Il segreto della felicità

Nel romanzo di Paolo Coelho ‘L’alchimista’ vi è una leggenda che ha lo scopo di dare questo insegnamento: “Il segreto della felicità sta nel guardare tutte le meraviglie del mondo e non dimenticarsi mai delle due gocce di olio nel cucchiaino”. La felicità si trova solo nel giusto equilibrio tra piacere e dovere, rigore e misericordia, godimento e responsabilità. La felicità è un bisogno insopprimibile: “Non si può trovare uno che non voglia essere felice” (S. Agostino). Per essere veramente felici bisogna trovare la strada giusta, senza andare dietro a chimere illusorie, che danno un attimo di piacere e poi fanno sprofondare nell’angoscia e nella solitudine. Ci si sente felici quando si è in armonia con la natura, con gli altri, con se stessi, con Dio. La felicità perfetta però non esiste, perché è sempre minacciata e fragile. Paradossalmente, proprio la società del progresso tecnologico è lontana dalla felicità. Il benessere ha accresciuto il piacere, che pure è una dimensione umana importante, ma esso deve essere moderato e deve integrasi con i valori etici; la gioia autentica  in effetti è una realtà spirituale, profonda.  La vita comoda e spensierata, la sicurezza materiale, realtà queste che pure sono importanti, si accompagnano spesso alla noia, alla malinconia e persino alla disperazione. Nonostante la tecnologia avanzata la vita è sempre insicura e minacciata. In tante regioni del mondo c’è la miseria e la guerra, ci sono i problemi causati dall’inquinamento, dalla disoccupazione, dalla violenza gratuita, dall’illegalità, dalla carenza di valori etici. C’è soprattutto solitudine, perché c’è mancanza di amore, a causa dell’egoismo che rende incapaci a coltivare i rapporti affettivi, a saper superare le incomprensioni e i contrasti. E questo si verifica tra i coniugi, tra i genitori e i figli, tra i parenti, tra gli amici, in tutti i luoghi di aggregazione sociale, nelle comunità lavorative. Succede purtroppo anche nelle comunità cristiane; quando finisce con il prevalere la tendenza al protagonismo, non si riesce ad armonizzare l’unità spirituale con le legittime diversità di carismi e di vedute. Solo Dio può appagare in pienezza il bisogno di felicità del cuore, poiché l’uomo proviene dall’Altissimo  ed è proteso verso di Lui, anche quando non ne è consapevole “[…] chi non vuole avere gioia di Te [Dio], che sei la sola felicità, non vuole la felicità” (S. Agostino). L’uomo e la donna sono creati ad immagine di Dio (Gn 1,27) e solo in Lui il cuore umano può trovare la vera gioia: “Tu ci hai creati per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finchè non riposa in Te” (S. Agostino). Non è facile trovare il ‘segreto della felicità’ che, evangelicamente, è come un tesoro nascosto e una perla preziosa (Mt 13,44.46). In questo mondo, avvolto spesso dalle tenebre dell’infelicità, c’è stato l’avvento della pienezza della felicità; la gioia di Dio si è fatta carne con Gesù di Nazareth; il Figlio di Dio è diventato un umile galileo che offre all’umanità la possibilità della vera felicità, attraverso la liberazione del cuore da tutte le sue schiavitù. Già l’annuncio della sua nascita è contrassegnata dalla gioia. L’arcangelo Gabriele si rivolge a Maria con il chaire (Lc 1,28), ‘Rallegrati’, che richiama la gioia messianica (Sof  3,14). L’avvento del Mistero nella vita di Maria di Nazareth la porta all’esultanza, espressa con il canto del Magnificat, una vera esplosione di gioia per le grandi meraviglie operate da Dio, compimento delle promesse salvifiche (Lc 1,46-55). Gesù annunzia il Regno di Dio e inaugura la gioia messianica paragonata a una festa di nozze (Mc 2,19), valorizzando anche le semplici gioie umane. Si tratta della gioia del seminatore, del pastore che ritrova la pecora smarrita, della donna che ritrova la sua dracma, della mamma che dà alla luce il bambino. Il Rabbi prova soddisfazione per i bambini che accorrono a lui, per l’amicizia di Marta, Maria e Lazzaro, per il giovane ricco che desidera essere perfetto, per la vedova che dona quanto possiede. Il Profeta galileo dona la misericordia del Padre ai peccatori alla ricerca del suo volto ed essi sperimentano una gioia trasformante. La gioia di Gesù è paradossale, è scandalosa, perché viene da Altrove e va contro la mentalità di questo mondo. La felicità non risiede negli onori, nella ricchezza, nel potere, ma nell’umiltà, nella mitezza, e coloro che soffrono per la causa del Regno di Dio, che sono perseguitati, sperimentano una gioia inaudita, perché sono certi che Dio sarà il loro consolatore (Mt 5,4). Lo scandalo del dolore che si tramuta in gioia si manifesta nella stessa vicenda di Gesù: per fare la volontà del Padre va incontro alla passione, viene ingiustamente condannato a morte e muore