Nuovi orrizonti antropologici e diritti della famiglia

Nuovi orizzonti antropologici e diritti della famiglia

di Edoardo Scognamiglio

Si è svolta a Roma, presso la Domus pacis, nei giorni 23-25 ottobre 2016, la XXI Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Il tema approfondito riguardava i Nuovi orizzonti antropologici e diritti della famiglia, nel trentesimo anniversario della presentazione della Carta dei diritti della famiglia.

1. Lo “Spirito di famiglia”

Monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Dicastero per la Famiglia, nella prolusione tenuta al mattino, ha posto attenzione alla dimensione spirituale dell’“essere famiglia” e al pericolo dell’egolatria che scardina la realtà stessa della famiglia nei suoi contenuti più profondi: l’amore coniugale, il dono dei figli, la custodia della vita. Partendo dal riconoscimento della grande crisi culturale, morale e spirituale che la società civile vive oggi – a motivo anche di un individualismo esasperato e irrefrenabile –, occorre ri-proporre all’uomo contemporaneo la famiglia come dono più prezioso per imparare ad amare, ossia ad essere persona. La famiglia è il “primo noi” che appare sulla terra, lo spazio umano più affidabile per educare ogni generazione – presente, passata e futura – al dono dell’amore, della solidarietà, della giustizia. S’impara ad amare stando in famiglia: se non c’è solidarietà in famiglia non ci potrà mai essere solidarietà fuori dalla famiglia. Nonostante i profeti di sventura, che avevano profetizzato la fine della famiglia tradizionale, oggi questo consorzio ancora resiste ed è composto, per la maggior parte dei casi, da un padre, da una madre e da uno o più figli.

Per monsignor Paglia non sarà possibile distruggere il consorzio familiare perché l’umano sgorga dalla Trinità – portiamo in noi la nostalgia di Dio che è desiderio di comunione, di relazioni autentiche – e perché tutti gli esseri umani sentono il bisogno di stare in famiglia. Occorre, perciò, elaborare una nuova cultura della famiglia e del matrimonio, avendo come punto di riferimento l’azione dello Spirito Santo nella vita familiare (lo “Spirito di famiglia”). Da qui il bisogno di rafforzare il legame tra Chiesa e comunità domestica: è nella famiglia che possiamo realizzare l’incontro vivo con Gesù Cristo. Almeno due sfide sono da tener presente: la proposta di una pastorale per i fedeli divorziati risposati, per maturare nei loro confronti atteggiamenti di misericordia e non di giudizio, e lo studio dei procedimenti di nullità (si tratta di trovare il modo per rendere più semplici e snelli questi processi). Per questo, ha ribadito monsignor Vincenzo Paglia, non è bene che la famiglia sia sola. Per fare comunità, per essere famiglia e scoprire le relazioni interpersonali nel consorzio familiare, è indispensabile rivalutare il tempo della festa, del riposo e della celebrazione eucaristica domenicale. Ha detto monsignor Paglia: «C’è una grazia particolare del Signore quando ci raduniamo, quando siamo fisicamente gli uni accanto agli altri, quando discutiamo assieme, quando preghiamo insieme, quando trascorriamo ore del giorno assieme. È la grazia della sinodalità». La famiglia vive una situazione paradossale: da un lato si attribuisce un grande valore ai legami familiari, sino a farne la chiave della felicità, dall’altra, però, la famiglia è divenuta il crocevia di tutte le fragilità. Sempre più spesso le famiglie sono abbandonate a se stesse e per questo è necessario che la famiglia ritorni al centro della cultura, della politica e dell’economia. La famiglia è stata spogliata della sua dimensione pubblica e sociale che tocca recuperare necessariamente.

