[Edoardo Scognamiglio]
In occasione della visita fraterna del patriarca ecumenico di Costantinopoli, sua Beatitudine Bartolomeo I, che presenzierà il giorno 24 novembre 2023, presso la Sezione San Tommaso d’Aquino della PFTIM di Napoli, il Convegno di studi La liturgia segno del cammino di unità nella Chiesa sinodale, pubblichiamo una delle relazioni che riguarda proprio il cammino ecumenico e interreligioso vissuto e promosso dai docenti di Teologia della Sezione San Tommaso d’Aquino.
“Cammino”, “percorso”, “itinerario” e “viaggio” sono termini carichi di un significato biblico ed esistenziale, e di una certa forza simbolica, di pregnanza non solo teologica, ma anche spirituale e culturale, oserei dire interdisciplinare e transdisciplinare. Sono vocaboli che evocano la condizione di esodalità, di uscita da noi stessi, e dalla nostra condizione d’essere, nella quale ci troviamo tutti e, ancora, prima di noi, sono passati i viandanti e i pellegrini di quest’umanità in movimento non solo nel Mediterraneo ma su tutto il Pianeta Terra. L’umanità è in cammino verso una Patria comune, ma ha ancora da scoprire la Sorgente-Fonte-Origine dalla quale proveniamo noi tutti.
- Una metafora: siamo viandanti…
La metafora del cammino ci ricorda che siamo viandanti in questo mondo, alla ricerca del senso della vita e di un Assoluto.
Il poeta libanese Khalil Gibran, nel suo famoso libro The Prophet, già agli inizi del secolo scorso, come un profeta, scriveva:
«Per noi viandanti, sempre alla ricerca della via più solitaria, non inizia il giorno dove un altro giorno finisce, e nessun’aurora ci trova dove ci ha lasciato il tramonto. Anche quando la terra dorme, noi viaggiamo»[1].
Queste parole ben riassumono il senso dell’itinerario della Facoltà Teologica di Napoli in ambito ecumenico e per gli studi a carattere interreligioso. Come docenti e cristiani, uomini e donne testimoni della fede e delle ragioni della speranza che ci abita dentro, dell’unico Evangelo, Gesù Cristo, ci sentiamo come pellegrini dell’Assoluto, all’insegna di un’Origine da ritrovare, di una Patria che è al tempo stesso dietro di noi ed eternamente davanti a noi. Ecco perché la ricerca teologica e pastorale, in questa Facoltà, sta sulla frontiera-soglia: siamo irrimediabilmente malati di nostalgia e pervasi di speranza, segnati dal desiderio e dal sogno di una fraternità-sororità universale, fino a poter dire, con lo stesso poeta-profeta della benedetta e martoriata e depredata Terra dei cedri:
«Ti amo, fratello, chiunque tu sia, che tu t’inchini nella tua chiesa, o t’inginocchi nel tuo tempio, o preghi nella tua moschea. Tu ed io siamo figli di una sola fede, giacché le diverse vie della religione non sono che le dita dell’amorevole mano di un solo Essere Supremo, una mano tesa verso tutti, che offre a tutti l’interezza dello spirito, ansiosa di accogliere tutti»[2].
Lo stesso patriarca ecumenico Bartolomeo I, in più occasioni, ci ha ricordato che il cristianesimo è un’esperienza di fede e di amore, e per questo auspica per ogni discepolo e, dunque, per ogni teologo, le tre aperture: del cuore (per vedere e amare Dio nel prossimo, nell’altro); degli occhi (per riconoscere il Mistero dell’Amore in tutta la creazione, in ogni essere vivente); della mente (per dialogare con gli altri, soprattutto con la scienza e i non credenti[3]).
- L’apertura: diversità e pluralismo come risorsa
Nel solco degli studi di chi ci ha preceduto e di coloro che ci hanno accompagnato e di quanti ancora camminano con noi nella ricerca teologica, poiché siamo come nani sulle spalle dei giganti[4], ci è stata consegnata un’apertura (memoria) al principio secondo il quale il pluralismo è un “dono divino”, una “risorsa” non soltanto sociale e culturale, ma soprattutto teologico-spirituale-sapienziale per tutta l’umanità e, quindi, per lo stesso cristianesimo istituzionale, così come fu ripreso, incisivamente, nel documento della Commissione per il Dialogo e l’Ecumenismo della Conferenza dei Vescovi dell’India, Linee per il dialogo interreligioso, CBCI Centre, New Delhi 1989, n. 25 [p. 29], e richiamato poi nel documento della Fratellanza umana (4-2-2019) firmato da papa Francesco e dal grande imam di Al-Azhar (Ahmad Al-Tayyeb) ad Abu Dhabi, ove si fa riferimento alla libertà (di credo, di pensiero, di espressione e di azione) come diritto di ogni persona:
«Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano»[5].
La Facoltà Teologica di Napoli, con largo anticipo, ha seguito l’indicazione di un metodo teologico efficace presente nella dichiarazione comune:
«adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio»[6].
