Ci troviamo liturgicamente nel tempo pasquale e si impone una riflessione sull’evento fondante della nostra fede: l’incontro con il Risorto da parte di alcuni discepoli che diventano i suoi testimoni. Una manifestazione particolare del Risorto è quella ai due discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,13-35), perché in essa è possibile vedere la parabola della presenza del Signore nella storia di sempre, e nella vita di ciascuno. L’evangelista, guidato dallo Spirito, con il suo racconto risponde ad un interrogativo cruciale che circolava nella comunità: perché Gesù, risorto e vivente, non si fa più vedere dai discepoli, come i primi tempi, per eliminare ogni incertezza? Luca testimonia questa consapevolezza della chiesa delle origini: “Se Gesù non si vede, non si palesa in mezzo a noi come il vivente, è perché i nostri occhi sono incapaci di vederlo, perché i nostri cuori sono pigri e lenti a credere. Egli cammina accanto a noi come uno straniero o sconosciuto, ma per riconoscerlo bisogna lasciarsi guidare da lui nel rileggere la parola di Dio, l’antica promessa di salvezza; bisogna condividere la mensa, spezzar il pane con lui. Allora si apriranno i nostri occhi e riconosceremo il Signore: Ma a questo punto egli non sarà più ‘visibile’ perché ora è nella gloria, cioè sottratto al controllo dei desideri o delle attese umane, sta oltre ciò che è disponibile e a portata di mano” (G. Barbaglio). Il Risorto è presente, ma in un modo nuovo, per opera dello Spirito; Egli va aldilà delle categorie mondane, in quanto è nella realtà futura verso cui è proteso anche il presente della storia. Partendo dalla tradizione di un’apparizione del Risorto, l’evangelista Luca ha sviluppato il racconto dando ad esso un intento catechetico, didattico, iniziando con la presentazione degli interlocutori di Gesù, i loro interrogativi, a cui fa seguito la catechesi del Maestro (vv.17-27), cioè l’istruzione mediante il dialogo, che approda alla comunione con il Signore (vv.28-32), la scoperta del mistero del personaggio, per arrivare infine alla testimonianza (vv.33-35). I due discepoli partono da Gerusalemme tristi e delusi e vi ritornano commossi ed entusiasti.
Al centro del racconto c’è l’incontro con il pellegrino sconosciuto che determina il loro cambiamento. Il lettori del Vangelo sanno già chi sia il personaggio misterioso, e questo crea un clima di attesa e di partecipazione emotiva alla vicenda dei due discepoli. Il dialogo è la parte centrale del racconto che porta i discepoli frustrati al riconoscimento di Gesù, alla scoperta del suo Mistero, superando l’attesa del messianismo politico. L’evangelista colloca l’episodio nel giorno della resurrezione (“In quel medesimo giorno” v.13), ed è difficile l’identificazione dei due discepoli che non fanno parte degli Undici, ma del gruppo più ampio dei seguaci del Nazareno (cf. Lc 10,1ss; At 8,5-40; 21,8.16). I due discepoli discorrono fra loro degli avvenimenti sensazionali di quei giorni (v.9), della morte di Gesù e del ritrovamento del sepolcro vuoto. Essi discutono e dialogano (v.15); Luca evidenzia, quind,i che hanno un atteggiamento di ricerca appassionata della verità e rivivono, con trepidazione ed inquietudine, gli eventi decisivi, a cui non si può restare indifferenti. “Gesù si avvicinò e si mise a camminare con loro” (v.15): Luca delinea con il suo racconto l’itinerario attraverso cui si manifesta il Risorto; l’uomo di sempre lo cerca ma il Signore continua ad essere uno straniero per lui, se non supera la miopia delle sue certezze mondane. “Tuttavia Cristo è lì, come una luce che lo sta per illuminare, anche se l’uomo ancora non se ne accorge (vv.13-18); -poi viene ricordata, proclamata, spiegata la Scrittura (vv.18-27 che corrisponde quasi alla nostra Liturgia della Parola nel contesto della Messa); -segue la frazione del pane, che corrisponde alla nostra Liturgia Eucaristica (vv.28-32), il momento dell’incontro