La mia breve riflessione è divisa in due momenti: il primo si sofferma sulla testimonianza di alcuni Padri della Chiesa, molto rilevanti per la teologia e la spiritualità ortodossa; il secondo momento evidenzia l’insegnamento della Chiesa ortodossa attuale.
L’insegnamento dei padri della chiesa. L’insegnamento dei padri della Chiesa – come ha sottolineato l’archimandrita Evangelos Yfantidis, Vicario generale dell’arcidiocesi d’Italia e di Malta, nella sua relazione su ‘Gli aspetti sociali del Magistero della Chiesa ortodossa’ per la Sessione del Segretariato di Attività Ecumeniche del 28 luglio 2012, manifesta una grande attenzione ai problemi sociali, alla giustizia sociale, all’assistenza sociale, per promuovere un cristianesimo sociale, una fede che si fa amore concreto, amore compassionevole, diakonia verso i poveri. Cito alcuni esempi del pensiero patristico. Simeone il Nuovo Teologo (949-1022) e altri padri della Chiesa non esitano a sostenere che il ricco che fa l’elemosina, non solo non ha diritto di ricevere una ricompensa da parte di Dio, ma, al contrario, è colpevole delle ingiustizie che ha perpetrato accumulando la sua fortuna! Le Costituzioni apostoliche (collezione canonica che risale al IV secolo) chiedono ai vescovi di non accettare i doni dei ricchi che sfruttano i poveri. La collezione canonica insiste nel dovere di rifiutare questi doni, anche se la Chiesa dovesse rischiare di avere la mancanza di risorse, altrimenti si tratta di “fare di Dio un complice dei ladri”, citando san Basilio il Grande (329-379).
San Giovanni Crisostomo (‘bocca d’oro’ 344 o 354-407 patriarca di Costantinopoli) insegna che “niente ci rende pari a Dio come il beneficare”. Il servizio ai poveri ha una dimensione cristologica perché Cristo si identifica con il povero: si tratta di amare Cristo presente nel povero. Ha pure una dimensione liturgica, sacerdotale – non è mai solo un’opera sociale – poiché l’amore per i poveri opera una trasfigurazione spirituale, manifesta la dignità sacerdotale dei cristiani e crea una profonda comunione tra chi aiuta e chi è aiutato. In questo modo vengono superate le distanze sociali. Per Giovanni Crisostomo è doveroso accogliere nelle chiese, nei luoghi di culto i poveri, i senza tetto. “Giovanni non ignora – è stato osservato – che da tanti ciò era inteso come profanazione dello spazio consacrato e della dignità degli edifici di culto. E continua: ‘Perché ti meravigli che Dio permetta ai poveri di ripararsi nei suoi vestiboli? Non si degna forse di chiamarli alla mensa spirituale, rendendoli partecipi del santo banchetto? […]” (Pino Esposito, Osservatore Romano 21 novembre 2017). In un’omelia sul povero Lazzaro e ricco epulone il Crisostomo esorta coloro che vivono nelle ricchezze ad avere compassione per i poveri: “Infatti considera che, nel freddo dell’inverno, nel cuore della notte, mentre tu riposi nel tuo letto, il povero giace sfinito su una stuoia tra i portici delle terme, coperto di paglia, tutto tremante e intirizzito per il freddo, straziato dai morsi della fame”. Nelle omelie sul Vangelo di Matteo Giovanni Crisostomo sottolinea che prendersi cura dei poveri è la vera liturgia. Bisogna adornare, avere cura del luogo sacro, ma solo dopo aver accolto il Cristo nel povero e sofferente: “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità […]. Il corpo di Cristo che sta sull’altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura. Impariamo dunque a onorare Cristo come egli vuole […]. Così anche tu rendigli quell’onore che egli ha comandato, fa che i poveri beneficino delle tue ricchezze”. L’elemosina può diventare anche una forma di ostentazione, di vanità, per appagare il proprio io, senza alimentare un sincero amore per il fratello che vive nella precarietà. In questo modo si diventa indifferenti al Cristo che si identifica con il povero e la fede si risolve solo in formalità e mera apparenza. Giovanni Crisostomo così continua: “Dio non ha bisogno di vasi d’oro, ma di anime d’oro. Con questo non intendo certo proibirvi di fare doni alla chiesa. No. Ma vi scongiuro di elargire con questi e prima di questi, l’elemosina. Dio infatti accetta i doni alla sua casa terrena, ma gradisce molto di più il soccorso dato ai poveri. Nel primo caso ne ricava vantaggio solo chi offre, nel secondo invece anche chi riceve. Là il dono potrebbe essere occasione di ostentazione, qui invece è elemosina e amore. Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d’oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l’affamato, e solo in seguito orna l’altare con quello che rimane. […] Gli offrirai un calice d’oro e non gli darai un bicchiere d’acqua? Che bisogno c’è di adornare con veli d’oro il suo altare, se poi non gli offri il vestito necessario? Che guadagno ne ricava egli? Dimmi: se vedessi uno privo del cibo necessario e, senza curartene, adornassi d’oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe o piuttosto non si infurierebbe contro di te? E se vedessi uno coperto di stracci e intirizzito dal freddo, trascurando di vestirlo, gli innalzassi colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore, non si riterrebbe forse di essere beffeggiato e insultato in modo atroce? Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell’edificio sacro”.
