Recensione del libro:
Lutero e la Santa Cena. Storia, ontologia e attualità. Con lettere di Martin Lutero agli evangelici in Italia, (M. Lutero – Opere scelte – volume supplementare) a cura di D. Kampen e L.J. Žák, prefazione di F. Buzzi e P. Ricca, Claudiana, Torino 2022, pp. 279, euro 34.
Questo volume è il frutto del convegno di studi dedicato a Lutero e alla Santa Cena (4-5 giugno 2021) e tiene conto dei contributi emersi durante la giornata di studio che si tenne a Venezia (13 maggio 2022) in collaborazione con l’Istituto Ecumenico San Bernardino, ove il tema della Cena fu ripreso in chiave pratica e pastorale. Sono qui raccolti saggi che affrontano tutti gli aspetti principali della Santa Cena, cercando di coniugare assieme aspetto dottrinale e aspetto pastorale. L’interesse per Lutero continua ad essere vivo nelle nostre Chiese e Comunità cristiane e la concezione che il Riformatore aveva della Cena passa per il suo vissuto di credente, di teologo e di pastore. Così, il presente volume «arricchisce non solo la Serie, già ragguardevole, del “Volumi supplementari”, ma anche la Collana stessa, nella quale è uscita pochi mesi or sono l’opera principale di Lutero sull’argomento, del 1528, intitolata La Cena di Cristo. Confessione (traduzione, introduzione e note di W. Pfannkuche)» (p. 8).
J. Schilling, nella sua relazione (La genesi e lo sviluppo della teologia della Cena di Lutero, pp. 17-36), afferma che il significato della Cena, secondo Lutero, è la comunione dei santi (cf. p. 23). «Tutti i santi sono membri di Cristo e della chiesa, che egli descrive come una “città di Dio che è spiritualmente eterna”. La ricezione del sacramento sub utraque [sotto le due specie] sarebbe un segno affidabile di appartenenza a questa comunità – la chiesa qui non viene menzionata esplicitamente. In questa comunione tutto appartiene ugualmente a tutti, perché tutti sono un corpo solo secondo 1Cor 12. Lutero osserva che bisogna considerare debitamente tali paragoni per comprendere correttamente il sacramento, “perché la Scrittura ne fa uso per i semplici, cioè per i non sufficientemente istruiti” […]. Il dono speciale della cena del signore è il perdono dei peccati – secondo il severo giudizio di Dio i nostri peccati non ci devono essere imputati. Se una persona vuole liberarsi dai suoi peccati, “deve andare al sacramento dell’altare con gioia, mettere il suo dolore nella comunità e chiedere aiuto a tutto il corpo spirituale”. Nella comunità dei credenti si realizza così la volontà di Cristo di servirsi reciprocamente e di stare in comunione con lui […]. Il giusto uso del sacramento consiste nel fatto che per la forza dell’amore di Cristo che lotta contro il peccato, la morte e ogni male, cambiamo e nell’amore ci incontriamo e ci aiutiamo. “Così siamo trasformati e uniti nell’amore gli uni con gli altri, che non subirà mai alcun cambiamento”. La questione della presenza di Cristo nella cena del Signore in realtà non importa a Lutero; e l’idea della Messa come sacrificio non è menzionata da nessuna parte» (pp. 23-24). Ciò si evince dalla lettura del Sermone del Reverendo Sacramento di Lutero pubblicato nel 1519. Nel Sermone sul Nuovo Testamento del 1520, Lutero parla della Cena in rapporto al testamento di Gesù, alla sua promessa, alla sua fedeltà. La parola “testamento” è un piccolo compendio di tutti i miracoli e di tutte le grazie di Dio adempiute in Cristo.