vero, della comprensione totale del mistero; -infine il momento della testimonianza (vv.33-35) in cui chi crede si fa profeta, chi ha sperimentato si fa testimone, chi ha conosciuto il mistero di Cristo se ne fa araldo” (C. Ghidelli). Il Signore è con i discepoli, “ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo” (v.16); essi sono al corrente del ‘caso Gesù’, sono molto informati sulla sua vicenda, ma non comprendono, non sanno cogliere il significato salvifico della vita, morte e resurrezione del Nazareno. Luca evidenzia il contrasto tra la situazione dei due discepoli, che sono in una fase di ricerca, e la comunità, i lettori del Vangelo che conoscono l’identità del misterioso pellegrino, poiché hanno accolto il dono della fede. I due discepoli, invece, hanno gli occhi bendati, sono tristi, il loro cuore è insensibile perché non ancora si sono lasciati mettere in crisi dalla novità di Dio. Il pellegrino li interroga: “Che discorsi sono questi che vi scambiate l’un l’altro, cammin facendo?” (v.17). La loro reazione è strana: “Si fermarono, tristi”; non si tratta, però, dell’indignazione per la domanda indiscreta o ingenua, ma è una realtà più profonda, è uno stato di crisi che emerge dai loro discorsi. La ricerca passa inevitabilmente per la crisi, il fallimento di tutte le certezze a cui ci si era aggrappati; è una sofferenza spirituale salutare per la rinascita, è già il primo passo verso il cambiamento, la metanoia profonda.
Dopo aver preso l’iniziativa del dialogo Gesù fa lo gnorri (v.18s., espediente letterario di Luca) ed il dialogo si fa serrato, dinamico. Nonostante la tristezza i discepoli fanno un’accurata ricostruzione degli eventi, che si ferma però alla morte di croce, seguita da alcune ipotesi, una vaga speranza e tanta paura. E’ questo lo stato d’animo che ha portato i discepoli alla fuga, all’evasione da ciò che si era rivelata solo una vana illusione, l’avventura entusiasmante con il Messia nazareno morto crocifisso. Essi sono ancora lontani dalla luce pasquale che consente di leggere nella prospettiva storico-salvifica tutta la storia di Gesù e di comprenderne in pienezza il suo mistero. I discepoli sono ancorati alla speranza giudaica, per cui hanno visto Gesù come il ‘profeta potente che avrebbe liberato Israele’. La sua morte infamante sembra la smentita della speranza che si è del tutto dissolta; l’inviato di Dio avrebbe dovuto coronare con il successo la sua missione, non con il fallimento. I discepoli riferiscono della testimonianza delle donne circa il sepolcro vuoto (v.22), che ha creato in loro solo sconcerto, non li ha portati alla fede perché il dato empirico è di per sé ambiguo: “La fede nel Risorto non nasce dal sepolcro vuoto, ma il sepolcro mette sulla via sulla quale il Risorto dà testimonianza di sé” (W. Nauck).
Gli stessi discepoli attestano che il segno è un dato empirico verificabile: “Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato tutto come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”. Il dato viene accompagnato anche dalla testimonianza circa la manifestazione degli angeli (v.23), per cui nei discepoli comincia a crearsi il sospetto che sia avvenuto veramente qualcosa di prodigioso. Il racconto di Luca evidenzia che il misterioso pellegrino viene in aiuto dei due discepoli, che sono alla ricerca della verità, ma non riescono a superare i loro limiti; solo l’intervento divino può dare la possibilità all’uomo di fare un salto di qualità e di affidarsi fiducioso alla sua novità assoluta. Il pellegrino comincia a illuminare i discepoli, conducendoli verso una nuova lettura delle Scritture (cf. v.27), una lettura che vede il compimento delle profezie con la morte del Cristo, poiché essa segna l’ingresso nella gloria (cf. v.26), la realizzazione del piano salvifico di Dio in modo inaudito, sconvolgente: “Quindi nella doxa di Colui che è stato innalzato si vede la doxa di Colui che è morto sulla croce” (H. Schlier).
