JACQUES DUPUIS E IL PLURALISMO RELIGIOSO —-TERZA PARTE

I VOLTI DEL MISTERO DIVINO

Secondo i teologi pluralisti al posto di Cristo bisogna usare il termine ‘essere’ (sat) che si riferisce a Dio o al Divino e va messo al posto di Cristo, poiché le religioni sono manifestazioni storiche dell’unico mistero divino, vie salvifiche differenti che tendono ad esso. Il concetto di Dio è indeterminato in modo che esso possa adattarsi alle diverse tradizioni religiose, la cui varietà dipende da contesti culturali da cui hanno preso origine. Le tradizioni religiose hanno come punto di riferimento lo stesso Dio indeterminato, nonostante che i nomi con cui viene chiamato sono molteplici e i concetti per esprimerlo.. Le varie tradizioni usano nomi diversi per esprimere la realtà ultima (Dio Padre/Madre, JHWH biblico, Allah per i musulmani, Brahman per l’induismo, Nirvana per il buddhismo, Tao per il taoismo). Le esperienze religiose, nonostante le divergenze, hanno tutte uguale valore, perché sono tutte salvifiche. Gli attributi divini, come l’immutabilità e l’impassibilità vanno reinterpretati alla luce dell’impegno divino nella storia con l’incarnazione e con la croce. L’identità divina va distinta “dall’apprensione che gli esseri umani possono averne in situazioni differenti, per mezzo della riflessione umana o della rivelazione divina, in tradizioni religiose diverse”[1]. L’Autore belga fa notare, però, che occorre tener presente la distinzione fra le religioni profetiche e quelle mistiche. Le religioni monoteistiche hanno la loro origine nella fede di Abramo e c’è continuità fra il Dio d’Israele e il Padre di Gesù Cristo, fra il concetto di Dio delle Scritture ebraiche e di quelle Cristiane. Nonostante le divergenze il Dio dei musulmani è lo stesso della fede di Abramo, perché è il Padre di tutti i credenti (Rm 4,11). Dupuis fa notare che il discorso è più complesso per le religioni mistiche, per “l’enorme complessità dei dati che esse offrono, e la diversa visione del mondo (Weltanschaunung) complessiva su cui si basano. Ciononostante, non si può fare a meno di sollevare teologicamente la questione della relazione fra la ‘Realtà Assoluta’ da essere affermata e il Dio delle religioni monoteistiche, il quale è stato rivelato, secondo la fede cristiana, in una maniera decisiva in Gesù Cristo”[2]. Le tradizioni religiose manifestano un’ampia varietà di termini fra loro contraddittori: teismo e non teismo, monoteismo e politeismo, monismo e dualismo, panteismo e panenteismo [il panenteismo è la posizione teologica che sostiene che Dio sia immanente nell’universo, ma che allo stesso tempo lo trascenda. Si distingue dal panteismo, che sostiene che Dio coincida invece con l’universo materiale].

La ‘Realtà ultima’: Una e trina – Il ‘Reale’ al di là di ‘personae’ ed ‘impersonae’? La tesi pluralistica della teologia delle religioni afferma la non la centralità di Cristo ma di Dio (teocentrismo), che è la meta delle differenti percorsi religiosi. Tuttavia, come nel caso di J. Hick, si è trasformato in ‘centramento sulla Realtà’, poiché si ritiene che il concetto di Dio  dipende ancora da una visione occidentale e cristiana dell’Assoluto. “La ‘realtà centrale’ a cui sono orientate tutte le vie religiose trascende le dicotomie di personale e impersonale; essa può perciò fungere da paradigma comune sia per le tradizioni teistiche che per quelle non teistiche. Essa sta al di là delle ‘personae’ delle prime come delle ‘impersonae’ delle seconde, fornendo un modello che si presta a sostenere l’uguaglianza delle varie tradizioni, pur nelle loro differenze”[3]. Bisogna distinguere, sottolinea Dupuis, il Reale in sé e da come viene esperito e pensato dalle diverse comunità religiose, e questa distinzione è presente in tutte le tradizioni religiose, compresa quella cristiana (J. Hick). Secondo l’ipotesi pluralistica ci sono diverse percezioni o concezioni, tematizzazioni, da cui derivano differenti risposte al Reale, per trovare la salvezza, liberazione, realizzazione ultima. Le personae divine e le impersonae metafisiche sono manifestazioni differenti della Realtà Ultima. Nelle tradizioni teistiche la Realtà ultima è concepita come personale che si manifesta con figure diverse. Krishna indù e JHWH ebraico, ad esempio, sono persone distinte che emergono da cicli narrativi differenti, da un contesto particolare di storia religiosa. Dupuis afferma che la tesi pluralistica di Hick è molto radicale, per cui fa delle precisazioni. La tradizione cristiana è consapevole del fatto che Dio, anche con la sua autorivelazione in Gesù Cristo, rimane ineffabile nel suo Essere intimo, è al di là della nostra presa conoscitiva (Gv 1,18) (teologia apofatica). Il mistero del Dio unitrino, tripersonale, Padre Figlio e Spirito Santo “corrisponde oggettivamente, sebbene soltanto analogicamente, alla realtà intima di Dio. Il ‘Reale Ultimo’ è personale; è interpersonale. Esso consiste in una totale comunione e condivisione interpersonale fra Tre che sono Uno-solo-senza-un-secondo […]: Padre/Madre – Figlio/Verbo/sapienza – Spirito/Amore […]”[4]. L’Autore belga sottolinea che le tre religioni monoteistiche fanno riferimento allo stesso Dio e la Realtà Ultima delle tradizioni mistiche può essere interpretata in chiave trinitaria senza forzature al mistero trinitario rivelato in Cristo[5], poiché sono volti inompleti del Mistero divino, che viene sperimentato in forme diverse e trova compimento in Colui che è il Volto umano di Dio: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,18).

