Storia dell’Ebraismo 1. La diaspora dell’Era antica
Il dialogo con l’Ebraismo, definito asimmetrico, perché è necessario per il cristianesimo, comporta la conoscenza della religione, definita nel Nuovo Testamento, la ‘santa radice’, l’olivo buono su cui siamo stati innestati, la religione dei fratelli maggiori o dei fratelli gemelli (Esaù e Giacobbe – espressione preferita dagli ebrei). Un modo privilegiato per conoscere una tradizione religiosa è quella di avvicinarsi alla sua storia, alle sue vicissitudini, alla sua evoluzione. L’Ebraismo si caratterizza per una grande vitalità, varietà, ricchezza, che è continuata nei secoli fino ai nostri giorni; non si è quindi esaurita con la fase biblica (Era Antica / Antico Testamento per noi cristiani).
Desidero qui ripercorrere i principali passaggi della storia dell’Ebraismo, iniziando con la fase biblica che ha originato la diaspora (dispersione), stanziamento volontario fuori della terra di Canaan. Essa si determinò anche a causa dell’esilio (golà o galut in ebraico), stanziamento coatto, che precede di molto l’epoca della nascita del Cristianesimo, il che contrasta con il pregiudizio antigiudaico secondo cui la diaspora sia stata una punizione divina per aver rifiutato Gesù.
Si pensa spesso erroneamente che la diaspora si sia venuta a creare con un evento, certamente traumatico, quale fu la conquista romana di Gerusalemme e la distruzione del secondo Tempio (70 d.C.): “[…] la dispersione non è una conseguenza di una deportazione romana, è qualcosa di preesistente e in un certo senso esistente per se stessa” (L. SESTIERI, Gli ebrei nella storia di tre millenni, Carucci, Roma 1980, 52). La diffusione nell’area mediterranea delle comunità ebraiche, inoltre, agevolò pure la diffusione dell’annuncio evangelico al di fuori della Giudea o della Galilea, perché gli evangelizzatori provenienti dalla Palestina si rivolgevano anzitutto ai loro fratelli ebrei della sinagoga.
Le origini della diaspora ebraica risalgono, invece, all’epoca biblica, in seguito alla conquista del Regno del Sud ad opera dell’impero babilonese, che deportò gli ebrei. Il Regno del Sud (detto anche Regno di Giuda) con capitale Gerusalemme, si era originato in seguito alla scissione dal Regno del Nord (detto anche di Israele) con capitale Samaria, in cui venne introdotta l’idolatria, dopo la morte di Salomone (933 a.C.), ad opera dei suoi figli Roboamo e Geroboamo. I babilonesi deportarono una parte della popolazione del regno di Giuda nei primi anni del VI secolo a.C.: “Accanto alle voci profetiche che preannunciavano la rinascita e la consolazione del popolo (Ezechiele, Secondo-Isaia), si manifestarono così le prime corpose tendenze volte ad affidare un peso determinante allo studio della Scrittura, alla sua proclamazione liturgica (diventata in seguito tipica della prassi sinagogale) e all’osservanza del sabato, atti tutti destinati a lasciare tracce assai profonde nei successivi sviluppi della tradizione ebraica” (P. STEFANI, Introduzione all’Ebraismo, Queriniana, Brescia 2014, 31).
Un’altra diaspora venne determinata dall’invasione della Giudea ad opera dell’impero macedone. Alessandro Magno, che sconfisse i persiani nel 333 a.C., permise ai giudei l’osservanza delle loro leggi. L’ellenizzazione, la religione politeista con l’adorazione dell’imperatore, venne imposta da Antioco IV Epifane (in greco [dio] rivelato [187-163 a.C.]), ma detto anche Epimane (pazzo); per gli ebrei costituì l’incarnazione del male (cf. Dn 7,25; 11,36-39). Antioco IV quando entrò a Gerusalemme fece distruggere il Tempio e fece costruire un altare dedicato a Zeus Olimpo (15 dicembre 167 a. C.). Nel Tempio distrutto venne trovata ancora accesa la lampada che ardeva davanti al Sancta Sanctorum (il recesso più interno del tempio ebraico, nel quale poteva entrare solo il sommo sacerdote nel giorno del kippur [espiazione] e nel quale si custodivano le tavole della Legge). Da questo episodio è nata la festa ebraica delle luci, festa di Hannukkah., che si celebra nel mese di dicembre. Antioco IV diede inizio all’abominio della desolazione (cf. Dn 3,27); vennero prese misure repressive contro il culto ebraico, proibendo la circoncisione e la celebrazione delle feste sotto pena di morte (cf. 1 Mac 41,64). Gli ebrei pii (Hasidim o Asidei cf. 1Mac 2,42) si opposero all’ellenizzazione, anche affrontando il martirio (come la madre maccabea con i sette figli), e la classe nobile e sacerdotale riuscì ad organizzare una resistenza.
Da questi eventi dolorosi nacque, però, anche una realtà positiva, perché sorsero i due più importanti centri dell’ebraismo diasporico: Babilonia e Alessandria. Il salmo 137(136) esprime il dolore per la lontananza della patria, anche se tale sofferenza venne avvertita soprattutto dalla prima generazione dei deportati, perché quelle successive si inserirono molto bene nella nuova patria, pur senza perdere la loro identità ebraica:
“1 Sui fiumi di Babilonia,
là sedevamo piangendo
al ricordo di Sion. 2 Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre. 3 Là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
canzoni di gioia, i nostri oppressori:
«Cantateci i canti di Sion!». 4 Come cantare i canti del Signore
in terra straniera? 5 Se ti dimentico, Gerusalemme,
si paralizzi la mia destra; 6 mi si attacchi la lingua al palato,
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non metto Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia”.
