Senza mezzi termini, ossia in modo chiaro e diretto, papa Francesco, nell’omelia pronunciata questa mattina durante la celebrazione eucaristica nell’Air Defense Stadium, Il Cairo, ha detto che «Dio gradisce solo la fede professata con la vita, perché l’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità! Qualsiasi altro estremismo non viene da Dio e non piace a lui!».
Si, perché la fede vera, quella vissuta, ci rende più caritatevoli, più misericordiosi, più onesti e più umani; «è quella che anima i cuori per portarli ad amare tutti gratuitamente, senza distinzione e senza preferenze; è quella che ci porta a vedere nell’altro non un nemico da sconfiggere, ma un fratello da amare, da servire e da aiutare; è quella che ci porta a diffondere, a difendere e a vivere la cultura dell’incontro, del dialogo, del rispetto e della fratellanza; ci porta al coraggio di perdonare chi ci offende, di dare una mano a chi è caduto; a vestire chi è nudo, a sfamare l’affamato, a visitare il carcerato, ad aiutare l’orfano, a dar da bere all’assetato, a soccorrere l’anziano e il bisognoso (cf. Mt 25,31-45). La vera fede è quella che ci porta a proteggere i diritti degli altri, con la stessa forza e con lo stesso entusiasmo con cui difendiamo i nostri. In realtà, più si cresce nella fede e nella conoscenza, più si cresce nell’umiltà e nella consapevolezza di essere piccoli».
Ispirato dal Signore, papa Francesco si è recato in Egitto come pellegrino di pace, fratello tra fratelli, amico di tutti, pronto ad abbracciare l’altro, nel segno dell’amicizia biblica, del rispetto, dell’accoglienza, del perdono, senza troppe protezioni. Ha ripetuto profeticamente il gesto di san Francesco che al Sultano d’Egitto non portò teorie o dogmi, ma il segno della pace, il saluto della salvezza, divenendo egli stesso strumento di riconciliazione, di perdono, di amicizia vera. Possiamo restare esterrefatti innanzi al terrorismo, ai fondamentalismi religiosi. Possiamo provare paura, incertezze, o avere delle esitazioni. Tuttavia, la violenza non viene da Dio, non ha a che fare con la fede. Chi crede in Dio non può non compiere gesti di carità, di perdono, di accoglienza, di dialogo. È su questa strada che dobbiamo formare le nuove generazioni ed educare-formare al vero significato della fede, del culto celebrato che diventa vita vissuta, testimonianza concreta della propria esperienza di Dio.
Per i credenti, il dialogo è una grande profezia incominciata con Dio che entra nella storia, si rivela e fa comunione con noi. Cuore del dialogo – che è incontro tra volti, persone – è, per noi, Gesù Cristo, Figlio di Dio, Parola fatta carne. Il dialogo non annulla la missione della Chiesa: è lo spazio necessario, il presupposto, per l’incontro con l’altro, per la conoscenza delle diversità, delle personali identità. Senza il dialogo non c’è annuncio perché non può esserci alcuna forma d’incontro, di relazione, di conoscenza, di avvicinamento. Senza dialogo si muore, siamo isolati, chiusi in noi stessi, nelle nostre paure, sulle nostre posizioni, pieni di pregiudizi, e viviamo come in una tana, rifugiati nelle nostre identità, primi di movimento, restii a ogni incontro e confronto.
San Francesco, il Poverello, fu profeta perché anticipò di circa ottocento anni questo giorno. Egli inaugurò la terza via, quella dell’amicizia e del dialogo.
La prima via, quella dell’odio – che porta alla morte – considera l’altro come un nemico da annientare, da sopprimere: l’altro c’è, ma solo temporaneamente, fino a quando non si converte a me o si sottomette alle mie leggi, alle mie credenze, alla mia fede.
La seconda via, quella dell’isolamento – che determina l’esclusivismo delle comunità, la solitudine delle persone – vede nell’altro un inciampo, un fastidio, che può essere tollerato solo se vive distante da noi, emarginato, mentre noi stessi ci sentiamo come su un’isola felice, che diventa sempre di più una tana, un rifugio.
La terza via, quella del dialogo, crea corridoi umanitari e permette a comunità diverse, a gruppi religiosi differenti, a comunità multietniche, di incontrarsi, mettendo assieme forze ed energie, condividendo il sogno di Dio che è Padre e Madre di tutti. Questa via ci dice che l’altro è sempre mio fratello, dono del Signore, e che nel suo volto c’è il segno, la traccia, la presenza di Dio stesso che sogna un futuro di pace e di fratellanza.
Questo sogno di Dio, desiderio che san Francesco fece proprio e che papa Bergoglio sta rivivendo in questi due giorni di viaggio, è la fraternità universale. Se Dio, infatti, è Padre e Madre di tutti, allora noi siamo tutti fratelli e sorelle. Non è un irenismo, una mera utopia, ma una realtà concreta, fattuale, storica. Se Dio è il nostro unico Creatore e Signore, Padre e Madre, quello che accomuna ogni persona è la stessa radice, la medesima origine, l’identica provenienza. Ciò significa che le fedi, le religioni, le culture, gli usi e i costumi di ogni popolo e comunità religiosa, sono un’immensa ricchezza, il vero patrimonio dell’umanità. Dunque, l’altro, come ha affermato oggi papa Francesco, mai è il mio nemico.
I segni di morte che il terrorismo e il fondamentalismo spargono nel nome di Dio, non sono ispirati: hanno radice nel cuore stesso dell’uomo ove risiede la volontà. Il male mai è opera del Signore. Non si può uccidere nel nome di Dio. Anzi, è per amore suo che cerchiamo la pace, pratichiamo la giustizia, viviamo la carità e rispondiamo al male con il bene!
Commenta per primo