un insegnamento in cui il Buddha invita i suoi praticanti a non credere in niente solo per averlo letto o ascoltato; bisogna dare credito solo all’esperienza diretta, come espresso nel Kalama Sutta. Sulla base del non settarismo, dell’apertura e del non dogmatismo, il confronto fra le diverse tradizioni del Buddhismo e con le diverse religioni non trova ostacoli”.
Amedeo Imbimbo ha poi illustrato il significato di Sangha, che è uno dei tre gioielli: “ L’entrata in rifugio nei tre gioielli è un rito iniziatico e iniziale per un praticante che si rinnova prima di ogni sessione formale di meditazione: il Buddha rappresenta la nostra natura ultima, la realtà assoluta, la natura di Buddha; il Dharma sono gli insegnamenti del Buddha sulla realtà assoluta e su come realizzarla; il Sangha è la comunità di tutti gli esseri viventi in generale e, in particolare la comunità di praticanti. Si prende rifugio perché si cerca protezione dalla sofferenza, dalla disarmonia, causate dall’ignoranza e dalle afflizioni mentali. Si prende rifugio nel Sangha come comunità di praticanti perché tutti abbiamo bisogno di supporto in termini di confronto a livello esperienziale. In sanscrito, Sangha significa “Una comunità che non può essere divisa da una forza esterna”. È un gruppo armonioso che è unito e non facilmente suddiviso in scismi da forze esterne. Tradizionalmente il Buddha è paragonato al medico che prescrive la terapia sacra per la malattia fondamentale, ovvero l’attaccamento all’ego, una visione ego-centrata; il Dharma è paragonato alla terapia; il sangha agli infermieri. Fraternità è essere infermieri gli uni degli altri. Prendere rifugio nel sangha significa prendere rifugio nella fraternità. In ogni religione, vi sono delle comunità di praticanti in cui ritrovare le proprie radici, per rafforzarsi spiritualmente per poi essere capaci di aiutare anche gli altri. Quindi, il sangha rimé è una comunità di praticanti che si ispirano all’apertura, al non settarismo. Ciò non vuol dire che ciascun praticante non debba seguire e approfondire la propria tradizione con le pratiche specifiche che gli sono più adatta, non vuol dire fare un cocktail di pratiche diverse; non vuol dire fare sincretismo”. A. Imbimbo ha concluso che “tutte le religioni sono sorelle, come diceva S.S. il Dalai Lama perchè hanno un fondo di esperienza comune, ovvero la compassione e la visione profonda. Se il confronto si attualizza ad un livello profondo si riscopre la fratellanza fra i praticanti di tutte le religioni: a livello ordinario, tutti aspirano alla cessazione della sofferenza e alla pace; a livello ultimo, tutti gli esseri hanno la stessa natura fondamentale, che è bontà amorevole e compassionevole”.
La giovane Rosanna Maryam Sirignano della Federazione Islamica della Campania nel suo intervento ha affermato: “Il documento di Abu Dhabi firmato da papa Francesco e l’imam di Al-Azhar Al- Tayyeb è stato rivoluzionario, perché ha sfidato due grandi narrazioni che hanno strumentalizzato la religione cristiana e islamica per creare un’idea di Occidente ed Oriente in conflitto. Il documento si rivolge a tutti, al di là del credo e della provenienza. Ci mette di fronte alle responsabilità che abbiamo come credenti e cittadini. Purtroppo sempre meno giovani si interessano al miglioramento della loro anima e al bene comune. Le religioni hanno la potenzialità di fornire strumenti per guardarsi dentro e riscoprire i propri valori umani. Per questo oggi chi ha una certa sensibilità al dialogo, come pratica di vita, deve necessariamente attivarsi per trasferire questa conoscenza alle nuove generazioni. Altrimenti rischiamo di avere un futuro molto povero di umanità”.
Maria Laura Chiacchio (Istituto Buddhista Soka Gakkai). Ella ha evidenziato che tutto è collegato e la compassione è l’unica strada per essere felici. Secondo la tradizione Majana bisogna sempre cercare la strada della felicità, senza fermarsi, nell’apertura benevola agli altri.
Lucia Antinucci (cattolicesimo – Centro studi francescani per il dialogo interreligioso e le culture) ha ripercorso sinteticamente i passaggi essenziali dell’evoluzione del dialogo interreligioso nella Chiesa cattolica, a partire dal Concilio ecumenico Vaticano II (1962-1965); nel 1964 venne creato il Segretariato per i non cristiani. La Chiesa cattolica ha dedicato al dialogo interreligioso la dichiarazione Nostra Aetate, anche se inizialmente si pensava solo al dialogo con gli ebrei, in seguito alla sollecitazione dello storico ebreo francese Jules Isaac che incontrò papa Giovanni XXIII il 13 giugno 1960 in Vaticano, e gli consegnò un dossier per il superamento dell’insegno del disprezzo e l’impegno per combattere l’antisemitismo. L’iter della dichiarazione è stato lungo e complesso, ma anche per questo molto significativo, che ha portato ad un ampliamento dell’orizzonte. Il sottotitolo del documento è Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane, promulgata il 28 ottobre 1965; costituisce la magna charta del dialogo della Chiesa cattolica con le altre tradizioni religiose. Il dialogo interreligioso ha lo scopo di promuovere l’unità tra gli uomini, perché i vari popoli costituiscono una sola comunità: hanno una stessa origine e hanno come fine ultimo Dio (cf. NA 1). La dichiarazione è divisa in appena cinque paragrafi, e affronta il tema del dialogo con le varie religioni a partire dall’unico progetto salvifico di Dio e dall’unico fine della storia dell’umanità. All’origine del dialogo tra le religioni si pone, quindi, sia la volontà di Dio di salvare ogni uomo, sia il fine ultimo della storia. Il primo paragrafo è un’introduzione descrittiva, che sottolinea l’unità del genere umano, e la crescita dell’interdipendenza tra i vari popoli che si sta attuando sempre più, che costituisce il presupposto per la Chiesa delle sue relazioni con le religioni non cristiane (che sono di natura non teologica, ma antropologica, pastorale, cioè pratica). Il paragrafo 2 di Nostra aetate afferma che “La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo” nelle religioni; “Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini”.