GESU’ CRISTO: UNO E UNIVERSALE // La teologia pluralista che è teocentrica opera un ridimensionamento dell’evento cristologico, basandosi su considerazioni filosofiche, storico-critiche-esegetiche e teologiche. Secondo il punto di vista filosofico la rinnovata coscienza storica non concepisce più la verità come statica ed eterna, ma dinamica e storicamente condizionata. “Viene anche rilevato che la conoscenza umana non può mai rivendicare, specialmente in materia religiosa, un’obiettività disimpegnata, ma è sempre intrinsecamente soggetta all’influsso dei presupposti e dei ‘pregiudizi’ del soggetto conoscente. In se stesso, inoltre, il Mistero Divino rimane sempre ed irrimediabilmente al di là della presa umana; nessuna tradizione religiosa può rivendicare a priori una conoscenza privilegiata del Mistero, e tanto meno n monopolio di tale conoscenza. Ogni conoscenza umana dell’Assoluto è relativa”[6]. Dal punto di vista storico-critico viene messa in risalto la dicotomia tra il Gesù storico e il Cristo della fede  della chiesa apostolica, che ha realizzato il passaggio dal teocentrismo al cristocentrismo. Gesù era totalmente centrato su Dio e annunciava il suo Regno, mentre la chiesa apostolica ha realizzato un mutamento di paradigma annunciando Cristo. “Teologicamente, viene istituita una dicotomia fra la particolarità dell’evento-Gesù, localizzato nello spazio e nel tempo e, in quanto tale, irrimediabilmente limitato, e la rivendicazione cristiana di un significato universale per tale evento”[7]. Nessun avvenimento storico può rivendicare l’unicità e l’universalità che il cristianesimo attribuisce all’evento cristologico. Una tale rivendicazione non è sostenuta neppure dalla storia delle religioni, “che attesta una molteplicità di ‘vie’ verso la salvezza, aventi credenziali analoghe, dotate tutte di eguale valore nella loro stessa varietà; e che avanzano tutte, inoltre, pretese di universalità, se non di assolutismo, tra loro conflittuali”[8]. Quando la rivendicazione dell’unicità e universalità di Gesù Cristo è ben ponderata, è basata su valide argomentazioni, lascia lo spazio per una teologia ‘aperta’ delle religioni e del pluralismo religioso. La cristologia trinitaria consente di riconoscere l’azione del Logos e dello Spirito di Dio nelle altre religioni. Dupuis chiarisce che le sue affermazioni si riferiscono all’evento cristologico e non al cristianemo che, per la sua rivendicazione di assolutezza, ha portato all’esclusivismo ecclesiocentrico. L’Assolutezza compete solo alla Realtà ultima o Essere Infinito; “non deve essere predicata di alcuna realtà finita, sia pure l’esistenza umana del Figlio-di-Dio-fatto-uomo. Il fatto che Gesù Cristo sia Salvatore ‘universale’ non ne fa il ‘Salvatore Assoluto – che è Dio stesso”[9]. L’unicità e universalità del Cristo non vanno concepite né in senso relativo che porta al pluralismo largo, radicale, né assoluto, che conduce all’angusto esclusivismo. L’autore belga chiarisce che si tratta , invece, di unicità e universalità dell’evento cristologico nel senso ‘costitutivo’, “in quanto Gesù Cristo possiede significato salvifico per l’intera umanità, e in quanto l’evento-Cristo – in particolare il mistero pasquale della sua morte e resurrezione – è ‘causa di salvezza’”[10]. L’unicità e l’universalità vanno intese in senso relazionale, poiché Gesù Cristo si inserisce in un disegno complessivo di Dio per l’umanità, che ha molte sfaccettature e si realizza in diversi tempi e momenti. “Gesù Cristo […] è, fra le varie ‘figure salvifiche’ entro le quali Dio è nascostamente presente ed operante, l’unico ‘volto umano’ in cui Dio, pur rimanendo invisibile, è pienamente dischiuso e rivelato. Nel corso della storia umana, Dio ha voluto essere ‘in diversi modi’ (Eb 1,1) un Dio-degli-uomini; in Gesù Cristo è divenuto Dio-degli-uomini-in-un-modo-pienamente- umano (cfr. Gv 1,14): l’Em-Manu-ele (Mt 1,23)”[11]. In Cristo c’è la coincidenza del particolare e dell’universale; è l’universale concreto in cui sono riassunti e ricapitolati (Ef 1,10) tutti gli approcci di Dio agli esseri umani. Gesù Cristo è l’unico volto umano di Dio in rapporto ad altre figure salvifiche, da cui Dio non ha ritirato la sua presenza e la sua grazia salvifica.

 VIE DI SALVEZZA  // L’unicità dell’evento cristologico è simultaneamente costitutiva e relazionale, perché il mistero pasquale della morte e resurrezione di Cristo ha un significato universale, in modo conforme “al disegno salvifico di Dio per l’umanità: esso sigla fra la Divinità e la razza umana un vincolo di unione ch non potrà mai essere spezzato, e costituisce il canal privilegiato attraverso cui Dio ha scelto di condividere la vita divina con gli esseri umani”[12]. Il significato universale dell’evento cristologico significa che esso è inserito nel disegno complessivo di Dio per l’umanità, nel modo in cui si dispiega nella storia della salvezza. Esso intende evidenziare la relazione reciproca fra la ‘via in Gesù Cristo’ e le ‘varie vie di salvezza che le tradizioni religiose propongono ai loro membri. Quando si parla di ‘vie di salvezza’, chiarisce Dupuis, non si tratta della mera ricerca di Dio che è presente universalmente negli esseri umani, ma cho non può mai essere realizzata con le loro forze. Si tratta, invece, della “loro ricerca da parte di Dio, ed alla graziosa iniziativa presa da quest’ultimo nell’invitarli a partecipare alla vita divina. Le vie di salvezza sono predisposte da Dio, e non dagli stessi esseri umani”[13]. L’evento cristologico non preclude il significato salvifico degli altri percorsi religiosi, bensì li implica e li postula. Bisogna tener presente che soltanto Dio è l’agente della salvezza. Affermare che il cristianesimo salva è un abuso linguistico secondo l’autore belga. Nella letteratura proto cristiana, infatti il cristianesimo era denominato la ‘via’ di Gesù (At 9,2); neppure le altre religioni salvano, ma “esse possono essere utilizzate da Dio come ‘canali’ della sua salvezza; esse possono così diventare ‘vie’ o ‘mezzi’ che comunicano la potenza del Dio salvifico: ‘vie’ di salvezza per coloro che vi ‘camminano’. Ma ciò non pregiudica il tipo di causalità, strumentale o sacramentale, finale o altro, in esse operante”[14]. Tutte le religioni si presentano come percorsi di salvezza/liberazione. Non a caso l’Autore combina i due termini perché la liberazione può essere applicata a tutte le religioni, non solo a quella biblica e cristiana; realizza la sintesi fra spirituale e temporale, trascendente e umano, personale e sociale, escatologico e storico. “Fatte salve le considerevoli differenze che intercorrono fra le varie tradizioni, si può azzardare la proposta di un concetto universale di salvezza/liberazione così definito: la salvezza/liberazione ha a che fare con la ricerca e il conseguimento della pienezza della vita, dell’interezza, dell’autorealizzazione e dell’integrazione”[15]. L’evento cristologico è il mediatore, secondo la teologia cristiana fra Dio e l’umanità, in quanto in lui la Divinità e l’umanità sono uniti in un vincolo permanente. La sua mediazione è unica, che non esclude però le mediazioni partecipate della salvezza delle altre tradizioni religiose (RM 5). Esse sono connesse con la mediazione cristologica e derivano il loro potere da essa, poiché il mistero di Cristo ha una presenza inclusiva; il Logos ha una potenza universale e lo Spirito opera non solo nelle persone, ma nelle culture e religioni (RM 28) che hanno elementi di verità e di grazia (AG 9). L’Autore conclude che c’è “una convergenza fra le tradizioni religiose e il mistero di Gesù Cristo, in quanto percorsi – pure ineguali – lungo i quali Dio ha cercato e continua a cercare gli esseri umani nella storia, nel suo Verbo e nel suo Spirito. La salvezza opera in tutte le religioni, ma essa è compiuta nella figura concreta del Crocifisso, che è la figura integrale della salvezza di Dio. “Gesù Cristo è dunque l’’unico Salvatore’, non in quanto unica manifestazione del Vero di Dio, che è Dio stesso. E nemmeno nel senso che in lui la rivelazione di Dio sia completa ed esaustiva, il che non è e non può essere; ma relativamente al processo universale della rivelazione divina che ha luogo per mezzo di manifestazioni concrete, limitate […]”[16].

