Il terzo incontro interreligioso, promosso dal Centro studi francescani per il dialogo interreligioso e le culture (SFDIC), si è svolto il 27 novembre presso la Comunità buddhista Dzogchen Namdeling in via Ponti Rossi a Napoli. I rappresentanti religiosi della fede Baha’i, del Taoismo, dell’ Istituto buddhista Soka Gakkai, del Buddhismo tibetano, del Cristianesimo, hanno illustrato il tema della sofferenza e della felicità secondo la propria tradizione spirituale. Lucia Antinucci (SFDIC) ha introdotto l’incontro puntualizzando il significato dello spirito di Assisi che si completa con il messaggio universale del documento di Abu Dabhi sulla fratellanza umana (24 febbraio 2029), accennando anche ai suoi recenti sviluppi.
Prima delle varie riflessioni c’è stato un momento di meditazione silenziosa, con una invocazione iniziale buddhista: “Possano tutti gli esseri possedere la felicità e la causa della felicità! / Possano tutti gli esseri liberarsi dalla sofferenza e dalla causa della sofferenza! / Possano tutti gli esseri non separarsi mai dalla felicità priva della sofferenza! / Possano tutti gli esseri dimorare nell’incommensurabile equanimità al di là dei limiti dell’attaccamento e dell’avversione e dell’indifferenza!”.
Per il buddhismo tibetano Amedeo Imbimbo (rappresentante del Sangha Loka di Caivano – Napoli / Sangha Rimé international) ha introdotto il tema evidenziando che la sofferenza è causata dai veleni della mente, per cui è importante impegnarsi nella pratica della meditazione (in tibetano sgom, in sanscrito bhavana) che ha lo scopo di familiarizzare con gli antidoti alle afflizioni mentali al fine di rimuovere le origini della sofferenza.
Luigi Vitiello (della International Dzogchen Community) ha illustrato le quattro nobili verità, insegnate da Buddha Shakyamuni: – la sofferenza (in sanscrito duhkha); – le origini della sofferenza, ovvero i veleni della mente, quali l’attaccamento, la rabbia e l’ignoranza; – la cessazione della sofferenza (in sanscrito sukha), ovvero la felicità autentica; – la via che conduce alla cessazione della sofferenza, ovvero l’ottuplice sentiero che è relativo ai tre aspetti dell’etica, della meditazione e della visione profonda.
Il tema, dal punto di vista dell’Istituto buddhista Soka Gakkai, è stato illustrato da Checca Villani. “I buddisti della Soka Gakkai – ella ha affermato – usano spesso l’espressione ‘trasformare il veleno in medicina’ quando descrivono come la loro pratica buddista li ha resi capaci di risolvere una situazione difficile, negativa o dolorosa in qualcosa di positivo. In un suo scritto Nichiren Daishonin approfondisce il concetto, affermando che, attraverso il potere della Legge mistica di Nam-myoho-renge-kyo, si possono trasformare i ‘tre sentieri’ di illusioni, karma e sofferenza nelle tre virtù del Budda. In una accezione più ampia e più vicina alla vita quotidiana, è corretto pensare che qualsiasi situazione sfavorevole può essere cambiata in una situazione positiva, o, ancora più profondamente, che – affrontando e superando eventi dolorosi – cresciamo come esseri umani. La chiave di tutto è il modo in cui reagiamo alle inevitabili sofferenze della vita. Le esperienze negative e dolorose spesso diventano occasione necessaria per spingerci a lottare per il nostro miglioramento. Il processo per ‘trasformare il