2. A che punto siamo?

Monsignor Carlos Simón Vázquez, sotto-segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ha presentato una sintesi del lavoro svolto dall’ultima Assemblea plenaria nel 2011. L’attenzione alla famiglia che è maturata negli ultimi trent’anni all’interno della Chiesa ancora non è diventata una priorità essenziale per la nuova evangelizzazione. Spesso ci si limita alla semplice preparazione dei fidanzati al matrimonio. Si parla ancora troppo poco della famiglia come soggetto di evangelizzazione ed è scarsamente valorizzata la dimensione sociale della famiglia. C’è bisogno di una pastorale familiare più organica che valorizzi i membri della famiglia come soggetti agenti dell’evangelizzazione e della vita sociale. Sicuramente, la recezione della Familiaris consortio nelle comunità locali ha permesso di riscoprire con più convinzione la dimensione vocazionale e spirituale del matrimonio. Oggi la pastorale familiare non può limitarsi alla sola preparazione immediata al matrimonio e deve fare proprie le sfide della famiglia per un contributo efficace e concreto alla nuova evangelizzazione. La famiglia continua ad essere soggetto essenziale nella trasmissione della fede e costituisce un capitale – o una risorsa – indispensabile per la società. L’attenzione posta dall’Assemblea plenaria alla Carta dei diritti della famiglia è un’occasione per riscoprire anche le difficili condizioni sociali, culturali e politiche in cui versano le famiglie di tutto il mondo. Se è vero che la famiglia è un soggetto sociale, allora le politiche sulla famiglia devono servire per l’inserimento dei membri della famiglia nella vita pubblica e comunitaria di tutte le nazioni. La famiglia può apportare alla dimensione pubblica e politica della comunità civile un contributo preziosissimo.

È urgente che la famiglia non riposi su fondamenti ideologici ma sul riconoscimento di fatti oggettivi, quali ad esempio: l’insostituibile responsabilità della famiglia nell’educazione della prole; l’oggettiva importanza della famiglia come primo nucleo di solidarietà tra le generazioni; il ruolo economico e assistenziale della famiglia; il diritto della donna ad avere piena accessibilità alla vita sociale. La Carta dei diritti della famiglia sostiene il riconoscimento e la tutela dei diritti umani e dei diritti della famiglia. Tale riconoscimento esige un programma giuridico e politico unitario che rifletta questa articolazione primaria: il legame tra la verità dell’uomo e la verità della famiglia. In questo particolare momento storico, occorre aiutare la famiglia agendo in questo modo: rafforzare i legami familiari con la società, rendendo la famiglia autonoma nel suo agire sociale; dare sostegno adeguati alle famiglie che oggi risultano indifese da diversi punti di vista, come quello economico, giuridico, assistenziale; conciliare le responsabilità della vita familiare e della vita lavorativa; riconoscere il valore del lavoro domestico; prevenire l’esclusione sociale delle famiglie in situazioni a rischio; promuovere un meccanismo di prevenzione e di soluzione di conflitti e crisi familiari.

3. Alcune sfide

Nei gruppi linguistici, preparati per i consultori e i membri del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che si sono incontrati per la discussione pomeridiana del primo giorno, sono emerse alcune sfide per la famiglia da non sottovalutare. Il gruppo inglese (di aria britannica, americana, israeliana e australiana) ha posto in evidenza il bisogno di riscoprire la spiritualità familiare e di superare una concezione eurocentrica della famiglia e della Chiesa. Si è poi posto il problema dei matrimoni misti, dei divorzi e della violenza sulle donne. È importante testimoniare e parlare della sessualità in senso cristiano e di evangelizzare le nostre famiglie, proponendo un corso di catechesi e di formazione anche dopo il matrimonio, per meglio far percepire ai coniugi la realtà del sacramento del matrimonio e il mistero stesso della vita umana. C’è bisogno di maggior radicalismo anche nel vivere la fede in famiglia: non si può catechizzare nessuno senza innamorarsi di Gesù Cristo. Il gruppo linguistico italiano si è soffermato sulle fragilità all’interno della famiglia e sull’emarginazione che le famiglie vivono nella società di oggi. Per questo è indispensabile riscoprire la famiglia come luogo di educazione non solo alla fede ma anche e soprattutto all’amore, alle relazioni, al dono di sé, al sacrificio.

Una parola-chiave è “testimonianza”, segue quella di “fraternità” e di “discernimento”. È bene accompagnare le famiglie affinché maturino la consapevolezza della vocazione alla vita, alla comunione, alla relazione interpersonale. Il gruppo francese ha sentito il bisogno di sottolineare, in un contesto secolarizzato, la visione cristiana del matrimonio e il rapporto strettissimo tra vita familiare e celebrazione dell’Eucaristia. La forza e la grazia della famiglia si riscoprono nel sacramento del matrimonio. Il gruppo spagnolo ha riflettuto di più sul disagio educativo dei giovani e delle nuove generazioni: non è cambiato nulla nella natura dell’uomo, è cambiata invece la concezione culturale della famiglia. Oggi si pone in discussione il piano naturale della famiglia e non solo quello soprannaturale. La famiglia è vittima di questo tempo della soggettività ove la verità ha perso la sua forza oggettiva.