Gregorio di Nissa (335-394) criticava la pratica dell’usura e lo sfruttamento dei poveri e dei bisognosi da parte dei ricchi, che strumentalizzavano la carità per camuffare la loro ingiustizia sociale. Si tratta della ‘perversione’ dell’elemosina che finisce per servire come alibi all’ingiustizia, soprattutto quando la persona che pratica l’elemosina è la stessa che è all’origine della povertà di molti e dell’ingiustizia sociale. Occorre privarsi del cibo per donarlo ai poveri, per essere solidali con la loro miseria; tutto ciò si trasformerà in ricchezza spirituale. Il digiuno favorisce l’amore per i poveri, che vivono come selvaggi, si vestono di stracci, si rifugiano nei porticati, negli anfratti deserti delle piazze, dormono per terra : “Tu che digiuni, provvedi a loro. Sii generoso – afferma Gregorio di Nissa – nei confronti dei fratelli infelici. Ciò che togli al ventre dallo ai poveri. Il giusto timor di Dio rende uguali, cura con la tua sobrietà due mali tra loro contrari: la tua sazietà e la fame del fratello”. […] Corri, senza indugio, in soccorso del povero. Il dono non è una perdita. Non temere: il frutto dell’elemosina germoglia in abbondanza. Offri un abito e riempirai la casa di fasci di spighe”(Omelia prima sull’amore dei poveri). Gregorio Nazianzeno (329-390 circa, detto il teologo) afferma che la beneficenza va fatta senza indugi e con gioia perché ha una dimensione cristologica, in quanto nel povero c’è Cristo: “Non dire: ‘Ritornerò indietro e domani ti darò aiuto’. Nessun intervallo si interponga fra il tuo proposito e l’opera di beneficenza. La beneficenza, infatti, non consente indugi. Spezza il tuo pane all’affamato e introduci i poveri e i senza tetto in casa tua (cfr. Is 58, 7) e questo fallo con animo lieto e premuroso. Te lo dice l’Apostolo: Quando fai opere di misericordia, compile con gioia (cfr. Rm 12, 8) e la grazia del beneficio che rechi ti sarà allora duplicata dalla sollecitudine e tempestività. Infatti ciò che si dona con animo triste e per costrizione non riesce gradito e non ha nulla di simpatico. [“…] finché ci è dato di farlo, visitiamo Cristo, curiamo Cristo, alimentiamo Cristo, vestiamo Cristo, ospitiamo Cristo, onoriamo Cristo […]. Così quando ce ne andremo di qui, verremo accolti negli eterni tabernacoli, nella comunione con Cristo Signore, al quale sia gloria nei secoli. Amen”.