Lutero non si sofferma sul modo di celebrare la Cena bensì sul contenuto che è Cristo stesso. Le parole dell’istituzione non devono essere recitate in silenzio bensì rivolte alla comunità perché sono annuncio del Vangelo. Inoltre, Lutero «critica la mancanza di enfasi sulla fede […] e la comprensione della Messa come sacrificio. In questo contesto, il papa viene descritto come l’“anticristo”» (p. 25). La rottura di Lutero con la Chiesa cattolica avviene con la pubblicazione ufficiale del suo scritto De captivitate Babylonica ecclesiae praeludium (1520) in cui si articolò una nuova concezione dei sacramenti. A partire dai Sinottici e da 1Cor 11, Lutero sostenne che Cristo consegnò ai suoi discepoli il sacramento intero (totum sacramentum), per questo la privazione del calice come era praticato nella Chiesa cattolica avveniva sine ratione et sine autoritate Christi e violava la maestà del Vangelo (cf. p. 26). I sacerdoti non sono i signori del sacramento bensì i suoi servitori. Segue il rifiuto ufficiale di Lutero sulla dottrina della transustanziazione. Nessuno, per Lutero, ha una cattiva coscienza se accoglie il pane e il vino come tali, perché si tratta effettivamente del vero pane e del vero vino in cui la vera carne e il vero sangue di Cristo sono presenti non diversamente e non meno di quelli che li localizzano sotto i loro “accidenti”: perché quello che conta è il sacramento della fede. La dottrina della transustanziazione non ha alcun fondamento scritturistico e, per questo, Lutero la respinge pienamente, sottolineando anche l’abuso della Messa come sacrificio, cioè come opera buona e meritoria. «La Messa non è alcun modo a disposizione degli esseri umani, ma dipende unicamente dalle parole dell’istituzione di Cristo» (p. 27).
Lutero cerca di informare le coscienze e non solo di prendere posizione contro il papa e la dottrina cattolica in merito alla Cena. Per Lutero è importante ribadire che nelle parole del testamento di Cristo sono riassunte molto brevemente la sua incarnazione e la sua morte. La parola e l’agire di Dio precedono sempre l’uomo. Dio si dona a noi nel sacramento e non è il sacerdote a realizzare il sacramento e quindi la salvezza delle persone attraverso la sua azione. «L’approccio di Lutero parte dalla parola del testamento, dalla promessa (promissio) di Dio. Questa promessa comprende due cose: la parola e il segno. Il credente che partecipa alla Cena deve lasciarsi alle spalle il pensiero di essere indegno e usufruire della pienezza della grazia e dell’amore di Dio. E non deve in nessun caso pensare di poter fare o creare qualcosa da solo […]. Per Lutero è di importanza decisiva che il cristiano consideri la Cena del Signore senza alcun dubbio come un testamento affidabile e infallibile e non come un sacrificio» (p. 29). Il compito del sacerdote è quello di risvegliare la fede nei fedeli. Ci si rende conto, dunque, che la comprensione luterana della Cena del Signore dipende totalmente dalla sua idea del Vangelo intesa nella duplice forma di Parola e di Sacramento (Cena). Il testamento, per Lutero, è l’ultima volontà di colui che muore circa come gli eredi devono procedere con i suoi beni dopo la sua morte e vivere di conseguenza, con riferimento alla lettera ai Galati. Il testatore è Cristo che si prepara a morire. La garanzia consiste nelle parole con cui vengono benedetti il pane e il vino. L’eredità che Cristo ci ha lasciato nel suo testamento è il perdono dei peccati. Gli eredi sono tutti i credenti in Cristo. La Cena del Signore è parte del Vangelo, che viene offerta in dono ai fedeli nella Parola e nel Sacramento» (p. 31).
Alla domanda “Che cos’è il Vangelo?”, Lutero risponde facendo riferimento al testamento, alle parole di Gesù durante la Cena che sono il perdono dei peccati. Il Vangelo è riassunto nelle parole di Gesù durante la Cena che non sono affidate ai sacerdoti ma a tutti i discepoli, cioè a ogni credente. L’essenza del Vangelo è il perdono dei peccati perché il cuore della fede, il nostro punto di partenza, è la morte di Cristo sulla croce che è sacramento di salvezza e invito alla sequela. L’idea del testamento è da Lutero ripresa in considerazione dei suoi studi sulla Lettera ai Galati (1517-1518) e quando spiega nella lezione sulla Lettera agli Ebrei il legame indissolubile tra la morte del testatore e il testamento. Nella morte di Gesù Cristo sulla croce è data la promessa di Dio per l’umanità e chi muore fa a in essa il suo testamento che è adatto a purificare la coscienza dell’uomo e a dargli ristoro. Interpretando Eb 9,14 («Cristo ha purificato la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente»), Lutero affermò: «La nostra coscienza è presa e contesa tra le paure […]. È liberata da queste paure solo dal sangue di Cristo. Se guarda a lui con fede, allora crede e riconosce che i suoi peccati sono stati lavati e tolti in lui. Così, grazie alla fede, diventa pura e tranquilla allo stesso tempo, tanto da non rifuggire più nemmeno i castighi per la gioia del perdono dei peccati» (p. 32). Il Vangelo, per Lutero, è un parlare di Cristo Figlio di Dio, nato, morto e risorto dai morti, ed è stato posto al di sopra di tutte le cose come Signore. “Vangelo” è accogliere Cristo come dono concesso da Dio, come regalo che “ci appartiene”, dono consolante, buono. “Vangelo” significa affidarsi alle parole dolci di Cristo, confidare con tutto il cuore in lui e ricevere la Cena del Signore come sigillo e pegno di fede. Lutero, sino alla fine, non è interessato alle discussioni sulla presenza reale di Cristo nella Cena, bensì allo stretto rapporto tra Parola e Sacramento, tra Promessa (Testamento) e risposta di fede. Ciò che conta è ascoltare le parole di Cristo che si compendiano proprio nella Cena, ossia nel Vangelo come remissione dei peccati. Di fatti, è nell’Evangelo che il perdono dei peccati ci è donato e distribuito.
