Nel 50° anniversario di Nostra aetate
Nei giorni 26/28 ottobre 2015 si è svolto a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana, il convegno internazionale sul 50° anniversario della dichiarazione conciliare Nostra aetate sulle relazioni della Chiesa cattolica con le altre religioni. Questo convegno, a carattere non solo celebrativo, ha rilevato – attraverso i molteplici interventi – il carattere originalissimo e profetico di Nostra aetate sia per quanto concerne il dialogo tra la Chiesa cattolica e le altre confessioni di fede, sia per il contributo concreto che ogni tradizione religiosa può offrire alla causa della pace e della giustizia. Nel pomeriggio di lunedì 26 ottobre 2015, dopo il saluto del rettore della Pontificia Università Gregoriana (François-Xavier Bumortier) e la breve introduzione del segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso (Miguel Ángel Ayuso Guixot), è stato proiettato il film Nostra aetate, The Leaven of Good. Hanno poi preso la parola, per un breve intervento, sia il presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani (il cardinale Kurt Koch), sia il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso (il cardinale Jean-Louis Tauran).
La sessione di martedì 27 ottobre 2015 è stata dedicata a Il dialogo interreligioso: credenti al servizio dell’essere umano. Una riflessione a due voci: un filosofo e un teologo.
Scienza, tecnica e religioni. Il gesuita Paul Gilbert ha diviso la sua relazione in tre momenti. Nel primo momento ha considerato il cammino intellettuale dell’Occidente che ha portato alla secolarizzazione del Dio delle religioni e anche alla messa in crisi delle concezioni delle religioni in ambito dottrinale. Centro del secondo momento è stato un principio più volte ribadito: da quando la tecnica ha assorbito la ricerca scientifica, la volontà di dominare il mondo ha preso il sopravvento sulla ricerca scientifica fondamentale. La tecnica ha preso il sopravvento su tutte le discipline del mondo, anche sulla religione nella sua universalità orizzontale o intra-mondana. Nel terzo momento, Gilbert ha affermato che le religioni non rispondono alle domande dell’esistenza umana allo stesso modo della scienza e della tecnica. Dunque, è necessario vedere le cose in termini diversi, secondo la realtà spirituale. C’è bisogno di operare il discernimento spirituale per l’uso equilibrato degli strumenti della tecnica e della scienza oggi, così come dei valori e della visione di ogni religione. Quando una religione pretende di stabilire un contatto tecnico con l’Assoluto diventa violenta e si trasforma in una vera e propria ideologia. Le religioni non parlano dell’uomo che ha bisogno di Dio ma di Dio, dell’Assoluto, del trascendente. Non c’è spazio del mondo in cui non ci sia la presenza del trascendente così come già nel nostro stesso respiro. La religione ci riporta alla nostra origine. Oggi aumenta, con la scienza, il permanere della vita fisica, tuttavia, scompaiono la speranza e la fede in un futuro migliore. Infatti, sembra che la scienza ci dica che non serve sperare perché è importante solamente sopravvivere con la tecnica. La vita sociale fissa le nostre rappresentazioni del mondo. È la forza della tecnica e della scienza a prevalere sulla dimensione spirituale dell’esistenza umana. È bene chiarire la caratteristica del pensiero tecnico. La finalità di una pratica tecnica è sempre determinata anticipatamente con un progetto già stabilito. Tale progetto è poi posseduto. La tecnica è spinta dal desiderio di possedere il mondo. La pratica scientifica non mira al possesso della terra ma alla conoscenza di ciò che esiste. Così, il matematico vuole risolvere i problemi nati dalla conoscenza, ma non vuole possedere il mondo. Ora, la fede scientifica non ha uno scopo finale. Sa che l’intelligibilità del mondo è infinita. La scienza sa che ha bisogno della tecnica per andare avanti e che può essere contaminata dalla tecnica per possedere il mondo. C’è un parallelismo con le religioni. Se queste ultime sono considerate in senso tecnico, cioè per possedere il divino, allora conducono alla violenza. La differenza tra idolo e icona non è da sottovalutare. L’idolo è lo strumento asservito ai nostri desideri. L’icona ci ricorda che Dio è mistero e che nessuno essere umano può possederlo. L’icona rivela, ci guarda, rinvia al Mistero nascosto. Le religioni dell’icona sono mistiche. Le religioni dell’idolo, invece, conducono al possesso e non danno speranza, sono prive della dimensione escatologica. Gilbert ha più volte affermato che la scienza e la tecnica si collocano in posizioni opposte quando la tecnica vuole impossessarsi della scienza. Così, le religioni diventano idolatria quando si riducono a un fatto tecnico. Certamente, l’uso della tecnica ha i suoi benefici. Tuttavia, la scienza e la tecnica non devono ridurre l’uomo al suo stesso desiderio, così come le religioni devono far emergere la parte più profonda o spirituale della realtà del credente e non voler assoggettare a sé l’Assoluto o Dio nel quale credono.
Dialogo, ascolto e sapienza. La professoressa Bruna Costacurta, biblista nota a un vasto pubblico non solo della Pontificia Università Gregoriana, ha presentato una suggestiva e chiara riflessione su come la letteratura sapienziale sia concretamente al servizio del dialogo e dell’essere umano, soprattutto per tessere relazioni di bene e di pace. Infatti, con la ricchezza dei libri sapienziali si è concretamente aiutati a dialogare e a porsi al servizio dell’uomo, soprattutto degli indigenti. La professoressa Costacurta ha assunto come premessa la caratteristica dell’uomo nella Scrittura: Adamo è un essere dialogico. Il libro della Genesi afferma che “non è bene che l’uomo sia solo”. Il compimento di Adamo è nell’essere “uomo” e “donna”. L’essere umano è strutturalmente segnato dal bisogno di relazione con l’alterità (rappresentata da Dio, dagli altri esseri umani e dal mondo). Il dialogo, quando si svolge tra diversi per lingua, cultura e religioni, sopporta il peso e il limite di una non immediata convergenza. Il rapporto si qualifica anzitutto nella parola e nella libertà. Nella parola e nella libertà l’essere umano, per la Bibbia, si apre alla vera relazione. Tale prospettiva è presente nei libri sapienziali che individuano proprio nella sapienza divina quel terreno comune e quella strada che conduce alla vita e porta al bene di tutti, alla terra di ogni uomo e popolo. Da qui la possibilità di alcuni concetti fondamentali espressi in tre punti: dialogo e ascolto; dialogo e giustizia; dialogo, figliolanza e fraternità.