4. I fondamenti della Carta dei diritti della famiglia

Ha aperto i lavori del secondo giorno – sezione della plenaria dedicata esclusivamente alla Carta dei diritti della famiglia e aperta a tutti – monsignore Jean Laffitte, segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che si è soffermato su La carta dei diritti della famiglia. Fondamenti teologici e antropologici. Alla base della Carta vi è una certa teologia della creazione che riscopre nell’essere a immagine e somiglianza di Dio e nell’amore sponsale il fondamento della famiglia, la sua identità e missione. L’amore degli sposi e la famiglia sono posti chiaramente nel piano divino della salvezza. I diritti enunciati nella Carta sono impressi nella coscienza dell’essere umano e nei valori comuni di tutta l’umanità. La Carta riprende e attualizza i contenuti biblici e teologici della Familiaris consortio. La Carta fa riferimento trenta volte all’esortazione apostolica post-sinodale sulla famiglia e insiste nel dire che la famiglia è un soggetto di diritti e di doveri che sono antecedenti a quelli dello Stato.

Il relatore ha richiamato alcuni diritti fondamentali della famiglia: ad esistere e a svilupparsi in quanto famiglia; di trasmettere la vita e di educare i propri figli; di credere e di professare la propria fede; di creare associazioni per la famiglia; di espressione e di rappresentanza di fronte alle autorità pubbliche; di difendere i minori… Molti di questi diritti non sono rispettati e lo Stato non si impegna molto affinché la famiglia li possa attualizzare nella propria vita relazionale. Circa i minori, la Carta insiste nell’articolo 4 sul rispetto, la protezione e l’assistenza dovuti al bambino, e risulta un documento poco utilizzato dai responsabili della vita politica, sociale ed economica di molti Stati.

5. Il matrimonio naturale: diritto ed etica a confronto

Andrés Ollero, professore di Diritto presso l’Università Rey Juan di Madrid, ha offerto un’interessante riflessione su Il matrimonio naturale in prospettiva giuridica ed etica. Diritto, morale e religione appaiono, soprattutto nella società occidentale, sempre di più distanti e slegati. Si assiste alla crisi del matrimonio naturale e al misconoscimento di qualsiasi legge naturale. Il matrimonio, per molti laicisti, si riduce semplicemente a una sorta di cooperazione sessuale tra due persone. Siamo passati, in tal senso, da uno Stato di diritto a un diritto di Stato. L’idea del diritto naturale è considerata sempre di più come una dottrina cattolica su cui non vale la pena discutere in ambito laicista. Si assiste a un’eclisse del diritto e del suo rapporto con la verità oggettiva e lo stesso significato di giustizia e di etica. Eppure il diritto serve a tutelare la comunione familiare, come anche quella sociale, nonché a riconoscere un “minimo etico” nelle relazioni interpersonali e, dunque, anche per il consorzio familiare.

La tesi di fondo del professore Ollero è la seguente: il matrimonio tra persone dello stesso sesso non rientra nel diritto naturale, come altresì la negazione del legame indissolubile del matrimonio. La visione cristiana del matrimonio e della famiglia non fa altro che chiarire la realtà naturale della famiglia che non può sussistere senza un legame vero, autentico e indissolubile. Oramai, il vincolo matrimoniale è condizionato – e per questo è sempre più variabile – dalla volontà delle parti, dal desiderio del singolo. Il processo di de-giuridizzazione della famiglia come vincolo coniugale è accompagnato da un altro fenomeno: la giuridizzazione della convenienza dei singoli coniugi. Si afferma, così, una concezione individualistica del matrimonio e della famiglia come mezzo per realizzare la piena auto-espressione della personalità, di ascendenza illuministica, che nei suoi eccessi si evolve a libertarismo di massa. La famiglia, travolta dalla logica della de-istituzionalizzazione, rinuncia alla propria giuridicità estrinseca. C’è la necessità, in ambito giuridico, e non solo, di pensare alla famiglia come a quella struttura nella quale la legge assume la modalità dell’amore e nella quale l’amore si oggettiva – si fa reale – grazie alla modalità della legge.