Anche se in ambito teologico bisogna ancora compiere uno sforzo per riconoscere la differenza come risorsa e il pluralismo, non solo religioso, come conseguenza della creazione stessa e della multiforme grazia di Dio, la Facoltà Teologica di Napoli ha sempre impegnato energie, risorse e intelligenze per il cammino ecumenico e il dialogo interreligioso in tutte le sue forme.
A Napoli, così come in tante altre terre del Sud del mondo, ma anche del Nord, siamo ben consapevoli di essere nell’era del meticciato e dell’interculturalità, della transculturalità, ove lo stesso pluralismo rende imprevedibile l’avvenire dal punto di vista sociale, culturale, politico e anche religioso.
L’interculturale è la nostra realtà e con esso le molteplici forme del meticciato culturale. Così, sono diffusi ovunque i problemi legati alla differenza, alla mescolanza e alla violenza che il meticciato, nelle sue forme storiche, ha spinto all’estremo. Tuttavia, il meticciato stesso, nella forma della transcultuarlità, diventa la via di soluzione per ciò che è la differenza e la mescolanza e la violenza percepite come minaccia. Il meticciato è un indicatore della via possibile per la pacifica convivenza nelle differenze. Se, da una parte, il termine “meticcio” evoca una rottura nella società, dall’altra, sta a indicare la “comune appartenenza” dell’umanità alla stessa condizione, ossia alla nascita di una nuova identità, di un nuovo popolo, di una nuova umanità segnata positivamente dalla differenza, dall’alterità di ogni suo membro[7].
Questa nuova umanità segnata positivamente dalla differenza, dal punto di vista teologico, è la fraternità universale, secondo Nostra aetate 5:
«Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio. L’atteggiamento dell’uomo verso Dio Padre e quello dell’uomo verso gli altri uomini suoi fratelli sono talmente connessi che la Scrittura dice: “Chi non ama, non conosce Dio” (1Gv 4,8). Viene dunque tolto il fondamento a ogni teoria o prassi che introduca tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, discriminazioni in ciò che riguarda la dignità umana e i diritti che ne promanano».
La sfida che il pluralismo religioso pone alla teologia è, da una parte, riconoscere l’unicità di Gesù Cristo nella mediazione salvifica (Cristo quale sacramento di salvezza, simbolo reale differenziato del Padre in virtù dell’unione ipostatica) e, dall’altra, ammettere una consequenzialità di mediazioni, ossia di altri simboli, che possono essere in qualche modo accolti nella tradizione cristiana a partire dalle altre tradizioni culturali asiatiche e africane o, comunque, non europee. Si tratta di riconoscere, in qualche modo, un ruolo salvifico alle altre religioni nell’unica mediazione di Cristo[8]. C’è da approfondire, non senza tensioni, l’ipotesi di una mediazione partecipata a più livelli (religioso, spirituale e socio-culturale) nell’unico simbolo (reale differenziato del Padre) che è Cristo Gesù, persona divina, Verbo di Dio venuto nella carne, nella nostra storia.
Per questo, gli Statuti Generali della nostra Facoltà, al Titolo sesto, dedicato all’ordinamento degli studi, attraverso l’articolo 28, ai nn. 6-7, fanno riferimento alle «questioni ecumeniche» da trattare «accuratamente» e alla necessità di studiare «con attenzione» le «relazioni con le religioni non cristiane» (p. 38). Mentre gli Statuti Particolari della Sezione San Tommaso d’Aquino, all’articolo 4, raccomandando, insieme alla Sezione San Luigi, la collaborazione con altri Centri e Università civili, e s’afferma che tale Sezione è aperta al dialogo con le altre Chiese e comunità ecclesiali, e anche con i non cristiani e i non credenti (p. 61).
Educare alla fede in un contesto ecumenico, pluralista e interreligioso significa, oggi, concretamente, per le nostre Chiese e per i Centri accademici, riconoscere che le religioni non smettono di attivare un’unione simbolica con Dio e, quindi, di svolgere una funzione non sacramentale ma simbolica di grado differente. Tutto ciò che favorisce l’incontro o l’avvicinarsi al mondo di Dio non può far altro che attuare o stimolare la stessa mediazione di Cristo. Se la mediazione di Cristo è un continuo assimilarsi all’umano (cf. Eb 2,17), le religioni, con un proprio linguaggio, con i propri riti e liturgie, insegnamenti e dottrine, risultano essere positive per l’assimilazione alla condizione umana e alla comunicazione tra Dio e gli uomini. Se è vero, poi, che la persona di Gesù Cristo ha un significato e un valore per il genere umano e la sua storia, singolare e unico, a lui solo proprio – esclusivo, universale e assoluto –, e che è il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, nonché il centro delle aspirazioni umane, egli lo è in quanto Verbo nella carne, circondato dalla sua e altrui umanità, ossia partecipe di questa umanità che ha una sua propria identità ed esistenza e che partecipa per la sua stessa attività al mistero del Verbo e non solo passivamente.