veleno in medicina’ inizia quando si affronta una difficile esperienza e si decide di vederla come un’opportunità per riflettere su se stessi e per sviluppare coraggio e compassione. Più si riesce in questa impresa, più si diventa forti e saggi, realizzando uno stato vitale veramente molto vasto. La sofferenza può diventare quindi un trampolino per un’esperienza di felicità più profonda. Se invece si è sconfitti dalla sofferenza o si reagisce a essa in modo negativo e distruttivo, il ‘veleno’ non viene trasformato e rimane veleno. Secondo il Buddismo le sofferenze derivano dal karma, vale a dire da cause che noi stessi abbiamo creato; il principio del karma riguarda quindi la nostra responsabilità individuale. La visione buddista del destino non è immutabile o fatalistica: anche i disegni karmici più profondamente radicati possono essere trasformati. Accettando una situazione difficile – malattia, disoccupazione, lutto, fallimento sentimentale – possiamo vincere – ha sottolineato C. Villani – usandola come un’opportunità per approfondire il proprio senso di responsabilità personale e la propria auto-consapevolezza, fattori questi da cui derivano quelli che vengono definiti i ‘benefici’ della pratica buddista. Conoscere se stessi significa comprendere il proprio infinito potenziale e manifestare forza interiore, saggezza e compassione. Tale potenziale è chiamato ‘natura di Budda’. Il significato originario di “trasformare il veleno in medicina” si riferisce proprio a questo tipo di consapevolezza. Nagarjuna e T’ien-t’ai (538-597) perciò paragonano il Budda a un ottimo medico capace di trasformare il veleno (indolenza e senso di rinuncia) in medicina (la sincera aspirazione verso l’Illuminazione fondamentale della Buddità). La reale possibilità per ogni persona di una profonda trasformazione, rende il Buddismo di Nichiren Daishonin una religione e una filosofia di vita profondamente ottimistica. In questo modo i praticanti sono spinti a ricercare, sia nelle loro vite sia nell’ambiente in cui vivono, la trasformazione delle tendenze negative e distruttive , secondo l’insgnamento di Daisaku Ikeda: ‘Nel momento della sofferenza, recitate Daimoku. Nel momento della gioia, recitate Daimoku. Poter recitare Daimoku è di per sé felicità’. Ci sono inevitabilmente momenti di sofferenza e momenti di gioia nella storia di un’esistenza, ma senza il dolore non si apprezza la gioia e senza conoscere il sapore di entrambi non si percepisce appieno il gusto della vita. ‘Quando c’è la sofferenza illuminati rispetto a essa’, dice Nichiren Daishonin. La sofferenza è inevitabile nell’arco di una vita, quindi è necessario essere preparati e avere la forza interiore per elevarsi oltre i sentimenti di preoccupazione o di ansia. Dobbiamo fare in modo che la ‘luce serena della luna dell’Illuminazione’ il mondo della Buddità risplenda in noi. Allora i desideri terreni si trasformano in Illuminazione e qualsiasi cosa ci capiti diventa un carburante per la felicità. […]
Le profondità dell’oceano rimangono calme e immutabili anche quando la superficie è agitata. Ci sono sia la sofferenza sia la gioia nella vita, ma il punto è sviluppare un io profondo e indomabile che non sia sballottato dalle onde. Chi fa così, riceve la ‘gioia senza limiti della Legge’ “ (Tratto da: Buddismo e Società n° 118 pag. 12).