Con l’arrivo al villaggio Luca introduce l’ultima scena del racconto: Gesù fa finta di proseguire, ma i due lo costringono a fermarsi e l’invito, che è una vera costrizione secondo le usanze orientali, si trasforma in una preghiera. E’ l’ora della sera, l’ora del ristoro, del riposo, del dialogo, della comunione, per cui i discepoli dicono al pellegrino: “Resta con noi, perché si fa sera ed il sole ormai tramonta” (v.29). E’ durante la cena, nello spezzare il pane, che il pellegrino si manifesta come il Risorto: “Ed avvenne che mentre si trovava a tavola con loro, prese il pane, pronunciò al benedizione, lo spezzò e lo distribuì loro” (v.30; cf anche v.35). Luca testimonia che la nuova presenza di Cristo è quella della Parola e dello ‘spezzare il pane’, fulcro della chiesa nascente (cf. At 2,42-46; 20,7.11), per cui il racconto ha anche una dimensione liturgica. Alimentarsi della Parola alla luce della fede pasquale, con la testimonianza degli apostoli, rende il cuore di ciascuno capace di riconoscere nella fractio panis il Mistero che si compie nella chiesa, il memoriale dell’ultima cena del Rabbi nazareno. “Ed è proprio l’Eucarestia la chiave di svolta di questi due uomini. Quando due persone si amano, si parlano anche solo con uno sguardo, basta un segno, la comunicazione è immediata. Di colpo balzarono in piedi, lasciano la cena a metà e corrono verso Gerusalemme. Quel Gesù che fu profeta, che speravano liberasse Israele, che è stato ucciso in croce, era apparso loro, aveva camminato con loro e aveva spezzato per loro il pane” (E. Scognamiglio).
Mentre si manifesta il Signore si sottrae ai loro sguardi, perché la presenza del Risorto è quella escatologica, non quella del presente: “Allora si aprirono i loro occhi e lo riconobbero. Ma egli disparve ai loro sguardi” (v.31). Gesù non è un fantasma; è una persona reale quella con cui hanno camminato e parlato i due discepoli, ma nel momento in cui si manifesta il suo mistero non è più percepibile a livello empirico. La manifestazione gloriosa serve per aiutare la fede, perché Cristo è presente in modo nuovo e questa presenza è visibile con gli occhi spirituali, è un vedere molto più profondo, che va aldilà di ciò che appare. L’incontro con il Risorto apre alla verità ed è fonte di gioia; scioglie la sclerocardia ed accende nei cuori il fuoco della passione divina, che rende testimoni coraggiosi: “Si dissero allora l’un l’altro: ‘Non ardeva forse il nostro cuore quando egli, lungo la via, ci parlava e ci spiegava le Scritture?’ Quindi si alzarono e ritornarono subito a Gerusalemme, dove trovarono gli Undici riuniti e quelli che erano con loro” (vv.32-33). La fede dei discepoli, nata dall’incontro con il Risorto si consolida con la testimonianza di fede della chiesa nascente, degli apostoli: è lì che va cercato il Signore! La sua presenza si realizza tramite la chiesa, tramite i suoi testimoni, che ricevono lo Spirito che li trasforma profondamente e li rende idonei alla missione. L’itinerario della fede pasquale si completa quindi con l’ultima parte del racconto di Luca. I discepoli delusi che vogliono andare lontano dal luogo degli eventi messianici, Gerusalemme, illuminati dal Risorto, comprendono che la fede in Lui non può essere individuale, anche se è personale, cioè parte dalla profondità del cuore; essa dev’essere sostenuta dalla professione di fede della comunità apostolica, che annuncia continuamente il mistero del Risorto, nell’attesa della sua parusia: il Signore è Colui che è venuto, che viene e che verrà, e lo si incontra attualmente nella chiesa. Questa certezza non esonera dalla ricerca, perché il Signore si nasconde ai nostri occhi; bisogna cercarlo continuamente, appassionatamente. Quando finalmente i nostri occhi si aprono, esplode la gioia, preludio dell’esultanza senza fine nella Gerusalemme celeste. Maranathà, Vieni Signore Gesù!
di Lucia Antinucci
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