PRIMA SEZIONE
Le trasformazioni dell’attuale società – La società attuale aspira alla libertà, ma essa non può essere assicurata solo dall’economia di mercato e dalla politica democratica liberale[2]. Il rabbino londinese, deceduto nel 2020, evidenzia che la vera libertà scaturisce dalla moralità, cioè dall’interesse per il benessere degli altri, dalla pratica della giustizia e della compassione, dal decentramento dell’io (il ‘me’) al ‘noi’, alla realizzazione del bene degli altri. Occorre impegnarsi per il bene comune, non per il tornaconto personale. Diversamente, la stessa libertà corre dei rischi, poiché le persone sono emotivamente povere; si sentono insicure, sradicate e diventano aggressive. Le riflessioni del Lord rav Sacks, che sono avvalorate dalle continue citazioni di esperienze concrete, facendo riferimento alle vicende realtà attuale, non sono soltanto una riflessione teoretica, sottolineano come la mancanza di solidarietà umana e sociale mette in crisi le democrazie liberali, poiché cresce la rabbia per le disuguaglianze economiche. Il rabbino londinese delinea efficacemente le caratteristiche della realtà attuale: “Ad alcuni negli ultimi anni può essere sfuggita la sensazione che stiano accadendo cose strane e senza precedenti […]. L’arena politica internazionale non ha ristabilito il suo equilibrio dall’11 settembre 2001. L’economia globale non si è riconfigurata dal crollo del 2007-2008. […]. Il tono del dibattito sia politico che accademico è diventato sempre più rabbioso e più offensivo. Una sorta di trasformazione profonda e destabilizzante si sta verificando nel XXI secolo, ma è difficile dire quale. In un’epoca caratterizzata da un sovraccarico d’informazioni, quando così tante notizie ci arrivano in frammenti scollegati, viviamo in un mondo di aride frasi ad effetto. Il che accresce la nostra sensazione di non sapere dove siamo. Tutto ciò può portare a sensazioni di impotenza, di ansia e paura e a un disperato desiderio di trovare persone che risolvano per noi questa dissonanza”[3].
Uno dei sintomi più importanti del cambiamento culturale è la liquidità della politica, la sua continua mutevolezza, che genera le polarizzazioni estreme e la rabbia. I divari inaccettabili, osserva rav Sacks, di ricchezza e opportunità, crea la sfiducia nelle istituzioni democratiche poiché operano contro di loro, per cui cresce la richiesta populista di leader forti. Il malcontento per il fallimento dei governi nell’affrontare i problemi fondamentali, come quello del cambiamento climatico e dell’economia globale ha fatto nascere il fenomeno della politica dell’identità, “ovvero fare una campagna politica concentrata non sulla nazione nella sua interezza ma su una serie di minoranze autodefinite, che portano a una contropolitica di populismo nel nome di una popolazione nativa assediata e infuriata che si vede tagliata fuori dalle élite e scavalcata a favore delle minoranze”[4]. L’analisi sociologica di J. Sacks non è meramente demolitrice, pessimistica, perché le criticità sono da lui evidenziate per far risaltare l’urgenza della prospettiva positiva del bene comune, della giustizia e della solidarietà. Oggi ci sono possibilità impensabili fino a poco tempo fa. Si può viaggiare per tutto il mondo con estrema facilità; con i social abbiamo tutto il mondo nelle nostre case; abbiamo tante conoscenze; le aspettative di vita sono aumentate. Fa da contrasto a tutto ciò la forte dipendenza dalle droghe e dall’alcool, con la mortalità che comporta, l’elevato numero di suicidi. I giovani soffrono di ansia e depressione: “Possiamo aver vinto la battaglia per la vita e la libertà, ma la felicità continua a sfuggirci – sottolinea Sacks -. Continuiamo a inseguirla ma essa continua a correre più veloce di noi”[5].