La professoressa Teresa Collett, dell’Università S. Tommaso di Minneapolis (Usa), si è soffermata su Il compito dello Stato nel riconoscimento del matrimonio, rilevando la poca incidenza degli Stati nella vita delle famiglie. Se lo Stato è solo una parte del corpo politico che si occupa del rispetto della legge, della promozione del bene comune e dell’ordine pubblico e dell’amministrazione degli affari pubblici, non può non interessarsi della famiglia come bene primario e comunitario. La famiglia è comunemente intesa come una comunità naturale che comprende persone legate da un vincolo di sangue, di adozione o dal matrimonio. Quest’ultimo riguarda l’unione sessuale di un uomo con una donna. La Dichiarazione universale dei diritti umani, all’articolo 16, afferma che il matrimonio è un diritto umano, ed è una relazione consensuale tra uomini e donne ed è antecedente alla fondazione di una famiglia. La Chiesa cattolica offre una definizione molto più robusta di matrimonio che ha come caratteristiche: la totalità, l’unità, l’indissolubilità e la fedeltà. Non si può avere nessuno tipo di riconoscimento se il matrimonio è fuori dall’ordine naturale. La professoressa Collett si è poi soffermata sul problema della contraccezione, sulla sessualità a basso prezzo degli adolescenti e sul ruolo della paternità e della maternità in famiglia: non si può crescere bene senza un legame intergenerazionale.

6. La famiglia nella cultura contemporanea e nell’attuale legislazione

Nel pomeriggio del secondo giorno, il professore Carl Anderson ha presentato La Carta dei diritti della famiglia e la cultura contemporanea. Prendendo atto dell’attuale processo di secolarizzazione, bisogna dare delle risposte a coloro che si sentono chiamati ad amare e a vivere la loro vocazione nella famiglia. C’è una sorta di scetticismo nei confronti della visione cristiana della famiglia: prevale una concezione individualistica della famiglia come anche della ricerca della felicità. Mentre la Chiesa continua a proporre la visione trinitaria dell’uomo – creato a immagine e somiglianza di Dio –, gli Stati nazionali sembrano privilegiare soprattutto un modello di famiglia sempre più individualistico, ove prevalgono le esigenze dei singoli. Ad esempio, negli Usa, si è sviluppato, dal punto di vista giuridico, un processo che tende a legalizzare l’aborto, finanche a favorirlo, mentre in Francia si sostiene – a proposito del matrimonio e della scelta dei figli – l’idea di lasciare liberi i giovani di orientarsi alla relazione di coppia in base ai propri sentimenti o istinti. Prevale una sorta di relativismo etico e decisionale. La Carta dei diritti della famiglia fu pensata per garantire i diritti fondamentali della famiglia e per riscoprire la dimensione sociale della famiglia che è vincolata al suo stesso interno a promuovere il bene di tutti i suoi membri, specialmente dei figli.

La professoressa Jane Adolphe, dell’Università della Florida, ha affrontato il tema La Carta dei diritti della famiglia e la legislazione internazionale, avendo come modello la Dichiarazione universale dei diritti umani. La professoressa Lucetta Scaraffia, invece, è intervenuta su La Carta dei diritti della Famiglia e i diritti della donna, affermando che la Carta costituisce un ottimo contributo per far riscoprire il ruolo della donna nella famiglia e nella società. I punti essenziali di questa Carta sono: esiste una famiglia naturale che costituisce una società naturale; ci sono eguali diritti per i coniugi nella complementarietà dei ruoli; la condanna della contraccezione, dell’aborto e della sterilizzazione. Nella Carta si riconosce il lavoro domestico delle casalinghe. A partire da questa Carta si deve prendere atto del cambiamento culturale in atto, soprattutto della concezione della donna e del suo ruolo in ambito lavorativo e familiare e altresì della sua emancipazione: mentre una volta, infatti, era la famiglia che produceva il figlio come ovvia conseguenza dell’attività sessuale dei coniugi, oggi sempre più spesso è il figlio desiderato che crea la famiglia. Quindi, può essere considerata famiglia quella di chiunque desideri un figlio. Le giovani donne stanno pagando caro questa utopia, sia come “figlie del desiderio”, con tutti i problemi che ciò comporta, sia per l’impossibilità di avere dei figli in giovane età e, quindi, in molti casi, di avere dei figli comunque. I giovani sembrano essere, oramai, il frutto di un desiderio privato e non semplicemente dell’amore coniugale e sponsale, ossia fecondo e pieno. L’ipotesi di negare la differenza sessuale tra uomo e donna per sostituirla con il concetto neutro di gender è infondata e pericolosa e mette a dura prova la vocazione naturale della famiglia.