La sapienza fa proprio questo motto: “Non rispondere prima di avere ascoltato”. Così il sapiente istruisce i suoi lettori nel libro del Siracide. La sapienza dice che l’ascolto è il primo elemento per costruire una relazione. È un imperativo, un dovere etico e spirituale per vivere la propria dimensione di essere umano. Il dialogo è fatto di ascolto, di attenzione sincera di ciò che l’’altro vuole dire. Ascoltare non è semplicemente udire ma entrare in sintonia e comunione con chi parla, aprendo la propria intelligenza e capacità di comprensione. L’ascolto richiede silenzio per far parlare l’altro per uscire dalle proprie categorie in un atteggiamento di umiltà. Allora il rispondere potrà far progredire il discorso e le diverse posizioni, anche distanti, potranno avvicinarsi e il dialogo porterà del bene. Potersi ascoltare è un’esperienza prodigiosa ed è il primo fondamentale passo verso la comunione. Nel dialogo interreligioso l’ascolto è un elemento fondamentale. Quando il proprio parlare non lascia sufficiente spazio all’altro, allora diventa inutile. È esemplare l’esperienza di Giobbe che sembra dialogare con tre amici ma in realtà realizza un dialogo tra sordi perché ognuno dei protagonisti parla da solo senza confrontarsi o ascoltare gli altri e senza mettersi in discussione o lasciarsi scalfire dalle parole degli altri. C’è una ripetizione desolante delle parole e non c’è reciproca conoscenza o progresso di relazione. Anzi, il non ascolto diventa rimprovero, accusa, umiliazione dell’altro. Solo quando Dio interverrà ed entrerà in dialogo con Giobbe allora le cose cambieranno e la falsa sapienza lascerà il posto alla vera sapienza che è liberante e costruttiva. La sapienza biblica è dialogica ed è via di comunione tra gli uomini ed è dono che gratuitamente è offerto agli uomini. La sapienza insegna la giusta relazione con Dio, con gli uomini e il mondo e porta alla felicità. Dono che viene da Dio, la sapienza invita l’uomo a mettersi in ascolto di Dio. Intendere la voce di Dio è il desiderio del vero sapiente, dell’uomo che vive profondamente nel rispetto dell’Altissimo (è il timore di Dio il principio della sapienza). La sapienza insegna a vivere e a dialogare con tutti. È tipica del mondo sapienziale l’apertura all’universale. C’è bisogno all’ascolto anche del diverso per trovare un cammino comune, quello del dialogo appunto. In un rispetto che apre alla libertà e alla differenza.
Circa il rapporto dialogo e giustizia, le parole sapienti che l’uomo è chiamato ad ascoltare sono il riflesso dell’amore e della misericordia di Dio. L’uomo sapiente sa ascoltare anche il grido del povero. Chi vive secondo Dio vive cercando la giustizia, aiutando l’uomo e allontanandosi dal male. Chi vive il dialogo interreligioso non può non cercare il bene e la pace. In molti testi sapienziali s’insiste sull’obbligo morale del credente di aiutare chi è nel bisogno e di camminare sulla via della rettitudine e dell’onestà: «Non negare un beneficio a chi è nel bisogno» (Pv 3,27); «Non tramare il male contro il tuo prossimo mentre egli dimora fiducioso presso di te» (Pv 3,29); «Non passare per la via degli empi […] passa oltre» (Pv 4,14-15). Il male, insegano i testi sapienziali, va evitato. Vivere secondo giustizia è accogliere l’altro e sapere che fare il bene non è mai da rimandare e che la fiducia non va mai tradita e che bisogna sempre rispondere alle esigenze della giustizia. Anche il libro del Siracide presenta la stessa linea di condotta facendo capire l’importanza della via della misericordia: è un comando e un’offerta di felicità da accogliere e offrire. Vivere nella gioia e nel bene dà pace e consolazione. Il maestro sapiente esorta il discepolo a non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi: «Al povero stendi la tua mano perché sia perfetta la tua benedizione» (Sir 7,32); «Se cerchi la giustizia la raggiungerai e te ne rivestirai come un manto di gloria» (Sir 27,8). La ricerca della giustizia (desiderio di bontà) è un atteggiamento interiore che deve accompagnare il dialogo interreligioso per il bene di tutti. Il reciproco conoscersi e la possibilità di trovarsi su un terreno comune può portare frutti di pace. L’instabilità dell’attuale situazione mondiale segnata dalla violenza richiede l’intervento di uomini di buona volontà che sanno far prevalere l’uso della ragione sulle armi e la forza dell’amore su quella dell’odio. Così, poter veramente dialogare significherà accogliersi reciprocamente e gettare semi sulla terra che germoglieranno. Procedere nel cammino del dialogo vuol dire diventare segno di speranza per il mondo, operatori di concordia in una società assestata di pace, profeti credibili capaci di sognare, che credono che la pace prevarrà sulla guerra e che la terra si aprirà finalmente alle dimensioni del cielo: «Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno, la verità germoglierà dalla terra» (Sal 85 [84],11-13).