Nella società globalizzata cresce l’economia delle disparità per il distacco tra economia e società; l’attività economica si concentra in centri commerciali urbani e le altre aree del paese sono depresse e svantaggiate. Nelle università, l’Autore fa riferimento soprattutto alla Gran Bretagna e agli USA, la libertà di parola è minacciata. Viene a mancare nei campus la tolleranza, per cui si è esposti alla gogna pubblica e alla giustizia privata tramite le campagne dei social. Si sta verificando il mutamento cultuale del passaggio dal Noi all’Io. Viene a mancare il riferimento alla voce della coscienza o legge naturale o volontà di Dio: “C’è l’economia, che s’interessa della creazione e della distribuzione della ricchezza. C’è lo Stato che si occupa della legittimazione e della distribuzione del potere. E c’è il sistema morale, che è la voce della società al suo interno: il ‘Noi’ all’interno dell’ ‘Io’, il bene comune che limita e dirige la nostra ricerca del profitto privato. E’ la voce che dice NO al ‘Me’ individuale a vantaggio del ‘Noi’ collettivo”[6]. Solo la moralità consente di andare d’accordo gli uni con gli altri, senza condizionamenti o coercizioni economiche o politiche. Solo la moralità consente il superamento dell’interesse individuale per ricercare quello collettivo, genera legami sociali basati sulla fiducia reciproca, rende possibile la libertà che non l’arbitrio individuale o di un gruppo di potere. Sacks afferma che tutto ciò non significa che siamo diventati immorali o amorali, ma è cambiato il nostro vocabolario. Il termine diritti è preponderante e si è riluttanti a esprimere il senso di colpa. Il rimorso o la responsabilità[7].
Nella nostra società c’è confusone tra memoria e storia. La storia riguarda ciò che è accaduto ad altri mentre la memoria riguarda la mia vita, “è la mia storia, il passato che ha fatto di me quello che sono, del cui lascito sono il custode per il bene delle generazioni a venire”[8]. La moralità, da realtà oggettiva è diventata soggettiva, un’intuizione personale, una scelta autonoma, determinando il collasso della civiltà. L’etica è ridotta ad economia e le conseguenze delle nostre scelte sbagliate sono demandate allo Stato (fenomeno della esternalizzazione). Le nuove generazioni stanno pagando le conseguenze della mancanza di moralità: “società divise, politica disfunzionale, alti tassi di abuso di droghe e di suicidi, economie sempre più ingiuste, mancanza di rispetto per la verità e per le regole del ragionare insieme, e le molte altre inciviltà della vita contemporanea”[9]. Lo Stato e il mercato riguardano la ricchezza e il potere come appannaggio solo di alcuni, da cui sono esclusi i poveri, i più fragili. Senza moralità condivisa non c’è società, non c’è ricerca del bene comune. L’io ha la precedenza sul noi e si indeboliscono le relazioni umane, a cominciare da quelle delle famiglie, delle associazioni e di tutta la società, con l’aumento del tasso di alcool, droghe e suicidi. La moralità non può essere esternalizzata allo Stato e all’economia, poiché esse sono basate sulla competizione, mentre i valori umani come la fiducia l’amicizia e l’amore si basano sulla condivisione. La società basata sulla morale condivisa si preoccupa della solidarietà verso gli emarginati, non abbandonandoli al destino di sofferenza.
L’Autore chiarisce un fraintendimento che potrebbe nascere: “Questo non è un libro di pessimismo culturale. Sono pieno di speranza per il futuro”[10]. Egli cita gli studi di alcuni sociologi secondo cui i nati dopo il 1995 sono più altruisti delle generazioni precedenti, avvertono la necessità del recupero della moralità. La speranza per rav Sacks si fonda sulla stessa natura umana: “Esiste, in natura e nell’umanità, una gamma sorprendente di forze che guariscono ciò che è danneggiato e riparano ciò che è stato rotto. Queste forze sono inglobate nella vita stessa, con la sua creatività e capacità di autorinnovamento. Questa è la base empirica della speranza. La natura sostiene le specie in grado di ristabilirsi e la storia favorisce le culture che fanno altrettanto”[11]. La libertà democratica comporta la correlazione tra diritti e responsabilità, la ricerca del bene comune, il decentramento dallo al noi, il prendersi cura di più poveri e fragili, perché la vera ricchezza è data dalla condivisione, dalla misericordia e dalla compassione.
La solitudine esistenziale – Rifacendosi a Robert Putnam, docente di sociologia a Harvard, rav Sacks evidenzia che a vita comunitaria viene meno sempre più, “le persone fanno da sole quello che una volta facevano insieme”[12]. La società dell’io sostituisce sempre più la società del noi, per cui si crea l’isolamento sociale, con gravi conseguenze per la salute fisica e psicologica. Da uno studio (Nathan De Wall dell’università del Kentuchy) condotto sulle canzoni pop, specchia della cultura globale, sono sempre più numerose le parole che esprimono aggressività o rabbia, mentre diminuiscono quelle che esprimono l’interazione sociale e le emozioni positive. La preponderanza dell’io determina la politica delle personalità a scapito delle linee politiche, il leader più che la nazione. Le istituzioni sociali richiedono la disponibilità al sacrificio a favore della relazione o del gruppo, del matrimonio, della genitorialità, della comunità, della cittadinanza di una nazione. Osserva Sacks: “Una squadra di calcio con i migliori giocatori al mondo non avrà successo se ciascuno di loro si comporta come una prima donna. Un’orchestra di straordinari musicisti, ognuno dei quali si sente in dovere di dare la sua interpretazione di una sinfonia, non produrrà musica ma rumore. Un partito politico in cui ciascun membro del parlamento esprime pubblicamente il suo giudizio su quale dovrebbe essere l’azione politica sarà una baraonda. Un governo in cui i ministri si contraddicono pubblicamente sarà uno scandalo”[13].