Insegnamento della Chiesa ortodossa attuale. Nel Documento ‘La missione della Chiesa ortodossa nel mondo contemporaneo’ della quinta conferenza preconciliare (2015) del Santo e Grande Concilio (Sinodo panortodosso, sinnasi dei primati delle chiese autocefale), si sottolinea che la missione sociale della Chiesa ortodossa è espressione concreta della fede che si traduce nell’amore per il prossimo. E’ un imperativo doveroso che va tradotto in un’azione organica, pianificata. La missione sociale è espressione anche dell’amore per il creato: “La Chiesa ortodossa ha una missione sociale, non resta indifferente ai problemi dell’uomo di ogni epoca, al contrario, partecipa alla sua angoscia e ai suoi problemi esistenziali, portando, come il suo Signore, la sofferenza e le lacerazioni che il male suscita nel mondo e versando, come il buon Samaritano, olio e vino sulle sue ferite (Lc. 10,34), attraverso la parola ‘della perseveranza e della consolazione’ (cf. Rm. 15,4; Eb. 13,22) e l’amore attivo. La Chiesa si preoccupa attivamente di tutte le persone bisognose d’aiuto, che hanno fame, dei poveri. La lotta alla miseria e all’ingiustizia sociale è espressione concreta della fede è un servizio allo stesso Signore, che si identifica con ogni persona e soprattutto con chi si trova nel bisogno: ‘In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’ (Mt. 25,40)”. La Chiesa ortodossa attua un servizio sociale polivalente, cooperando con le diverse istituzioni sociali afferenti; a ciò si unisce l’impegno di realizzare l’analisi della realtà attuale e la denuncia dell’ingiustizia, della disuguaglianza nella compartecipazione degli uomini e dei popoli ai beni della creazione divina. Milioni di persone sono private dei beni fondamentali, che causa la degradazione della esistenza umana, provoca le migrazioni di massa delle popolazioni e genera conflitti: “La Chiesa non può restare indifferente davanti a condizioni economiche che influenzano negativamente l’umanità intera. Insiste non solo sulla necessità che l’economia sia fondata su principi etici, ma anche che essa deve servire concretamente l’uomo, memore dell’insegnamento di Basilio il Grande : ‘[…] scopo dunque di ciascuno deve essere nel suo lavoro di venire in aiuto agli indigenti, e non solo ai propri bisogni’ (Regole morali, 42. PG 31, 1025A)”. La Chiesa ortodossa è consapevole che la situazione mondiale è drammatica; il suo impegno è quella di portare avanti la lotta alla fame e a tutte le altre forme di privazione nel mondo. Il divario tra ricchi e poveri si è drammaticamente aggravato – si afferma nel Documento del 2015 – a causa della crisi economica, risultato della speculazione sfrenata da parte di fattori finanziari, della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi e di attività economiche perverse, che sono prive di giustizia e sensibilità umanitaria, non sono a servizio delle reali necessità dell’umanità. La soluzione che propone la chiesa ortodossa è quella di un’economia sostenibile, che combina l’efficienza con la giustizia e la solidarietà sociale: “La Santa Chiesa di Cristo, nel suo corpo universale, che include nel suo seno molti popoli della terra, mette in evidenza il principio di solidarietà umana e sostiene la più stretta cooperazione dei popoli e delle nazioni per la pacifica soluzione delle diversità. In tale fenomeno nel nostro tempo, durante il quale i paesi vivono sotto un regime economico globalizzato, si insinua una grave crisi d’identità del mondo attuale, in quanto la fame non solo minaccia il dono divino della vita di interi popoli, ma offende anche la magnificenza e la sacralità della persona umana e allo stesso tempo offende lo stesso Dio”. La missione di tutte le Chiese Ortodosse è quella di dimostrare solidarietà con i poveri e di organizzare in modo efficace l’aiuto ai fratelli bisognosi. Ciò non significa trascurare la preoccupazione per il proprio sostentamento, per una vita decorosa, che viene definita ‘una questione materiale’; ma la preoccupazione per il sostentamento del prossimo è una questione spirituale, che scaturisce dalla vita di fede (cf. Gc 2,14-18). Per la Chiesa ortodossa anche il problema ecologico si collega alla solidarietà verso i poveri, perché la terra, con tutti i suoi beni, è di tutti: “Pertanto, la Chiesa Ortodossa pone l’accento sulla salvaguardia del creato di Dio attraverso la cultura della responsabilità dell’uomo davanti al nostro ambiente dato da Dio e attraverso la promozione delle virtù della frugalità e della moderazione. Siamo costretti a rammentare che, non solo le generazioni attuali ma anche quelle future hanno il diritto di godere dei beni naturali, donati a noi dal Creatore”.