«Se voglio ottenere che i miei peccati siano perdonati, non devo correre alla croce, non devo attenermi alla memoria della passione di Cristo, ma devo correre al sacramento o all’Evangelo, perché lì trovo la parola che mi dona quel perdono che è stato acquisito sulla croce. Bisogna accostarsi al sacramento, senza mai dimenticare che “nella Cena c’è il perdono dei peccati non in forza del mangiare o perché lì Cristo merita o guadagna il perdono dei peccati, ma in forza della parola per mezzo della quale distribuisce tra di noi tale perdono da lui guadagnato e dice: “questo è il mio corpo che è dato per voi”» (p. 73).
Fa notare il professore A. Sabetta nel suo intervento (Il realismo sacramentale di Lutero significato e importanza, pp. 47-74), che Lutero difende strenuamente il permanere della sostanza del pane e del vino perché negare questo permanere con la transustanziazione «significa ritenere che il creato, opera delle mani di Dio, non è il luogo adatto per l’esserci del Creatore e che, quindi, qualora si desse il Creatore, andrebbe trasmutato» (p. 73). Per Lutero, invece, «il creato e gli elementi eucaristici sono luogo che ospita la presenza della seconda persona della Trinità in quanto impiegati come media salutis e come tali non hanno bisogno di essere annientati/trasmutati per essere luogo della presenza e della mediazione di Dio; il creato, in quanto creato da Dio, “si qualifica ontologicamente a poter diventare luogo del rendersi-manifesta della già data presenza di Dio”» (p. 73). Secondo Lutero, la natura creaturale del pane e del vino può diventare l’efficace medium del rivolgersi al Dio trino e uno agli uomini. Affermando la necessità della trasmutazione si presuppone, invece, l’assenza del Creatore nel creato. Dio è presente in tutta la creazione e gli elementi del creato (pane e vino) diventano mediazioni del Vangelo stesso per il perdono dei peccati. «È fondamentale che Dio diventi uomo e che si doni mediante gli elementi creati e quindi accessibili del pane e del vino. E siccome Dio è incomprensibile […] è fondamentale che Dio si riveli mediante la parola. Chi si attiene alla parola e confida in essa incontra nella Santa Cena il Dio buono e misericordioso» (pp. 82-83).
Sulla presenza reale di Cristo nella Cena (cf. il contributo di D. Kmapen, La Santa Cena come incontro con il sacro, pp. 75-86), Lutero, diversamente da Melantone, riconosce che è tutta la celebrazione che diventa Evangelo, ossia presenza di Cristo. «Nella consacrazione è Cristo stesso che con la sua parola creatrice fa diventare il pane e il vino corpo e sangue suoi. La presenza reale non riguarda quindi soltanto l’offrire e ricevere, ma c’è già prima e anche dopo […]. È vero che Cristo ha istituito la Santa Cena per essere distribuita e consumata, non per essere portata in giro o per essere adorata in un tabernacolo […]. Per Lutero è necessario consumare tutti i resti in modo che la questione non si ponga. Per Melantone, invece, il pane non si è mai trasformato, per cui non ci sono ragioni per trattare i reliqua sacramenti in modo particolare, se non in riguardo alla sensibilità del popolo» (p. 82).