Circa il rapporto tra dialogo, figliolanza e fraternità, l’uomo saggio che si apre a Dio scopre e accoglie l’alterità degli altri esseri umani e rispetta i valori altrui e anche chi crede nella libertà di pensiero e rifiuta ogni chiusura. Un esempio è dato dal re Salomone proprio nel libro della Sapienza. Qui il re d’Israele afferma di se stesso di essere un uomo mortale uguale a tutti, discendente dal primo uomo, così anche di aver respirato l’aria comune e, come per tutti, il pianto fu la sua prima voce. Anche Salomone fu allevato in fasce e circondato di cure. Nessun re ebbe un inizio diverso. Così come una sola è l’entrata nella vita e uguale per tutti ne è l’uscita. Il sapiente, poi, scopre nella creazione la benedizione di Dio. Il libro della Genesi utilizza, per il mondo, l’immagine di un giardino affidato all’uomo perché lo coltivasse e lo custodisse. Lo stesso libro dei Proverbi presenta il mondo come un cosmo ordinato e custodito dalla sapienza divina. Giobbe, guardando alla creazione, riconoscerà la bontà di Dio e si riconcilierà con lui. Il Dio della sapienza è il Dio della creazione, dunque, il Dio di tutti gli uomini. Ed è il Signore della vita che nella rivelazione si manifesta come Padre che interviene nella storia a favore di tutte le sue creature. Ne offre un esempio il Sal 136. È un vero inno in cui si ripete che “Eterna è la sua misericordia”. Una ripetizione significativa che scandisce la preghiera nella contemplazione del grande attributo di Dio, la misericordia appunto. Solo Dio ha compiuto grandi meraviglie perché “eterna è la sua misericordia”. Dopo aver esalto il Signore per la sua misericordia, il salmo termina celebrando di Dio il suo volto di Padre: egli dà il cibo a ogni essere vivente. Segue il ritornello: “Rendete grazie al Dio del cielo” perché “eterna è la sua misericordia”. Il messaggio è forte: quel Dio che si innalza in tutta la sua grandezza è il Dio che procura il cibo alle sue creature come Padre amorevole. Immensamente potente, capace di cose portentose, Dio si occupa delle piccole necessità umane e si lascia sperimentare nella storia come il Dio di ogni vivente, riconoscibile come tale da ogni uomo pur nelle diverse situazioni, culture e religioni. Così, il credente, strutturalmente costituito nel bisogno di relazione con Dio, trova nel dialogo un incontro fecondo con le altre fedi. Tutti i credenti vivono il dialogo per la pace nel desiderio di fare del mondo una casa comune a servizio dell’essere umano.
Violenza e impegno delle religioni per la pace. È questo il tema che ha aperto il dibattito con i partecipanti in aula attraverso due tavole rotonde. La prima, con due brevi interventi del dottor Abdellah Redouane (segretario generale del Centro islamico culturale d’Italia) e del rabbino David Rosen (direttore internazionale per i Rapporti interreligiosi dell’American Jewish Committee). La seconda, con le comunicazioni del dottore Alberto Quattrucci della Comunità di Sant’Egidio e del monaco buddista B. Wimalaratana del Sri Lanka.
Abdellah Redouane ha affermato che islam e salam sono due sostantivi che indicano salvezza, sicurezza e tranquillità. Il profeta Maometto aveva già definito le vere caratteristiche dell’islam quando identificò il musulmano così: “è quella persona dalla cui lingua e dalla cui mano è salva”. Il credente è quella persona da cui la gente non ha niente da temere. Islam significa remissione totale a Dio, Signore dell’universo, che ha creato l’uomo e lo ha nobilitato per fare il bene sulla terra. La pace è custodia di tutti i passi dell’uomo nella sua vita. Il saluto dei musulmani è salam, ossia pace, ed è un pilastro della loro preghiera. Pace è uno dei nomi del paradiso che Allah ha promesso a coloro che vivono nella pace sulla terra. Vivere senza pace porta al caos, alla distruzione, alla morte. L’islam ha indotto alla pace con Allah e con gli uomini, come pure alla pace interiore, cioè all’assenza di odio e alla purezza. «Nessuno di voi è vero credente se non desidera per il fratello ciò che desidera per se stesso». Allah ha assegnato alla pace la parte più importante della vita. La pace è parte integrante degli atti di culto, delle parole e dei comportamenti dei musulmani. La pace è assolutamente necessaria per vivere ancor più dell’acqua, dell’aria e del cibo. Senza questi elementi l’umanità non può vivere. La mancanza di acqua, come anche di cibo e di aria, incide sul corpo. Invece, l’assenza di pace conduce all’ostilità, alla devastazione, all’odio tra i singoli e i popoli. Abramo chiese a Dio pace e sicurezza, facendo allusione al bere e al mangiare. La pace è come il mangiare e come il bere. L’islam proibisce il terrorismo, l’intimidazione e la minaccia perché il bene delle persone è da tutelare. Chi uccide anche una sola persona o compie nei suoi confronti atti intimidatori o terroristici è come se lo facesse a tutta l’umanità. La pace non può essere un’utopia, ma un modo di pensare e di vivere nel quotidiano. Dovrebbe essere una convinzione simile alla fede. Avere pace è come avere fede. Nessuna pace è possibile tra gli uomini quando si negano i diritti fondamentali ai più deboli. La giustizia e la libertà offrono un nome concreto alla pace. Dobbiamo conoscerci a vicenda per collaborare alla causa della pace. Dobbiamo difendere l’umanità dal pericolo della guerra e del terrorismo. Il futuro migliore dell’umanità dipende in gran parte non solo dalla risoluzione dei conflitti ma anche da altri mali quali crisi ambientale, povertà, sfruttamento. I mali dell’uomo e del mondo privano la pace del suo significato più profondo. Le tensioni e le guerre attuali spingono al pessimismo ma noi non abbiamo il diritto di cedere bensì il dovere di continuare a cercare le vie della pace. Ha ribadito Redouane che l’iniziativa di celebrare il cinquantesimo di Nostra aetate è un aiuto concreto per la causa della pace. Se il saluto dell’islam è la pace e i musulmani hanno il dovere di pregare per la pace, è perché l’islam è una religione di pace. “O voi che credete entrate nella pace con tutto il vostro cuore e non seguite le orme di satana”.
