Il 6 giugno a Pompei, presso la sede della Conferenza Episcopale Campana, si è tenuto un incontro di aggiornamento, promosso dalla Commissione Ecumenismo della Regione Campania. Tale Commissione è presieduta da un Vescovo nominato dalla Conferenza Episcopale della Campania; è composta dai delegati diocesani per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, e dai rappresentanti dei vari movimenti e associazioni che promuovono l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, come l’Amicizia Ebraico-cristiana di Napoli e il Movimento dei Focolari. Il compito della Commissione è quello di coordinare le diverse attività diocesane ecumeniche della Campania, di promuovere incontri di aggiornamento, tenuti, a seconda delle tematiche proposte, anche da esponenti di altre confessioni e di altre religioni. La commissione è presieduta da Mons. Francesco Marino, Vescovo di Nola, delegato dalla Conferenza Episcopale Campana. Il responsabile è don Peppino Esposito della diocesi di Aversa. L’incontro del 6 giugno è stato tenuto da Don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza Episcopale Italiana, che ha fatto un bilancio del cammino ecumenico di questi anni, contrassegnato da notevoli progressi, sia a livello di dialoghi teologici che di impegno diocesano, anche se persistono tuttora difficoltà e contraddizioni.
L’ecumenismo è una scelta irreversibile della Chiesa cattolica, a cominciare dal Concilio Ecumenico Vaticano II con il decreto Unitatis Redintegratio (UR). L’ecumenismo afferma la prospettiva universalistica, che non riguarda solo la Chiesa, ma tutta l’umanità: “Quasi tutti, però, anche se in modo diverso, aspirano alla chiesa di Dio una e visibile, che sia veramente universale e mandata a tutto il mondo, perché il mondo si converta al vangelo e così si salvi per la gloria di Dio” (UR 1). La vocazione ecumenica, universale, della Chiesa si realizza attraverso il cambiamento radicale della mentalità e dello stile di vita dei suoi membri, il superamento della situazione di divisione e la ricerca dell’unità: “Il Signore dei secoli, che con sapienza e pazienza persegue il disegno della sua grazia verso di noi peccatori, in questi ultimi tempi ha incominciato ad effondere con maggiore abbondanza nei cristiani tra loro separati l’ulteriore ravvedimento e il desiderio dell’unione” (UR 1). La responsabilità delle divisioni non va imputata tanto ai personaggi storici, quanto piuttosto al mistero d’iniquità, che rende complessa e contraddittoria la storicità. Ad essa fa contrasto l’azione dello Spirito che suscita e rafforza la speranza dell’unità. Anche la Chiesa Cattolica Romana ha avuto la sua parte di responsabilità riguardo alle scissioni che si sono crete nel corso dei secoli (cf UR 3). Con i cristiani non cattolici vi è una profonda comunione che scaturisce dalla fede in Cristo, in quanto sono “giustificati nel battesimo della fede, sono incorporati al Cristo” (UR 3). La comunione è tuttavia imperfetta per “le divergenze che in vari modi esistono tra loro e la chiesa cattolica, sia nel campo della dottrina e talora anche della disciplina, sia circa la struttura della chiesa, impedimenti non pochi, e talvolta proprio gravi” (UR 3). I beni della salvezza si ritrovano anche al di fuori dei limiti visibili della Chiese, per cui le chiese e comunità cristiane, per opera dello Spirito Santo, anche se la Chiesa Cattolica Romana ha la pienezza dei mezzi di grazia e di verità (Parola, sacramenti e collegio apostolico con a capo Pietro). Il Concilio pone in risalto i valori presenti anche nelle altre confessioni cristiane (cf LG 15), i segni di ecclesialità, come la Parola, la liturgia, l’esperienza personale della fede e dell’azione dello Spirito, la vita di fraternità e di comunione. In UR 3 si dà la definizione della distinzione tra chiese e comunità cristiane in base al già citato criterio della presenza oggettiva dei beni della salvezza (la Parola, il settenario sacramentale, il ministero petrino), ma ciò non significa che nelle altre chiese ci sia il vuoto. La Chiesa di Cristo è presente realmente nella Chiesa cattolica, ma elementi ecclesiali si