La Sez. San Tommaso d’Aquino della PFTIM di Napoli, che corrisponde alla Facoltà Teologica Napoletana già esistente presso il Seminario maggiore arcivescovile di Napoli, ha maturato da lunghissimo tempo una sensibilità ecumenica e dialogica che è stata coltivata e approfondita attraverso il contributo di pastori e docenti di grande spessore umano, culturale, spirituale e teologico. Non meno importante è la collaborazione tra la nostra Sezione e il Consiglio Regionale delle Chiese Cristiane della Campania e lo Spirito di Assisi che coinvolge in molte iniziative non solo accademiche i leaders di molte comunità interreligiose e delle altre Chiese.
- La memoria: una profonda sensibilità ecumenica e dialogica
Il respiro ecumenico, la recezione del Vaticano II negli studi di teologia, l’attenzione al territorio e ai mutati contesti socio-culturali e geo-politici dell’Italia, furono una costante del magistero e dell’agire pastorale del compianto arcivescovo di Napoli, il cardinale Corrado Ursi. Su questa linea di pensiero e di approfondimento teologico-pastorale ed ecumenico-dialogico si sono posti i contributi dei successivi arcivescovi di Napoli, ovviamente nel rispetto delle proprie sensibilità, delle esperienze di Chiesa e delle particolari attitudini personali. Citiamo, in particolare, il contributo di monsignore Ciriaco Scanzillo per la recezione del Vaticano II in ambito ecclesiologico-comunionale e teologico-pastorale. A Napoli, proprio in Duomo, il 3 maggio 1987, fu ordinato presbitero, da Corrado Ursi, il già fratello di Taizè Max Thurian che, in seguito, il 30 settembre del 1992, Giovanni Paolo II nominò membro della Commissione Teologica Internazionale. La sua vita fu dedicata agli studi ecumenici sia attraverso dialoghi tra esperti sia mediante un vissuto di carità fraterna e di tensione all’unità tra i cristiani. La ricchezza spirituale e il vissuto ecumenico di Max Thurian hanno inciso profondamente sul vissuto accademico della nostra Sezione.
Se è vero, come ha affermato papa Francesco nel viaggio a Napoli (21-6-2019), che le scuole di teologia «si rinnovano con la pratica del discernimento e con un modo di procedere dialogico capace di creare un corrispondente clima spirituale e di pratica intellettuale», allora, si deve riconoscere che la nostra Sezione ha avuto sempre uno sguardo lungimirante e profetico perché ha perseguito un modo di procedere dialogico come «via per giungere là dove si formano i paradigmi, i modi di sentire, i simboli e le rappresentazioni delle persone e dei popoli».
È sufficiente menzionare il contributo di monsignor Bruno Forte per la riscoperta della Teologia simbolica incentrata sulla storia e sulla sensibilità ecumenica, così come pure il lavoro generoso e sincero di monsignor Adolfo Russo per il dialogo interreligioso e una conoscenza teologica capace di leggere nel pluralismo religioso i segni dei tempi e di agire pastoralmente a servizio dell’uomo, soprattutto degli ultimi. Non va dimenticato il contributo della professoressa Diana Pacelli per l’ecumenismo, già convinta sostenitrice dell’Amicizia ebraico-cristiana a Napoli che nacque nel 1987 per volere del cardinale Corrado Ursi. Questi docenti, insieme ai nuovi professori della nostra Sezione, hanno sempre coniugato il pluralismo culturale e religioso nell’orizzonte della libertà-verità e nella prospettiva della ricchezza, ossia come sfida per la teologia, cogliendo nella cifra della differenza e nelle stesse esperienze di diversità un dono prezioso per la fede e un’opportunità nuova e originale per l’annuncio del Vangelo oggi.
- La sfida: per una teologia in ascolto dell’umano, ossia “dal di dentro”
Papa Francesco ha posto come sfida, per la ricerca accademica e sistematica, una teologia dell’accoglienza e del dialogo capace di cogliere la realtà “dal di dentro”, ossia confrontandosi serenamente con gli uomini e le loro culture, con le loro storie, le loro differenti tradizioni religiose. È quanto elaborò già monsignor Domenico Sorrentino con un modello più concreto e attuale di teologia del vissuto, di una spiritualità evangelica che guarda all’uomo nella sua concretezza e al contesto in cui vive, di una santità che si fa carne, storia, profezia. La teologia, in quanto scienza della fede, è capace di rendere ragione della speranza che è in noi solamente nella misura in cui sa cogliere la realtà nella sua complessità, senza negare o sottacere le differenze e senza allontanarsi dal contesto del vissuto e dal principio veritativo dell’amore.
