I FARISEI

J. Sievers – A.-J. Levine (curr.), I farisei. Con il discorso rivolto da papa Francesco ai partecipanti del Convegno, GB Press – Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) – Roma, 2021, pp. 430, euro 45.

Un detto della tradizione araba, in lingua italiana, recita così: “Chi passa al setaccio rimane setacciato”, quasi a voler mettere in guardia dalla presunzione di risolvere una questione in tutta la sua complessità ermeneutica, in questo caso filologica e storiografica, legata alla figura-categoria dei farisei. Infatti, il presente saggio raccoglie i risultati delle ricerche ancora aperte di un team internazionale di studiosi sui farisei, la cui vera identità sfugge di mano. A prendere parola sono studiosi ebrei, cristiani delle diverse confessioni e filologi molto apprezzati in ambito biblico e storico. Sono raccolti ben venticinque contributi che spaziano su più fronti: dall’interpretazione del nome “fariseo” alla ricerca delle loro origini; dai richiami di Qumran alle questioni di purità alla luce dell’archeologia biblica; dalla scarsa considerazione che Flavio Giuseppe aveva dei farisei alla storia di Paolo, il fariseo perfettamente giusto, fino all’indagine matteana che contiene la ben nota polemica contro i farisei al capitolo 23. Alcuni contributi, poi, si spingono molto più in avanti: considerano la figura dei farisei negli altri vangeli, il loro rapporto con le primitive comunità cristiane e i padri della Chiesa e con il giudaismo rabbinico precedente, contemporaneo e successivo, fino a Lutero (che considera i farisei come il massimo esempio di vita vissuta secondo la Legge) e a Calvino (che vede nei farisei degli interpreti che corrompono la Scrittura anche se dagli antichi erano considerati con massima stima, quasi una setta), dando uno sguardo alla ricerca moderna sui farisei e alla loro presenza nell’arte e nella filmografia (da segnalare il trittico del Vangelo secondo Matteo di Pasolini, del Gesù di Nazareth di Zeffirelli e del Jésus de Montréal di Arcand), senza trascurare la loro valutazione nei libri di testo di religione cattolica, considerando le attuali linee guida della Chiesa cattolica e delle altre Chiese su come parlare di ebrei e di ebraismo, riconoscendo il pregiudizio storico, nonché uno stereotipo comune da parte di molte comunità non solo cristiane sulla figura dei farisei considerati come ipocriti, falsi e nemici di Cristo.

Si prende atto che gli argomenti etimologici per definire il termine “fariseo” non sono sempre attendibili e producono una varietà d’interpretazioni: “separati”, “chiarificatori”, “coloro che spiegano”, “separatisti”, ecc… Nella migliore delle ipotesi, gli stessi dizionari del XX secolo riconoscono che il significato etimologico di “fariseo” è poco chiaro e che la glossa corretta per parisha (aramaico) è semplicemente “fariseo”, senza ulteriori commenti. «Sebbene il nome fariseo avesse un significato lessicale originale, oggi quel significato è andato perduto. L’interpretazione “separto”, così spesso ripetuta, obbliga a farsi la domanda: “sperato da che cosa o da chi?”» (p. 39). Attualmente, tra gli studiosi, l’attenzione non è posta primariamente all’etimologia o al dato filologico, bensì al contesto storico-sociale e cultural-religioso in cui tale termine appare e soprattutto in rapporto all’insegnamento di Gesù. Resta altresì difficile datare l’apparizione storica dei farisei anche approssimativamente, pure se il periodo della loro presenza è indicato tra il VI secolo e il I secolo d.C. Si prende atto, come dato oramai acclarato, che i Vangeli presentano in vari modi i farisei come un importante gruppo giudaico in opposizione a Gesù e ai suoi seguaci. Si sa che i singoli ritratti dei farisei variano a motivo dei concetti narrativi dei testi. «In generale, la relazione tra Gesù e i farisei viene presentata sullo sfondo delle comunità cristiane dopo il 70 e.c. Allo stesso tempo, i vangeli lasciano trasparire una conoscenza dei farisei del periodo precedente, corroborata da Flavio Giuseppe e dagli scritti di Qumran. Le raffigurazioni dei farisei nei vangeli sono, quindi, in gran parte storicamente plausibili, sebbene alcuni elementi non si adattino a un ritratto storico. Le rappresentazioni dei vangeli sinottici sollevano la questione se i farisei abbiano svolto un ruolo attivo nella Galilea di Antipa, o se la loro presenza in questa regione sia stata provocata dall’attività di Gesù» (p. 234).

