«Dammi un po’ d’acqua da bere» (Gv 4,7) è il titolo della preghiera per l’unità dei cristiani che si svolgerà in occasione della settimana ecumenica dal 18 al 25 gennaio 2015. Anche a Caserta, in Cattedrale, il prossimo 22 gennaio (alle ore 18), l’Ufficio per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso ha preparato un incontro di preghiera e di dialogo tra le diverse comunità cristiane presenti sul territorio di Caserta. Abbiamo chiesto a p. Edoardo Scognamiglio, Direttore dell’Ufficio ecumenico e Ministro provinciale dei Frati Minori Conventuali di Campania e Basilicata, di illustrarci il significato di questa settimana di preghiera e di incontri ecumenici.
Perché quest’anno si è deciso di riflettere sul dialogo tra Gesù e la Samaritana al pozzo?
In questo dialogo ci sono tutti gli elementi per avviare un incontro sereno e armonioso tra le diverse confessioni cristiane. C’è un particolare che deve colpire noi tutti: è Gesù che chiede anzitutto qualcosa a una donna samaritana considerata scismatica e fuori dalla salvezza. Il dialogo esige anche di attingere alle risorse degli altri, considerando le diversità come una risorsa per la nostra stessa identità e non una minaccia. In evidenza è posta la sete di Gesù. Questa sete è la sete di Dio. È la sete del Padre. È la sete del Maestro che vuole essere presente nel cuore di ogni uomo e donna di buona volontà. È Dio che ha sete di noi, dell’umanità. È la stessa sete che Gesù manifestò sulla croce nell’ora della morte. È una sete d’amore che non ha fine. È il desiderio di pace che albera anche nel cuore dell’uomo, di tutta l’umanità.
Quali sono i passi avanti compiuti in ambito ecumenico?
Sono tanti i risultati positivi raggiunti nel dialogo ecumenico. Gli ultimi incontri tra papa Francesco e il patriarca Bartolomeo I hanno dimostrato come veramente la fede ci rende tutti fratelli e sorelle, ossia figli e figlie di un solo Padre che è nei cieli. Ciò è possibile grazie allo stesso battesimo in Cristo Gesù. La comunione tra le Chiese deve crescere. Questa comunione si può estendere anche alle altre comunità cristiane. Prossimamente celebreremo la riforma di Lutero e la nascita delle Chiese luterane. Anche questa lacerazione appartiene all’esperienza della Chiesa cattolica e non può essere sottovalutata. Occorre lavorare assieme perché annunciamo un solo Signore, Gesù Cristo. Ci sono poi esperienze comune di dialogo pratico, di aiuto umanitario e caritativo che le Chiese orientali (cattoliche e non) vivono ogni giorno. Basti pensare alla difficile situazione dei cristiani non solo cattolici in Medio Oriente.
Quali sono i livelli del dialogo ecumenico?
Innanzitutto c’è il dialogo accademico, quello teologico, vissuto dagli esperti di dogmatica che non è meno importante degli incontri di preghiera per l’unità dei cristiani. Riflettere sul dogma, sull’identità della Chiesa, sul significato della fede, sulla Tradizione, è indispensabile per un annuncio vero e caritatevole del Vangelo. Poi c’è l’ecumenismo spirituale che vede un grande movimento di gruppi, associazioni, Chiese e comunità impegnati a livello locale, nazionale e internazionale per la preghiera comune e tante iniziative caritatevoli. Questi due livelli devono sempre incontrarsi. Diversamente, il primo, senza il secondo, renderebbe il dialogo qualcosa di astratto, di aleatorio, immaginativo. Il secondo, invece, senza il primo, resterebbe una semplice prassi senza orientamenti e fondamenti teologici.
A cosa serve l’esperienza del dialogo ecumenico?
Nel dialogo ecumenico, come in quello interreligioso (almeno in parte), noi rafforziamo la nostra identità e prendiamo coscienza dei nostri errori e proviamo a invocare l’unico Signore Gesù Cristo, chiedendo il dono dell’unità e della carità. Chi dialoga si mette in gioco, prova a vedere il bene che c’è nell’altro e a valorizzare anche le proprie tradizioni e convinzioni, riconoscendo pure i propri limiti. Il dialogo, poi, appartiene all’essenza di noi battezzati, è inscritto nel Dna dei cristiani: perché siamo creati e ricreati a immagine di Dio in Cristo. Un vero discepolo di Gesù, quindi, non può non dialogare, non può non cercare la pace, l’unità, la riconciliazione.
Come si svolgerà l’incontro di preghiera il 22 gennaio a Caserta?
Con molta semplicità, abbiamo invitato i pastori e le comunità cristiane del casertano a vivere un momento di preghiera in cattedrale, guidati dal nostro vescovo, mons. Giovanni D’Alise. Dopo la proclamazione della Parola e alcune preghiere, ascolteremo delle brevi testimonianze e riflessioni proprio sul Vangelo di Giovanni che narra dell’incontro tra Gesù e la donna samaritana al pozzo di Sicar. Poi saranno accese e donate ai diversi responsabili delle comunità cristiane le lampade di Assisi che gentilmente i frati del Sacro Convento di Assisi ci hanno regalato per questa occasione. È la lampada della pace che ricorda lo spirito di Assisi e l’impegno di Giovanni Paolo II per il dialogo ecumenico e interreligioso. È la stessa lampada accesa da Benedetto XVI e dai leader delle diverse religioni. È la medesima fiamma che fece risplendere ad Assisi papa Francesco. Speriamo che questa fiamma dell’amore e dell’unità risplenda quanto prima nei nostri cuori e in tutte le famiglie. Il dialogo, non solo ecumenico, può e deve diventare uno stile di vita, ossia un modo di pensare, d’essere e d’agire. Ha bisogno dell’impegno quotidiano, soprattutto della preghiera per l’unità e per la pace.
Come valuta l’attuale crisi del dialogo interreligioso alla luce degli ultimi attentati terroristici di matrice islamica?
Il male provocato dai fondamentalismi religiosi ci sospinge a fare il bene, a cercare ancora di più il dialogo, la pace, la comunione, la mediazione. È urgente la formazione al dialogo e alla pacifica convivenza nelle nostre comunità. Gli attacchi dell’Isis o dei terroristi in Francia o in Siria non hanno niente a che vedere con l’islam. Tutte le comunità (cristiane e non) devono lavorare per una sana e concreta pedagogia del dialogo, educando le nuove generazioni al confronto con le diversità culturali, etniche, linguistiche, religiose, sociali. Dobbiamo aiutare le comunità islamiche presenti sul nostro territorio a denunciare il male e a prendere le distanze da questi attacchi.
La forza del male e dei fondamentalismi è nell’ignoranza e nella violenza. La forza del bene è nella condivisione e nella solidarietà. Dobbiamo far crescere il bene in mezzo a noi, ponendo in evidenza le pacifiche esperienze di dialogo e di comunione che viviamo a livello locale, nazionale e internazionale ogni giorno. Il male fa molto rumore. Il bene cammina in silenzio. Attraverso i Centri Studi per il Dialogo, come quello dei francescani a Maddaloni, possiamo promuovere il bene e quello spirito di Assisi che ci educa alla libertà, alla pace, alla comunione, all’incontro, alla fraternità.
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