Nella critica di Lutero alla dottrina della transustanziazione non si vuole negare la presenza reale di Cristo nella Cena bensì liberare tale presenza dall’isolamento e riportare il sacramento della Cena al vero significato di testamento e di remissione dei peccati. È quanto riconosce A. Maffeis nel suo contributo su La critica di Martin Lutero alla dottrina della transustanziazione (pp. 87-111). «La fede nella presenza reale rappresenta perciò solo una parte della fede con cui il credente è chiamato ad accostarsi al sacramento e non può mai essere ridotta alla presa d’atto di un dato oggettivo, indipendente dalla relazione con la persona cui il sacramento è destinato» (p. 90). Lutero assume un giudizio molto critico sulla tradizione teologica e sull’insegnamento conciliare ereditati dal Medioevo e prende posizione a sua volta nel campo delle tesi sostenute dalle differenti scuole teologiche, ponendo tutto al vaglio critico delle Scritture. Lutero sostiene che la dottrina della transustanziazione non è da ritenere ecclesialmente vincolante perché il vero articolo di fede è che nel pane e nel vino sono effettivamente e naturalmente il corpo e il sangue di Cristo.
Per Lutero, il parere di san Tommaso d’Aquino sulla transustanziazione non è vincolante perché non è fondato sulla Scrittura e neanche sulla ragione ma su ragionamenti e categorie aristoteliche già messe in discussione nella stessa teologia scolastica. Si tratta, dunque, di un’invenzione recente che non ha autorità e che è in netto contrasto con la semplicità della fede e dell’insegnamento di Gesù Cristo. In realtà, Lutero, pur ponendo l’attenzione alle parole di Gesù (promessa-testamento), non perde mai di vista la presenza del corpo e del sangue del Signore nella Cena (pane e vino) perché le parole pronunciate non parlano solo della remissione dei peccati, ma del “corpo dato per la remissione dei peccati”. Le parole della Cena sono l’essenza della Messa ed è ad esse che bisogna prestare attenzione più che discutere sul modo della presenza reale di Cristo nella Cena. Cristo si dà a noi nella Cena come Parola vivente e onnipotente che salva e che ci rende viventi (cf. pp. 98-99).
Lutero non pone in secondo piano l’immedesimazione di Cristo e del credente nella Cena, anche se mette in maggior rilievo il dono di Cristo per il credente nella Cena (cf. la relazione di S. Rostagno, L’immedesimazione di Cristo e del credente nella Cena, pp. 113-129): «Sono due gli utili frutti del sacramento: da un lato, che ci fa fratelli ed eredi di Cristo, cioè che noi diventiamo uno stesso impasto […] con Cristo; dall’altro fa sì che noi anche diventiamo un impasto […] gli uni con gli altri, e così con il prossimo» (p. 113). L’immagine dell’impasto intende illustrare la partecipazione di Cristo all’umanità e dell’umanità a Cristo: nella Cena si compie in qualche modo l’incarnazione del Verbum pro nobis. «Dalla immedesimazione del credente con Cristo, reale nell’immedesimazione di Cristo con l’umanità, nasce la fraternità umana» (p. 113). È questo lo scandalo della salvezza che la Cena richiama.
Nell’interessante contributo del professore L.J. Žák (Sacramento dell’altare nei catechismi di Lutero. Una lettura teologico-fondamentale, pp. 131-155) emerge l’attualità della dottrina eucaristica dei catechismi di Lutero soprattutto in ambito ecumenico perché il Riformatore coglie ed esprime con precisione ciò che è essenziale per la dottrina eucaristica (la Parola come sostanza del Sacramento) sia cattolica sia ortodossa (cf. pp. 153-155).
Sull’Efficacia della Santa Cena secondo Lutero: il suo valore ecclesiologico, salvifico e terapeutico (contributo di M. Cassese, pp. 157-184), si richiama anzitutto l’unità inscindibile tra celebrazione della Parola e celebrazione del Sacramento, celebrazione alla quale è chiamato il singolo credente con adeguata preparazione e desiderio di fede e in modo gioioso insieme a tutta la comunità. Il sacramento dell’altare è un nutrimento quotidiano e la nuova vita data da Cristo con la chiamata alla fede e alla relazione con lui ha bisogno di crescere e di progredire continuamente, perché tutta la persona del credente diventi sempre più forte (cf. p. 183). La Cena ha anche un significato terapeutico: fu istituita per il nostro conforto perché il pane è consolazione per gli afflitti, medicina per i malati, vita per i moribondi, cibo per tutti gli affamati e ricco tesoro per tutti i poveri e i bisognosi (cf. p. 180).