Angela Furcas, in rappresentanza della fede Baha’i, ha introdotto la sua riflessione comunicando l’ esperienza personale del dolore che porta alla felicità. Rifacendosi all’insegnamento Baha’i, A. Furcas – con afflato poetico e mistico – ha illustrato La vera via della felicità, che dipende dai beni spirituali, mentre la tristezza e il dolore provengono dal mondo materiale: “ ‘La mente e lo spirito dell’uomo progrediscono quando egli è provato dalle sofferenze. Più la terra è arata, meglio si sviluppa il seme e più abbandonante sarà il raccolto. Come l’aratro solca profondamente la terra, depurandola dalla malerba e dai cardi, così le sofferenze e l’afflizione, pongono l’uomo al di sopra delle meschine cose di questa vita mondana, e gradatamente arriva ad uno stato di completo distacco. Allora il suo atteggiamento in questo mondo sarà quello della felicità divina’. Beato colui che apprezza questa felicità, nel sottostare pazientemente alla trasformazione delle qualità materiali in quelle spirituali: ‘Gli uomini che non soffrono non raggiungono la perfezione’. Il favore di Dio è rivolto a coloro che ama, e coloro che ama Egli corregge. ‘Le prove sono benefici dei quali dobbiamo ringraziarlo. L’afflizione e il dolore non vengono sempre per caso, vengono spesso dalla Misericordia divina’. Il Bab dice: ‘So con certezza nel mio amore per Te, che Tu non metti un’anima in angustia, se non desideri esaltarne lo stadio nel Tuo paradiso celestiale e fortificarne il cuore, in questa vita terrena, col baluardo della Tua grazia soggiogante, affinché non indulga essa alle vanità di questo mondo ’. Egli è il Supremo Fattore – ha continuato A. Furcas – e l’uomo il Suo capolavoro e lo riplasma continuamente per esaltarne le perfezioni a cui lo ha destinato. ‘L’uomo è nato per soffrire come la favilla per volare in alto’. Questo intendeva Giobbe. Se affiniamo l’udito interiore, possiamo sentire da lontane prossimità: ‘Lascia le cose del mondo a coloro che le amano per ricongiungerti a Me, che sono il tuo Principio ’. Beati coloro che percorrono questo sentiero, che non inseguono fallaci traguardi, che non mettono il cuore nelle cose passeggere di questo mondo, che non godono dell’effimero, ma tengono lo sguardo fisso sul fine ultimo della vita, grazie alle dolorose ordalie del proprio percorso esistenziale. E’ giusto chiudere con una invocazione del Bab: ‘Ti supplico di perdonarmi, o Mio Signore, per avere menzionato altri che Te, e lodato altri che Te, e per avere goduto d’altro che del gaudio della comunione con Te, e per ogni gioia che non sia la gioia del Tuo amore e per qualunque cosa mi riguardi, ma non sia collegata a Te, o Tu che sei il Signore dei Signori, Colui che dispensa i mezzi e disserra le Porte’”.
E’ stata poi la volta della riflessione taoista, offerta dal Rev. M° Li Xuanzong Prefetto Generale del Centro taoista d’Italia (C.T.I.) “Per noi taoisti la gioia – egli ha affermato – e la sofferenza sono due facce della stessa medaglia: la vita. Per noi non c’è alcuna redenzione nella sofferenza né alcun peccato nello gioire della vita. Il rapporto tra la sofferenza e la gioia così come il valore che diamo alla sofferenza nella vita, è bene espresso in un insegnamento e in una parabola nel cap. 6 dello Zhuangzi (III sec. a.C): ‘Zi-yu e Zi-sang erano amici. Pioveva a dirotto da dieci giorni. Non avendo visto il suo amico, Zi-yu pensò che doveva essere malato. Fece un pacco di viveri e andò a portarglielo. Mentre si avvicinava alla porta, sentì la sua voce che tra il canto e il pianto diceva accompagnandosi al liuto: Ah padre! Ah! madre! Ah cielo! Ah uomo! La voce era debole, il canto spezzato. Zi-yu entrò in casa e disse all’amico: ‘Perché canti così?’. ‘Pensavo’ disse Zi-sang ‘alle possibili cause della mia estrema miseria. Non ne ho trovata nessuna che fosse valida. Forse che mia madre e mio padre potevano desiderare che fossi povero? E come possono il cielo che tutto protegge e la terra che tutto sostiene volere che io in special modo sia povero? Invano cercavo la causa della mia miseria. Se sono finito in questa estrema indigenza, è il Destino!’. Le sofferenze che abbiamo non sono una punizione divina a fini catartici: sono il risultato di circostanze e le scelte. Per cui: ‘Se incontra l’oggetto della sua felicità, non ride. Se perde l’oggetto della sua felicità, conserva il proprio riso. Solo colui che si adatta a ogni perdita e a ogni cambiamento raggiungerà l’unità del puro cielo’. Come ci rapportiamo – ha sottolineato il Rev. Xuanzong – noi taoisti alla gioia e alla sofferenza altrui? Coloro che sono inclini alla bontà soffrono alla vista della miseria dei loro contemporanei (Zhuangzi, cap. 8). Gli fa eco un testo dell’11° sec. d.C., il Taishang Ganying Pian, Insegnamenti del Signore sulle conseguenze del Bene e del Male – parte II – La Via del Bene:
- Segui la strada giusta e ritirati da quella sbagliata.