IL REGNO DI DIO, LE RELIGIONI E LA CHIESA / Dupuis afferma che l’espressione ‘religioni non cristiane’ va evitata, poiché definisce le altre religioni in base a ciò che non sono (non sono cristiane), e in base a ciò che siamo noi (cristiani), per cui la comunità cristiana risulta essere il centro del discorso teologico. Riguardo al rapporto con l’ebraismo, l’espressione ‘nuovo popolo di Dio’ (LG 9), sta a significare che la chiesa ha preso il posto di Israele . La Commissione teologica internazionale, nel  capitolo ‘Temi scelti di ecclesiologia’ (1984) parla della chiesa come ‘il nuovo popolo di Dio’, la comunità di fede, speranza e carità (LG 8) di cui l’eucarestia è la sorgente (LG 3.7). La ‘nuova alleanza’ (Ger 31,31-34) è un’espressione biblica ma nel NT si parla della chiesa come ‘popolo di Dio’ (1Pt 2,9-10) non il ‘nuovo popolo di Dio’. La teologia del dialogo ebraico-cristiano ha superato la teologia della sostituzione, poiché la chiesa non impedisce ad Israele di essere il popolo di Dio. Si tratta dell’espansione del popolo di Dio che si estende a tutte le nazioni. Tutto ciò vale anche per le espressioni ‘Antico Testamento’ e ‘Nuovo Testamento’: il nuovo  abolisce l’antico. Il NT può essere pensato solo in relazione all’antico; il NT non abolisce ciò che lo precede, per cui oggi si preferisce parlare di Primo Testamento e Secondo Testamento. San Paolo ha manifestato la sua ferma convinzione che l’elezione di Dio con Israele permane, è irrevocabile. Questi sviluppi sono presenti anche nel magistero più recente. Un discorso analogo va fatto quando si parla della relazione della chiesa con le altre religioni; anch’esse rientrano nell’elezione divina. Tutti i popoli sono eletti; il Concilio non l’ha affermato, ma ha evidenziato che lo Spirito di Dio è attivo nelle persone nelle persone delle altre tradizioni religiose. Un’altra categoria che crea problemi ad dialogo interreligioso e alla teologia delle religioni è quella di ‘Regno di Dio’. Secondo la concezione tradizionale esso riguarda solo Israele e la chiesa , invece è una realtà universale che riguarda tutte le religioni. Una prospettiva innovativa emerge dal secondo capitolo dell’enciclica Redemptoris missio (1990) di G. P. II. Il Regno di Dio attuato dal Cristo nel suo compimento escatologico riguarda tutta l’umanità, la trasformazione delle relazioni umane, basate sull’amore (RM 15) fra gli uomini e con Dio. La chiesa è a servizio del Regno di Dio le cui dimensioni storiche non coincidono con quelle della chiesa, ma si estende a tutto il mondo. La chiesa è il segno, la forza dinamica dell’umanità verso il Regno escatologico promuovendo i valori evangelici. Il Regno di Dio va al di là dei limiti visibili della chiesa; è presente laddove ogni essere umano è rispettato, come viene affermato in un Documento della Federazione delle Conferenze dei vescovi asiatici (1985). Il discorso viene maggiormente sviluppato in un Documento del 1991 che cita Dupuis: “Il Regno di Dio è […] universalmente presente e operante. Ovunque uomini e donne aprono se stessi al mistero della divina trascendenza che incombe su di essi ed escono da se stessi per amare e servire gli uomini, lì il Regno di Dio è operante […] (n 29). Ciò dimostra che il Regno di Dio è una realtà universale, estesa oltre i confini della Chiesa. E’ la realtà della salvezza in Gesù Cristo, a cui partecipano insieme i cristiani e gli altri. E’ il fondamentale ‘mistero dell’unità che ci unisce più profondamente delle differenze religiose che ci dividono. Visto in questo modo, un approccio ‘regnocentrico’ alla teologia della missione non pone in alcun modo in questione la prospettiva cristocentrica della nostra fede. Al contrario, il ‘regnocentrismo’ necessita del cristocentrismo, e viceversa, perché è in Gesù Cristo e attraverso l’evento-Cristo che Dio ha stabilito il suo Regno sulla terra e nella storia umana (cfr. RM 17-18) (n 30)”[17]. La teologia del NT evidenzia, come afferma O. Cullmann, che la chiesa e il mondo non possono essere rappresentati come due cerchi giustapposti che non si toccano; si tratta bensì di due cerchi concentri il cui centro comune è Cristo[18]. Il Regno di Cristo supera i limiti della chiesa che un giorno avrà assolto il proprio compito terreno per risolversi nel Regno escatologico di Cristo o di Dio[19]. L’universalità del Regno di Dio consiste nel fatto che i cristiani e le altre tradizioni religiose, popoli, condividono il medesimo mistero di salvezza in Gesù Cristo, anche se tale mistero giunge loro attraverso delle vie differenti. “Riconoscere che il Regno di Dio nella storia non è limitato dai confini della chiesa ma si estende a quelli del mondo non è privo di interesse e di rilevanza per una teologia cristiana delle religioni”[20]. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto la presenza e l’azione dello Spirito nel mondo e nei membri di altre religioni. Secondo Dupuis, la sua intenzione implicita, non dichiarata, è stata quella di affermare un ruolo positivo delle altre religioni nell’ordine della salvezza, senza definirle esplicitamente ‘mezzi di salvezza’. Gli altri, le altre tradizioni religiose hanno accesso al Regno di Dio nella storia con la fede, l’obbedienza a Dio, la conversione. Secondo RM 20 la realtà incoativa (germinale, iniziale) è presente in tutta l’umanità laddove si vivono i valori evangelici e ci si apre all’azione dello Spirito. Secondo la teologia della liberazione il Regno di Dio viene con i valori evangelici nella società dell’amore e della giustizia (Sobrino[21]).

 La teologia delle religioni, adottando il modello ‘regnocentrico’  mostra in che modo gli altri, le altre tradizioni religiose sono partecipi della realtà del Regno di Dio nel mondo e nella storia, aprendosi all’azione dello Spirito. La prospettiva cristocentrica non essere ignorata, poiché non si può separare il Regno di Dio dalla storia di Gesù Cristo che lo ha istituito (inaugurato) nella storia, di cui la sua signoria presente, per mezzo della chiesa, ne è l’espressione. Il modello cristocentrico, puntualizza l’Autore, e regno centrico sono interconnessi. Gli altri, le altre tradizioni religiose, partecipano alla salvezza del Regno di Dio ed implicitamente alla salvezza del Cristo. Il Regno di Dio inaugurato al Cristo con il suo mistero pasquale è proteso al compimento escatologico, alla pienezza finale, che include tutti coloro che, attraverso le varie tradizioni religiose, rispondono alla chiamata di Dio con le loro pratiche specifiche. Senza esserne coscienti, osserva l’Autore, sono membri attivi del Regno, contribuiscono alla costruzione del Regno in questo mondo. “Se – come non si può fare a meno di ammettere – la loro risposta all’invito divino prende forma e trova sostegno in elementi oggettivi che sono parte di queste tradizioni religiose, quali le loro sacre scritture e le loro pratiche ‘sacramentali’, allora si deve anche riconoscere che tali tradizioni contengono esse stesse ‘componenti dovute ad un influsso soprannaturale della grazia’ a beneficio dei loro seguaci. E’ rispondendo a tali componenti [le loro pratiche religiose] di grazia che essi trovano la salvezza e divengono membri del Regno di Dio nella storia”[22]. Le tradizioni religiose, con i riti, i libri sacri, contribuiscono a edificare il Regno di Dio fra i loro seguaci e nel mondo. Esse esercitano una certa mediazione del Regno, fra i loro seguaci, che è diversa da quella della chiesa; di tale mediazione non è possibile, però, dare una definizione teologica precisa. Il dialogo interreligioso si realizza tra persone che sono legate le une alle altre nel Regno di Dio, inaugurato nella storia di Gesù Cristo. Tali persone sono già nella comunione reciproca poiché partecipano in modo inconsapevole al mistero della salvezza, anche se la loro mediazione del mistero è diversa da quella della chiesa. Ciò che importa – osserva l’autore belga – non è la modalità della mediazione, del ‘segno sacramentale’ [in senso lato], ma è la comunione che si realizza. E’ lo Spirito Santo l’artefice della profonda comunione tra i cristiani e i seguaci di altre religioni, quando il dialogo interreligioso è sincero, autentico. “Ciò mostra anche perché il dialogo interreligioso è una forma di condivisione, di dare e ricevere, perché non è in una parola, un processo unidirezionale: non un monologo, ma un ‘dialogo’. La regione è che la realtà del Regno di Dio è già condivisa nello scambio reciproco. Il dialogo rende esplicita questa comunione preesistente nella realtà della salvezza, che è il Regno di Dio venuto per tutti in Gesù”[23]. I cristiani e le altre religioni (gli altri) sono chiamati a costruire insieme il Regno di Dio nel mondo nel corso della storia, proteso alla pienezza escatologica (GS 39). Ciò si realizza quando si collabora per difendere i diritti umani, quando si lavora per la liberazione integrale di ogni singola persona, specialmente dei poveri e degli oppressi, promuovendo anche i valori religiosi e spirituali. La costruzione del Regno racchiude la dimensione umana e religiosa. Dupuis osserva che la prima dimensione è il segno della seconda, poiché i cristiani assieme ai seguaci delle altre religioni sono chiamati a realizzare assieme la nuova umanità voluta da Dio per la fine dei tempi, ad anticiparla, come co-creatori con Dio.

