Storia dell’ebraismo 5. Il XV secolo nella penisola iberica
Verso la fine del XV secolo in Francia e in Inghilterra le comunità ebraiche erano assenti, in Germania la situazione era alquanto precaria. In Polonia e in Lituania, invece, le comunità ebraiche si stavano ampliando ed in Russa ci furono i primi insediamenti ebraici. In Italia gli ebrei erano ben inseriti nella cultura umanistica e godevano anche di una certa prosperità.
La situazione cambiò radicalmente nella penisola iberica, poiché le condizioni delle comunità ebraiche nei regni iberici cominciarono a peggiorare già verso la fine del XIV secolo. Nel 1391 “un influente ecclesiastico di Siviglia, Fernando Martinez, bandì una crociata contro gli ebrei additati a nemici della fede cristiana. Da lì l’ondata di violenze antigiudaiche si diffuse in Castiglia per passare poi al resto della penisola. Nel periodo immediatamente successivo altre voci, in particolare quella di Vincenzo Ferrer, tennero alto il tono antigiudaico” (Piero Stefani, Introduzione all’ebraismo, 49). Vennero uccisi molti ebrei e venne a crearsi anche il fenomeno del marranesimo (da marranos, porci), cioè degli ebrei che in Spagna e Portogallo vennero costretti al battesimo forzato, ma che segretamente erano legati alla loro fede e, nel limite del possibile, continuavano a seguire le pratiche giudaiche. Dal punto di vista ebraico non erano considerati apostati, mentre secondo la Chiesa, essendo battezzati, rientravano nella giurisdizione del tribunale dell’inquisizione, a cui invece non sottostavano gli ebrei non battezzati.
Nel 1478 Sisto IV aveva emanato una bolla con la quale aveva istituito l’inquisizione spagnola, controllata autonomamente dalla corona. L’anno seguente i regni di Castiglia e Aragona furono uniti sotto la sovranità di Ferdinando II e di Isabella (denominati i re cattolici). Nel 1492, con la presa di Granada venne conquistato l’ultimo caposaldo islamico presente nella penisola iberica, ed una conseguenza del completamento della riconquista fu l’editto di espulsione degli ebrei. Alla fine del XV secolo, a causa delle conversioni forzate e delle uccisioni, gli ebrei in Spagna si ridussero a circa duecentomila, un terzo di quanti erano un secolo prima. L’editto concedeva agli ebrei che non si erano convertiti di lasciare il paese entro quattro mesi. Con i neoconvertiti, però, l’inquisizione fu particolarmente dura: “In tutta la Spagna si diffuse comunque l’esaltazione della limpieza de sangre, cioè della purezza di ‘cristiani vecchi’ che nulla avevano a che fare con i neoconvertiti. A differenza di quanto a volte si dice, quest’esaltazione non rappresenta un tratto razzistico (anacronistico per l’epoca), quanto l’estensione all’intera popolazione iberica dell’ideale della nobiltà guerriera affermatosi nella lotta contro l’islam. Va detto che dal loro canto anche gli ebrei sefarditi [ebrei spagnoli, da Sefarad, Spagna in ebraico] si consideravano nobili e gelosi custodi dell’hispanidad, da qui il trauma acutissimo suscitato in loro dall’espulsione” (Stefani, 50).
Con il passare del tempo, in modo del tutto paradossale, il sospetto nei confronti dei neoconvertiti si acuì sempre più. Durante il XV secolo si ebbero dei casi, tipicamente spagnoli, come quello di Pablo di Santa Maria, che dapprima rabbino divenne poi vescovo della sua città (Burgos). Nel XVI secolo Ignazio di Loyola (fondatore dei gesuiti) ebbe tra i suoi più fidati compagni Diego Lainez di ascendenze ebraiche; anche Teresa d’Avila ebbe una provenienza ebraica. Nei secoli successivi, invece, gli ordini religiosi, anche i gesuiti, esclusero i candidati che avevano provenienze ebraiche anche per antenati molto remoti.
In seguito al decreto di espulsione ci fu una forte ripresa del marranesimo, ma la violenza dell’inquisizione, durante l’epoca di Torquemada, fece sì che molti marrani cercassero di rifugiarsi altrove. Una parte degli espulsi nel 1492 trovò rifugio in Portogallo, da cui però vennero allontanati alcuni anni dopo (1496-1497). La diaspora sefardita si diresse verso l’Algeria, il Marocco, l’impero ottomano (grazie alla politica tollerante attuata dai governi islamici; qui, ad esempio, Josep Nasi duca di Nasso – ca. 1524-1579 – ricoprì ruoli di primissimo piano), i Paesi Bassi, i Balcani, in tutto il bacino del Mediterraneo e in alcuni centri italiani (come Ferrara – accolti dal Duca Ercole I d’Este – Livorno). L’Editto di Granada che sancì l’espulsione degli ebrei nel 1492 rimase in vigore sino alla seconda metà del XIX secolo, quando venne infine annullato, nel 1858, durante il regno di Isabella II di Spagna.
“A Pesaro […] sorse proprio una jeshivà, scuola di studi superiori, grazie a Rabbi Moshé Bàsola insigne studioso dei sacri testi, rabbino e cabalista.
Nel 1522 aveva visitato la città di Safed in Palestina, […] poi giunto a Pesaro e la sua fama era tale che molti vi affluirono per frequentare il centro di studi cabalistici da lui fondato.
Anche il ricco banchiere, filantropo e mecenate, ordekhaj Volterra, giunto dal Portogallo attraverso Livorno, subì il fascino di questo tipo di studi, si trasferì per un certo tempo a Pesaro ed è indicato come il committente e finanziatore della sinagoga sefardita.
Tutto questo prima del 157O poiché il 1O gennaio di quell’anno venne poi chiamato a Firenze, da Francesco dei Medici, ove rivestì la carica di consigliere politico-finanziario, anche Rabbi Bàsola lascia la città per fondare una nuova scuola prima ad Ancona poi a Safed”.
Maria Luisa Moscati “La sinagoga sefardita di Pesaro – Morasha”
In www.morasha.it/zehut/mlm03_sinagogapesaro.html [ultimo accesso 02-12-2018]
di Lucia Antinucci
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