trovano anche nelle altre chiese, particolarmente quelle ortodosse, ed anche in quelle evangeliche secondo il criterio della gradualità. Dal punto di vista oggettivo la Chiesa Cattolica Romana ha la pienezza del dono della grazia e della verità, ma tale dono è vissuto imperfettamente dai credenti che devono compiere continuamente un itinerario di conversione. I cattolici devono prendere l’iniziativa nella riconciliazione ecumenica e con umiltà devono essere accoglienti (ecumenismo della reciprocità) verso le altre chiese: “E’ necessario che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati” (UR 4). La chiesa d’occidente ha attinto da quelle orientali il grande patrimonio della liturgia, della spiritualità, dell’elaborazione del dogma trinitario e cristologico, e la disciplina ecclesiastica. Il grande patrimonio delle chiese d’oriente è la centralità del mistero eucaristico, della liturgia, intesa come partecipazione alla vita trinitaria (cf UR 15). Il Decreto richiama anche l’importanza del culto mariano liturgico e cristocentrico, il culto dei santi e la spiritualità monastica. Con le chiese d’oriente esiste già la comunione sacramentale per la condivisione della successione episcopale. Anche le chiese nate dalla Riforma “sono unite alla chiesa cattolica da una speciale affinità e stretta relazione” (UR 19), che è la condivisione della fede trinitaria e cristologica (UR 20). Le chiese della Riforma conservano l’importante patrimonio della centralità della Parola, lo studio attento delle Scritture, come ascolto creativo della Rivelazione (cf UR 21). La comunione con gli evangelici si fonda sul battesimo che incorpora al Cristo e realizza la comunione ecclesiale, “nella santa cena fanno memoria della morte e della resurrezione del Signore, professano che nella comunione di Cristo è significativa la vita e aspettano la sua venuta gloriosa” (UR 22), anche se la questione è ancora aperta riguardo al significato teologico dell’eucarestia e del ministero ordinato. La vita di fede degli evangelici è sintesi tra la lode di Dio e la solidarietà umana, attraverso iniziative personali e istituzionali. All’interno delle stesse comunità cattoliche è necessario creare uno stile ecumenico feriale, cioè un clima di fraternità, di unità, nella libertà delle diversità. Per progredire nell’ecumenismo occorre eliminare i discorsi falsi e ingiusti nei confronti degli altri cristiani, promuovere gli incontri interconfessionali a carattere religioso, il dialogo teologico degli esperti, la collaborazione interconfessionale nel servizio alla società, la preghiera comune. L’ecumenismo spirituale, quello in cui devono essere impegnati tutti i battezzati, richiede la conversione personale (cf UR 7), l’apertura alla logica della croce, alla gioia dell’amore e della solidarietà, nella libertà e gratuità. Occorre essere fedeli alla propria identità ecclesiale, compiendo anche un itinerario di rinnovamento, liberandosi dai pregiudizi, per accogliere i doni dello Spirito presenti nelle altre confessioni cristiane (ortodossi, anglicani, protestanti). La spiritualità ecumenica si alimenta con la preghiera per l’unità dei cristiani (cf UR 8). La lode, il rendimento di grazie, l’intercessione della comunità ecclesiale, manifesta che l’unità è anzitutto dono del Dio Trinitario, che è fedele alle sue promesse, è l’avvento storico ed escatologico del suo amore liberante e creativo. L’ecumenismo comporta anche la dimensione del servizio (cf UR 12), che è aperto a tutta l’umanità. I cristiani sono chiamati a contribuire alla trasformazione della società, collaborando con tutte le donne e con tutti gli uomini che hanno la passione dell’umano, nella specificità di essere sostenuti dalla speranza che non delude (cf Rm 5,5). La collaborazione ecumenica può riguardare il campo scientifico e tecnologico, l’arte e la cultura, l’alfabetizzazione, la giustizia sociale e la promozione della pace (cf GS 1). Occorre superare la fretta e la superficialità nella ricerca dell’unità dei cristiani (cf UR 24), ma nello stesso tempo bisogna aprirsi alla creatività dello Spirito collaborando con i non cattolici.