La chiesa e le religioni nel Regno di Dio / Il Concilio Vaticano II ha sottolineato la necessità della chiesa per la salvezza universale (LG 1.9.14.48). Il concilio, però, non spiega quale sia l’satta natura della necessità universale della chiesa. La mediazione universale della chiesa, sottolinea il teologo gesuita, è una mediazione partecipata rispetto a quella cristologica (1Tm 2,5); se le due mediazioni vengono equiparata si arriva all’esclusivismo ecclesiocentrico (Extra ecclesiam nulla salus). Occorre però superare anche l’altro pericolo di vedere in modo riduttivo la mediazione ecclesiale, funzionale solo alla salvezza dei cristiani. In questo modo ci sarebbero due vie di salvezza parallele senza una relazione reciproca, “derivanti entrambe dall’unica mediazione di Gesù Cristo, e tuttavia operanti l’una per i membri della chiesa e l’altra per coloro che sono salvati in Gesù Cristo al di fuori di essa”[24]. Dupuis evidenzia che il Concilio Vaticano II ha parlato di varie appartenenze alla chiesa: i cattolici sono pienamente incorporati alla chiesa (LG 14), i catecumeni sono uniti ad essa in virtù del desiderio (voto) di aderirvi (LG 14); i cristiani non cattolici sono congiunti alla chiesa in quanto incorporati in Cristo (LG 15); i credenti di altre religioni sono ordinati al popolo di Dio (LG 16). Il Concilio non parla di un desiderio di appartenenza esplicito o implicito. I membri di altre religioni possono essere salvati in Cristo senza appartenere alla chiesa, a cui sono ordinati, poiché in essa c’è la pienezza dei mezzi della salvezza. RM 10 precisa: “Per essi la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale”.

Mediazione universale della chiesa/ Essa è  subordinata a quella del Cristo, è universale e si attua tramite l’annuncio della parola e la celebrazione dei sacramenti. Questi fattori di grazia non raggiungono però coloro che seguono altre tradizioni religiose e ricevono la salvezza in Cristo. La grazia dell’eucarestia raggiunge i membri della chiesa, realizzando la loro unità. Nella celebrazione eucaristica, inoltre, la chiesa intercede per la salvezza universale, anche di coloro che seguono altre religioni. Tale intercessione costituisce una mediazione non teologica bensì morale, che lascia lo spazio alle ‘mediazioni suppletive’ che sono le atre tradizioni religiose. Secondo il magistero recente la chiesa è la via ordinaria della salvezza (Evangelii Nuntiandi 80), in quanto possiede i mezzi ordinari della salvezza o la pienezza dei mezzi della salvezza (RM 55). I membri della altre tradizioni religiose possono essere salvati attraverso vie note solo a Cristo (AG 7; GS 22). La grazia della salvezza è cristica, ma può anche essere detta ecclesiale perché ‘gli altri’ sono ordinati alla chiesa (LG 16). L’Autore riprende il pensiero di Karl Rahner secondo il quale il cristianesimo anonimo ha una relazione con Cristo nell’ordine della grazia e della salvezza e non una relazione diretta con la chiesa. Tutta l’umanità è salvata in Cristo e costituisce il ‘popolo di Dio’. Le persone salvate in Cristo al di fuori della chiesa sono ordinate oggettivamente ad essa senza tuttavia esserne membri. La chiesa è il luogo della missione dello Spirito, ma lo Spirito non è legato al suo ministero, alla sua istituzione. “La chiesa deve dunque essere intesa, in quanto luogo dello Spirito, come il punto a cui tende la grazia ‘non ecclesiale’, di cui è l’espressione visibile nel mondo: Tale ordinamento alla chiesa esiste in ogni luogo in cui lo Spirito è presente e operante. Essa non implica tuttavia una mediazione universale a titolo di causalità efficiente”[25]. La grazia divina è attiva dove la chiesa non è presente, ma la chiesa è il segno sacramentale della sua presenza nel mondo. La chiesa è il sacramento del Regno di Dio che è universale. La chiesa rappresenta il Regno già presente nella storia. E’ il sacramento del Regno di Dio in relazione al suo compimento escatologico. La chiesa è il Regno nella storia che è in marcia verso la chiesa Regno escatologico. Fra la chiesa e il regno vi è “una relazione singolare e unica, che, pur non escludendo l’opera di Cristo e dello Spirito fuori dei confini visibili della chiesa, conferisce ad essa un ruolo specifico e necessario” (RM 18) [cf. Dialogo e annuncio 35. Sono questi i due documenti che distinguono chiaramente il Regno dalla chiesa, poiché il Regno è una realtà più ampia, universale]. Come afferma Rahner”Finché durerà la storia, la chiesa non si identificherà mai con regno di Dio. Questo regno di Dio è definitivamente presente soltanto col finire della storia, con la venuta di Cristo e il giudizio universale. […]. Il regno stesso di Dio si verifica nella storia del mondo (non solo della chiesa) ovunque si attui nella grazia l’obbedienza verso Dio, come accettazione dell’autopartecipazione di Dio […]”[26]. La chiesa è, nel suo aspetto visibile, il sacramento e la realtà significata è l’appartenenza al regno di Dio; la realtà intermedia è la relazione con la chiesa che si realizza nei membri della comunità ecclesiale, in virtù della quale costoro sono già partecipi del Regno di Dio. E’ possibile, però, attingere la realtà del Regno di Dio senza far ricorso al sacramento della chiesa e senza appartenere al corpo ecclesiale. Le altre tradizioni religiose possono così essere membri del Regno di Dio senza essere parte della chiesa e senza ricorrere alla sua mediazione. Nella chiesa si manifesta visibilmente ciò che Dio sta realizzando silenziosamente in tutto il mondo[27] . La chiesa rende testimonianza al fatto che in Gesù Cristo Dio ha stabilito il suo Regno in questo mondo. In quanto segno sacramentale la chiesa è relativa, poiché si accede al Regno di Dio non soltanto per mezzo di essa.. Le altre tradizioni religiose possono far parte del Regno di Dio e di Cristo senza essere membri della chiesa. “Ciononostante, la presenza sacramentale del Regno di Dio all’interno della chiesa è una presenza privilegiata, poiché la chiesa ha ricevuto da Cristo la ‘pienezza dei beni e dei mezzi di salvezza’ (RM 18). Essa è il ‘sacramento universale’ (LG 48) di questo Regno. E’ per questo che coloro che hanno accesso alla salvezza e al Regno attraverso altri mezzi, anche se non sono incorporati nella chiesa in qualità di membri, sono nondimeno ‘ordinati’ (ordinantur) ad essa – come viene rilevato nella costituzione Lumen gentium (16), che non adotta l’insegnamento precedente sui ‘membri di desiderio’”[28]. In base a tali argomentazioni Dupuis ritiene che l’antico assioma Extra ecclesiam nulla salus possa essere sostituito con Extra mundum nulla salus. La chiesa è sacramento del Regno di Dio anche per il suo servizio, con la sua testimonianza, con le sue attività, quali il dialogo, la promozione umana, l’impegno per la giustizia e la pace (RM 20). Il compito della chiesa non è quello di una funzione mediatrice universale. Il termine mediazione può essere applicato solo a Cristo (1Tm 2,4-5). La chiesa è decentrata da se stessa; è a servizio del Regno che Cristo ha inaugurato. La chiesa non ha alcun monopolio del Regno di Dio, poiché i membri delle altre religioni, percepiscono la chiamata di Dio attraverso le loro tradizioni. Gli altri sono membri del Regno di Dio senza esserne formalmente consapevoli. Le altre tradizioni religiose contribuiscono all’edificazione del Regno di Dio non soltanto in mezzo ai loro seguaci, ma nel mondo in generale. “Se la chiesa è nel mondo il ‘sacramento universale’ del Regno di Dio, anche le altre tradizioni esercitano una certa mediazione di questo Regno, una mediazione senza dubbio differente, ma non meno reale”[29]. Il relazione all’escatologia la chiesa è provvisoria, è destinata a scomparire col conseguimento della pienezza del Regno. Quando arriva la realtà perfetta, il suo segno perde la sua ragion d’essere, come afferma Rahner[30]. La chiesa realizza il pellegrinaggio verso la realtà futura che deve ancora venire. Coloro che seguono le altre tradizioni religiose, alla fine dei tempi, possono partecipare alla pienezza del Regno, senza essere congiunti alla chiesa escatologica. Il dialogo tra le fedi fa parte della missione evangelizzatrice della chiesa. L’evangelizzazione indica la missione della chiesa nel suo insieme (DA 8). Lo ‘spirito del dialogo’, come atteggiamento di rispetto e di amicizia, deve emergere da tutte le attività di evangelizzazione della chiesa (DA 9). “L’insieme dei rapporti interreligiosi, positivi e costruttivi, con persone e comunità di altre fedi per una mutua conoscenza e un reciproco arricchimento” (Dialogo e Missione 3), nell’obbedienza alla verità e nel rispetto della libertà, includendo sia la testimonianza che la scoperta delle rispettive convinzioni religiose (DA 9).