Ciò che separa i farisei da Gesù è lo stretto legame tra i farisei di Gerusalemme e la politica giudaica di quel tempo, mentre Gesù e i suoi seguaci erano di origine galilaica, e la Galilea rurale era il centro principale dell’attività di Gesù. Così pure, la struttura organizzativa dei farisei differiva da quella del movimento di Gesù. Probabilmente, almeno in parte, i farisei erano organizzati in confraternite, mentre il movimento di Gesù era costituito da un gruppo di carismatici erranti che condividevano con lui lo stile di vita da profeta itinerante partecipando alla proclamazione del regno di Dio, alle sue condivisioni della tavola, alle guarigioni e alla sua attenzione ai poveri (cf. pp. 234-236).

Bisogna prendere atto che, nel tempo, i farisei sono stati associati agli ebrei, fino ad incarnare il male e a favorire l’antisemitismo. Amy-Jill Levine, nel suo contributo Predicare e insegnare i farisei (pp. 383-405), dichiara: «Nonostante i progressi storici ed esegetici, nel mondo cristiano la predicazione e l’insegnamento continuano a descrivere i farisei come xenofobi, moralisti, elitari, amanti del denaro, criticoni, ipocriti, ciechi. Poiché “fariseo” è stato, fino ad oggi, generalmente inteso come riferentesi a “tutti gli ebrei”, le caratterizzazioni anti-farisaiche si estendono di conseguenza agli ebrei di tutte le epoche e in tutto il mondo. Sebbene le fonti rabbiniche e patristiche conoscano distinzioni tra i farisei e i maestri ebrei postbiblici, e sebbene i rabbini non si autoidentifichino come farisei, la connessione tra le opinioni che i Vangeli e gli Atti attribuiscono ai farisei e quelle che i rabbini rivendicano per se stessi, garantisce la fusione: i farisei sono i rabbini, i rabbini rappresentano l’ebraismo, quindi tutti gli ebrei sono farisei» (p. 383).

Omelie e studi antigiudaici attraversano il panorama cristiano ancora oggi, proprio a partire dall’identificazione tra farisei ed ebrei; questo è segno di un bisogno ulteriore di formazione al dialogo e di rispetto per l’ebraismo che, in ambito cristiano, non è ancora maturato. A non tutti è noto che, molto probabilmente, la presenza dei farisei nei Vangeli è influenzata in parte dalle polemiche più tardive tra cristiani ed ebrei. «Il passaggio dallo “scriba” di Marco al “fariseo” di Matteo, oltre alla riscrittura matteana della pericope riguardante il grande comandamento, ne è un esempio; l’aggiunta, da parte di Matteo, dei farisei e dei sadducei nella predicazione di Giovanni Battista, ne è un altro» (p. 402). C’è bisogno, per gli omileti e i predicatori e gli stessi operatori pastorali, di un maggior approfondimento esegetico e storico-critico, soprattutto dinanzi a certe pagine dei Vangeli che radicalizzano la polemica tra Gesù e i farisei, come ad esempio in Mt 23, «con il suo “Guai a voi, scribi e farisei”, omileti e insegnanti potrebbero spiegare, tra l’altro, la tendenza a collocare le persone giuste su di uno standard più elevato […]. Dato che il linguaggio anti-farisaico creerà ancora problemi, gli omileti possono limitare in qualche modo il problema rilanciando queste invettive contro i membri della Chiesa e non semplicemente contro il clero. I farisei non sono clero; sono leader laici che si impongono uno standard elevato» (p. 398). Ciò vale anche per Gv 8,3 ove si parla della donna sorpresa in adulterio e la posero in mezzo. L’omileta o l’insegnante «potrebbero iniziare notando che gli accusatori della donna non sono sul punto di lapidarla. Essi non stanno portando pietre, e il tempio non è un luogo dove avvengono processi ed esecuzioni. L’omileta potrebbe segnalare la tendenza farisaica ad usare “clemenza nelle punizioni” e i successivi tentativi rabbinici di abrogare la pena di morte […]. Una buona omelia farebbe piuttosto sollevare domande morali: Cosa deve fare la comunità se un membro pecca? Come deve essere riconciliato il peccatore?» (p. 398).

[Edoardo Scognamiglio]

 

 

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