In ogni tradizione religiosa, c’è qualcosa di vero, di buono, di santo così come in ogni essere umano che agisce secondo coscienza e cerca il bene. Il n. 3 di Nostra aetate affronta il tema del dialogo con l’islam. La Chiesa cattolica guarda “con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno”. I padri conciliari, consapevoli della pluralità di idee e dottrine nell’Islam hanno optato per il dialogo con i musulmani che sono autentici adoratori del Dio unico, animati da buona volontà e da fede genuina. Il n. 4 di Nostra aetate è il cuore della dichiarazione, è la parte più ampia del testo, dedicato al dialogo con l’ebraismo (vincolo con Israele). Evidenzia come la Chiesa e la stessa missione di Gesù e degli apostoli sono radicate nella tradizione ebraica, a partire cioè dall’alleanza mai revocata che Dio stipulò gratuitamente con il popolo eletto, Israele, attraverso il patto con Abramo e Mosè. Così si tiene conto del grande patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei e si vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo. (Lumen Gentium n. 16). Il n. 5 di Nostra aetate si sofferma sulla fraternità universale, che scaturisce dal fatto che Dio è padre di tutti e le persone costituiscono una grande famiglia umana: “Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio […]. La Chiesa esecra, come contraria alla volontà di Cristo, qualsiasi discriminazione tra gli uomini e persecuzione perpetrata per motivi di razza e di colore, di condizione sociale o di religione”.
Nel 1988 venne istituito – ha continuato L. Antinucci – il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso; al suo interno esiste la Commissione per i rapporti religiosi con l’Islam. In seguito al rinnovamento conciliare, ci sono stati molti documenti del magistero sul dialogo interreligioso e Lucia Antinucci ha accennato ad alcuni di essi. ‘L’atteggiamento della Chiesa cattolica di fronte ai seguaci di altre religioni. Riflessioni e orientamenti per il dialogo e la missione’ (1984): qui si sottolinea che non bisogna tradire la missione della Chiesa e neppure fare proselitismo. Molto importante per il dialogo interreligioso fu l’enciclica Redemptoris missio (7-12-1990), di Giovanni Paolo II, in cui si afferma che il dialogo non vuole sostituire la missione della Chiesa ma è una parte essenziale dell’annuncio cristiano (cf. nn. 10-28). A lui si deve la grande profezia dello ‘Spirito di Assisi’ (27 ottobre 1986). Altri documenti citati: ‘Dialogo e annuncio’ (documento del 1991), il Documento della Commissione teologica internazionale (era allora prefetto il card. Joseph Ratzinger) ‘Il cristianesimo e le religioni’ (approvato il 30 settembre 1996).
Il contributo di Benedetto XVI al dialogo interreligioso è stato quello di sottolineare che la collaborazione tra le religioni porta al rispetto della libertà religiosa e al riconoscimento dell’ordine divino, senza cedimenti alla propria identità, senza cadere in alcuna forma di relativismo. Le religioni, possono offrire un prezioso contributo al superamento di conflitti, al ripristino della pace e della giustizia tra popoli, nazioni, società e culture.
Il dialogo interreligioso è molto rilevante nel magistero di Papa Francesco, sia come stile, sia per le sue implicanze sociali e mondiali. L. Antinucci ha citato qualche esempio. Udienza interreligiosa in San Pietro del 28 ottobre 2015 in occasione dei 50 anni della Dichiarazione Nostra Aetate. In tale occasione il Papa ha affermato: “Il dialogo di cui abbiamo bisogno non può che essere aperto e rispettoso, e allora si rivela fruttuoso. Il rispetto reciproco è condizione e, nello stesso tempo, fine del dialogo interreligioso: rispettare il diritto altrui alla vita, all’integrità fisica, alle libertà fondamentali, cioè libertà di coscienza, di pensiero, di espressione e di religione”. Durante l’udienza del 2 settembre 2017 dei leaders religiosi coreani. Papa Francesco ha delineato lo stile del dialogo interreligioso: “Aperto, cioè cordiale e sincero, portato avanti da persone che accettano di camminare insieme con stima e franchezza. Rispettoso, perché il rispetto reciproco è la condizione e, allo stesso tempo, il fine del dialogo interreligioso: infatti è rispettando il diritto alla vita, all’integrità fisica e alle libertà fondamentali, come quella di coscienza, di religione, di pensiero e di espressione, che si pongono le basi per costruire la pace, per la quale ciascuno di noi è chiamato a pregare e agire”.
Il parroco ha poi concluso l’incontro ed ha offerto ai convenuti un momento fraterno agapico, durante il quale i membri della comunità parrocchiale, entusiasti e commossi – come ha affermato qualcuno – per le testimonianze ascoltate, ha avuto la possibilità di un dialogo diretto con i vari rappresentanti religiosi.
di Lucia Antinucci
Commenta per primo