L’Archimandrita Evangelos Yfantidis, nella sua relazione per la sessione del SAE, ha sottolineato che la beneficenza comporta il superamento dell’egocentrismo, causa della distruzione della società, mentre la beneficenza contribuisce al suo sviluppo economico: “[…] l’egocentrismo è forza di sfacelo, la quale turba l’armonia delle funzioni vivificanti dell’organismo o della società. Quando le cellule del corpo o i membri di una società si fanno trascinare dall’introversione e dall’egocentrismo e vogliono svilupparsi a discapito degli altri e soprattutto svilupparsi più di quello previsto dalla loro posizione nel corpo, si crea una situazione cancerogena, la quale conduce l’organismo alla morte”. […] Ciò che si dà con saggezza per beneficenza, da una parte torna moltiplicato a colui che lo offre, secondo le leggi divine e, dall’altra torna moltiplicato secondo le leggi economiche, contribuisce più di ogni altro mezzo allo sviluppo economico, come anche a quello spirituale e culturale dei popoli e delle persone. Però non deve essere dimenticato che ‘la povertà dei molti è un male per i ricchi più che per i poveri sia in senso metafisico che mondano’”.
Particolarmente rilevante è l’insegnamento del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, sempre molto attento ai problemi sociali. Nel discorso del 5 dicembre 2012 ha sottolineato il rapporto fra il digiuno e l’amore per i poveri. Il digiuno come frugalità, moderazione è autocontrollo, è libertà dai beni materiali, ma è anche amore per tutta l’umanità e per il creato, non sprecando i beni che sono di tutti. Il digiuno consente di poter apprezzare la condivisione, di essere sensibili alla giustizia sociale. Il digiuno ci ricorda che la terra è del Signore (cf. Sal 24,1) e va condivisa, imparando a donare, a relazionarsi agli altri, non a separarsene: “L’ethos ascetico ci impone di proteggere il dono della creazione e di preservare la natura intatta. E’ la lotta per la moderazione e la padronanza di sé, per giungere a non consumare qualsiasi bene in modo impulsivo, ma a manifestare invece un senso di frugalità e d’astinenza da alcuni beni. La protezione e la moderazione sono entrambe espressione di un amore verso l’umanità tutta intera e verso l’insieme della creazione naturale. Solo un simile amore può proteggere il mondo da uno spreco inutile e da una distruzione inevitabile. […] Nella chiesa primitiva, digiunare voleva dire non permettere ai valori di questo mondo o all’egocentrismo di allontanarci da ciò che è più essenziale nella nostra relazione con Dio, con gli altri, con il mondo. Il digiuno implica un senso di libertà. Il digiuno è un modo di non volere, di volere di meno e di riconoscere i bisogni dell’altro. […] Le società dei consumi contemporanee ignorano troppo spesso l’ingiustizia creata dal commercio mondiale e dalla finanza. La moderazione e l’astinenza, che il digiuno ci insegna, ci sensibilizzano e spingono ad avere compassione dei poveri e ci invitano a condividere i beni materiali. […]“E’ allora che non siamo più estranei all’ingiustizia del nostro mondo. La nostra prospettiva si allarga, i nostri interessi si accrescono, le nostre azioni acquistano una portata considerevole. Cessiamo di limitare la nostra vita ai nostri piccoli interessi e accettiamo la nostra vocazione a trasformare il mondo intero […]. Il digiuno non nega il mondo, ma afferma l’intera creazione materiale. Ricorda la fame degli altri in uno sforzo simbolico per identificarsi, o quanto meno ricordarsi, con la sofferenza del mondo, così da languire per la sua guarigione. Attraverso il digiuno, l’atto di mangiare diventa il mistero del condividere, il ricordo che ‘non è bene che l’uomo sia solo su questa terra’ (cf. Gn 2,18) e che ‘non di solo pane vivrà l’uomo’ (Mt 4,4). Digiunare significa allora essere con e per gli altri. Alla fine dei conti, lo scopo di questo digiuno è di promuovere e celebrare il senso dell’equità in quanto abbiamo ricevuto […]. Il digiuno ci rammenta che tutto ciò che facciamo è inseparabile dal benessere o dalla ferita degli altri”. Si tratta di “far cadere le barriere dell’ignoranza e dell’indifferenza nei confronti del prossimo e del mondo”. Il digiuno libera dalla cupidigia e dalla violenza: “Il digiuno corregge in modo efficace la nostra cultura basata sul desiderio egoista e lo spreco spensierato”.