L’attenzione all’uomo e alle sue inquietudini, così come alla cultura, alla bellezza, all’arte, alla letteratura e alla poesia, costituì l’orizzonte teologico di ricerca del compianto professore Paolo Pifano che dedicò grande parte dei suoi studi al rapporto tra Teologia e Letteratura, Arte e Bellezza. Oggi, questo filone estetico e dialogico è stato ripreso completamente nella formulazione del Biennio di Teologia dogmatica e seguito anche nella Sezione San Luigi. Per la Sacra Scrittura, senza voler escludere nessun docente, l’approfondimento del kerygma per innovare gli studi, così come indicato da papa Francesco nel proemio della Veritatis gaudium, è stato reso possibile dalle ricerche di monsignore Armando Rolla, di monsignore Antonio Pitta, così come pure di don Cesare Marcheselli-Casale, del già nostro preside (monsignore Gaetano Castello) e degli altri biblisti, sempre più attenti al dato narrativo e filologico dei testi biblici, privilegiando il dialogo con l’ebraismo ed evidenziando in ogni percorso accademico l’unità dei Testamenti e sottolineando, allo stesso tempo, la diversità dell’esperienza di Dio nei vari testi sacri. Attualmente, una lettura ecumenica e storico-critica della Bibbia è favorita da alcuni stimati biblisti già nostri docenti, tra cui don Gaetano Di Palma.
Anche l’area filosofica ha mostrato, attraverso i nostri docenti, un interesse costante per la persona e le sfide più urgenti della post-modernità, ricusando ogni forma di apologetica e privilegiando la via del dialogo, del confronto, della libertà di pensiero, dell’ascolto dell’altro, senza per questo rinunciare all’istanza critica del metodo teologico e della ricerca comune della verità. Pensiamo al contributo scientifico del professore Pasquale Giustiniani, all’interesse per l’antropologia del sacro e interreligiosa del professore Antonio Ascione e alla discussione attorno alla persona, alla libertà e alla verità del professore Roberto Gallinaro. Anche l’area pastorale della nostra Sezione si è andata interrogando su una possibile Teologia in ascolto dell’umano grazie al contributo del professore Carmine Matarazzo e di altri docenti di tale settore. L’area filosofica vanta della ripresa del neo-tomismo napoletano attraverso lo studio e la riflessione critica di monsignore Pasquale Orlando, nel tentativo di tenere assieme – ovviamente in un rapporto dialettico – fede e ragione, verità e amore.
- La prassi dell’unità e del dialogo
All’interno di quest’alveo di ricerca della nostra Sezione, è maturato il percorso di Cristologia con indirizzo Ecumenico e Dialogo interreligioso, da me curato, e preceduto da ben tre anni di sperimentazione con corsi integrativi e seminari, e sostenuto per la ricerca ecumenica dai Lunedì di Capodimonte, un vero laboratorio sulla prassi delle Chiese cristiane della Campania, avviato da più di sei anni, e dal contributo insostituibile del Laboratorio Fede-Ragione-Religioni da noi ideato con il già direttore dell’Istituto di Cristologia, il professore Antonio Terracciano, e coadiuvato dal professore Antonio Ascione.
L’attenzione al dialogo interreligioso, come altresì l’approfondimento dell’islâm e del buddhismo e delle altre grandi religioni orientali, è stata resa possibile con il supporto dell’attuale preside don Francesco Asti e del ben consolidato contributo del Centro Studi Francescani per il Dialogo interreligioso e le Culture di Maddaloni (Ce) di cui ci fregiamo esserne i responsabili.
Il già gran cancelliere, il cardinale Crescenzio Sepe, erede di una profonda coscienza ecumenica e di un’esperienza interculturale e interreligiosa concretissima, allora come prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, ha sempre sostenuto e voluto, come l’attuale arcivescovo di Napoli, mons. Domenico Battaglia, gli attuali laboratori di formazione al dialogo e all’accoglienza delle altre fedi, religioni e comunità, esortandoci a perseverare nell’ampliamento del percorso ecumenico dedicato all’unità dei cristiani. La possibilità di avviare nuovi progetti con la Facoltà teologica di Salonicco e di Zara e di altri Centri internazionali di Teologia e di ospitare studenti di altre confessioni cristiane è merito dell’attuale Gran Cancelliere. Ha sostenuto e voluto tenacemente un aggiornamento dei corsi di Teologia alla specializzazione, come altresì la nascita del nuovo indirizzo ecumenico-interreligioso, il nostro preside, il professore Francesco Asti, che ha affidato a noi e al professore Antonio Ascione la progettazione dei nuovi corsi della specializzazione. I docenti della specializzazione hanno collaborato a diverso titolo, in questi ultimi sei anni, affinché la ricerca teologica avvenisse attraverso l’ascolto consapevole di tutto ciò che ci circonda, della storia e del vissuto dei popoli e delle comunità che si affacciano non solo sullo spazio del Mediterraneo e della nostra città, ma del mondo intero, cercando di cogliere le sfide e le istanze più urgenti sul territorio e per i nostri tempi, nel tentativo di incarnare la fede cristiana in contesti talora di conflitto, di minoranza e di convivenza plurale con altre tradizioni religiose.