Merita attenzione anche la breve comunicazione del rabbino capo d’Irlanda David Rosen. Egli ha affermato che tutte le religioni sembrano essere state parte del problema e non strumento per la pace e la riconciliazione. La violenza in nome della religione è una dissacrazione della religione. Ci sono persone nel mondo che credono che la violenza sia ciò che Dio chieda da loro. Anche nel giudaismo è detto che la Torah può essere la pozione della vita o della morte. La religione può essere la forza più potente di vivificazione o di morte. Che cosa porta alla violenza religiosa? Per alcuni, il cattivo uso della religione è dovuto all’abuso dell’uomo che ne tradisce il suo scopo. La violenza della religione deriva anche dalla mancanza di potere. La stessa religione può avere caratteristiche diverse in spazi geografici diversi. Nella lingua inglese si riconoscono tre grandi B delle religioni: credo, comportamento e appartenenza. L’abuso della religione è spesso correlato al credo e al comportamento. Sembra che molto dipende anche dall’appartenenza socio-politica e culturale di un popolo o di un’etnia. Tutte le componenti dell’identità umana costituiscono i fattori del nostro benessere psico-spirituale. Se si perdono questi componenti non sappiamo più chi siamo e chi non siamo. Quando, ad esempio, viene meno una delle esigenze più importante dell’essere umano, la sicurezza, si può generare violenza. Così, in un contesto di conflitto, l’identità è veicolo dell’autoaffermazione e può generare violenza. Il comportamento di buono e cattivo ha la forma della spirale: cerchi nei cerchi. Quando ci si sente sicuri nel contesto più ampio si è più aperti (nazioni, comunità). Quando le componenti dell’identità umana non sono armoniche e si isolano, si finisce per denigrare gli altri e si limita ogni forma di dialogo. La religione è legata al senso dell’identità e, dunque, anche ai nostri comportamenti quotidiani. Quando è minacciata la sicurezza, le religioni tendono a diventare parte della denigrazione dell’altro. Per far si che le religioni siano ciò che devono essere, ossia elisir di vita e veicolo di pace, le fonti delle alienazioni che le sovvertono vanno affrontate. Le religioni non possono usare violenza per rispondere alla violenza. Il Talmud afferma che il vero eroe è colui che trasforma il nemico in amico. Bisogna pensare alla fonte dell’alienazione che porta alla corruzione delle religioni. Non c’è collegamento tra gruppi militanti e il loro credo di appartenenza. Dobbiamo estenderci e raggiungere gli altri nello spirito abramitico dell’accoglienza e del benvenuto cercando di ripristinare un cerchio più ampio di sicurezza e di pace. Qui il rabbino Rosen ha fatto riferimento a Gen 18, ossia ad Abramo che, seduto nell’ingresso della tenda, alzò i suoi occhi e vide tre uomini e andò verso di loro. Abramo non fece domande sulla loro origine e scopri che quei tre uomini erano messaggeri divini, segno della presenza del Signore. In Gen 19, poi, si fa riferimento ai due angeli che andarono a Sodoma e si recarono in casa di Lot. La tradizione talmudica afferma che Abramo e così Lot vedono in quei due uomini la presenza degli angeli. Abramo vede gli angeli in tutti gli esseri umani. Ecco l’accoglienza e il dialogo tra le religioni e i popoli come espressione della religione abramitica autentica così come è ricordato in NA 5 in cui si afferma che non possiamo chiamare Dio come Padre…Questo spirito di fraternità universale consente la vera pace. Il 50° di NA è la sostituzione di un insegnamento di disprezzo e di rifiuto – violenza ideologica – con una riscoperta dello spirito di fraternità teologica: se Dio è Padre di tutti, noi siamo tutti fratelli. Ciò richiede apertura spirituale agli altri. La trasformazione della visione della Chiesa cattolica verso il giudaismo è senza paralleli. NA ha portato a un capovolgimento della situazione. NA ispira le relazioni umane al dialogo interreligioso e sottolinea il legame dei cristiani con il popolo ebraico. Il rapporto tra il popolo ebraico e la Chiesa cattolica ha delle ramificazioni profonde. NA ha aperto la via a una risposta od ospitalità teologica che consiste nel rifiuto della violenza e nella promozione della fraternità universale a beneficio dell’umanità. Vi sono valori sublimi che le religioni affermano: la pace, la giustizia, la libertà religiosa. Noi siamo chiamati ad essere più grandi delle somme delle diverse parti. La Torah è per la pace. Molto resta da fare per l’ospitalità teologica e per l’accoglienza abramitica. In quanto figli di Abramo, siamo una benedizione per gli altri, per la realizzazione del regno della pace sulla terra.