- Non seguire percorsi malvagi, né peccare in segreto.
- … mostra un cuore compassionevole in tutte le cose.
- Sii leale, filiale, amichevole e fraterno; correggendo te stesso, trasformi gli altri.
- Abbi pietà degli orfani e sii compassionevole con le vedove, rispetta gli anziani e sii gentile con i giovani.
- Non ferire nemmeno insetti, erbe e alberi.
- Lasciati rattristare dalle disgrazie degli altri e goditi la loro fortuna.
- Aiuta i bisognosi e salva quelli in pericolo.
- Considera i guadagni degli altri come se fossero i tuoi.
- E considera i fallimenti degli altri come i tuoi fallimenti.
Insomma:
Colui che agisce – ha concluso il Prefetto generale dei Taosti d’Italia – secondo il proprio cuore (e segue la Via del Cielo) non può esserne distolto né dalla tristezza né dalla gioia” (Zhuangzi cap.4).
Per il Cristianesimo c’è stata una riflessione a due voci. Il teologo don Edoardo Scognamiglio (direttore CSFDIC) si è soffermato sul messaggio del Libro di Giobbe, facendo risaltare che la sofferenza non ha valore in se, “siamo noi che cerchiamo di dare un senso ad essa e vogliamo capirne il perché”. Noi cerchiamo la strada della liberazione, della redenzione. Non si soffre per espiare una colpa, ha sottolineato don Scognamiglio; Giobbe ha visto nella sua sofferenza una prova voluta da Dio. Nel racconto sapienziale non c’è una risposta all’enigma del dolore, ma ciò che alla fine prevale è l’accettazione della propria fragilità e la fiducia sconfinata in Dio. Il grido di Giobbe richiama il grido di Gesù sulla croce, dell’Abbandonato che si abbandona totalmente in Dio. La gioia nasce dalla liberazione, dalla speranza della vita nuova e dalla consapevolezza che non si è soli nel dolore, poiché il Dio crocifisso è sempre con noi e ci apre le porte della vita da risorti.
Il pastore evangelico battista Jaime Castellanos si è soffermato sul messaggio della lettera ai Filippesi di Paolo. La forza nel dolore nasce dalla comunione con Il Cristo che ha vinto la morte. Paolo si trova in carcere, è nel dolore, eppure esorta continuamente alla gioia. La felicità vera non è quella effimera, che pur ha un valore in sé, ma è di breve durata. La vera gioia non è dovuta alle circostanze, ma allo stile di vita acquisito. Occorre essere onesti con se stessi – ha sottolineato J. Castellanos – e bisogna sempre avere il senso della gratitudine: “Essere grati ci rende felici!”. Per il cristiano, il centro della felicità è Cristo; è lui che ci dona la gioia, per cui occorre fissare lo sguardo sul nostro Donatore divino.
Le religioni, pur nei loro diversi percorsi spirituali, propongono la strada per raggiungere la vera felicità, è emerso nel dibattito che ha fatto seguito alle riflessioni dei vari rappresentanti; bisogna guardare la vita con uno sguardo positivo, con un senso di gratitudine; bisogna vivere con pazienza, perché con questo stile di vita si può avere la forza per affrontare il dolore, nella speranza di essere liberati da esso.
di Lucia Antinucci
Commenta per primo