La presenza di studenti specializzandi e dottorandi provenienti dall’Est e dal Sud del mondo ha costituito, per gli stessi docenti, una grande sfida per rinnovare il metodo teologico di ricerca e di analisi, affinché la proposta formativa della specializzazione fosse a passo con i tempi e in grado di rileggere i dati della Tradizione con i segni profetici della Storia, tra cui i temi proprio dell’inculturazione, del dialogo, dell’accoglienza, dell’integrazione, della fraternità universale. Ci permettiamo di affermare, senza alcuna presunzione, che l’attenzione al tema della fraternità universale – su più versanti – è già una peculiarità del nostro modo di fare teologia a Napoli, presso la nostra Sezione che ha assunto come premessa ermeneutica e metodologica la categoria del dialogo e del confronto con l’altro.
- Il sogno della fraternità universale
Il nuovo percorso di Licenza in Teologia dogmatica, con indirizzo ecumenico e interreligioso, assume le attese del Concilio ecumenico Vaticano II che si sono manifestate soprattutto nell’impensata ma profetica dichiarazione conciliare Nostra aetate n. 5 che fa riferimento alla fraternità universale e alla sua possibile realizzazione attraverso l’amore fraterno e il superamento di ogni pregiudizio e discriminazione nei confronti delle altre fedi e delle altre comunità religiose. Sappiamo bene che il sogno della fraternità universale appartiene alle attese del Vaticano II (cf. anche LG 16) che, per la sua recezione, è ancora davanti a noi e che, come amava ripetere Paolo VI, è uno dei frutti più belli e maturi della civiltà dell’amore. Questo sogno della fraternità universale è stato anticipato da Giovanni Paolo II con il suo impegno per la pace, l’unità e il dialogo interreligioso attraverso lo “spirito di Assisi”. Si tratta di un sogno profetico che Benedetto XVI ha cercato di far maturare nel contesto difficile del pluralismo religioso e nel rispetto della propria identità e alla luce del criterio della verità e della libertà religiosa che, papa Francesco, oggi, rilegge soprattutto in ambito socio-culturale, geo-politico e antropologico-religioso. Il grande sogno della fraternità universale ha, come riverbero antropologico e socio-politico e culturale-religioso, quello della fratellanza universale, ove si ammette il rispetto tra popoli e comunità, fedi e tradizioni, senza alcuna discriminazione razziale, economica, giuridica, religiosa.
Quasi all’inizio del suo mandato, papa Francesco, nel Discorso del 22-3-2013 – rivolto al Corpo diplomatico accreditato presso la Sante Sede –, affermò che il pontefice è colui che costruisce ponti con Dio e tra gli uomini, esprimendo il vivo desiderio di farsi promotore di «un dialogo che aiuti a costruire ponti» fra tutti gli uomini, «così che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da accogliere ed abbracciare». In quest’opera di dialogo, di costruzione di nuovi ponti e relazioni, Bergoglio riconosce il ruolo fondamentale della religione come via alla pace, alla compassione, e fa riferimento, anzitutto, al dialogo con l’islâm. In modo più esplicito, nel Messaggio Urbi et orbi del 25-12-2018, il Santo Padre ha parlato del bisogno di riscoprire i «legami di fraternità che ci uniscono come esseri umani e legano tutti i popoli», consapevole che «senza la fraternità che Gesù Cristo ci ha donato, i nostri sforzi per un mondo più giusto hanno il fiato corto, e anche i migliori progetti rischiano di diventare strutture senz’anima». I riferimenti alla fraternità universale, previo fondamento cristologico, sono poi stati richiamati affinché, come augurio natalizio, ogni cristiano s’impegnasse per la «fraternità tra persone di ogni nazione e cultura. Fraternità tra persone di idee diverse, ma capaci di rispettarsi e di ascoltare l’altro. Fraternità tra persone di diverse religioni».
Il fondamento cristologico di questa fraternità è Gesù Cristo stesso. Egli, infatti, «è venuto a rivelare il volto di Dio a tutti coloro che lo cercano. E il volto di Dio si è manifestato in un volto umano concreto. Non è apparso in un angelo, ma in un uomo, nato in un tempo e in un luogo. E così, con la sua incarnazione, il Figlio di Dio ci indica che la salvezza passa attraverso l’amore, l’accoglienza, il rispetto per questa nostra povera umanità che tutti condividiamo in una grande varietà di etnie, di lingue, di culture…, ma tutti fratelli in umanità!».
Questo progetto vede impegnati i Centri accademici e Culturali dell’Oriente e dell’Occidente. Si tratta di creare laboratori per le nuove generazioni, per i giovani chiamati a formarsi al dialogo, alla pace, alla libertà religiosa, al rispetto dell’Altro (soprattutto delle minoranze[9]).
Nel documento congiunto, si ritiene che «la fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare» e che «dalla fede in Dio, che ha creato l’universo, le creature e tutti gli esseri umani – uguali per la Sua Misericordia –, il credente è chiamato a esprimere questa fratellanza umana, salvaguardando il creato e tutto l’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose e povere» (Prefazione, al Documento comune sulla Fratellanza umana).