Nella seconda tavola rotonda, il dottor Alberto Quattrucci della Comunità di Sant’Egidio ha affermato che NA è come una piccola perla con un grande messaggio. Ha poi riletto NA in due contesti storici: quello degli anni Sessanta del secolo scorso e quello del nostro tempo segnato dal terrorismo internazionale e da nuove guerre locali. NA ha dato uno statuto teologico al dialogo interreligioso affermando che il dialogo promuove la pace. Uno dei frutti più belli di NA è proprio lo spirito di Assisi. Che cosa significa oggi NA e che cosa ha significato nel 1965? Nel 1965, il “nostro tempo” era segnato dalla rivoluzione culturale, dalla liberazione della Palestina, dalla guerra in Vietnam (il presidente Marcos divenne presidente delle Filippine), dalla rivendicazione dei diritti umani (è sufficiente ricordare che il 4 ottobre del 1965 Paolo VI parlò all’Onu). Nel 1965 il mondo era diviso in due blocchi: Usa e Urss. È in confronto a “questi tempi” che la Chiesa cattolica volle aprirsi per promuovere la pace e un dialogo sereno con gli uomini. Il quadro di riferimento era diverso da quello di oggi, così come pure le risposte. Seguirono grandi manifestazioni per la pace, per i diritti dei lavoratori. Paolo VI istituì, nel 1968, la prima giornata mondiale per la pace. Fu un invito rivolto non solo ai cattolici ma a tutti i veri amici della pace. La NA di oggi trova un altro contesto: c’è una violenza largamente diffusa nella nostra società. I fenomeni di terrorismo e di razzismo si moltiplicano, come pure le guerre. La violenza e l’ingiustizia hanno sempre interpellato le religioni. Così simboleggia la storia di Caino e di Abele. Caino è l’egocentrico, l’autoreferenziale, colui che cura solo i propri interessi. In chi cura solo i propri interessi c’è sempre un inizio di omicidio dell’altro. La NA di oggi deve fare i conti con la violenza. Le religioni devono fare i conti con una violenza che si manifesta in modo globale. Infatti, da un lato cresce la spettacolarizzazione della violenza e, dall’altro, c’è un’esperienza quotidiana e locale della violenza. C’è una portata trans-nazionale della violenza che appare anche organizzata. La lotta alla violenza e la costruzione della pace sono il fine del dialogo interreligioso che non può ridursi a un fatto culturale o solo intellettuale. È venuto il tempo in cui le religioni spendano con entusiasmo e audacia le loro forze per trasformare il mondo con il dialogo. Nessuna guerra è santa. Solo la pace è santa. In questa prospettiva si pone lo spirito di Assisi per la costruzione della pace e del dialogo tra le religioni e i popoli. Le religioni hanno un potere, una forza interiore, una grande energia per sradicare ogni forma di violenza dal cuore dell’uomo. Le religioni possono promuovere e animare il dialogo interreligioso tra gli uomini e le donne di ogni cultura. Le religioni hanno la forza di entusiasmare il dialogo, cioè di porre Dio nel dialogo, superando ogni divisione o contrasto. Solo cambiando i cuori e le menti è possibile cambiare il mondo. La storia è piena di sorprese: lo Spirito agisce nel cuore degli uomini e delle donne che si aprono a Dio. Sono trent’anni dello spirito di Assisi. Si è sviluppato un vero e proprio vocabolario del dialogo e della pace proprio grazie a NA e allo spirito di Assisi. Si può ritenere per certo che lo spirito di Assisi sia il frutto più maturo di NA. La pace è sempre possibile e la guerra è sempre evitabile. Certamente, l’impegno per la pace e il dialogo da parte delle religioni è solo all’inizio. Tuttavia, proprio lo spirito di Assisi ci ricorda che innanzi a noi c’è tanta energia di dialogo e di pace ancora da esprimere. Lo spirito di Assisi è forte perché ce ne bisogno. Ne hanno bisogno tutti. C’è bisogno dello spirito di Assisi perché, come ha detto papa Francesco volando verso Cuba, oggi il mondo ha sete di pace.
Il presidente del Consiglio delle religioni della pace in Sri Lanka, il professore Wimalaratana, si è soffermato sul ruolo positivo dei leader religiosi per la mediazione per la pace e la riconciliazione. Anche nella tradizione buddista si guarda in modo più positivo al ruolo delle altre religioni rispetto al passato. Con NA si è accettata apertamente la diversità religiosa. Negli ultimi quarant’anni tante organizzazioni interreligiose sono sorte nel mondo. La diversità delle credenze religiose non è solo una questione importante per la coesistenza pacifica della società ma anche per le relazioni internazionali. La violenza è stata sempre una caratteristica dell’umanità e di ogni società a qualsiasi livello (domestico, regionale, mondiale). Qualunque forma di violenza determina un impatto negativo sulle vittime e sulla società nel suo insieme. Anche se siamo pienamente consapevoli di questa negatività, continuiamo a vedere la violenza nella nostra vita giornaliera. I titoli dei giornali sono pieni di riferimenti alla criminalità e alla violenza nel mondo. Noi ripetiamo la stessa domanda: “Ci sarà mai una fine a tutto questo?”. In genere, le religioni mondiali hanno sempre parlato contro la violenza nel mondo. Eppure, la violenza continua ad essere molto diffusa. I motivi sono tanti: concentrazione della povertà, disuguaglianza economica, ricerca di potere, l’abuso di sostanze. Giovanni Paolo II disse che la giustizia sociale non è raggiungibile mediante la violenza perché la violenza uccide quello che intende creare. Qualsiasi forma di violenza è una malattia per l’umanità. In quanto cittadini responsabili del mondo, possiamo assicurare solo che la violenza sia contenuta e diminuita. Le religioni mondiali predicano l’amore, la compassione e la coesistenza. Budda ha ripetuto costantemente che l’odio non si può vincere con l’odio. Questo insegnamento è presente anche nei Vangeli e nel NT come pure nell’AT. Le religioni predicano l’amore e la pace. Tuttavia, anche se apparentemente la religione è una forza unificatrice che promuove la pace e la giustizia, purtroppo la storia ci ha parlato in modo diverso. Il rapporto tra religione e violenza è complesso. Si può incitare alla divisione e alla violenza anche con i movimenti religiosi che sono di tre forme: apocalittica (si mette in evidenza il male, si auspica la fine del mondo, la distruzione di tutto, anche dell’ambiente e degli esseri umani; politica (si lotta per l’abolizione dello stato laico e per sottomettere le persone e le comunità al credo professato); etnofobici (nel senso che non danno spazio alla diversità e quindi tendono a sopprimere con la violenza ogni gruppo religioso diverso).
