Assisi saluta la Riforma. Guidati dall’immagine del giovane Francesco che si spoglia dei propri abiti mondani davanti al padre e viene abbracciato dal Vescovo Guido che simboleggia l’unità della Chiesa, oltre duecento delegati provenienti da tutta Italia si sono ritrovati nella città del Poverello, dal 20 al 22 novembre 2017, per spogliarsi di ogni diffidenza e partecipare con fraterno spirito ecumenico al convegno intitolato Nel nome di Colui che ci riconcilia tutti in un solo corpo (cf. Ef 2,16), organizzato dall’ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) in collaborazione con l’Arcidiocesi Ortodossa di Italia e Malta del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, la Chiesa Apostolica Armena,la Diocesi di Roma del Patriarcato Copto Ortodosso, la Chiesa d’Inghilterra, la Diocesi Ortodossa Romena d’Italia e la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (Battisti, Esercito della Salvezza, Luterani, Metodisti e Valdesi). Prendendo spunto dal quinto centenario della Riforma Luterana, i rappresentanti di queste Chiese hanno lavorato insieme alla fase preparatoria, dando corpo ad un programma, frutto di riflessione e di confronto comune, per indagare i significati di riforma nel contesto storico attuale.
Prima Giornata «Con questo convegno a più voci vogliamo concludere il cammino che in questo anno abbiamo percorso in diversi modi per riflettere sui 500 anni dalla Riforma di Lutero» ha dichiarato in apertura il Vescovo Ambrogio Spreafico, presidente della commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della CEI, sottolineando come i lavori di Assisi siano da leggere in assoluta continuità con il cammino iniziato lo scorso anno con il convegno di Trento (Cattolici e protestanti a 500 anni dalla Riforma, 16-18 novembre 2016) e con le tante iniziative ecumeniche di commemorazione del cinquecentenario della Riforma luterana svoltesi a partire da quelle date. Una lunga serie di incontri e momenti di preghiera comune che «ci hanno visto riflettere confrontandoci non solo su quanto avvenuto nel secolo della Riforma, ma anche sull’oggi delle nostre relazioni». Dando il via alla prima giornata di lavori con la sua relazione, intitolata Camminare insieme. I tanti passi dell’ecumenismo in Italia, monsignor Spreafico ha evidenziato l’importanza della reciprocità del dono e del perdono nel cammino di comunione percorso dalle Chiese in quest’ultimo anno: «Ci ha guidato un atteggiamento senza il quale non sarebbe stato possibile lavorare insieme: l’umiltà. Nessuno ha voluto rivendicare o imporre le sue verità o attribuire colpe, anzi ci siamo chiesti reciprocamente perdono. Pur riconoscendo la ferita e il peccato della divisione, abbiamo cercato di lavorare su ciò che ci univa. Il nostro sforzo comune ci ha avvicinato e resi partecipi delle reciproche ricchezze, senza negare le differenze che ancora ci separano. Non abbiamo cercato di eliminarle pensando di costruire un fragile quanto inutile unionismo, ma, nella consapevolezza del cammino che ancora ci sta davanti, con rispetto e generosità ci siamo impegnati in un lavoro comune che senza dubbio ci ha arricchito». Ripercorrendo le tappe di questo cammino verso l’unità, non senza rammarico il presule ha preso atto della scarsa recezione da parte delle comunità dei tanti piccoli e grandi traguardi raggiunti, ricordando come troppo spesso «ciò che avviene ai vertici delle Chiese nelle relazioni ecumeniche non è recepito dalla base, così molti rimangono ancorati a vecchi stereotipi e pregiudizi che non aiutano e non affrettano il cammino verso l’unità». Pertanto, ha concluso il proprio intervento augurandosi «che questo spirito (ecumenico, ndr) sia da noi trasmesso alle nostre rispettive comunità di fede perché tutti ne possano essere partecipi».
L’auspicio finale di monsignor Spreafico ha dato slancio alla preghiera comune – seguita alla sua relazione e preparata dalla Chiesa Avventista del Settimo Giorno – che ha visto tutti i presenti impegnati nell’intonare il canto gospel He has done marvelous things, praise the Lord.