Nella progettazione del nostro Biennio, per il futuro, bisogna tener conto di una Teologia dell’umano che ci permetta di riscoprire e di elaborare in modo critico il dono e la sfida di una fraternità universale che tiene assieme identità e diversità, e intesa come il grande sogno di Dio che è Padre e Madre di tutti.
Se è vero che la Chiesa è il Vangelo prolungato di Gesù Cristo (Ch. Journet), allora i nuovi legami di fraternità (di fede e di cultura, di razza e di lingua, di solidarietà e d’incontro, di perdono e di riconciliazione, di amicizia e di dialogo) possono essere assunti, secondo il principio dell’incarnazione – per il quale «il Figlio di Dio si è unito in un certo modo a ogni uomo» (GS 22) –, come l’orizzonte teologico in base al quale provare a declinare i diversi Corsi che la nostra Sezione offrirà per la specializzazione, nella fedeltà a Cristo e a una Chiesa “in uscita” e attenta alle “periferie del mondo” così com’è vissuta da papa Francesco.
Rileggendo attentamente il Discorso di papa Francesco pronunciato in occasione della sua visita a Napoli (21-6-2019), per il Convegno La Teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto del Mediterraneo, si nota che Bergoglio fa riferimento a una teologia dell’accoglienza e del dialogo capace di sviluppare un dialogo sincero con le istituzioni sociali e civili, con i centri universitari e di ricerca, con i leader religiosi e con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, per la costruzione nella pace di una società inclusiva e fraterna e anche per la custodia del creato. Il dialogo, che è lo spazio della missione, il preludio dell’evangelizzazione, diventa – nella prospettiva di papa Francesco – la pratica dell’amore evangelico, ossia un metodo di discernimento e di annuncio della Parola d’amore che è rivolta ad ogni persona. Il dialogo è già una forma d’accoglienza ed è, allo stesso tempo, la pratica del discernimento e il modo stesso di operare, di annunciare, di ricercare, di studiare. Questo modo di procedere dialogico è, per papa Francesco, la via per giungere là dove si formano i paradigmi, i modi di sentire, i simboli, le rappresentazioni delle persone e dei popoli. Solo dialogando in profondità sarà possibile contribuire allo sviluppo dei popoli e delle comunità con l’annuncio del Vangelo del regno di Dio il cui frutto è la maturazione di una fraternità sempre più dilatata e inclusiva.
- Prospettive di ricerca e orizzonte teologico
È in questa prospettiva del dialogo come discernimento, metodo e contenuto dell’annuncio che si situa il nuovo percorso cristologico con indirizzo ecumenico e interreligioso. Si avverte sempre di più il bisogno di una formazione-educazione all’ascolto, all’incontro, al confronto con le altre fedi, a coabitare nella differenza di fedi e di culture. Da qui nasce pure la necessità di una lettura interdisciplinare delle sfide e dei contenuti della stessa ricerca teologica. L’interdisciplinarietà è assunta da papa Francesco quale criterio per il rinnovamento della teologia e degli studi ecclesiastici, con l’impegno di rivisitare e reintegrare continuamente la tradizione della fede. Si tratta di elaborare un nuovo percorso teologico di specializzazione che non rinuncia al Vangelo della misericordia e che, espressione di una Chiesa ospedale da campo, vive la sua missione di salvezza e di guarigione anzitutto confrontandosi con gli altri e dialogando a più livelli con il mondo. Si tratta di favorire una teologia del dialogo e dell’accoglienza, dell’incontro, a carattere interdisciplinare, che è capace di promuovere un impegnativo e avvincente processo d’inculturazione. L’attenzione sarà posta maggiormente al dialogo con l’ebraismo e l’islâm, senza per questo trascurare le grandi religioni dell’Oriente.
Il nuovo Biennio di ecumenismo e dialogo interreligioso si articola in tre aree di ricerca o prospettive.
La prima è l’area antropologica. Si pone attenzione alla visione dell’uomo e al suo agire nel mondo alla luce dei testi sacri e delle dottrine professate nelle comunità interreligiose. Si tratta di conoscere gli usi, i costumi, i simboli, i riti e le tradizioni delle grandi religioni mondiali, per divenire, come ama ripetere papa Francesco, “etnografi spirituali” dell’anima dei popoli, per essere in grado di dialogare in profondità. In questo settore di ricerca si pone attenzione al tema delicatissimo della libertà religiosa, così come al contributo che ogni esperienza di fede può donare ai temi della vita, della giustizia, della salvaguardia del creato. È fondamentale l’approccio dialogico in ambito pedagogico: come formare al dialogo? Quali sono i passi da compiere per un’attenta e mirata comunicazione interreligiosa che è capace di mettere assieme identità e diversità a confronto?