È chiaro che il problema non è la religione in sé ma la sua interpretazione estremistica. La violenza religiosa è un sottoprodotto di chi genera ideologie estremiste. L’estremismo esiste in quasi tutte le religioni. In base all’indice globale del terrorismo (analisi del 2014), il terrorismo si è qualificato soprattutto in ambito religioso, per interpretazioni errate della religione. Coloro che partecipano alla violenza religiosa sono una piccola minoranza della popolazione. Una visione laica non aiuta a risolvere il problema del terrorismo religioso. È necessario il contributo delle religioni alla pace e al dialogo. Il ruolo dei leader religiosi nella riconciliazione dei conflitti non è un fenomeno nuovo. Ad esempio, Gandhi, King, e tanti altri hanno avuto un ruolo religioso importante nella risoluzione dei conflitti. Il ruolo dei leader nella risoluzione dei conflitti è complesso, multifunzionale e non si può ridurre solo a condannare gli atti di terrorismo. È necessario combattere l’ideologia religiosa estremista e impegnarsi per la formazione al dialogo. I leader religiosi devono anche lavorare in modo strategico con i mass-media per criticare gli estremisti religiosi. La tensione che ricevono da parte dei media accordano loro una certa legittimità e un senso di superiorità e popolarità. Questa presa sul pubblico deve essere negata agli estremisti religiosi. I media hanno un ruolo centrale nell’informazione pubblica. I media stampati ed elettronici possono essere utilizzati come strumenti potenti per condurre una campagna intensa e continua per informare il pubblico sulle conseguenze sociali e religiose delle violenze confessionali. Bisogna dire pubblicamente che la gran parte della violenza religiosa non è contenuta all’interno della religione stessa. La religione non è una delle cause di base della violenza, lo è, invece, la sua interpretazione estremista che accetta, giustifica e promuove la violenza.
La sfida della libertà religiosa. Ha moderato la sessione pomeridiana di martedì, dedicata alla sfida della libertà religiosa, il professore Franco Imoda. Due le tavole rotonde affidate, rispettivamente, a Christian Rutishauser (consultore permanente della Santa Sede per le relazioni religiose con gli ebrei) e al rabbino Daniel Sperber (Israele), per la prima tavola rotonda, e al dottor Rasoul Rasoulipour (dell’Università di Kharazmi) e a Swami Chidananda (forum dell’India per la pace).
La mancanza della libertà porta alla violenza e la violenza si annulla ove si afferma la libertà. Il gesuita Christian Rutishauser si è soffermato sulla dichiarazione conciliare Dignitatis humanae affermando che NA è da leggere in rapporto alla libertà religiosa e all’apertura della Chiesa cattolica al mondo, ai segni dei tempi, così come sancito nella costituzione pastorale Gaudium et spes. I padri conciliari hanno costituito questa nuova teologia delle religioni parlando a favore della libertà religiosa nella società civile. NA è il primo documento con un approccio positivo alle altre religioni. La Chiesa cattolica, prima del concilio Vaticano II, si concentrava sulla salvezza degli individui al di fuori del cristianesimo. NA ha cambiato la prospettiva: parla non dei semplici individui ma di tradizioni religiose. L’approccio è positivo. Il concilio ecumenico Vaticano II ammette che le tradizioni religiose sono positive e contengono tracce di luce della verità divina. Il rispetto per l’islam è espresso e del giudaismo si dice che ha un rapporto speciale con il cristianesimo. Le relazioni esterne della Chiesa cattolica non sono più guidate solamente dal paradigma della missione o dell’evangelizzazione: nasce il paradigma del dialogo. NA è coerente con la metodologia promossa da GS: la verità cristiana si sviluppa in modo dialettico nel dialogo con il mondo (che è un vero luogo teologico). Il mondo con le sue culture e religioni può anche insegnare alla Chiesa cattolica che finalmente è aperta dall’interno verso l’esterno. Per DH il Concilio ebbe un approccio positivo verso i valori umani, soprattutto della libertà. Ogni persona è obbligata a sforzarsi per raggiungere la verità. Non può esserci una verità forzata. La dignità della persona umana consiste nella libertà interiore. L’uomo cerca la verità liberamente. DH è coerente anche con DV che ha dato una nuova forma alla rivelazione in quanto afferma che essa non è un fatto di dottrine ma l’auto-comunicazione di Dio all’uomo. La persona umana è un essere che tende alla verità. DH non annulla la verità oggettiva ma dichiara che la verità è un processo in itinere da realizzare o compiere come cammino personale e relazionale. C’è unità e profonda sinergia tra NA e DH. Dopo la dichiarazione di Benedetto XVI nel 2015, si è fatta avanti l’idea di un’ermeneutica della continuità nella discontinuità. Una tradizione viva ridefinisce le vecchie verità. NA e DH hanno cambiato l’obiettivo sulla concezione della verità rivelata. È una verità dialogica, di ricerca, flessibile, aperta al confronto sereno con le altre posizioni.