Non si può costruire un mondo sociale con una molteplicità di io, rimarca il rabbino londinese, che si rifà soprattutto alla realtà del Regno Unito e degli Stati Uniti. Il matrimonio in cui uno o entrambi i partner si comportano in modo egoistico non può durare; il genitore che è indifferente ai bisogni del figlio gli reca danni morali e psicologici. A partire dalla metà degli anni sessanta i matrimoni, le famiglie e le comunità si sono atrofizzate a causa della prevalenza dell’io sul noi. Sempre meno persone si sposano o si sposano tardi. Molti matrimoni finiscono con il divorzio e molta più gente vive da sola. L’Autore precisa che c’è differenza tra il vivere da soli e sentirsi soli. La prima condizione non determina automaticamente la seconda (solitudine esistenziale). Bisogna però tenere presente che le persone solo ‘animali sociali’; la socialità accresce la capacità di sopravvivenza. L’isolamento è una terribile tortura per i prigionieri e i detenuti. La società occidentale, slava e giapponese diventa sempre più una moltitudine solitaria (nel 2018 in Gran Bretagna è stato creato il Ministro per la solitudine), che non solo vive da sola ma si ‘sente sola[14]’. Coloro che soffrono maggiormente per la solitudine sono i giovani, mentre l’isolamento colpisce soprattutto gli anziani. Le persone privilegiano i mezzi elettronici di comunicazione al contratto personale e aggregativo (gruppi, associazioni). La solitudine determina stress, ansia, depressione, schizofrenia, ridotta capacità del sistema immunitario, malattie cardiovascolari, ictus, cancro, demenza, morbo di Alzheimer.
Rav Sacks chiarisce la differenza tra la solitudine e l’isolamento: “La prima è uno stato soggettivo, autoreferenziale, mentre l’isolamento sociale è una condizione oggettiva, di solito definita come una mancanza di contatto con la famiglia, gli amici, la comunità e la società. L’isolamento sociale è in sé dannoso per la salute come fumare quindici sigarette al giorno”[15]. Le persone con una vita sociale attiva si ristabiliscono più velocemente dopo una malattia. Giocare a carte con gli amici una volta alla settimana, o ritrovarsi insieme per un caffè, aggiunge tanti anni alle aspettative di vita, equivalente alla rinuncia a fumare un pacchetto di sigarette al giorno. Ci sono anche coloro che trovano conforto nella solitudine, sono fisicamente soli senza sentirsi soli. In genere, però, la vita umana è fatta di relazioni e la solitudine è pericolosa.
La socialità fa parte dell’umanità, radicata nel nostro passato evolutivo. La socialità umana è la capacità di formare di formare reti di comunicazione estese, a differenza delle specie animali, è la capacità “di formare dei legami di appartenenza e di protezione. La nostra sensazione di benessere dipende dall’essere parte di una delle molte reti di relazioni in cui siamo pronti ad agire a beneficio degli altri, consapevoli del fatto che essi sono pronti a fare altrettanto per noi”[16]. L’individualismo ha conseguenze devastanti, sottolinea rav Lord Sacks, il collasso del matrimonio, la fragilità delle famiglie, della forza delle comunità, del senso di identità. La forte socialità rende più longevi e l’Autore riporta l’esempio di un villaggio della Sardegna (ad esempio Villagrande Strisaili sulle montagne del Gennargentu); i legami familiari sono solidi e la comunità è protettiva nei confronti degli anziani[17]. Un grande contributo al senso comunitario viene offerto dalla religione e rav Sacks riporta un altro esempio positivo che è quello delle società di mutuo soccorso (landsmanshaftn) basate sul paese o città di provenienza che hanno aiutato gli ebrei immigrati in Gran Bretagna o America del Nord dall’Europa orientale o centrale, come lo stesso J. Sacks, aiutando le persone a costruirsi una vita per sé e per le famiglie, abbandonando i ghetti dei centri urbani. La tradizione ebraica è basata molto sulla socialità: “Ebrei come i miei genitori erano poveri, ma erano ricchi di capitale sociale. Avevano famiglie solide e comunità che erano di straordinario sostegno. Possedevano un’etica quasi calvinista del lavoro duro, unita a un grande rispetto – afferma l’Autore – per la cultura e lo studio. Questi valori trovavano realizzazione nelle comunità da loro create o a cui si univano. Le persone si aiutavano reciprocamente”[18].