Alla preghiera ha fatto seguito la riflessione di Valdo Bertalot, segretario generale della Società Biblica in Italia, su una pericope della Lettera agli Efesini (Ef 2,1-11) e sulle parole che hanno dato il titolo al convegno: Nel nome di Colui che ci riconcilia tutti in un solo corpo (cf. Ef 2,16).
La prima giornata di lavori si è conclusa con il trasferimento dei partecipanti dalla Domus Pacis (sede del convegno) alla Basilica inferiore di San Francesco, dove ha preso vita una riflessione a tre voci sul tema della centralità della Croce nelle espressioni dell’arte delle rispettive tradizioni: per la parte ortodossa è stata proposta una lettura dell’Icona della Natività di Cristo, nella quale il legno della Croce sembra affondare le radici nel legno della culla del bambino Gesù, mostrando così l’inscindibile nesso tra incarnazione e opera redentrice; per la parte protestante, Heiner Bludau, decano della Chiesa Evangelica Luterana in Italia, ha analizzato il celebre dipinto Crocifissione di Lucas Cranach che adorna l’altare della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Weimar; la voce cattolica, infine, ha guidato i delegati alla scoperta delle meraviglie artistiche della Basilica ospitante, soffermandosi sugli elementi maggiormente connessi al tema della riflessione e sulla centralità della croce nell’arte e nella spiritualità francescane.
Seconda Giornata I lavori del 21 novembre sono stati aperti dalla meditazione del reverendo Jonathan Boardman della Chiesa d’Inghilterra su I gioielli della corona di Cristo Re, sulla testimonianza di Christina Rossetti, alla quale ha fatto seguito un’impegnativa tavola rotonda sul tema Eredità della Riforma, pluralità delle riforme. Come viene realizzata da ciascuna Chiesa la vocazione ad una sempre maggiore fedeltà al Vangelo?, che ha visto gli interventi della professoressa Silvana Nitti (Chiesa Metodista), di fra Roberto Giraldo (Chiesa cattolica), del vardapet Tovma Khachatryan (Chiesa Armena Apostolica) e del professor Carmine Napolitano (pastore pentecostale). Un momento di riflessione necessario – come ha affermato padre Giraldo, già preside del prestigioso Istituto di Studi Ecumenici San Bernardino di Venezia – per ricordarci «che la Chiesa ha vissuto e vive continue riforme ed è chiamata dallo Spirito ad un perenne processo di riforma e purificazione per essere sempre più conforme a Gesù Cristo. Anche quello che per molti è ancora considerato uno strappo provocato dai riformatori del XVI secolo, si rivela essere un pungolo a crescere nella fedeltà al Vangelo e un fattore di ricerca di unità e cattolicità. La Riforma stessa, poi, è un fenomeno molto ampio e complesso che non può essere ristretto al solo luteranesimo e alla sola Germania». Del resto – ha evidenziato il professor Giraldo – le stesse istanze ecumeniche vanno considerate «come motore di una riforma tuttora operante e viva nella chiesa cattolica romana». Sulla sua scia, padre Tovma Khachatryan ha ricordato come la storia della Chiesa Armena insegni che soltanto grazie alle riforme, tutte incentrate sull’avvicinamento del popolo alla Parola di Dio, sia stato possibile salvare la cultura armena, la religione cristiana e l’Armenia stessa dalla tirannia delle potenze straniere che l’hanno occupata e minacciata continuamente nel corso dei secoli, imponendo le loro culture e tentando con tutte le forze di convertire gli armeni ad altre fedi: a questo riguardo ha esposto le emblematiche vicende di San Mesrop Mashtots, che nel IV secolo diede vita all’alfabeto armeno e tradusse in lingua armena le Sacre Scritture, e di San Movses di Tatev, che a cavallo tra XVI e XVII secolo riavvicinò il popolo armeno alla Parola di Dio, dalla quale si era allontanato in seguito alla spartizione dell’Armenia tra Persiani e Ottomani.