Dupuis chiarisce la terminologia. L’annuncio è la proclamazione del messaggio evangelico; è l’invito all’impegno di fede in Cristo, l’invito a entrare nella comunità dei credenti mediante il battesimo (DA 10). Il dialogo è distinto dall’annuncio perché non mira alla conversione degli altri al cristianesimo . Il dialogo è il metodo, il mezzo per una reciproca conoscenza interreligiosa, poiché Dio si rende presente, non solo ai singoli individui, ma anche ai popoli mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le religioni sono un’espressione essenziale (RM 55). Nel Dialogo interreligioso la chiesa cerca di scoprire i ‘germi del Verbo’ e i ‘raggi della verità’ che si trovano nelle persone delle altre tradizioni religiose (RM 56). I membri delle altre tradizioni religiose non sono salvati da Cristo nonostante o accanto alla loro tradizione ma dentro di essa in modo misterioso. Occorre però un’opera di discernimento per identificare gli elementi di grazia che possono sostenere la chiamata di Dio (DA 30). Nel dialogo interreligioso i cristiani e gli altri sono invitati ad “approfondire il loro impegno religioso e a rispondere, con crescente sincerità, all’appello personale di Dio e al dono gratuito ch egli fa di se stesso, dono che passa sempre, come lo proclama la nostra fede, attraverso la mediazione di Gesù Cristo e l’opera del suo Spirito” (DA 40). Secondo il gesuita belga l’impatto salvifico di Gesù Cristo, che è costitutivo per la salvezza, lascia spazio ad altre ‘figure salvifiche’ e tradizioni religiose, poiché Dio è presente ed attivo per mezzo del suo Verbo e del suo Spirito.. Il Regno di Dio, che è più ampio della chiesa, è destinato ad essere costruito dai cristiani e dagli altri. Il dialogo, che implica l’apprendimento di nuove verità, costituisce un’espressione autentica della missione della chiesa, anche se non la esaurisce “continuando a rimanere lo spazio – ove Dio lo voglia – per invitare gli altri a divenire discepoli di Gesù nella chiesa. Tutto si tiene, e tutto va preso nella sua globalità: ogni altra cosa si regge o cade con la cristologia – costitutiva o meno”[31]. Come i cristiani sentono l’esigenza di far conoscere agli latri la gioia di seguire Cristo, questo avviene anche per le altre religioni: “Non dovrebbe essere sorprendente, ma del tutto normale, che anche i seguaci delle altre religioni possano desiderare sinceramente di condividere la loro fede. Ogni dialogo implica la reciprocità e mira a liminare la paura e l’aggressività” (Dialogo e annuncio n. 83). Il dialogo interreligioso si declina come impegno per la giustizia e la pace. Esso non implica il venir meno alla propria identità religiosa. Il dialogo interreligioso può essere intrapreso con onestà soltanto nell’integrità della propria fede che non è negoziabile. Il dialogo interreligioso non ammette il sincretismo che, ricercando un terreno comune, tenta di scavalcare le contraddizioni tra le fedi.;  non ammette neppure l’eclettismo che, per la ricerca di un denominatore comune tra le fedi, ne sceglie alcuni elementi sparsi combinandoli in modo informe e incoerente. Le contraddizioni tra le fedi vanno affrontate con pazienza e in modo responsabile. Nascondere le differenze e le possibili contraddizioni sarebbe un inganno e finirebbe con il privare il dialogo del suo oggetto, che è la ricerca della comprensione nella differenza. Nel dialogo non bisogna neppure assolutizzare ciò che è relativo, come avviene con il cristianesimo a proposito della pienezza della rivelazione in Gesù Cristo. Chiarisce l’Autore: ”Questa pienezza […] non è quantitativa, ma qualitativa: non una pienezza estensiva ed onnicomprensiva, ma una pienezza di intensità. Essa non si oppone in alcun modo alla natura limitata della consapevolezza umana di Gesù, e tanto meno, dunque, a quella della rivelazione cristiana espressa in una cultura particolare, relativa. Tale pienezza non esaurisce – né lo potrebbe – il mistero del Divino; e neppure nega la verità della rivelazione divina per mezzo delle figure profetiche di altre tradizioni religiose”[32].  Il dialogo richiede anche l’apertura alla fede dell’altro nella sua diversità. Ciascun interlocutore del dialogo deve entrare nell’esperienza dell’altro, sforzandosi di cogliere tale esperienza dall’interno; si tratta di comprensione, simpatia o empatia secondo Panikkar, dialogo intrareligioso che rende possibile quello interreligioso.Il dialogo tra le fedi, contribuisce, quindi,  alla costruzione del regno di Dio che tende al compimento escatologico, compiutezza finale del cristianesimo e delle altre religioni.