Si possono considerare otto stimoli o sfide per la realizzazione della libertà religiosa nella nostra società oggi. Anzitutto, la sfida o l’impegno per la promozione dell’eccellenza personale dell’umanesimo. È l’affermazione dei diritti umani, anche di quelli sociali. C’è una responsabilità personale e collettiva per lo sviluppo della libertà. È il diritto a crescere e a sviluppare la propria fede impegnandosi nella storia, agganciati alla realtà sociale che ci circonda. Non basta ricevere i sacramenti o pregare: la formazione religiosa è un’esigenza. Bisogna sviluppare e promuovere la visione umanistica della libertà che è capace di entrare in dialogo con ogni cultura, comunità, religione. C’è poi bisogno di una competenza interreligiosa sempre più forte e matura soprattutto nell’attuale contesto di globalizzazione. Il dialogo e l’incontro con altre tradizioni religiose è un impegno per tutti e non per un gruppo elitario. La competenza interculturale e interreligiosa è molteplice ed è per tutti. Dobbiamo imparare a comprendere l’altro (visione del mondo, etica, liturgia, prassi, culto, dottrina). Ogni sistema religioso interferisce con gli altri sistemi non solo religiosi. Il dialogo è molto di più che vivere insieme in pace gli uni accanto agli altri. Si tratta di formare la propria identità religiosa in un contesto già interreligioso. Bisogna poi porre attenzione al rapporto fra tradizioni religiose e secolari per realizzare un’identità aperta ai processi storici che cambiano. Il dialogo è molto più esteso di quello religioso, perché tocca ogni aspetto della vita. Il dialogo tocca le culture, le società, la tradizione secolare. Una visione di vita secolare non è superiore a quella religiosa e il secolarismo non ha un punto di vista più illuminato o superiore rispetto a quello religioso. I non credenti sono un gruppo che rivela una fede nel secolarismo o nella scienza. C’è una sorta di religione civile (la fede nel secolarismo) con la quale bisogna dialogare. Le tradizioni religiose fanno parte delle nostre società aperte. Segue la sfida dell’identità religiosa corporativa: una società religiosa multi-etnica e globalizzata è costituita e parte dalla ricerca della verità da parte di ogni individuo con il rischio di cadere nel relativismo soggettivo. La sfida è di creare delle strutture oggettive di verità per promuovere le tradizioni religiose oggi. La Chiesa cattolica oggi lotta con il problema della libertà di coscienza. Occorre trovare un equilibrio tra libertà personale e quella collettiva. La sfida è, dunque, promuovere un’identità religiosa che trascende il fondamentalismo. Quest’ultimo, poi, non è un fenomeno religioso bensì una reazione regressiva davanti al fenomeno religioso. Il fondamentalismo sostiene un fondamento là dove è già svanito. C’è poi da confrontarsi con la sfida che proviene dai diritti umani ad intra. La Chiesa cattolica si è fatta promotrice dei diritti umani in diversi contesti sociali nel mondo. La libertà religiosa ha la sua radice nella dignità della persona umana. Libertà religiosa, per l’individuo, che cosa significa concretamente? La questione religiosa è da porre in relazione con le norme delle verità di fede, del magistero, del ruolo della famiglia, della giustizia da praticare. L’uso della violenza nella comunità religiosa è un aspetto della violenza religiosa ad intra. Il fondamentalismo religioso produce vittime ad extra e ad intra. Segue ancora lo stimolo che è dato dalla teologia politica e sociale, ossia da una fede che si impegna nel quotidiano per affermare la giustizia a ogni livello. C’è un vuoto metafisico in ambito pubblico. Il decadimento dei valori e il nichilismo ne sono dei sintomi. La sfida è di creare un nuovo insegnamento sociale o una nuova teologia politica. I credenti devono collaborare con i fedeli di altre tradizioni religiose. Lo Stato deve preparare le condizioni affinché le diverse tradizioni religiose lavorino per il bene comune. C’è poi la sfida rappresentata dalla nascita e dallo sviluppo della teologia delle religioni ha che ha determinato un approccio positivo alle altre religioni. Una teologia pluralista delle religioni è popolare in Occidente. Dal punto di vista delle scienze e delle religioni, l’approccio pluralista deve essere adottato in modo critico. È interessante avere un dialogo tra la teologia delle religioni al di fuori delle diverse tradizioni religiose. In ultimo, ma non meno importante, è la sfida che i cristiani devono portare avanti tra dialogo e missione. La chiamata universale all’evangelizzazione è parte intrinseca della fede cristiana. Come può la missione andare di pari passo con il dialogo? Un’evangelizzazione forzata va contro la libertà della persona. La tensione tra missione e dialogo è ancora forte. Un dato è certo: cinquant’anni di NA sono solo l’inizio del dialogo interreligioso.
Il rabbino Daniel Sperber, in riferimento alla libertà religiosa e alla violenza, ha affermato che parlare del rispetto delle religioni e del dialogo vuol dire riconoscere che esiste una libertà religiosa. Eppure, non sempre è stato così. La libertà religiosa è un concetto nuovo in Occidente. È limitato anche nella Grecia antica. Infatti, secondo le tre leggi d’identità accettate da Socrate, per le quali A è A, A non può essere A e non A, non A non può essere A (la verità non può contraddirsi, dunque una dichiarazione o è falsa o è vera), il principio dialogico tra le diversità è alquanto limitato. In Oriente, invece, la situazione era più elastica in rapporto al concetto di verità. La logica classica occidentale non ammetteva che qualcosa potesse convivere con il proprio opposto o contrario. Grande il contributo di Nicolò Cusano a proposito della coincidentia oppositorum. Nell’induismo ciò è possibile. Il gianismo, ad esempio, parla della molteplicità dei punti di vista. La realtà può essere percepita da punti di vista diversi, in modo che nessun punto di vista costituisca la verità completa. I punti di vista sono le diverse credenze. Non esiste una dottrina fondamentalista. Gandhi ha adottato i principi della tolleranza religiosa. I cabalisti parlano del Dio infinito che è l’unità degli opposti. Generalmente, in Occidente, chi ha la verità corregge con la persuasione o con la forza l’altro. La persuasione era la missione della Chiesa cattolica. Nel politeismo, invece, il pluralismo religioso era incluso. La tolleranza è stata vista come una situazione di compromesso con l’avvento della modernità. Un approccio più positivo avvenne agli inizi del Novecento con l’influenza dell’Oriente. È sufficiente citare il lavoro di Raimundo Panikkar. Due persone guardano la stessa cosa attraverso finestre diverse. Ognuno vede qualcosa di diverso a motivo della luce, dell’angolo visuale. Ognuno descrive cose diverse. Anche una persona singola può vedere in modo diverso una cosa (la forma, il colore) allontanandosi o cambiando prospettiva. Per Panikkar, il dialogo è il tentativo di capire la prospettiva dell’altro. Nel dialogo si mescolano prospettiva soggettiva e dottrina oggettiva. Le verità superficiali sono quelle i cui contrari sono falsi, mentre le verità profonde sono tali che i contrari sono veri. Ad esempio, la luce è fatta di particelle e di onde, due realtà che si contraddicono. Questo scetticismo e questa incertezza riguardano l’esclusività della fede. Da qui il liberalismo e il dialogo. Ci si rende conto che l’altra cosa può essere vera. Chi pensa di avere il monopolio della verità pecca di hybris. Quando una posizione teologica è estrema ed è senza tolleranza si arriva allo scontro.