La seconda area o prospettiva è strettamente storico-teologica. In questo particolare ambito, il dialogo è assunto come metodo di discernimento per le questioni dogmatiche fondamentali, come ad esempio, la centralità della mediazione di Cristo nella salvezza, e quale via d’incontro per la convivenza comune e per la concreta realizzazione della fraternità universale. Ci si pone alla ricerca di una possibile teologia delle religioni che tenga assieme il pluralismo religioso de facto e l’esclusività della proposta cristiana. L’area storico-teologica è interessata alla conoscenza delle radici ebraiche della nostra fede, al dialogo con l’islâm, alla spiritualità del dialogo e alla conoscenza sistematica della storia del movimento ecumenico.
La terza area è definita, genericamente, della prassi, con attenzione al vissuto giuridico-sacramentale delle Chiese e dell’agire etico nelle diverse fedi. Lo studio delle prassi liturgico-sacramentali delle diverse Chiese cristiane e delle istanze giuridiche dell’islâm e delle altre religioni orientali costituisce una buona formazione al discernimento e alla conoscenza delle altrui diversità e identità. L’ecumenismo, oggi, vive una nuova stagione proprio sul fronte della prassi, dell’agire comune, dell’impegno delle Chiese e delle Comunità cristiane per la giustizia, per i poveri, così come accade in ambito interreligioso (cf. i temi della difesa della vita, della salvaguardia del creato, della difesa della casa comune, della solidarietà nella carità).
Le tre aree vogliono cogliere, in qualche modo, quel movimento dal basso verso l’alto che permette alla teologia di dialogare – con senso di ascolto e discernimento –, con ogni istanza umana e storica, tenendo conto di tutto lo spessore dell’umano.
È chiaro che l’orizzonte di questo Biennio è di natura teologica e riguarda il mistero di Cristo e il suo cammino nella storia. È, secondo papa Francesco, il movimento dall’alto verso il basso, dove l’alto sta a indicare il Cristo crocifisso e risorto che annuncia il Regno e dona la vita per il bene più grande che è la fraternità universale.
Si tratta di fare nostro lo stile di Gesù, di un modo dialogico e umano di stare al mondo, secondo il principio dell’unione ipostatica (della persona del Verbo che assume la natura umana), che è, allo stesso tempo, relazionale, fraterno e inclusivo. In cristologia è necessario assumere il principio dialogico dell’incarnazione[10], ossia orbitare attorno all’umano, alle persone e al loro mondo, anzi ai loro mondi, senza sottovalutare o misconoscere nessun contesto o spazio sociale e culturale, così come hanno testimoniato i padri della Chiesa che accolsero tutte le sfide del loro tempo, riconoscendo il Logos divino presente in ogni situazione ed epoca, e facendo i conti con la sottile influenza della gnosi che relegava Dio nel suo mondo, lontano da noi e dalla nostra materia. Il principio dell’incarnazione, delle due nature in Cristo unite nella persona del Verbo, sul piano pastorale e dell’evangelizzazione significa, concretamente, riconoscere che conta ciò che unisce senza distruggere, ciò che unisce confermando il valore dell’altro senza sacrificare il proprio e viceversa; questo vale per la persona di Gesù Cristo, per l’uomo e per l’annuncio del Vangelo nel mondo. Un autentico percorso di evangelizzazione, di annuncio, di Vangelo vissuto in fraternità, o anche in sororità, è un piano aperto, uno spazio simbolico e dialogico che sa confrontarsi con le sfide del tempo, degli uomini e delle donne che stanno nel mondo.
Lo stesso papa Francesco, con il Motu Proprio Ad theologiam promovendam (1-11-2023), ha aggiornato gli Statuti della Pontificia Accademia di Teologia chiamandola ad “una coraggiosa rivoluzione culturale” per essere profetica e dialogante alla luce della Rivelazione. A una Chiesa sinodale, missionaria e “in uscita” non può che corrispondere una teologia “in uscita”» (n. 3), non da tavolino, e che trova nuovi spazi di riflessione nelle frontiere, tra i popoli, e possa “interpretare profeticamente il presente” scorgendo “nuovi itinerari per il futuro, alla luce della Rivelazione”. Aprendosi al mondo e all’uomo, con le sue problematiche, le sue ferite, le sue sfide, le sue potenzialità, la riflessione teologica deve fare spazio a un ripensamento epistemologico e metodologico, e perciò è chiamata a una coraggiosa rivoluzione culturale. Ci vuole una teologia fondamentalmente contestuale capace di leggere e interpretare il Vangelo nelle condizioni in cui gli uomini e le donne quotidianamente vivono, nei diversi ambienti geografici, sociali e culturali. C’è poi da considerare il contributo che la teologia può dare all’attuale dibattito di “ripensare il pensiero”, mostrando di essere un vero sapere critico in quanto sapere sapienziale, un sapere che non deve essere “astratto e ideologico, ma spirituale, elaborato in ginocchio, gravido di adorazione e di preghiera; un sapere trascendente e, al contempo, attento alla voce dei popoli. È una teologia rivolta misericordiosamente alle piaghe aperte dell’umanità e del creato e dentro le pieghe della storia umana, alla quale profetizza la speranza di un compimento ultimo. In pratica, la teologia, nel suo insieme, deve assumere un “timbro pastorale”, e dunque la riflessione teologica deve partire dai diversi contesti e dalle concrete situazioni in cui i popoli sono inseriti ponendosi al servizio della evangelizzazione[11].