Nel contributo di M. Krienke (Dietrich Bonhoeffer come interprete delle teologia del sacramento dell’altare di Lutero, pp. 185-214) si fa notare il recupero della dimensione di fede e dell’aspetto comunitario nella celebrazione della Cena, per una nuova comprensione di tale sacramento. Per Bonhoeffer, l’ecclesiologia reale e concreta si concentra nell’espressione “Cristo esistente come comunità” (cf. p. 191), che è in contrapposizione alla concezione hegeliana di “Dio esistente come comunità”. «La Chiesa è la realtà corporea di Cristo stesso che è la nuova umanità» (p. 191). Il riferimento è alla Chiesa creduta e non riduttivamente a quella visibile: Cristo è la comunità e in quanto tale ne è il Signore e allo stesso momento egli è il fratello. «Cristo stesso è la Chiesa: egli non la rappresenta; solo ciò che non è presente può venire rappresentato – la Chiesa però è presente in Cristo agli occhi di Dio. Cristo non ha reso possibile la Chiesa, ma l’ha realizzata per l’eternità» (p. 197). A partire da questa fondazione teologica della Chiesa, la stessa vita sacramentale diventa presenza di Cristo nella sua Parola. La Chiesa è la concretezza del corpo di Cristo che è donata proprio nella Cena. Parola e Sacramento sono una realtà oggettiva nei confronti della comunità che diventa il luogo di Cristo.
Su La presenza reale di Dio. Una riflessione sul significato della Cena del Signore nelle condizioni di vita del mondo digitale riflette D. Korsch (pp. 215-233) che chiude la serie di contributi di questo preziosissimo saggio. Korsch s’interroga sulla Cena del Signore nella presenza digitale dopo aver presentato il senso storico, ecclesiale e reale della presenza di Gesù nella Parola e nel Sacramento. La partecipazione digitale alla Cena del Signore può essere considerata un’eccezione nella quale si riconosce la pluri-località della presenza del Signore che non è meno efficace di una celebrazione della Cena in un luogo ben determinato. Normalmente, il mangiare e il bere avvengono in una situazione caratterizzata dall’unità di tempo e di spazio. Tuttavia, il significato costitutivo della Cena del Signore ha un tale potere che può avere un effetto, per la coincidenza tra l’udito e la comprensione, anche sui separati spazi di vita dei destinatari resi simultanei dal digitale. Attraverso il mezzo digitale si realizza un nuovo posizionamento del soggetto ricevente che «partecipa alla relazione con Gesù con Dio mediante una libertà universale nel suo rapporto con la realtà nel suo insieme» (p. 230). Nell’appropriazione della presenza reale divina attraverso la Cena del Signore si apre per i destinatari il rapporto individuale con Dio come fondamento dell’universale. Questa nuova apertura rappresenta un cambiamento fondamentale nella comprensione di sé. Ciò si verifica anche quando la Cena del Signore non si svolge in compresenza corporea delle persone presenti nello stesso luogo, ma in posti separati, purché lo siano allo stesso momento, simultaneamente. La Cena del Signore si svolge, normalmente, nell’unità di tempo e di spazio raggiungendo i sensi delle persone unite. Tale unità è raggiunta anche nello spazio virtuale. La presenza di Dio si manifesta con un senso reale e totalizzante anche nelle condizioni di vita del mondo digitale perché riempie il corpo e l’anima dei partecipanti anche se individualmente perché non sono nello stesso luogo fisico. C’è una comunione digitale che salvaguarda l’unità di tempo e di azione in uno spazio religioso ove avviene la Cena in un’azione analogica.
La presentazione delle lettere di Lutero agli evangelici in Italia è affidata all’introduzione di D. Kampen (pp. 237-245) che commenta alcune informazioni ricavate dalle epistole circa la dottrina sui sacramenti, la vita dei credenti, lo stato di salute dello stesso Lutero, le diverse dispute con Zwingli e gli altri riformatori.
[Edoardo Scognamiglio].
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