Francesco e il mondo nuovo
La festa di san Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, diventa per noi tutti – credenti e non – un’occasione importante per riscoprire le radici cristiane dell’Italia, nonché dell’Europa. Che cosa ne sarebbe del bel Paese senza Assisi e il ciclo pittorico di Giotto, di Cimabue e di tanti altri artisti non solo del Medioevo che hanno raffigurato la vita del Poverello?
Il Vangelo forma di vita per Francesco, fu da lui plasmato e vissuto nel corpo, nell’anima, nelle mura, nei villaggi che frequentò e nei boschi in cui dimorò. Tutto del Poverello sapeva di luce nuova, di amore evangelico, di Cristo.
1. L’umanesimo nuovo: sentirsi “co-infiniti”
Di solito avviene un passaggio implicito nelle nostre coscienze: san Francesco lo raffiguriamo subito come patrono dell’ecologia. Anche se è vero che la salvaguarda del creato e l’impegno per la giustizia e la pace hanno come punto di riferimento il carisma francescano – i ricordi vanno al lupo di Gubbio, al Cantico, alle Lodi, alla sensibilità estrema di san Francesco per sora madre Terra e per frate focu, all’incontro di Francesco con il Sultano d’Egitto –, la festa del Poverello è qualcosa di più. In Francesco noi vediamo realizzato finalmente l’uomo nuovo, ossia l’alter Christus. L’umanesimo nuovo di cui noi tutti abbiamo bisogno non si può ridurre semplicemente alla dimensione culturale ed estetica dell’esistenza o al senso panico della vita. Francesco realizza (e quindi ci consegna) l’immagine dell’uomo riconciliato, compassionevole, creaturale. Nel Poverello, infatti, noi troviamo realizzata la perfetta armonia-relazione tra la coscienza dell’essere creatura – del sentirsi finito – e la rivelazione dell’essere con il Creatore. Il Santo, infatti, aveva una percezione chiara e profonda del suo limite. Egli si sentiva “con-infinito”: ossia creatura partecipe delle forze della creazione, della bellezza e dell’energia del creato che manifestava – e ancora rivela – l’amore del Creatore per tutte le sue creature.
La forza di Francesco consiste nell’accettazione del limite, nella consapevolezza delle fragilità come risorsa: l’infinitamente piccolo è quel frammento della vita, della creazione, che è da sempre e per sempre agganciato all’Infinito di Dio, al Creatore che è Padre di tutti e che si è rivelato in Cristo Gesù. Solo così egli potrà cantare, anche nel momento della sofferenza fisica e del dolore spirituale: Tu sei il Bene…Tu sei Bellezza.
2. Lo stupore del cuore
Abbiamo bisogno di recuperare con la festa di san Francesco lo stupore e la meraviglia innanzi al creato e alle sue creature. Abbiamo bisogno di meravigliarci e di gioire per le bellezze del mondo e dell’uomo. Solamente con lo stupore potranno scaturire dal cuore di ciascuno di noi un sentimento di lode e quella forza del ringraziamento che riscalda gli animi anche dei lupi più solitari e dei volatili più rapaci. Chi si scopre pensato, amato e voluto da Dio non può non immettersi in quella corrente del dono e della generosità che lo stesso Figlio di Dio, il Verbo, ha manifestato con la sua incarnazione, passione, morte e risurrezione. Lo stupore del cuore per la generosità di Dio è tutto quello di cui abbiamo bisogno oggi per uscire dall’anonimato, da un’esistenza piena di cose e priva di valori, carente di spirito e colma fino all’orlo di beni di consumo e di possessi.
3. Il segreto della felicità
Francesco si è sentito amato e riconciliato: anzitutto con se stesso, poi con i fratelli e ancora con Dio in Cristo. Di fatti, l’incontro con il lebbroso – l’altro, il fratello, l’ospite che prima gli sembrava nemico, “amaro”, perché gli creava disagio – segna il suo passaggio da una visione vecchia della vita a una nuova dell’esistenza. Già. Forse noi siamo vecchi dentro non tanto o non solo per l’età anagrafica ma perché persi dietro noi stessi, nella solitudine dell’io e nel grigiore dei monologhi quotidiani, delle cose da fare. Francesco, invece, ha trovato nella relazione con il Crocifisso-Risorto il senso della sua vita, il motivo vero del canto e della lode. Sentirsi amati è il segreto della vera felicità. L’umano di Francesco è redento, ossia dialogico, capace di compatire, di vedere la vita, il mondo, le persone, gli altri, con gli occhi di Dio, con i sentimenti di Cristo, fino a nascondersi nel cuore stesso di quel Verbo della vita fattosi carne che sempre ha cercato, amato, contemplato. Il dono delle stigmate, infatti, fu per il Poverello la certezza che l’amore per sempre di Dio per le sue creature non viene meno e che solamente la propensione al dono, all’accoglienza, all’amabilità, alla fraternità, al dialogo e alla relazione con l’altro ci umanizzano, ossia ci rendono veramente figli e figlie di Dio e fratelli e sorelle in Cristo.
Francesco è l’inizio del mondo nuovo, il segno concreto di chi ha fatto del dialogo e dell’amicizia fraterna il suo stile di vita, di chi si sente a casa nella solidarietà e nella generosità, di chi sa riconoscere il volto del fratello anche nel nemico, in chi osteggia e mette in pericolo la propria esistenza.
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