Anche per noi, qui a Napoli, valgono le raccomandazioni che papa Francesco ha rivolto ai membri della Commissione Teologica Internazionale nel Discorso del 29-11-2019:
«Perché solo una teologia bella, che abbia il respiro del Vangelo e non si accontenti di essere soltanto funzionale, attira. E per fare una buona teologia non bisogna mai dimenticare due dimensioni per essa costitutive. La prima è la vita spirituale: solo nella preghiera umile e costante, nell’apertura allo Spirito si può intendere e tradurre il Verbo e fare la volontà del Padre. La teologia nasce e cresce in ginocchio! La seconda dimensione è la vita ecclesiale: sentire nella Chiesa e con la Chiesa, secondo la formula di sant’Alberto Magno: “In dulcedine societatis, quaerere veritatem” (nella dolcezza della fraternità, cercare la verità). Non si fa teologia da individui, ma nella comunità, al servizio di tutti, per diffondere il gusto buono del Vangelo ai fratelli e alle sorelle del proprio tempo, sempre con dolcezza e rispetto»[12].
[1] K. Gibran, Il profeta, in Id., Tutte le poesie e i racconti, introduzione di T. Pisanti, edizioni integrali, Newton, Roma 1993, 59-92, qui 86 [traduzione propria].
[2] K. Gibran, La voce del maestro, in Id., Tutte le poesie e i racconti, 672-712, qui 697 [traduzione propria].
[3] Cf. almeno Bartholomeos I, La via del dialogo e della pace, Edizioni Qiqajon, Magnano (Biella) 2011, 13-22; Id., Incontro al Mistero. Comprendere il cristianesimo oggi, prefazione di K. Ware, Edizioni Qiqajon, Magnano (Biella) 2013, 67-86.
[4] La memoria è la condizione del nostro futuro, il punto di riferimento per il presente. Siamo come rematori, naviganti, che, per procedere in avanti, verso l’ignoto futuro, dobbiamo remare all’indietro, di spalle, avendo davanti il passato, cioè la memoria, che è guida-itinerario per avanzare verso il futuro con fiducia, responsabilità e speranza. Biblicamente, per comprendere questo modo di procedere – il passato sta davanti a noi e il futuro è alle nostre di spalle che non vediamo – c’è un gioco di parole tra “spalle” (אַחַר, achar, “dopo” in senso temporale, “dietro” in senso spaziale, “di spalle”) e “futuro” (אַחֲרִית, acharit, “generazioni”, “avvenire” ).
[5] Francesco, Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune (Abu Dhabi, 4-2-2019), in https://www.vatican.va/content/francesco/it/travels/2019/outside/documents/papa-francesco_20190204_documento-fratellanza-umana.html [ultimo accesso 28-2-2023][d’ora in poi FU].
[6] FU.
[7] Cf. per approfondimenti, F. Laplantine – A. Nouss, Le Métissage, Flammarion, Paris 1997, 110-111. Si considerino pure i seguenti studi: V. Elizondo, L’avenir est au métissage, Mame-éditions Universitaires, Paris 1987; B. Hue (ed.), Le métissage du texte. Bretagne, Maghreb, Québec, PUF, Paris 1995; J. Audinet, Le temps du métissage, Les éditions de l’Atelier-Les éditions Ouvrières, Paris 1991 [Il tempo del meticciato, Queriniana, Brescia 2001].
[8] Su questi aspetti, cf. almeno Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Iesus (6-8-2000), in EV 19,1142-1199. Si consideri pure Commissione Teologica Internazionale, Documento Il cristianesimo e le religioni (1997), in La Civiltà Cattolica 148 (1997) 146-187 [https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_1997_cristianesimo-religioni_it.html (ultimo accesso 28-2-20232)].
[9] Per approfondimenti, cf. almeno A. Ascione – E. Scognamiglio, Nei legami della fraternità universale. Ecumenismo – Dialogo – Libertà religiosa, Cantagalli, Siena 2019; E. Scognamiglio, Il sogno della fraternità universale. Un lettura biblica, storico-critica e teologico-spirituale, LEV, Città del Vaticano 2021.
[10] Sulla cristologia dialogica, cf. E. Scognamiglio, «Un certo Gesù». Saggio di cristologia dialogica. 1. Alla ricerca di un metodo, Editrice Effatà, Cantalupa (Torino) 2022.
[11] Francesco, Motu Proprio del 1-11-2023: https://www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/20231101-motu-proprio-ad-theologiam-promovendam.html [ultimo accesso 20-11-2023].
[12] Francesco, Discorso del 29-11-2019: https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/november/documents/papa-francesco_20191129_commissione-teologica.html [ultimo accesso: 20-11-2023].
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