Nella diaspora babilonese gli ebrei vissero prevalentemente nei villaggi, nel contesto di una popolazione molto variegata, parlando un dialetto aramaico, largamente comprensibile. In seguito, gli ebrei vennero riconosciuti dalle autorità ellenistiche (i Seleucidi) e poi i Parti assunsero nei loro confronti un atteggiamento favorevole. La popolazione ebraica della diaspora in occidente, invece, viveva nelle città, dove costituì comunità autonome ed esercitò attività di tipo commerciale e artigianale; parlava il greco della koiné. A differenza di quanto avverrà poi con la dominazione romana, non costituivano una o più comunità religiose, ma formavano una grande organizzazione civile (politeuma), che era retta ora da un etnarca e ora da una gerusia.
Con la vittoria dei persiani sui babilonesi e l’editto di Ciro (538 a.C.), i deportati di Giuda poterono rientrare in patria e riedificare il Tempio, e il ritorno avvenne in due ondate che si protrassero per almeno un secolo; non tutta la popolazione ebraica fece ritorno in patria, perché ci furono coloro che preferirono restare in Babilonia. Tra coloro che rientrarono a Gerusalemme ci fu il riformatore Esdra (verso la seconda metà del V secolo a.C.), che realizzò una pubblica lettura della Torah (Pentateuco), costituendo così l’inizio stesso del giudaismo (cf. Ne 8), che pose al centro della propria vita comunitaria la lettura, l’interpretazione e l’attuazione della Parola di Dio. L’incontro con la cultura persiana influì molto sull’escatologia giudaica, l’apocalittica (visione drammatica della venuta del regno di Dio), e si venne a creare anche il fenomeno del proselitismo (seguaci dell’ebraismo pur non essendo di nascita ebraica), per cui un rabbì di epoca posteriore affermò che Dio avrebbe disperso il suo popolo fra le genti al solo scopo di costituire proseliti (cf. b. Pesachim 87b).
Gli ebrei ellenistici conservarono le loro caratteristiche etniche e religiose e di norma versavano l’imposta al Tempio di Gerusalemme, pur interagendo creativamente con l’ambiente culturale in cui vivevano. Lo stanziamento più antico fu quello in Egitto, dove negli ultimi secoli dell’epoca biblica (Era antica), la popolazione ebraica ebbe un notevole sviluppo demografico, come pure in tutta l’area mediterranea e anche oltre. L’insediamento ebraico più importante fu quello di Alessandria d’Egitto con un notevole spessore culturale che interagiva con l’ambiente circostante.
Alla comunità ebraica di Alessandria si deve la traduzione in greco della Bibbia (Antico Testamento) detta dei Settanta (III-II secolo a. C.); secondo la leggenda venne realizzata da 70 saggi – separatamente da ciascuno di loro – in 70 giorni, e quando si confrontarono emerse che le traduzioni coincidevano perfettamente. Questa traduzione venne a lungo usata dal giudaismo ellenistico e venne sconfessata progressivamente dal rabbinismo solo quando i cristiani l’assunsero come versione privilegiata dall’Antico Testamento. Al giudaismo ellenistico si deve anche la redazione dei libri deuterocanonici, cioè dei testi biblici scritti in lingua greca, entrati nel canone dei libri ispirati ad opera della Chiesa (attualmente di quella cattolica e ortodossa – che seguono il canone alessandrino – mentre i riformati seguono il canone palestinese ebraico), come ad esempio il Libro della Sapienza, che rivela il confronto fra la tradizione biblica e la cultura filosofica ellenistica. Un grande pensatore ebreo alessandrino fu Filone (vissuto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.). Nelle comunità ebraiche della diaspora, sottoposte alle varie condizioni giuridiche previste per le minoranze, assunse un ruolo centrale la sinagoga e ci furono – come già messo in risalto – processi di inculturazione, integrazione linguistico-culturale nei confronti dell’ambiente circostante.
Durante il I secolo a. C. tutta la terra d’Israele passò sotto il controllo romano, in seguito alla vittoria delle truppe di Pompeo, con un dominio a volte esercitato indirettamente, come durante l’epoca di Erode il Grande, e a volte direttamente. Più tardi, al tempo dell’imperatore Caligola , per breve tempo, si formò un unico, esteso regno sotto Agrippa, ponendo fine momentaneamente alla frammentazione del territorio. Alla morte di quest’ultimo (44 d.C.), però, l’intera area passò sotto il diretto controllo del procuratore romano. In tutto questo periodo i romani consentirono agli ebrei di seguire le loro tradizioni religiose; lasciarono sussistere l’autorità sacerdotale che era legata al culto del Tempio di Gerusalemme e quella del Sinedrio (senato religioso composto da 70 membri) di Gerusalemme. Fu questa la situazione politica che portò poi alla prima guerra giudaica. Verso la metà del I secolo d. C. il numero degli ebrei, che rappresentava il 10% dell’intera popolazione imperiale, suppongono gli storici che fosse – globalmente – di circa sette milioni, e solo due milioni e mezzo vivevano in Terra d’Israele (Eretz Israel).
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