CRITICHE DA PARTE DELLA GERARCHIA / L’opera ‘Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso’ suscitò un vivace dibattito, e la Congregazione per la Dottrina della fede il 24 gennaio 2001 segnalò “notevoli ambiguità e difficoltà su punti dottrinali di rilevante portata”. Come osserva la Notificazione della Congregazione della fede “Non si tratta semplicemente di una teologia delle religioni, ma di una teologia del pluralismo religioso, che intende ricercare, alla luce della fede cristiana, il significato che la pluralità delle tradizioni religiose riveste all’interno del disegno di Dio per l’umanità. Conscio della problematica della sua prospettiva, l’autore stesso non si nasconde la possibilità che la sua ipotesi potrebbe sollevare un numero di interrogativi pari a quelli per cui proporrà delle soluzioni” (Notificazione 24 gennaio 2001). La Dichiarazione Dominus Jesus (DJ) della Congregazione per la dottrina della fede (6 agosto 2000), che da alcuni è considerata come una pietra tombale – come osserva Molari –  per la teologia del pluralismo religioso, “in realtà nel tempo ha rappresentato uno stimolo, per la serietà e il rigore con cui ha esaminato il problema e per il ripetuto invito a continuare la ricerca sulle ragioni del dialogo e il fondamento del pluralismo”[33]. Il richiamo al compito dei teologi, risuona diverse volte nel documento: “la teologia oggi, meditando sulla presenza di altre esperienze religiose e sul loro significato nel piano salvifico di Dio, è invitata a esplorare se e come anche figure ed elementi positivi di altre religioni rientrino nel piano divino di salvezza” (DJ 14). Riconosce la DJ che esistono “diverse spiegazioni teologiche su questi argomenti su questi argomenti” (DJ 18) e sollecita i teologi a continuare la riflessione per risolvere le difficoltà esistenti. Altrove riconosce con compiacenza che “la teologia sta cercando di approfondire i modi con cui la grazia giunge ai non cristiani e si dice che “tale lavoro teologico va incoraggiato, perché è senza dubbio utile alla crescita della comprensione dei disegni salvifici di Dio e delle vie della loro realizzazione” (DJ 21).

Dopo le critiche del magistero, Dupuis ha ripreso le sue tesi in forma più organica, pubblicando il volume ‘Il cristianesimo e le religioni. Dallo scontro all’incontro’ (2001), che ha un orientamento più pastorale; ha sviluppato una riflessione che consente di arrivare a una valutazione teologica più positiva e serena delle religioni mondiali. Egli si chiede: “il compito della teologia in questo contesto consiste nel domandarsi se il pluralismo religioso, che caratterizza il mondo presente, può avere o meno un significato positivo nell’unico piano salvifico di Dio per l’umanità. Se cioè la fede cristiana in Gesù Cristo, salvatore universale dell’umanità, è compatibile con l’affermazione di un ruolo positivo di altre tradizioni religiose nel mistero della salvezza dei loro seguaci”[34]. L’autore belga parte dal fondamento cristologico, trinitario, pneumatologico della rivelazione biblica, conferma la prospettiva di un rapporto complementare, reciproco ma asimmetrico, tra la tradizione cristiana e le altre tradizioni religiose, poiché anche in esse ci sono elementi di verità e di grazia. In base a questo fondamento è possibile la condivisione di valori salvifici e ci può essere un autentico dialogo interreligioso, che è fonte di arricchimento reciproco, in quanto il piano salvifico di Dio trascende le varie teologie e tesi dogmatiche, perché Dio è più grande del nostro cuore (cf. 1Gv 3,20). In quest’opera Dupuis prende decisamente le distanze dal relativismo interreligioso, che porta al rifiuto aprioristico del cristocentrismo, cioè del significato salvifico universale della persona e dell’evento Gesù Cristo, come confessato dalla fede cristiana. Il tentativo di Dupuis è quello di articolare in modo dialettico il cristocentrismo della fede cristiana, Gesù Cristo Salvatore universale di tutta l’umanità, e il valore salvifico delle altre tradizioni religiose, perché esse fanno parte dell’unico piano divino. Egli ribadisce la tesi del pluralismo religioso di principio, senza mettere in crisi il cristocentrismo (Gesù Cristo è il Salvatore costitutivo dell’umanità, è l’evento-causa di salvezza di tutti gli uomini), perché tale affermazione non  “impedisce che le altre tradizioni religiose possano, nel quadro del disegno divino per l’umanità, servire da ‘mediazione’ del mistero di salvezza in Gesù a favore dei loro seguaci”[35]. Il pluralismo religioso di principio rientra nel progetto salvifico di Dio, è previsto in esso, è un dono di grazia (un evento pneumatologico), non una realtà che va semplicemente accettata o tollerata. Il fondamento teologico del pluralismo consiste nel fatto che la storia della salvezza abbraccia tutta la storia dell’umanità, ed ha un fondamento biblico (alleanza con Adamo e Noè): “E’ salvezza nella storia e attraverso la storia intera. Dio ha stretto diverse alleanze con l’umanità nella storia, prima che stringesse un’ ‘alleanza nuova’ con essa in Gesù Cristo. Queste diverse alleanze, in Adamo e in Noè, come pure in Abramo e Mosè, sono nella provvidenza divina indirizzate verso quella ‘nuova’ in Gesù Cristo, senza che pur tuttavia siano state provvisorie o siano mai state abolite o revocate. Esse rimangono valide e operanti nel loro rapporto all’evento-Cristo nel quadro globale del disegno di Dio per l’umanità”[36]. L’evento cristologico ha una dimensione soteriologica universale; va collocato nel disegno divino che abbraccia la storia di tutta l’umanità (K. Rahner); esso è il centro, l’apice, il culmine, la chiave interpretativa dell’intero processo storico-salvifico. L’evento cristologico non va isolato dall’intero processo della salvezza che abbraccia tutto il mondo e tutta la storia dell’umanità; esso ha un carattere particolare, ma non impedisce l’agire universale di Dio attraverso il suo Verbo e l’azione dello Spirito Santo [il Cristo viene separato dal Logos?]. Dupuis sottolinea che il Cristo e il Verbo sono inseparabili, però nello stesso tempo occorre distinguere il Verbo divino e l’esistenza umana di Gesù, il Verbo eterno dal Verbo incarnato; l’azione del Verbo non si esaurisce nell’azione umana del Verbo incarnato, che costituisce sempre il sacramento universale dell’azione salvifica di Dio. Continua ad affermare sempre un’azione del Verbo come tale, ma ciò non significa che sia l’artefice di un’economia salvifica distinta, parallela a quella del Cristo (il Verbo incarnato. Il gesuita belga cerca, piuttosto, di affermare il primato della libertà di Dio, il primato della sua grazia che va oltre l’evento Gesù Cristo. Nell’unico progetto del Padre ci sono nuovi piani di salvezza che sono sempre in relazione al Cristo, che è l’universale concreto; la particolarità dell’evento cristologico, per l’universalità del disegno salvifico di Dio, consente una rilettura teologica del pluralismo religioso, poiché fa spazio a diversi percorsi di salvezza. Dupuis afferma anche la continuità nella discontinuità tra il Gesù della storia e il Cristo nella fede, senza negare che Gesù è il Figlio di Dio da sempre presso il Padre (identità divina, la persona di Gesù è quella del Figlio eterno). Non bisogna però mai dimenticare la discontinuità tra Gesù e il Cristo, poiché la resurrezione ha operato la trasformazione dalla condizione kenotica a quella gloriosa. Nello stesso tempo c’è la continuità fra Gesù e il Cristo, perché colui che è glorificato è colui che è morto, Gesù di Nazareth è il Cristo e viceversa[37].

