Diritto al figlio o Diritto del figlio
I mass-media hanno riportato la notizia della neo-paternità di Nichi, Vendola, il politico italiano, Presidente nazionale di Sinistra Ecologia Libertà, che sarebbe diventato padre di Tobia.
A rigor di verità, Vendola è assolutamente estraneo alla nascita del bimbo, venuto al mondo a seguito della fecondazione dell’ovulo di una donna da parte del compagno di Vendola , che dunque ne è il padre naturale; dopo la fecondazione l’embrione sarebbe stato trasferito addirittura nell’utero di un’altra donna che lo avrebbe tenuto in grembo fino a partorirlo.
E’ sufficiente il sentimento d’amore, che Vendola nutre per il suo compagno, per attribuirgli il titolo di padre?
E la mamma del bimbo chi è?
A nessuna delle due donne che hanno contribuito alla sua nascita è stato riconosciuto il ruolo di “mamma”. Eppure, si può escludere che Tobia porti con sé la nostalgia della sua mamma? E lei? lo ha tenuto nel grembo per nove mesi… proverà nostalgia per il “suo” bimbo? che fine farà?
Ormai, anche nel linguaggio comune ci stiamo, purtroppo, abituando ad usare la formula “utero in affitto”, quasi come se ognuna di quelle donne, con la sua immancabile storia, probabilmente fatta di povertà, di drammi interiori, di solitudine, di libertà violata, quella persona con la sua dimensione spirituale, possa essere ridotta ad uno dei suoi organi, alla stregua di una “macchina incubatrice”.
Dove sono finite, dunque, le battaglie, dallo stesso Vendola compiute, al fianco delle donne, per la loro emancipazione?
Paradossalmente, proprio “il caso Vendola“ ha provocato uno scossone soprattutto in quella parte di opinione pubblica che, in maniera semplicistica, probabilmente senza una riflessione approfondita su una questione che, invece, si è rivelata nella sua spietata drammaticità, difendeva il cosiddetto “diritto” delle coppie omosessuali ad avere figli.
Improvvisamente ci si è reso conto che, essendo una condizione indispensabile del concepimento di una nuova vita l’incontro di due cellule sessuali, quella maschile e quella femminile, pur di esercitare il vantato” diritto al figlio”, due lesbiche debbono ricorrere ad un cosiddetto “donatore” (il termine è ingannevole dato che, anche in questo caso, è necessario sborsare una somma di danaro); mentre due omosessuali maschi debbono far ricorso al cosiddetto “utero in affitto” .
In entrambi i casi il bambino che nascerà sarà comunque privato della possibilità di conoscere, anche in futuro, il suo papà o la sua mamma.
La pratica dell’utero in affitto è vietata in Italia. Ci si augura che possa diventare una pratica illegale anche negli altri Stati in modo da scongiurarne il ricorso.
Sarà un traguardo ambito sia nella lotta per la tutela dei bimbi e del loro diritto naturale ad un papà e ad una mamma, sia per l’emancipazione femminile e per la vera valutazione della dignità della donna.
Antonella Danese
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