crocifisso tra due ladroni, sperimentando il silenzio del Padre. Il venerdì santo sembra la smentita della pretesa di Gesù, eppure da questo grande dolore, da questo trionfo delle tenebre del male, scaturisce la grande gioia che è quella dell’esultanza pasquale. I discepoli sono interiormente trasformati, sono lieti, anche quando affrontano le persecuzioni, perché sanno che il Maestro è vivente, in ciascuno di loro, nella Chiesa dei suoi discepoli e attraverso loro continua a percorrere le strade dell’umanità, per portare la gioia che scaturisce dalla speranza che non delude (Rm 5,5). Il compimento della gioia perfetta, totale, non riguarda però il presente; essa si manifesterà alla fine dei tempi, ed allora anche tutto il cosmo (Rm 8,21) parteciperà di questa gioia universale, perché non ci saranno più dolori, non ci sarà più la morte e la potenza del male sarà totalmente annientata. La gioia del presente, sottoposta alla crescita graduale, come quella del seme che è nella terra e poi diventa una pianta, è proiettato verso il futuro di Dio. Tutto questo ci manifesta un grande Mistero: Dio stesso è gioia, perché è amore che si dona senza riserve: ”Lo Spirito Santo […] è la gioia dell’amore. L’esistenza stessa dello Spirito Santo proclama la forza della gioia d’amare e l’inesauribile eternità di questa gioia” (Jean Galot). Lo Spirito Santo è l’Amore gioioso tra il Padre e il Figlio, che è stato effuso sull’umanità con il mistero pasquale di Cristo, e ha realizzato la promessa biblica di un cuore nuovo, capace di sperimentare la gioia dell’amore infinito che si fa dono agli altri. La Chiesa sin dalle sue origini ha testimoniato la gioia che viene da Altrove, anche nella sofferenza più atroce, come è stato per i martiri, non solo per quelli del passato, ma anche per quelli attuali. Il vescovo San Policarpo nell’affrontare il martirio “era pieno di coraggio e allegrezza e il suo volto splendeva di gioia”. Per i Padri del deserto la tristezza  era ritenuta l’ottavo vizio capitale perché si oppone alla virtù della gioia cristiana: “La dolcezza dello spirito nasce dalla gioia mentre la tristezza è come la bocca del leone che divora l’uomo malinconico”. I  Santi sono coloro che hanno scoperto e sperimentato profondamente il segreto della felicità. Fra essi emerge particolarmente la figura di Francesco d’Assisi, il giullare di Dio. Egli era naturalmente “allegro e generoso” (FF 1396), e quando scopre il Sommo Bene, abbandona la sua vita gaudente e spensierata, ed arriva ad affermare:  “Tanto è quel bene ch’io aspetto, che ogni pena mi è diletto” (FF 1897). La sua gioia la esprime spesso cantando le lodi del Signore in francese, secondo lo stile giullaresco (FF 1503). La contemplazione del creato gli procura una gioia indicibile (FF 263). La letizia non abbandona il Poverello di Assisi neppure quando soffre atrocemente, sia fisicamente che spiritualmente (FF 802-803). L’esperienza mistica della Verna è paradossalmente un insieme di gioia e tristezza (FF 1225), e quando poi arriva il momento dell’incontro con ‘sora nostra morte corporale’, pur soffrendo atrocemente, grande è il suo giubilo (FF 509). La gioia ha contrassegnato particolarmente anche il carisma di Filippo Neri, che è stato senza dubbio un santo fuori dagli schemi del suo tempo, molto sui generis e ìlare, tanto da essere definito il ‘santo della gioia’. Colto, creativo, amava accompagnare i suoi discorsi con un pizzico di buon umore. Tra i vari aspetti del suo insegnamento vi è quello sull’allegria e sul buon umore, molto efficaci per vivere serenamente, sia umanamente che cristianamente. Il suo motto era: “Siate buoni se potete!”. E’ da ricordare anche Giovanni Bosco che a Chieri fondò la Società dell’Allegria, attraverso la quale, in compagnia di alcuni giovani, cercava di avvicinare alla spiritualità i loro coetanei, ricorrendo anche ai  suoi soliti giochi di prestigio e ai suoi numeri acrobatici. Egli stesso raccontava che un giorno riuscì a battere un saltimbanco professionista, acquistandosi così le acclamazioni e gli applausi della popolazione di Chieri. Don Bosco era solito affermare: ”Il demonio ha paura della gente allegra”. Teresa di Lisieux è stata la mistica della gioia, perché l’ha sperimentata abbandonandosi fiduciosamente fra le braccia del Padre celeste, nonostante ne sperimentasse l’assenza: “Talvolta all’uccellino [a cui ella si paragona] sembra di credere che non esista altra cosa all’infuori delle nuvole che l’avvolgono […]. E’ quello il momento della gioia perfetta per il povero debole esserino […]. Che gioia per lui restarsene là malgrado tutto, fissare la luce invisibile che si nasconde alla sua fede”. E’ rilevante anche l’umorismo di San Pio da Pietrelcina che  così facendo smontava qualsiasi dubbio, disarmava