Pensarci alla luce del “bene comune” per la pace sulla terra tra i popoli
È un Messaggio critico e impegnativo, concreto e propositivo, lucido e speranzoso, e non semplicemente esortativo o augurale, quello che papa Francesco affida – non solo ai cattolici e ai Capi di Stato e di Governo, insieme ai Responsabili delle Organizzazioni internazionali e ai Leaders delle diverse religioni, ma – a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, in occasione della 56ª Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace del primo gennaio 2023, il cui contenuto è ben riassunto nell’articolato titolo: Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace (reso pubblico l’8-12-2022[1]).
Il testo biblico di riferimento per il Messaggio è preso da 1Ts 5,1-2:
«Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti, sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte [come un ladro nella notte, così viene]».
Se il giorno del Signore è inevitabile, perché è certo che verrà, è comunque imprevedibile e le Scritture insegnano che non è possibile fissarne una data, poiché neanche il Figlio di Dio ne ha conoscenza (cf. Mt 24,36). Da qui nasce l’esortazione che l’apostolo Paolo rivolge ai cristiani di Tessalonica, l’attuale Salonicco, a vigilare, ad agire nella speranza, come figli della luce e del giorno per giungere alla salvezza: la venuta del Signore, la sua manifestazione gloriosa, non li troverà impreparati bensì vigilanti, diversamente da coloro che, invece, appartengono alla notte o alle tenebre. “Dormire”, in senso metaforico, equivale a “morire”, mentre “vegliare” è sinonimo di “vivere”. L’illusione di essere al sicuro, che forse qualcuno predicava ai tempi dell’apostolo Paolo, così come ai nostri giorni, rende ancora più sorprendente l’arrivo del giorno del Signore.
Così commenta papa Francesco al n. 1 del Messaggio:
«Con queste parole, l’Apostolo Paolo invitava la comunità di Tessalonica perché, nell’attesa dell’incontro con il Signore, restasse salda, con i piedi e il cuore ben piantati sulla terra, capace di uno sguardo attento sulla realtà e sulle vicende della storia. Perciò, anche se gli eventi della nostra esistenza appaiono così tragici e ci sentiamo spinti nel tunnel oscuro e difficile dell’ingiustizia e della sofferenza, siamo chiamati a tenere il cuore aperto alla speranza, fiduciosi in Dio che si fa presente, ci accompagna con tenerezza, ci sostiene nella fatica e, soprattutto, orienta il nostro cammino».
Il cristiano, come una sentinella capace di vegliare, è chiamato a cogliere «le prime luci dell’alba, soprattutto nelle ore più buie», non rinchiudendosi così nella paura, nel dolore o nella rassegnazione.
I “piedi e il cuore ben piantati sulla terra” e lo “sguardo attento sulla realtà e sulle vicende della storia” spingono papa Francesco a ritornare sul tema della pandemia e della guerra tra Ucraina e Russia, cogliendone aspetti negativi e drammatici e individuando alcuni segni di speranza e di cambiamento.
Da una parte, il Covid-19 ha destabilizzato la vita delle persone a livello globale, creando isolamento, seminando morte e determinando terrore, paura e sconforto, nonché provocando un malessere generale per le diverse limitazioni della libertà e dei rapporti sociali e facendo emergere una povertà sociale, economica e politica ancora più grande, sconvolgendo anche le zone più pacifiche del nostro mondo e facendo emergere innumerevoli fragilità (cf. n. 2 del Messaggio). Dall’altra parte, invece, la pandemia ancora in atto ci lascia in eredità, come lezione di vita,
«la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, fondata sulla comune figliolanza divina, e che nessuno può salvarsi da solo» (n. 3).
Inoltre, il Covid-19 ci ha fatto apprendere che
«la fiducia riposta nel progresso, nella tecnologia e negli effetti della globalizzazione non solo è stata eccessiva, ma si è trasformata in una intossicazione individualistica e idolatrica, compromettendo la garanzia auspicata di giustizia, di concordia e di pace. Nel nostro mondo che corre a grande velocità, molto spesso i diffusi problemi di squilibri, ingiustizie, povertà ed emarginazioni alimentano malesseri e conflitti, e generano violenze e anche guerre» (n. 3).
Che cosa di buono, se così si può dire, ci ha lasciato il Covid-19?
Per papa Francesco, si possono così sintetizzare gli aspetti “positivi” della pandemia che ci accompagna da ben tre anni:
«un benefico ritorno all’umiltà; un ridimensionamento di certe pretese consumistiche; un senso rinnovato di solidarietà che ci incoraggia a uscire dal nostro egoismo per aprirci alla sofferenza degli altri e ai loro bisogni; nonché un impegno, in certi casi veramente eroico, di tante persone che si sono spese perché tutti potessero superare al meglio il dramma dell’emergenza.
Da tale esperienza è derivata più forte la consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola “insieme”. Infatti, è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi. Le risposte più efficaci alla pandemia sono state, in effetti, quelle che hanno visto gruppi sociali, istituzioni pubbliche e private, organizzazioni internazionali uniti per rispondere alla sfida, lasciando da parte interessi particolari. Solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali» (n. 3).
Il Mesaggio che ci consegna papa Francesco non è soltanto esortativo perché sottolinea un’urgenza, ossia la necessità «di ricercare e promuovere insieme i valori universali che tracciano il cammino» della «fratellanza umana» (n. 3). È come dire: non è sufficiente pensare, discutere, riflettere sull’esperienza della pandemia, ma occorre agire, correre ai ripari, rimediare, proporre un percorso nuovo di speranza e di progresso che ha il volto e il nome della fraternità, del noi, dello stare assieme tutti come una grande famiglia umana, come un’unica fraternità universale che è radicata nell’amore di Dio e nella figliolanza divina. Bisogna rimettere al centro il noi della vita sociale e umana, culturale e spirituale, religiosa e laica, per superare l’insorgere dell’altro grande flagello che è la guerra in Ucraina. Se il virus della pandemia proveniva dall’esterno, il virus della guerra ha radice-origine nel cuore dell’uomo corrotto dal peccato (cf. n. 4). È da qui che nasce il bisogno di conversione non solo morale e si erge forte l’annuncio non solo esortativo di papa Francesco a trasformare «i nostri criteri abituali d’interpretazione del mondo e della realtà» (n. 5). La conversione del cuore e di tutta l’impostazione sociale ed economica della vita è possibile, ossia è concreta e reale, nella misura in cui iniziamo a pensarci alla luce del
«bene comune», «con un senso comunitario, ovvero come un “noi” aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune» (n. 5).
“Responsabilità” e “compassione” sono la risposta personale e globale all’isolamento e all’individualismo e alla mancanza di affermazione dell’amicizia sociale tra popoli e nazioni ancora in guerra e martoriati dalla fame e della povertà. Così pure, ci saranno “politiche adeguate”, attente all’umano, soltanto se l’accoglienza e l’integrazione saranno di casa nei nostri stili di vita sociali, civili e politici, nonché personali e famigliari.
[Edoardo Scognamiglio]
[1] Cf. Francesco, Messaggio per la 56ª Giornata Mondiale della Pace (8-12-2022) Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace: https://www.vatican.va/content/francesco/it/messages/peace/documents/20221208-messaggio-56giornatamondiale-pace2023.html [ultimo accesso 30-12-2022].
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