QUESTIONI PROBLEMATICHE –  Dupuis non ha operato una rivisitazione, né nel volume Il cristianesimo e le religioni, né in altre pubblicazioni[38], della sua tesi secondo cui l’azione salvifica di Dio oltrepassa l’umanità anche risorta del Verbo incarnato: “La presenza inclusiva di Dio universale attraverso i secoli dell’evento-Cristo per mezzo dell’umanità risorta, diventata ‘metastorica’, del Gesù storico, la presenza operativa universale del Verbo di Dio: tutti e tre gli elementi combinano e rappresentano assieme la totalità dell’azione salvifica di Dio nei riguardi degli uomini e dei popoli”[39]. E’ stato Dio a prendere l’iniziativa nell’incontro con gli uomini, a manifestarsi, a comunicarsi all’umanità in modi diversi; le religioni sono vie o cammini di salvezza per i loro seguaci; questo percorso è stato tracciato da Dio stesso, è la sua volontà salvifica.“Non sono stati gli uomini ad essersi messi per primi alla ricerca di Dio attraverso la loro storia; è stato lui a cercarli per primo e a tracciare per loro le vie su cui incontrarlo. Se, come è stato suggerito, le religioni del mondo sono di per sé ‘doni di Dio ai popoli del mondo’, il fondamento per un pluralismo religioso di principio, come viene qui inteso, non è lontano da cercare”[40]. La questione problematica del pluralismo  religioso rimanda a quella cristologica, che richiama il nestorianesimo per quanto riguarda il rapporto tra le due nature in Cristo e la sua persona, perché accentua la distinzione o separazione tra il Logos eterno e il Gesù storico; il soggetto personale della storia di Gesù è il Verbo, non l’uomo Gesù. Il Logos si è fatto sarx; il Verbo incarnato è il sacramento universale dell’azione salvifica di Dio fino alla parusia; viene eccessivamente la distinzione/separazione tra la persona del Verbo e la natura umana di Gesù; non emerge la piena identità tra la persona del Figlio e l’umano di Gesù. Cristo si identifica con l’Assoluto in quanto è il Figlio di Dio, il Verbo eterno, non è un semplice spazio umano riempito dal divino; c’è una sorta di gnosticismo, per cui per cui la corporeità di Gesù, la sua autentica storia umana, viene svilita dal punto di vista teologico. Il Verbo di Dio assume un’autentica condizione umana, entra nella storia umana, assume una condizione kenotica; l’incarnazione (per l’unione ipostatica tra le due nature e la persona del Verbo) ha sempre un significato assoluto e universale; è l’Eterno che entra nel tempo e pone la sua dimora nel tempo. Dupuis fonda il suo discorso su Eb 1,1-2 (Dio che ha parlato molte volte e in diversi modi, anche se la pienezza di questa rivelazione è il Figlio unigenito; si rifà a Ad Gentes 9 secondo cui le varie tradizioni religiose contengono elementi di verità e di grazia; GS 22 secondo cui l’amore e la verità prendono possesso degli esseri umani nei vari modi che Dio conosce, cioè anche le varie tradizioni religiose attraverso cui opera lo Spirito Santo. Le religioni sono cammini intrapresi da Dio alla ricerca degli uomini, itinerari di salvezza; il fondamento della pluralità religiosa risiede “nella sovrabbondante ricchezza e varietà delle manifestazioni di Dio all’umanità […]. Fa parte della natura della comunicazione traboccante del Dio tripersonale all’umanità di prolungare al di fuori della vita divina la comunicazione plurale intrinseca a quella stessa vita. Il pluralismo religioso di principio si fonda, dunque, sull’immensità di un Dio che è Amore e comunicazione”[41]. [Dal Dio plurale alla pluralità delle religioni= dimensione trinitaria]. 

Dupuis approda al pluralismo di principio inclusivista o all’inclusivismo pluralista, nel tentativo di non sminuire il valore salvifico universale del Cristo e il valore salvifico positivo delle tradizioni religiose, in conformità all’unico piano di Dio per l’umanità; nonostante ciò la rivelazione del Dio amore che è uno (natura divina) e tripersonale per la sua storia d’amore (tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo / L’Amante, l’Amato e l’Amore – s. Agostino) non emerge adeguatamente nelle riflessioni del gesuita belga. Egli evidenzia l’evento costitutivo e normativo della salvezza è la storia umana di Gesù; la volontà di Dio, la sua grazia, nello stesso tempo suscita esperienze di salvezza nelle altre religioni dovute all’opera provvidenziale dello Spirito e del Verbo [il problema di fondo è cristologico / separazione tra il Verbo e Gesù).“[…] elementi di ‘verità e grazia’ divine sono operative anche al di fuori della tradizione cristiana scaturita da Gesù Cristo, pur non senza riferimento alla sua persona e alla sua opera”[42]. Le altre tradizioni religiose sono autonome da quella cristiana perché veicolano la verità e la grazia divina, non vanno considerati germi della tradizione cristiana. Nelle riflessioni di Dupuis c’è una dialettica di fondo: da una parte, l’evento Cristo conferma la grazia e la verità delle altre religioni, che è l’apice della storia salvifica, dall’altra i germi di verità e di grazia delle altre religioni confermano la salvezza operata dal Cristo. Il cristianesimo e le altre tradizioni religiose sono complementari, poiché c’è un’integrazione tra l’evento Cristo e i semi di verità presenti nelle altre esperienze religiose; c’è uno scambio, un’interazione, una condivisione di valori salvifici tra il cristianesimo e le altre fedi religiose che determina un arricchimento scambievole. Solo in questo modo ci può essere autentico dialogo fra le religioni, non uno statico monologo, un vero rapporto di reciprocità nella piena libertà; tutto ciò però sempre nell’asimmetria perché l’autocomunicazione di Dio in Gesù è trascendente. “Ciò significa che il riconoscimento di valori aggiuntivi e autonomi di verità e di grazia nelle altre tradizioni non cancella la trascendenza insuperabile della rivelazione e dell’autocomunicazione di Dio nella persona e nell’opera di Gesù Cristo. Tale trascendenza […] è fondata sull’identità personale di Gesù Cristo come Figlio di Dio fatto uomo”[43].

Dupuis sottolinea che il Cristo è la pienezza della rivelazione; le altre tradizioni religiose in lui trovano una pienezza di senso, ma senza assorbimento, perché hanno in sé un valore soteriologico  (pluralismo) non in relazione al Cristo (poiché sono emanazione del Verbo, dello Spirito / il problema è anche trinitario / fa riferimento a un Dio unico che si manifesta in forme diverse = modalismo[44]). La sua accentuazione pluralista nasce anche da un vissuto, dal suo impegno di inculturazione in India, nel confronto con l’induismo che rivendica una valenza teologica in sé, non relazione al cristianesimo. E’ però problematico sostenere che la grazia di Dio sia la fonte di nuove rivelazioni, suscitate dal Verbo e dallo Spirito, che operano in modo più vasto rispetto all’azione storica del Cristo. Dupuis non sfugge al rischio di offuscare la centralità dell’incarnazione, del mistero pasquale del Cristo, come centro della storia, dell’universo, da cui proviene ogni germe di bene a livello cosmico, universale. Non si può pensare al Verbo senza l’incarnazione, senza la storia di Gesù di Nazareth, culminata nel mistero pasquale, secondo il progetto salvifico del Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito (dinamismo trinitario). Non si può negare che Dupuis pone in risalto l’azione dello Spirito Santo, riscoperta anche dal Concilio Vaticano II nel dialogo con le chiese ortodosse, ma lo Spirito è lo Spirito del Padre e del Figlio; l’azione dello Spirito è diversa da quella del Figlio incarnato; l’azione dello Spirito è interiore e guida nella comprensione dell’opera del Figlio incarnato, secondo il progetto salvifico del Padre. L’azione dello Spirito è muta, per cui c’è bisogno della rivelazione del Figlio per poterla discernere; i suoi segni vanno letti e interpretati alla luce della Parola scritta e incarnata; lo Spirito, dono del Risorto, conduce al Cristo, che a sua volta guida verso il Padre, il cui piano salvifico è la ricapitolazione in Cristo di tutte le cose. Nessuno va al Padre senza il Cristo, il Figlio fatto uomo, perché è la via, la verità e la vita (cf. Gv 14,6); lo Spirito guida i discepoli, la chiesa alla pienezza della Verità, alla verità tutta intera (cf. Gv 16,12-13); non si può confessare che Gesù è il Signore senza l’azione dello Spirito (1Cor 12,3); lo Spirito è il testimone del Cristo, che rende capaci i discepoli di testimoniare il Maestro (Gv 15,26-27).