Le relazioni umane ci plasmano anche senza essere consapevoli e ci rendiamo contro che è una grande povertà non averne quando, ad esempio, abbiamo bisogno di aiuto e non sappiamo a chi rivolgerci. L’individualismo è liberatorio perché ci rende liberi di realizzare il nostro progetto di vita. Come ha evidenziato il filosofo canadese Charles Taylor, tutto ciò ha il prezzo della perdita per valori morali per concentrarsi sulla propria autorealizzazione. La moralità pone un limite all’individualismo autodistruttivo, perché afferma il valore del mutuo altruismo senza opportunismi: “La moralità, nella sua essenza, è il rafforzamento dei legami, l’aiutare gli altri, l’impegnarsi in un altruismo reciproco e la comprensione delle esigenze della lealtà di gruppo, il che è il costo dell’appartenenza al gruppo. […] Un importante contributo della religione oggi è dato dal fatto che essa preserva ciò che la società nel suo complesso ha iniziato a perdere: quella forte sensazione di esserci l’uno per l’altro, di essere pronti a mettere in pratica l’aiuto reciproco, ad aiutare le persone nel bisogno, a confortare chi è in angoscia e chi è colpito da lutti, ad accogliere gli abbandonati, a partecipare ai momenti di dolore e di gioia degli altri”[19]. L’altruismo non è scomparso del tutto, ma emerge solo in seguito alle calamità, alle tragedie; i gruppi religiosi, invece, sono tenuti assieme da legami morali, dall’essere impegnati l’uno per l’altro nonostante gli ostacoli, le incomprensioni e in questo modo si crea una grande forza di resilienza.
I limiti dell’auto-aiuto – Partendo dall’esperienza personale di essere stato salvato dall’annegamento a Paestum durante la luna di miele, l’Autore sottolinea che l’aiuto che ti porta alla salvezza è sempre esterno, viene dagli altri, il prigioniero non può liberarsi dalla prigione (Talmud). L’auto-aiuto ci rende egoisti, non ci fa uscire dal problema. Il movimento dell’autostima si è rivelato fallimentare, perché ha alimentato il narcisismo, aggressività, materialismo. Anche la leadership ha bisogno dell’aiuto degli altri: “Qualunque leader – osserva Sacks – ha bisogno di una giuda, di un consulente, di una voce saggia di cui fidarsi, che può osservare la situazione in modo imparziale e dire, con calma e in confidenza, ‘Non è una buona idea’”[20]. Il leader non può avere tutte le qualità. Al giovane leader può mancare l’esperienza; al leader competente può mancare la giovinezza per cogliere le nuove opportunità. C’è sempre bisogno, rimarca il rabbino londinese, del consorte, di un amico, di un consigliere, di un collega fidato, discreto, invisibile, perché anche i più grandi possono venir meno alla capacità di giudizio. Il leader ha bisogno di qualcun altro per proteggersi dalla sua debolezza.
[1] Rabbino capo di Londra (1948-2020), filosofo, autore di numerosi saggi, ha ricevuto 16 lauree ad honorem.
[2] Cf. J. SACKS, Moralità. Ristabilire il bene comune in tempi di divisioni, Giuntina, Firenze 2020, 17. Il saggio, pubblicato postumo, costituisce il punto di arrivo, della riflessione sulla filosofia morale durata cinquant’anni. Il saggio è così suddiviso: l’introduzione sul mutamento culturale, la prima parte sulla solitudine, la seconda parte sulla perdita della moralità, la terza parte sulla progressiva perdita della civiltà, la quarta parte sulla moralità come dignità umana, la quinta parte su come rafforzare la moralità.
[3] SACKS, Moralità, 19-20.
[4] Ivi 21-22.
[5] Ivi 24.
[6] Ivi 28.
[7] Cf. ivi 32.
[8] Ivi 33.
[9] Ivi 34-35.
[10] Ivi 37.
[11] Ivi 38.
[12] Ivi 43.
[13] Ivi 45.
[14] Cf. ivi 48.
[15] Ivi 49.
[16] Ivi 50-51.
[17] Cf. ivi 51.
[18] Ivi 53.
[19] Ivi 55.
[20] Ivi 62.
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