Il patriaraca Bartolomeo nell’intervista del 4 aprile 2015 per P. Spadaro sj, direttore della ‘Civiltà Cattolica’, ha evidenziato che la fede ha una dimensione sociale, deve portare all’impegno per superare la povertà: “Il mondo della fede può rivelarsi un potente alleato nel tentativo di affrontare le questioni di giustizia sociale. […] Certo. Alla luce di questo dilemma che ho illustrato, il mondo della fede può rivelarsi un potente alleato nel tentativo di affrontare le questioni di giustizia sociale. Può fornire una prospettiva unica — al di là del semplice sguardo sociale, politico o economico — sulla necessità di sradicare la povertà, fornire un equilibrio in un mondo di globalizzazione, combattere il fondamentalismo e il razzismo, e sviluppare la tolleranza religiosa in un mondo in conflitto. […] È proprio il compito – afferma il Patriarca – della religione quello di rispondere ai bisogni dei poveri del mondo e alle persone deboli ed emarginate. In quanto tale, la religione è probabilmente la forza più pervasiva e potente della terra. Infatti, non solo la fede gioca un ruolo fondamentale nella vita personale di ognuno di noi, ma svolge anche un ruolo fondamentale come forza di mobilitazione sociale e istituzionale”.
Nel discorso del 18 agosto 2015 il patriarca di Costantinopoli ha evidenziato che la povertà rimanda alla crisi ecologica, tema questo molto ricorrente nel suo magistero. La povertà può essere debellata solo adottando uno stile di vita diverso, rispettoso del creato. L’attuale crisi economica può essere un’occasione propizia per adottare uno stile di vita diverso, perché c’è interazione tra il mondo di Dio, l’umanità e l’habitat naturale: “Commettere un crimine contro la natura è peccato. Per gli esseri umani provocare l’estinzione di specie naturali o distruggere la biodiversità della creazione divina, degradare l’integrità della terra provocando mutamenti climatici, privando il pianeta delle foreste naturali o distruggendone le zone umide; mettere a repentaglio la salute di altri esseri umani con malattie provocate dalla contaminazione delle acque, della terra, dell’aria e minacciare la vita del pianeta con sostanze velenose, tutto questo è peccato”. Nell’attuale crisi il Patriarca vede un’occasione propizia per cambiare stile di vita: “È fuor di dubbio che l’attuale crisi economica provocherà sofferenza a molte persone in tutto il mondo; va da sé che, come spesso succede in casi del genere, saranno i poveri a pagarne il prezzo più alto. Tuttavia, la crisi nasconde in sé una benedizione, nel senso di insegnarci che le vie sinora praticate non hanno portato ai successi immaginati. Dobbiamo rivedere il nostro intero stile di vita, prenderne in considerazione l’impatto sui nostri vicini così come sul pianeta. Dobbiamo cominciare a vedere la connessione integrale tra Cielo, umanità, e habitat. Il nostro modo di pregare è riflesso nel modo in cui trattiamo i poveri e inevitabilmente connesso al modo in cui ci rapportiamo all’ambiente naturale”. Nel discorso del 18 settembre 2016 il patriarca di Costantinopoli è ritornato sul tema dell’interazione tra ecologia e povertà: “Il modo in cui l’uomo si comporta nei confronti del Creato ha un impatto diretto sul modo in cui si comporta verso le altre persone. Qualunque attività ecologica sarà giudicata dalle conseguenze che avrà per la vita dei poveri. Il problema dell’inquinamento è collegato a quello della povertà”.
