Y. Pallavicini, Contemplare Allâh. Regole sulla Via interiore di maestri musulmani, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2021, pp. 313, euro 24.
L’autore e il curatore di questo saggio dedicato ai maestri spirituali musulmani (qui presentati grazie anche al contributo di altri studiosi) è ben noto a un vasto pubblico: è imam nella moschea di Milano, già presidente della Comunità religiosa islamica d’Italia, zelante sostenitore del dialogo islamo-cristiano e della fratellanza umana e, per questo sogno universale, impegnato a livello internazionale, culturale e non solo socio-religioso ma anche civile e politico per il rispetto della libertà religiosa nel mondo. Nella breve premessa, Pallavicini descrive i tratti essenziali del monaco di Allâh, ponendo a confronto stili letterari e poetici, mistici e spirituali abbastanza variopinti e complessi, indagando vissuti eterogenei per epoche e regioni del mondo, nella consapevolezza che ogni monaco «appartiene anche alla specificità del suo tempo, del suo spazio e del suo “monastero”, condizione che i maestri del tasawwuf, il sufismo, chiamano “essere figli dell’istante”, in cui l’istante è inteso come attimo di questo mondo ricollegato e riassorbito con l’eterno dell’Altro mondo» (p. 9).
I mistici sono viaggiatori sulla “Via”, nell’obbedienza alle regole del proprio ordine contemplativo, con caratteri propri e personalità variegate che si plasmano in funzione di esigenze e prove spirituali che Allâh ispira a coloro che hanno risposto alla sua chiamata. «Per qualcuno il monastero può essere l’angolo di una camera […], per altri […] il mondo intero. Ciò che importa sono le stazioni di permanenza spirituale, i gradi della vittoria e della vicinanza all’Identità divina nei suoi velamenti progressivi. Rispetto a queste stazioni, il monaco è costretto a riconoscere i gradi degli attributi di Allâh, passando da un livello superficiale dell’Amato a un livello intimo dell’Amato e, successivamente, intuire e approfondire altri aspetti utili al suo progresso spirituale fino alla stazione ultima, quella dell’Uomo Universale. Dunque, l’identità del monaco nell’islam o meglio dell’iniziato alla disciplina della contemplazione integrale è la veste esteriore che egli assume per estinguere se stesso nel servizio coerente con la dottrina del suo ordine e con le indicazioni del suo maestro» (pp. 9-10). Questa identità è funzionale o ascendente alla quale s’affianca quella discendente o d’irradiamento che è la facoltà di alcuni discepoli e maestri, nell’itinerario spirituale, di testimoniare la ricaduta di intuizioni intellettuali e conoscenze spirituali a beneficio del ricordo di Allâh per i propri compagni e per l’umanità di ogni tempo (cf. pp. 10-11).
Il cuore della via spirituale nei maestri sufi è il ricordo di Allâh che «si conclude nell’invocazione del suo santo nome passando dalla stazione della santità o della conoscenza sacra, dalla concentrazione nell’ascesi, dal patto con un maestro di un metodo di ricerca spirituale e dalla coerenza costante al carattere di un combattimento interiore ed esteriore, maggiore e minore» (p. 22). Se “il Santo” è uno dei novantanove più bei nomi di Allâh, che è il Santo per eccellenza, i santi sono gli amici di Allâh, coloro che suscitano il ricordo di Allâh. La santità nell’islam «è la forma più elevata di relazione con la Creazione da parte di colui che giunto ad Allâh. L’essenza della santità risiede nella conoscenza di Allâh, una conoscenza sovrarazionale, dove incommensurabilità e ineffabilità danno vita e pregnanza a ogni azione esteriore. La conoscenza delle realtà spirituali è consustanziale alla santità, che altrimenti sarebbe nulla» (p. 21).