La sessione di mercoledì mattina 28 ottobre è stata preceduta dall’udienza generale interreligiosa con papa Francesco che ha richiamato l’importanza di NA per i nostri tempi. L’attualità del messaggio di questa dichiarazione si può così sintetizzare: la crescente interdipendenza dei popoli (cf. n. 1); la ricerca umana di un senso della vita, della sofferenza, della morte, interrogativi che sempre accompagnano il nostro cammino (cf. n. 1); la comune origine e il comune destino dell’umanità (cf. n. 1); l’unicità della famiglia umana (cf. n. 1); le religioni come ricerca di Dio o dell’Assoluto, all’interno delle varie etnie e culture (cf. n. 1); lo sguardo benevolo e attento della chiesa sulle religioni che non rigetta niente di ciò che in esse vi è di bello e di vero (cf. n. 2); la chiesa guarda con stima i credenti di tutte le religioni, apprezzando il loro impegno spirituale e morale (cf. n. 3); la chiesa, aperta al dialogo con tutti, è nello stesso tempo fedele alle verità in cui crede, a cominciare da quella che la salvezza offerta a tutti ha la sua origine in Gesù, unico salvatore, e che lo Spirito Santo è all’opera, quale fonte di pace e amore. Papa Francesco ha poi ricordato che sono tanti gli eventi, le iniziative, i rapporti istituzionali o personali con le altre religioni in questi ultimi cinquant’anni. Un avvenimento particolarmente significativo è stato l’incontro di Assisi del 27 ottobre 1986 voluto e promosso da san Giovanni Paolo II, il quale un anno prima, dunque trent’anni fa, rivolgendosi ai giovani musulmani a Casablanca auspicava che tutti i credenti in Dio favorissero l’amicizia e l’unione tra gli uomini e i popoli (19 agosto 1985). La fiamma, accesa ad Assisi, si è estesa in tutto il mondo e costituisce un permanente segno di speranza. Papa Francesco ha fatto riferimento poi al miglioramento dei rapporti tra cristiani ed ebrei negli ultimi cinquant’anni. Indifferenza e opposizione si sono mutate in collaborazione e benevolenza. «Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli».
Il Concilio, con la NA, ha tracciato la via: «“sì” alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; “no” a ogni forma di antisemitismo e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano. La conoscenza, il rispetto e la stima vicendevoli costituiscono la via che, se vale in modo peculiare per la relazione con gli ebrei, vale analogamente anche per i rapporti con le altre religioni». Per papa Francesco, il dialogo «di cui abbiamo bisogno non può che essere aperto e rispettoso, e allora si rivela fruttuoso. Il rispetto reciproco è condizione e, nello stesso tempo, fine del dialogo interreligioso: rispettare il diritto altrui alla vita, all’integrità fisica, alle libertà fondamentali, cioè libertà di coscienza, di pensiero, di espressione e di religione. Il mondo guarda a noi credenti, ci esorta a collaborare tra di noi e con gli uomini e le donne di buona volontà che non professano alcuna religione, ci chiede risposte effettive su numerosi temi: la pace, la fame, la miseria che affligge milioni di persone, la crisi ambientale, la violenza, in particolare quella commessa in nome della religione, la corruzione, il degrado morale, le crisi della famiglia, dell’economia, della finanza, e soprattutto della speranza. Noi credenti non abbiamo ricette per questi problemi, ma abbiamo una grande risorsa: la preghiera. E noi credenti preghiamo. Dobbiamo pregare. La preghiera è il nostro tesoro, a cui attingiamo secondo le rispettive tradizioni, per chiedere i doni ai quali anela l’umanità».
La sessione di mercoledì mattina ha toccato il tema L’educazione e la trasmissione dei valori con una sola tavola rotonda che ha visto partecipare: Gurmohan Singh Walia (India), Nayla Tabbara (Libano), Riccardo Segni (Rabbino capo della Comunità ebraica di Roma) e Samani Pratibha Pragya (Regno Unito). La grande sfida che ci viene affidata da NA proprio nel cinquantesimo della sua promulgazione è, come ha affermato il cardinale Pietro Parolin (Segretario di Stato di sua Santità) quella di educare le nuove generazioni alla pace. A causa della violenza e del terrorismo si è diffuso un atteggiamento di sospetto o addirittura di condanna delle religioni. In realtà, benché nessuna religione sia immune dal rischio di deviazioni fondamentalistiche o estremistiche in individui o gruppi, bisogna guardare ai valori positivi che esse vivono e che esse propongono, e che sono sorgenti di speranza. Si tratta di alzare lo sguardo per andare oltre. Il dialogo basato sul fiducioso rispetto può portare semi di bene che a loro volta diventano germogli di amicizia e di collaborazione in tanti campi, e soprattutto nel servizio ai poveri, ai piccoli, agli anziani, nell’accoglienza dei migranti, nell’attenzione a chi è escluso. Possiamo camminare insieme prendendoci cura gli uni degli altri e del creato. Tutti i credenti di ogni religione. Insieme possiamo lodare il Creatore per averci donato il giardino del mondo da coltivare e custodire come un bene comune, e possiamo realizzare progetti condivisi per combattere la povertà e assicurare a ogni uomo e donna condizioni di vita dignitose.
[Edoardo Scognamiglio]
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