7. Quale modello di famiglia?

Il secondo giorno si è concluso con il contributo del dottore Stefano Zamagni su Coppie aggregative e coppie generative. Dopo una breve delucidazione sulla teoria del gender, secondo la quale non vi è alcun legame tra sessualità biologica e identità sessuale – perché il genere è semplicemente quello in cui un individuo s’identifica o decide d’identificarsi –, il relatore si è chiesto se, rispetto ai compiti dell’educazione dei figli, della fornitura con equità delle relazioni di amore e di fiducia, non ci sia differenza sostanziale tra il tipo di famiglia tradizionale o patriarcale o naturale (che nasce dall’unione tra un uomo e una donna) e il tipo di famiglia post-moderna (nuove famiglie o nuove unioni). Dal punto di vista socio-politico e culturale, un dato è certo: dalla conferenza mondiale dell’Onu sulle donne a Pechino nel 1995, il concetto d’identità di genere è entrato in ogni documento ufficiale delle Nazioni Unite in materia di lotta alle discriminazioni di genere. La Costituzione italiana dedica alla famiglia tre articoli (29, 30 e 31).

La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Lo Stato riconosce qualcosa che già esiste. Dunque, la famiglia precede lo Stato. Il riferimento alla società naturale, poi, implica che l’appartenenza alla famiglia avviene per nascita e non per libera scelta. Ciò significa che la famiglia ha un carattere metagiuridico che trova la sua struttura nel matrimonio. Lo Stato italiano riconosce, nell’articolo 31, il favor familiae dal punto di vista economico, prevedendo interventi per agevolare il vissuto familiare nella società. Eppure, nonostante queste agevolazioni, che sono state volute per la famiglia tradizionale, oggi si tende a realizzare delle politiche familiari a vantaggio di una concezione della famiglia post-moderna che non privilegia la dimensione istituzionale del matrimonio, bensì la componente utilitaristica di chi effettivamente forma il nucleo familiare. Si tende a considerare di meno il bene della comunità familiare a vantaggio dei bisogni e dei desideri del singolo membro della famiglia e delle nuove aggregazioni.

Quattro sono gli elementi costitutivi del genoma familiare: il dono, la reciprocità, la generatività e la sessualità come amore coniugale. La famiglia è una comunità di vita nella quale questi quattro elementi sono combinati tra loro secondo il cosiddetto “ordine a croce”. La complementarietà maschio-femmina che sottende la sessualità non è un processo psichico che avviene dentro la persona, ma un rapporto reale che si sviluppa tra due persone di sesso diverso. Il fondamento del rapporto nuziale sta nel riconoscimento dell’incompletezza sia del maschile sia del femminile, il che rende necessarie azioni precise e interventi calibrati per consentire al principio di complementarietà di esprimere tutto il suo potenziale. Annunciare la famiglia come comunità di vita centrata sul dono, sulla reciprocità, sulla generatività e sulla sessualità implica il superamento sia del modello individualistico sia di quello tradizionale o patriarcale. Se quest’ultimo non sempre riconosce le spettanze proprie dell’amore coniugale, perché lo sottopone a valori ritenuti superiori – come quello della solidarietà della famiglia e della dipendenza generazionale –, quello individualistico-borghese non riesce a fare spazio alla logica donativa, dal momento che questa postula l’amore agapico. La caratterizzazione del genoma della famiglia conduce a vedere nella famiglia un’azione comune che si compone di tre elementi: la consapevolezza dell’agire di tutti i membri della famiglia; la responsabilità di ogni membro; l’unificazione degli sforzi da parte dei partecipanti all’azione comune per il conseguimento del medesimo obiettivo.

I diversi tipi di azione comune manifestano i diversi tipi di famiglia che si danno nella pratica. Ad esempio, il porre attenzione quasi esclusivamente alla consapevolezza dell’agire comune determina un tipo di famiglia che si riduce a una sorta di società di mutuo soccorso e di tipo contrattuale. Per vivere bene l’esperienza della famiglia è indispensabile che ogni partecipante all’azione comune assuma come rilevante e meritevole di rispetto le intenzioni degli altri, sapendo che questi faranno altrettanto (mutual responsiveness). Poi, ciascun membro della famiglia s’impegna in un’attività congiunta e sa che anche gli altri intendono fare lo stesso (committment to the joint activity). In ultimo, ognuno s’impegna ad aiutare gli altri durante lo svolgimento dell’attività in questione, non al termine della stessa, come accade nel paternalismo. L’aiuto è volto a migliorare il talento di chi è nel bisogno, non a fissare gerarchie meritocratiche (commitment to mutual support). Sicuramente, nel nostro tempo, in una società tesa a individualizzare gli individui, la famiglia stenta a conservare la sua identità e corre il rischio di alterare il proprio genoma. Indebolire la famiglia vuol dire dominarla e asservirla a interessi di parte.

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