Dopo la tavola rotonda, la sessione mattutina dei lavori è stata chiusa dalla riflessione a tre voci sul tema Le Chiese tra Bibbia e tradizione. Come è vissuta l’attività di riforma della e nella Chiesa?, che ha visto impegnati al tavolo dei relatori monsignor Roberto Filippini (Chiesa Cattolica), padre Antonio Gabriel (Patriarcato Copto Ortodosso) e la pastora Lidia Maggi (Chiesa Battista). «Oggi ci rendiamo conto – ha affermato la pastora – che alcuni nodi che creano distanze tra noi non si riescono a sciogliere per il troppo amore: i battisti mettono troppo amore nel loro modo di amministrare il battesimo; i cattolici mettono troppo amore nel loro modo di amministrare la cena del Signore ecc. […]. È per far fronte a questi eccessi d’amore che è entrato nel dibattito ecumenico il concetto di gerarchia delle verità. Per far crescere il tra noi è necessario un lavoro di essenzializzazione: concentrarsi sull’essenziale della fede per accorciare le distanze, senza annullare le differenze».
I lavori sono ripresi con una sessione pomeridiana incentrata sul modo in cui le Chiese affrontano la sfida di annunciare Gesù Cristo oggi, che ha visto padre Ionut Coman (Diocesi Ortodossa Romena d’Italia), la pastora Daniela Di Carlo (Chiesa Valdese) e monsignor Corrado Lorefice (Chiesa Cattolica) impegnati nel formulare una risposta all’interrogativo Come annunciare l’Evangelo in una società pluralistica?.
La giornata si è poi conclusa presso la Basilica superiore di San Francesco con la preghiera ecumenica curata dal Consiglio Ecumenico delle Chiese Cristiane in Umbria.
Terza Giornata Il Salmo 118 e il Bel Confitemini di Martin Lutero sono stati al centro della meditazione, curata dalla comunità monastica di Bose, che ha dato il via alla terza giornata del convegno. Ultima giornata che ha visto un’unica grande sessione assembleare, alla quale hanno fatto seguito workshop e lavori di gruppo, prima del rientro in assemblea per le conclusioni e gli appelli finali. Tra agorà ed ecclesia. Cosa le Chiese chiedono alla cultura di oggi, e cosa la cultura di oggi chiede alle Chiese? è stato il titolo di questa articolata sessione, che ha preso le mosse da una serie di impulsi iniziali, forniti da padre Ionut Coman e padre Ionut Radu (Diocesi Ortodossa Romena d’Italia), dal pastore Davide Romano (Chiesa Avventista) e da don Francesco Scanziani (Chiesa Cattolica). Sulla scia del Concilio Vaticano II e richiamandosi costantemente allo stile di dialogo col mondo insegnato da Gaudium et Spes, don Scanziani ha evidenziato come la sfida contenuta nell’interrogativo sia la stessa dei tempi del Concilio «o forse è semplicemente quella di ogni epoca: l’incontro tra vangelo e cultura, tra Cristo l’uomo di oggi». Una sfida che non può non tener conto delle oscillazioni presenti nella società contemporanea: «da un lato, il forte individualismo, fino a parlare di narcisismo, dall’altro l’estremo della globalizzazione, dove il contatto, almeno via social, pare continuo e immediato. Dall’atomizzazione dell’individuo alla sua confusione nella massa. L’esito – paradossale – appare convergere in una crescente solitudine». Una solitudine di fronte alla quale «siamo condotti ad aprire un vero dialogo con il mondo, non un monologo o una lezione unidirezionale. Si tratta di ascoltare e comunicare, di accogliere e donare. È una sfida che non toglie la singolarità dell’annuncio cristiano, ma prende sul serio l’altro e, insieme, ci si pone in ascolto del Dio della vita».
Riflessioni trasversali Degna di nota è stata la singolare serie di interventi intitolata Chiamati alla Santità, una novità assoluta nella tradizione dei convegni ecumenici annuali, che ha scandito le pause tra le diverse sessioni nei tre giorni di lavori, inframmezzandole con la presentazione di figure di testimoni della fede, appartenenti alle varie Chiese, a conferma del fatto che tutti i cristiani, a prescindere dalla confessione d’appartenenza, sono chiamati ad essere santi.
In questo quadro hanno trovato posto: la figura di Ellen Gould White, leader, profetessa e fondatrice della Chiesa Avventista del Settimo Giorno; quella di John Wesley, teologo inglese e fondatore del movimento metodista; i profili di Nando e Mariuccia Visco Gilardi e la loro storia di fede, d’amore e di resistenza nell’Italia fascista; la vicenda di Madeleine Delbrêl, giovane atea francese che, convertitasi al cattolicesimo, fece del mondo il suo monastero; il profilo del Metropolita ortodosso romeno Andrei Șaguna e quelli di altri uomini e donne di buona volontà, testimoni nel loro tempo della carità cristiana.