Il Concilio Vaticano è stato solo l’inizio di un movimento che coinvolge sempre più la Chiesa Cattolica. Fra i vari documenti promulgati nel postconcilio sono da ricordare il Direttorio Ecumenico (il nuovo Direttorio è del 1993) che presenta delle indicazioni pastorali a vari livelli; sono state create inoltre le strutture per la promozione dell’ecumenismo, sia a livello nazionale che diocesano. Nel 1995 Giovanni Paolo II promulgò l’enciclica Ut Unum Sint, facendo un bilancio del cammino ecumenico della Chiesa Cattolica, ed insistendo sulla formazione di tutti i cristiani alla spiritualità dell’ecumenismo, già espressa in UR 7 (cf Ut unum Sint nn 15-17). Tale spiritualità si basa su Gv 17,21 e si esprime con la preghiera, che dà senso a tutte le iniziative ecumeniche, perché l’unità è un dono del Cristo alla sua Chiesa pellegrina nel tempo, continuamente esposta alla tentazione della divisione, fino a quando non ci sarà l’avvento del Regno celeste. Durante l’anno santo del 2000 il Papa Giovanni Paolo II chiese ufficialmente perdono per le colpe della Chiesa Cattolica che hanno contribuito alla divisione (scomuniche, persecuzioni etc.), sulla base del Documento, preparato dalla Commissione Teologica Internazionale, Memoria e Riconciliazione. Per fare un cammino di riconciliazione occorre riconoscere il peccato della divisione, le responsabilità della propria Chiesa, con l’atteggiamento penitenziale che scaturisce da uno stile evangelico di conversione e purificazione. La Chiesa Cattolica si è impegnata nel dialogo teologico ufficiale con le varie confessioni (dialogo bilaterale), delegando a tale scopo esperti teologi, e collaborando sempre più con il Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC). Attualmente è possibile, anzi doveroso, promuovere delle celebrazioni interconfessionali, che comprendono canti, intercessioni, proclamazione della Parola di Dio, riflessione biblica. In base al cammino ecumenico effettuato fino ad oggi c’è il reciproco riconoscimento del battesimo, purchè esso venga celebrato nel nome del Dio Trinitario e nel segno dell’acqua (cf Direttorio n 95). Il cammino ecumenico è proteso verso la meta dell’intercomunione, cioè della partecipazione di tutte le confessioni cristiane alla stessa eucaristia, che sarà possibile unicamente con la soluzione dei problemi teologici che riguardano il ministero ordinato (la successione apostolica che si manifesta con la successione episcopale), con il reciproco riconoscimento dei ministeri. L’Ospitalità eucaristica attualmente è consentita con gli ortodossi (cf Direttorio nn. 122-128); un evangelico che professa la presenza reale del Cristo può ricevere l’eucarestia dal ministro cattolico in gravi circostanze, ma non può avvenire l’inverso (cf Direttorio nn. 129-132). Nel 1998 è stato sottoscritto un importante Accordo sulla giustificazione da parte della Chiesa Cattolica e della Federazione Luterana Mondiale: “Le diversità riconciliate”. Dopo un anno di riflessione, l’ 11 luglio 1999 ad Augsburg, le difficoltà sono state superate e l’Accordo ufficiale è stato raggiunto. L’Accordo è stato poi sottoscritto anche dai Riformati Mondiali e dai metodisti. Anche Papa Francesco continua a dare il suo contributo al percorso ecumenico( cf Evangelii Gaudium nn 244-246). Il 31 ottobre 2016 nel suo viaggio a Lund (Svezia) ha inaugurato la celebrazione congiunta in occasione dei 500 anni della Riforma (2017). Nel suo viaggio in Turchia (28-30 novembre 2014) ha incontrato il Patriarca Bartolomeo I, il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill il 12 febbraio 2016 all’aeroporto internazionale a La Havana (Cuba). La ricezione e la consapevolezza ecumenica è cresciuta, a volte anche con una certa impazienza. I dialoghi, a livello internazionale, regionale e locale, ha portato al superamento di malintesi, pregiudizi, diffidenze. Man mano che progredisce il cammino ecumenico c’è una maggiore conoscenza reciproca, e l’esame delle questioni controverse avviene in un clima di benevolenza, il che agevola molto il dialogo teologico.
Nella chiesa locale cresce l’amicizia, la collaborazione ecumenica, non solo a livello di diocesi, ma anche di parrocchie. Si avverte sempre più l’esigenza di offrire una comune testimonianza, un comune impegno per il superamento dei gravi problemi dell’umanità (pace, giustizia, salvaguardia del creato), di realizzare assieme il dialogo interreligioso. Sta crescendo l’ecumenismo di base, che parte dal basso, dalle comunità, nonché da gruppi, associazioni, movimenti. E’ in forte crescita anche l’esperienza dell’ecumenismo spirituale, basato sulla preghiera, sullo studio della Parola. Quello attuale è un ecumenismo più sobrio, più maturo e riflessivo, poiché è tramontata la stagione dell’entusiasmo. Non si tratta di glaciazione!
Nonostante ciò persistono ancora pregiudizi, ripiegamento delle comunità su stesse poiché temono che l’ecumenismo faccia perdere la propria identità di fede; a volte si assiste a un ecumenismo di facciata, di diplomazia, formale cortesia o burocrazia. A volte si verificano malintesi e abusi per accelerare i tempi. L’ecumenismo risente del relativismo postmoderno da una parte e dall’altra dei fondamentalismi aggressivi, il liberalismo dottrinale ed etico che crea dissensi nelle singole comunità, tra di esse e la Chiesa Cattolica: “Tali sviluppi così detti progressisti minano, di fatto, il progresso ecumenico. Il vero ecumenismo è ecumenismo nella carità e nella verità” (E. Scognamiglio).
Lucia Antinucci
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