Storia dell’ebraismo 8. Gli ebrei nel XVIII secolo
Molto diversificate furono le condizioni degli ebrei nel XVIII secolo in Europa. Nell’area occidentale “una ristretta fascia di ebrei, pur non raggiungendo ancora il riconoscimento dei diritti civili, si inserisce più intensamente nella società e nella cultura dominante, mentre la situazione della maggior parte della popolazione ebraica continuò a essere contraddistinta da una pesante discriminazione” (P. Stefani, Introduzione all’ebraismo, 54). Le condizioni di vita degli ebrei in Polonia peggiorarono marcatamente quando il territorio passò sotto il dominio russo.
L’ebraismo fu contraddistinto dalla dialettica per l’insorgere di due diversi movimenti: in Occidente sorse il movimento intellettuale haskalà, mentre nell’Europa oriente si sviluppò un movimento mistico e popolare, il chassidismo.
L’haskalà (significa illuminismo) nacque dall’esigenza di superare il divario tra la cultura ebraica tradizionale e il mondo circostante; una realizzazione tipica di esso si ebbe a Berlino nella seconda metà del Settecento. N. H. Wessely (esponente dell’haskalà moderato), non auspicò una riforma religiosa, e neppure il riconoscimento della parità dei diritti civili tra gli ebrei e non ebrei, ma puntò solo sui miglioramenti dal punto di vista sociale e l’apertura dell’educazione ebraica anche ai contenuti profani. Un esponente di spicco dell’halaskalà, il cui pensiero influì anche sugli ambienti non ebraici, fu Moses Mendelssohn (1729-1786).
Il chassidismo ebbe inizio verso la metà del XVIII secolo; “tradusse in forme popolari alcuni aspetti del pensiero cabalistico e si trasformò in un movimento destinato a influenzare a lungo, sia pure non senza resistenze e contrasti, la vita e la cultura di un gran numero di ebrei dell’Europa orientale” (Stefani, 55). Un flusso consistente di aderenti al chassidismo si stabilirono poi negli Stati Uniti e nella terra d’Israele; ancora attualmente costituiscono i due centri più notevoli della corrente mistica. Con lo sterminio nazista, invece, venne annullata la presenza del chassidismo nell’Europa orientale.
Il dispotismo illuminato del Settecento portò all’Editto di tolleranza, emanato nel 1782 dall’imperatore d’Austria Giuseppe II, “con lo scopo di regolamentare la presenza ebraica entro la società. Una delle sue clausole imponeva agli ebrei residenti nei domini asburgici l’assunzione di cognomi conformi all’uso occidentale. Se l’ebreo non ne aveva da proporre era il funzionario stesso a sceglierlo tra i nomi non in uso tra i cristiani. Ciò spiega l’esistenza tra gli ebrei tedeschi di molti cognomi singolari e facilmente riconoscibili, tipo quelli ispirati a nomi di minerali, di fiori, di animali ecc.” (Stefani, 55).
Nel XVIII secolo si verificò il fenomeno dell’ebreo di corte (con anticipazioni già durante il Medio Evo), soprattutto nell’Europa centrale. La funzione degli ebrei di corte fu quella di fornire finanziamenti per scopi civili e militari, ottenendo la concessione di diritti fiscali e l’autorizzazione a battere moneta; tutto ciò creò ostilità nei loro confronti da parte della popolazione. Gli ebrei di corte subivano anche un atteggiamento di diffidenza da parte delle comunità ebraiche locali, per il loro stile di vita distante da quello classico ebraico. Le fortune o le disgrazie degli ebrei di corte si ripercuotevano però sulle comunità ebraiche locali.
Nel XVIII secolo le élite ebraiche della società occidentale non ottennero mai la piena uguaglianza con gli altri sudditi; ciò si verificò solo con le rivoluzioni di fine secolo.
“La prima metà del XVIII secolo fu per gli ebrei, in particolare nelle terre dell’Europa centro–orientale, un periodo particolarmente difficile. La Controriforma, altrove trionfalmente vincitrice, non era ancora stata metabolizzata dalle popolazioni polacche e russe. Inoltre, la tragica conclusione della vicenda che vide protagonista lo pseudo-messia Sabbatai Zevi aveva gettato nello sconforto più profondo un po’ tutto il popolo d’Israele, ma in particolare quelle regioni periferiche, ad alta concentrazione ebraico.
La reazione a questi fatti fu dapprima un aumento di rigore dottrinario, che divenne particolarmente pesante. D’altra parte, la popolazione ebraica era una frazione consistente della popolazione generale e l’ebraismo, seppure lontanissimo dall’essere maggioritario o anche solo riconosciuto, era una realtà importante che si auto-sosteneva, sia a livello religioso, sia a livello economico. La presenza di piccoli e piccolissimi centri, a volte esclusivamente ebraici, faceva sì che vi fossero delle figure, che oggi chiameremmo predicatori, che svolgevano le funzioni di ministri di culto e docenti itineranti. Queste figure avevano importanti funzioni non solo religiose, e svolgevano anche funzioni diverse, quali il medico, il macellaio rituale, il circoncisore e altro. Nell’opprimente clima di quei tempi questi “ministri” itineranti dovevano essere consapevoli del malessere che serpeggiava nelle comunità ebraiche. Il Baal Shem Tov era uno di questi, e diede una risposta originale al malessere dei tempi.
[…] Il Chassidismo è anche l’incontro di vivacità e fervore spirituali religiosi, caratterizzati anche dalla Kavvanà espressa nella gioia e nella santità delle danze e dei canti, con lo studio metodico e rigoroso. Questi aspetti, l’immediato della gioia, quello dello studio profondo e quello del rigore, vengono vissuti in modo completo ed unitariamente secondo quella semplicità che aveva caratterizzato il Besht, e ciò avveniva sia nella vita quotidiana fatta di lunghi pellegrinaggi con lo scopo di raggruppare o sostenere il maggior numero di ebrei, sia nello studio e nell’insegnamento, casi in cui le cose apparentemente insormontabili risultavano sempre sfociare in una buona occasione per fare di quell’esperienza una tradizione orale il cui insegnamento sprigionava la fede e l’unione con Dio nella consapevolezza del continuo sostegno provvidenziale e messianico vissuto nel cuore di ogni ebreo del tempo e di sempre”.
Cf. https://it.wikipedia.org/wiki/chassidismo [ultimo accesso 14-03-2019]
di Lucia Antinucci
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