Conclusioni «Qui ad Assisi – ha dichiarato in conclusione don Cristiano Bettega, direttore dell’ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della CEI – è convenuto il lavoro iniziato due anni fa a Bari con l’ortodossia, proseguito a Trento lo scorso anno con le Chiese della Riforma e che ha avuto, aggiungerei io, una sua fondamentale premessa l’anno prima a Salerno, nel convegno che ha visto impegnati tanti di noi nel fissare alcuni punti fermi nel nostro dialogo con l’ebraismo. Se qui converge tutto questo lavoro, va da sé che non può finire qui: sarebbe disonesto e forse anche sciocco, sarebbe come innalzare una barricata sul sentiero che abbiamo percorso, un brusco e ingiustificato cambio di direzione: sicuramente sarebbe una mossa imperdonabile». Constatando che, dopo aver sperimentato diversi gradi di comunione, ci troviamo oggi di fronte ad una «unità bambina […] già reale tra noi e le nostre chiese», don Bettega ha invitato tutti i presenti a riconoscere, custodire, accompagnare e sviluppare questa unità, affidandola insieme «all’unico Signore, che tutti cerchiamo di seguire, in modo diversi ma con la stessa sincerità». Il lavoro che attende le Chiese nell’impegno di far crescere la comunione tra loro sarà certamente faticoso, perché «a volte ci capiremo di più a volte di meno, a volte avremo l’impressione di viaggiare come una Freccia Rossa e altre volte come una bicicletta: ma viaggeremo, non c’è dubbio». Già i risultati raggiunti finora sarebbero stati inimmaginabili e insperabili fino a non molti anni fa, pertanto oggi è necessario «andare oltre», rendere visibili e tangibili questi risultati con la nascita di «un organismo di collegamento fra le chiese cristiane presenti in Italia: un “qualcosa” che ci permetta di stare collegati […] una comunità di comunità, dove nessuno è escluso». Si tratta di un passo in avanti necessario, perché «non ce lo chiede l’ostinazione di qualcuno, non ce lo impone l’opportunismo che a volte si nasconde dietro quel proverbio secondo il quale l’unione fa la forza. Ce lo chiede il Vangelo: niente di più e niente di meno del Vangelo. E mi pare più che sufficiente come appello a lavorare insieme».
Messaggio finale. A suggellare l’unione d’intenti che ha animato e percorso i lavori congressuali e a testimoniare l’eccezionalità dei risultati di questo convegno, al termine dei tre giorni i rappresentanti delle Chiese presenti (ad eccezione della Chiesa Copta Ortodossa e della Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno, che hanno aderito in qualità di osservatori) hanno elaborato e firmato congiuntamente un messaggio comune, intitolato Ecclesia semper reformanda est, allo scopo di comunicare a tutti «quanto discusso ed approfondito in uno spirito di fraternità cristiana». Nel messaggio, che contiene un invito alla riflessione su cinque fondamentali questioni, rivolto a tutte le comunità cristiane, le Chiese hanno ribadito che «la divisione dei cristiani è uno scandalo e avvertiamo con chiarezza il peso delle colpe di tutti, delle responsabilità di ciascuno nel non essere stati in grado di procedere più speditamente nella costruzione della piena e visibile comunione, segno dell’unità nella diversità alla quale tutti i cristiani sono chiamati. Oggi rendiamo grazie a Dio in Cristo Gesù perché ha voluto farci la grazia di sperimentare il soffio del suo Spirito Santo che fa ogni cosa nuova. […] Le cose nuove di Dio sono iniziate non solo per noi ma anche in noi e così si aprono nuove strade di comunione». Da questa rinnovata consapevolezza di essere chiamati a costruire l’unità sulla base delle differenze riconciliate, è scaturito il comune saluto finale che ha richiamato il titolo e punto di partenza del convegno: «Vi salutiamo nel nome di colui che ci riconcilia tutti in un solo corpo».
Michele Giustiniano
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