tutte le argomentazioni critiche, suscitava commozione e ammirazione, segno della sua grande semplicità evangelica. Il suo umorismo era certamente un particolare dono dello Spirito Santo. Fra i santi della gioia è da annoverare pure Massimiliano Kolbe  che ha offerto la propria vita al posto di un compagno di prigionia, e in questo modo ha trasformato il luogo infernale del campo di concentramento “per i suoi infelici compagni come per lui stesso, nell’anticamera della vita eterna dalla sua pace interiore, dalla sua serenità e dalla sua gioia”. Madre Teresa di Calcutta ha sperimentato la gioia di consacrarsi totalmente al servizio dei ‘più poveri tra i poveri’, stando quotidianamente a contatto con la miseria, il degrado umano e la morte nella solitudine. Nel suo spirito ella ha sperimentato la notte oscura dei mistici, anche se esternamente manifestava sempre un’esperienza di fede gioiosa, donando a tutti il sorriso di Dio. Madre Teresa ha scritto: “Noi aspettiamo con impazienza il paradiso, dove c’è Dio, ma è in nostro potere stare in paradiso fin da quaggiù e fin da questo momento. Essere felici con Dio significa: amare come Lui, aiutare come Lui, dare come Lui, servire come Lui”. L’itinerario della fede è  un pellegrinaggio faticoso ma gioioso, perché consente di sperimentare la compagnia di Dio nonostante le nostre fragilità. Il simbolismo sacramentale che accompagna la vita di ciascun credente e di tutta la Chiesa è sempre un momento di gioia, di festa del Regno di Dio: è la gioia dell’inserimento nella vita trinitaria con il battesimo, (Gal 5,22), dell’essere confermati nello Spirito per realizzare la testimonianza evangelica, è la gioia del perdono di Dio, della sua misericordia nella sofferenza, del suo impegno nel patto nuziale. L’esplosione della festa della comunità cristiana è l’eucarestia, perché è il mistero sacramentale del Cristo, crocifisso e glorioso, che passa in mezzo ai suoi discepoli, per portarli nel rinnovamento della sua resurrezione. E’ il culmine quaggiù, dell’alleanza d’amore tra Dio e il suo popolo: segno e sorgente di gioia cristiana, tappa per la festa eterna. La vita cristiana è quindi un itinerario contrassegnato  dalla gioia autentica che scaturisce unicamente da questa certezza: “Dio è vicino, è con me, è con noi, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, come amico e sposo fedele. E questa gioia rimane anche nella prova, nella stessa sofferenza, e rimane non in superficie, bensì nel profondo della persona che a Dio si affida e in Lui confida” (Benedetto XVI). Dio è amore (1Gv 4,8) e quindi la gioia promana da Lui, nasce unicamente dal suo amore: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (Esortazione  apostolica Evangelii gaudium n.1). Tutti gli uomini e le donne sono chiamati alla gioia, perché essa è un’esperienza di libertà profonda, spirituale, conformandosi al Cuore di Cristo mite e umile (Mt 11, 29). Compiere il cammino di conversione, liberarsi per opera della grazia dal peso opprimente delle proprie colpe è un itinerario gioioso, nell’abbraccio con il Padre misericordioso (Lc 15,7). La comunione fraterna, l’unità dei credenti, nonostante le diversità che derivano dalla creatività dello Spirito, è fonte di gioia per tutti, che si rafforza quando si compie il cammino della riconciliazione, per diventare ‘un cuor solo e un’anima sola’ (At 4,32). La gioia viene donata a coloro che si mettono a servizio dei poveri, dei piccoli, degli ultimi che vivono ai margini della società. Il Dio della gioia dimora nel cuore dei testimoni dell’amore provvidenziale e premuroso del Padre celeste, perché attraverso il loro servizio egli fa sentire, a coloro che soffrono, la vicinanza del suo amore compassionevole. La gioia cristiana in effetti “coincide con la persona di Gesù Cristo! Non si riduce a sentimentalismi, a pie devozioni o ad atti di sconfinata fiducia in qualcosa che si trova in un aldilà anonimo e immateriale” (E. Scognamiglio). Essa diventa evangelizzante perché contagia la bellezza della fede; è la testimonianza più credibile ed avvincente per il fatto di sentirsi figli di Dio, trasformati in Cristo, non in modo occasionale, emotivo, ma come stile di vita feriale, La gioia rende tutto più facile, anche il donarsi agli altri (2Cor 9,7) e suscita una comunità e una società gioiosa, perché è giovialità, cioè capacità di rendere gli altri contenti in modo autentico. La  vera gioia, intesa come profondo benessere interiore, che non viene meno neppure nei momenti di sofferenza, non è una pia illusione; è la possibilità concreta di scoprire il segreto della felicità, perché lo Spirito di Cristo, dell’eterna gioia di Dio, abita nei nostri cuori e ci rende creature nuove.

 Lucia Antinucci

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