Nell’Enciclica del Santo e Grande Sinodo della Chiesa ortodossa, il Sinodo panortodosso (Creta 2016) si sottolinea l’impegno per la giustizia, per guarire le ferite degli altri (cf. n. 17). La carità è una missione sociale, non può essere occasionale; poiché bisogna eliminare le cause che generano la povertà nella società, per poter debellare la povertà. Nel n. 19, citando Mt 25,40, si afferma: “Durante il corso della sua storia, la Chiesa si è trovata sempre dalla parte degli ‘affaticati e oppressi’ (cf. Mt 11,28). In nessun momento l’opera filantropica della Chiesa non si è limitata semplicemente ad un atto di carità occasionale verso i bisognosi e sofferenti, ma piuttosto ha cercato di sradicare le cause che creano problemi sociali. Il ‘ministero compiuto’ (Ef 4,12) dalla chiesa è riconosciuto da tutti”.
Il Patriarcato di Mosca ha definito i principi fondamentali della dottrina sociale durante i suoi sinodi; ha creato il Dipartimento sinodale per la carità e il servizio sociale (che non svolge solo un’azione assistenzialistica, benefica, ma anche di promozione della giustizia sociale), in collaborazione con la Chiesa cattolica. A Mosca il 5 dicembre 2012 presso la cattedrale di Cristo Salvatore si è tenuta la conferenza internazionale ‘La Chiesa e i poveri. Ortodossi e cattolici al servizio della carità’, organizzata dal Dipartimento sinodale per la carità e il servizio sociale del Patriarcato di Mosca e dalla Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione col Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato. In tale occasione il Patriarca di Mosca e tutta la Rus’ Kirill ha fatto notare che “il servizio della carità deve diventare una necessità interiore per chiunque voglia seguire l’esempio del Salvatore”, con l’auspicio che “tale conferenza favorisca la crescita dell’impegno dei cristiani d’Oriente e d’Occidente nel ministero salvifico della carità”. Durante tale conferenza è stato evidenziato il grande impegno in favore dei bisognosi del monastero di Marta e Maria, fondato dalla santa principessa Elizaveta Fedorovna, e dell’associazione ‘Opera Ortodossa’ in Francia, dell’associazione delle confraternite caritatevoli ortodosse, cui partecipano 118 comunità di volontari in Russia e nei paesi della Comunità di Stati Indipendenti. Nel Documento del Sacro Sinodo della Chiesa ortodossa russa (16 luglio 2013), sul tema ‘La missione esterna della Chiesa ortodossa russa’, è stato ribadito l’impegno della Chiesa russa per alleviare le sofferenze dei poveri, cioè la “[…] testimonianza di Cristo attraverso la beneficenza, le opere di misericordia, il servizio sociale, l’aiuto ai poveri e agli svantaggiati […]”. Durante tale sinodo, tra le varie piste di sviluppo, viene indicato lo sviluppo di attività sociali [ed educative] delle parrocchie. E’ stata sottolineata l’importanza dell’opera del Dipartimento sinodale per la carità, che promuove il servizio ai poveri, per tutti coloro che sono nel degrado e nell’emarginazione, non in modo improvvisato, ma con una sistematica opera di formazione e aggiornamento degli operatori per la carità, come pure per i dirigenti, avvalendosi della collaborazione di assistenti sociali, psicologi e specialisti del settore. Il 30 agosto 2019, in occasione della visita di una delegazione cattolica al Dipartimento sinodale per la carità, il reverendo Alexander Aleshin, vicedirettore del Dipartimento, ha evidenziato che dal 2011, il Dipartimento sinodale ha condotto 8 corsi di formazione semestrali online e oltre 140 corsi di formazione per assistenti sociali parrocchiali e rappresentanti dei dipartimenti di servizio sociale diocesano. In totale, oltre 2500 persone sono state formate, lanciati oltre 1600 nuovi progetti. Importante anche il contributo alla realizzazione di iniziative legislative riguardanti alcune emergenze sociali. Il Dipartimento si basa anche sul servizio di assistenti sociali, psicologi, specialisti, non solo di sacerdoti. E’ stata citata l’opera ‘Hangar of Salvation’, di cui è coordinatrice Irina Meshkova, responsabile del servizio per i senza tetto in Europa e in Italia, come pure l’opera ‘House for Mom’, un centro per donne e bambini, con cui a metà 2019 sono stati aperti 63 asili grazie alla partecipazione della Chiesa.
di Lucia Antinucci
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