APPENDICE – Jacques Dupuis (Huppaye5 dicembre 1923 – Roma28 dicembre 2004). Egli entrò nella Compagnia di Gesù nel 1941. Dopo gli studi religiosi e accademici in Belgio, partì alla volta dell’India nel 1948. Per 3 anni (1948-1951) insegnò nella St. Xavier’s High-School di Calcutta, e lì scoprì l’induismo attraverso il modo con cui erano state plasmate le personalità degli allievi a lui affidati. Questa fu una scoperta – la varietà di religioni – e l’inizio di una ricerca che durò tutta la sua vita: l’auto-rivelazione di Dio necessariamente passa interamente attraverso la persona di Gesù Cristo? Dopo essere stato ordinato sacerdote a Kurseong (India) nel 1954 completò il dottorato in teologia alla Pontificia Università Gregoriana a Roma, sull’antropologia religiosa di Origene Adamantio. Fu designato ad insegnare teologia dogmatica nella facoltà gesuita di teologia di Kurseong (più tardi trasferita a Delhi e denominata Vidyajyoti College of Theology). Direttore del giornale Vidyajyoti Journal of Theological Reflection Dupuis fu anche consigliere della Conferenza Episcopale Indiana. Oltre ai numerosi articoli di carattere teologico e interreligioso, ha pubblicato nel 1973 (con Josef Neuner) una raccolta di documenti della Chiesa The Christian Faith che ha avuto sette edizioni in 20 anni, e che si è rivelato uno strumento inestimabile nell’apprendimento della Teologia per generazioni di allievi del Cattolicesimo. Nel 1984, dopo 36 anni trascorsi in India, Dupuis fu chiamato ad insegnare Teologia e Religioni non-cristiane all’Università Gregoriana di Roma. Il libro Jesus-Christ à la rencontre des religions (1989) ha conseguito un grande successo e in breve è stato tradotto in Italiano, Inglese e Spagnolo. Fu nominato direttore della rivista Gregorianum ed anche consultore del “Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso“. Tra le sue opere sono da ricordare:  The Christian Faith, Alba House New York (1973).Jesus-Christ at the encounter of World Religions (1991).Gesù Cristo incontro alle religioni, Cittadella (1992).Who do you say I am ? Introduction to Christology (1994).Towards a Christian Theology of Religious Pluralism (1997).Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Queriniana (1997). Il cristianesimo e le religioni. Dallo scontro all’incontro Queriniana (2001). Perché non sono eretico. Teologia del pluralismo religioso: le accuse, la mia difesa (Emi, 2014)Alle frontiere del dialogo. Religioni, Chiesa e salvezza (Emi, 2018)“Il mio caso non è chiuso”. Conversazioni con Jacques Dupuis (EMI, 2019), libro-intervista con Gerard O’Connell Kendall Daniel, O’COLLINS Gerald (curatori), In many and diverse ways: In Honor of Jacques Dupuis (2003). Contiene una bibliografia completa degli articoli e libri pubblicati da Dupuis.“Il mio caso non è chiuso”. Conversazioni con Jacques Dupuis (EMI, 2019), libro-intervista con Gerard O’Connell, lettura necessaria per comprendere bene la vicenda personale e teologica del teologo belga.

Lucia Antinucci

 

 

[1] Ivi 346.

[2] Ivi.

[3] Ivi 348.

[4] Ivi 351.

[5] Cf ivi 351-377.

[6] Ivi 379-380.

[7] Ivi 380.

[8] Ivi.

[9] Ivi 381.

[10] Ivi 382.

[11] Ivi 383.

[12] Ivi 411.

[13] Ivi.

[14] Ivi.

[15] Ivi 413.

[16] Ivi 443.

[17] Citato in ivi 459. Cf. Il Regno Documenti 37(1992)315-320.

[18] Cf. DUPUIS, Verso una teologia cristiana del pluralismo, 461-462; O. CULLMANN, Cristo e il tempo, 222.

[19] Cf. SCHNACKENBURG, Signoria e Regno di Dio, 305. Citato in ivi 462.

[20] Ivi.

[21] Cf. SOBRINO, Gesù in America Latina, Borla, Roma 1986, 127-151. Citato in DUPUIS, Teologia cristiana,463.

[22] Ivi 464.

[23] Ivi.

[24] Ivi 466.

[25] Ivi 473. Cf. K. RAHNER, L’appartenenza alla chiesa, 173-181.

[26] Citato  in DUPUIS, Verso una teologia cristiana, 474; K. RAHNER, Chiesa e mondo, 195-196.

[27] Cf. Puebla. Comunione e partecipazione, AVE, Roma 1979, 544.

[28] DUPUIS, Verso una teologia cristiana, 476.

[29] Ivi 478.

[30] Cf K. RAHNER, Chiesa e parusia di Cristo, 479.

[31] Ivi 501.

[32] Ivi 508-509.

[33] C. MOLARI, Teologia delle religioni e del dialogo interreligioso, p.1575, in htpps://pars-edu.it > sites > default > files > 92_Teo… (ultimo accesso il 15 febbraio 2022). Cf. anche ID., Teologia del pluralismo religioso, Pazzini 2013.

[34]Il cristianesimo e le religioni. Dallo scontro all’incontro, Queriniana, Brescia 2001, 484.

[35] J. DUPUIS, Il cristianesimo e le religioni. Dallo scontro all’incontro (2001), Queriniana, Brescia 2007, 466 [Sc 354].

[36] Ivi 467. Dupuis si rifà al cristocentrismo inclusivista (o esistensivo) di Karl Rahner, accentuando la prospettiva pluralista.

[37] Cf. DUPUIS, Il cristianesimo e le religioni, 325-334; cf. anche ID., Introduzione alla cristologia, Piemme,  Casale Monferrato (Alessandria) 1996, 85-150.

[38] Cf. J. DUPUIS, La teologia del pluralismo religioso rivisitata, in Rassegna di teologia 5 (1999) 669-693.

[39] ID., Il cristianesimo e le religioni, 467.

[40] Ivi 468.

[41] Ivi 469.

[42] Ivi 360.

[43]Ivi 361.

[44] Dottrina del IIIII secolo secondo la quale le tre persone divine sarebbero soltanto tre aspetti dell’unica divinità. È una forma del cosiddetto monarchismo, una corrente che mirava a conservare intatta ed illimitata la “monarchia” di Dio (ovvero la sua assoluta unicità), interpretando perciò la persona di Gesù Cristo come un essere umano che ospitava in sé la forza divina.

 

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