Nel breve ma inteso capitolo dedicato a Vedere il volto di Allâh (pp. 23-29), Pallavicini fa riferimento alla visione del Vero o della Verità, pur sapendo che il volto di Allâh (“Luce su Luce” al quale nulla gli è pari) è, da una parte inaccessibile, ma dall’altra è più vicina a noi di noi stessi: «I maestri parlano di questo viaggio partendo dal verbo “vedere”. Raggiungere la visione del volto di Allâh prevede come condizione che si impari a vedere, a vedere veramente, a vedere il Vero, la Verità. La visione del Vero è, di fatto, l’unica vera visione, non essendoci altra visione se non quella della Verità che si manifesta tramite i segni di Allâh sulla terra e in noi stessi. È pur vero che l’uomo può trovarsi nella condizione di essere cieco, cioè di non potere o non volere vedere. In questo secondo caso, l’uomo non vuole riconoscere in ciò che vede la visione della Verità del segno di Allâh. Allâh ha contemplato quindi queste due possibilità per l’uomo: la vista e la sua assenza, la visione e la mancanza di visione, la cecità. Inoltre, Allâh ispira all’uomo anche il modo in cui sviluppare una visione a diversi livelli: c’è una visione superficiale, una visione simbolica […] e c’è una visione sottile che permette di intuire ciò che non è immediatamente visibile ma che partecipa, a un grado superiore, della Verità. Rimanere fuori da questa visione significa rimanere ciechi nei confronti di tutti questi livelli di percezione della Verità. Invece, colui che cerca il volto di Allâh non si accontenta di cogliere il suo segno nelle cose, non si accontenta di percepire il significato nascosto delle cose, ma cerca di conoscerne l’Origine. Prescindendo, se possibile, dalle cose stesse, il musulmano cerca di conoscere il suo Signore tramite la visione del suo volto» (pp. 23-24). Per i maestri musulmani, la ricerca del volto di Allâh è un percorso di realizzazione spirituale e avviene attraverso un processo di realizzazione progressiva che porta a vedere Dio in tutte le cose e sopra tutte le cose come Realtà assoluta. «Per scoprire, raggiungere e conoscere la Realtà del volto di Allâh bisogna imparare a riconoscerne i segni nelle realtà delle cose del mondo e durante la vita» (p. 25). Allâh parla all’uomo attraverso il velo della sua stessa misericordia, rendendosi così accessibile anche se per molti maestri spirituali la visione del volto di Allâh è possibile solo metaforicamente e come stimolo per il progresso spirituale. «Il credente illuminato dalla luce del volto di Allâh scopre che c’è soltanto il volto di Allâh che si riflette perfettamente nei tratti dell’universo in tutta la sua ampiezza e in tutta la sua dinamicità; egli vede tutta la manifestazione illuminata dalla luce del volto di Allâh quando non vede più nulla, e non viene neppure più visto dal suo Signore, perché c’è solo il volto di Allâh che vede se stesso […]. Il volto di Allâh secondo la tradizione islamica è la Realtà essenziale delle cose […]. Il volto di Allâh rappresenta la Verità inerente alla manifestazione, ma che non dipende dalle forme della Creazione. Per i maestri musulmani il volto di Allâh è ciò che sottende i veli di luce che costituiscono la Rivelazione senza essere un aspetto antropomorfico o fisiognomico di Allâh» (p. 29). La perfezione spirituale (l’ihsân) è adorare Allâh «come se tu lo vedessi perché anche se tu non lo vedi, lui ti vede» (p. 28).
Ancora una volta si conferma che la via mistica è un percorso privilegiato per il dialogo islamo-cristiano e per il confronto spirituale con le altre tradizioni religiose: il credente di qualsiasi fede non può non aprirsi a una dimensione altra, trascendente, che segna nell’amore tutto il suo vissuto umano, sociale, culturale e religioso, nel nome dell’unico Dio.
Il testo raccoglie stralci di poesie, commenti e componimenti letterari di mistici, sufi e maestri musulmani di grande levatura spirituale. Tra i tanti, segnaliamo il poeta persiano Jalâl al-dîn al-Rûmi, vissuto e scomparso in Turchia nel XIII secolo (1207-1273), le cui parole sull’amore sono senza precedenti per profondità e spessore spirituale: «Quando vedi amore in te stesso, fai in modo di aumentarne lo sviluppo! Quando vedi in te stesso il tuo capitale – la tua ricerca di Allâh –, incrementa il valore, pregando e chiedendo! Nel movimento c’è una benedizione certa. Se non investi sul tuo capitale, questo ti abbandonerà» (p. 184). Jalâl al-dîn al-Rûmi «ci insegna a riconoscere ancora un paradosso o un’apparente contraddizione nell’Amore: l’Unità nella molteplicità. C’è solo la fame o la sete ma anche una molteplicità di cibi e bevande. Gli oggetti dell’Amore sono molteplici ma sono tutti veli che rivelano e svelano il volto di Allâh. Eppure è necessario procedere al di là dei molteplici veli per scoprire un livello più puro e più intimo e più vicino all’Unico Re del Cuore. Proprio come i gradini della scala vanno percorsi uno dopo l’altro per arrivare alla cima, allo stesso modo il sûfi deve progredire per svelamenti progressivi senza poter mai scegliere nessun velo come meta e senza poter evitare il gradino o la scala o la prova del maestro se vuole ampliare ed elevare la sua conoscenza interiore dell’Amato» (p. 185).
La conclusione è affidata a ‘Abd al-Haqq Guiderdoni, studioso e ricercatore del rapporto tra scienza e religione dal punto di vista islamico, che s’interroga sull’attualità del messaggio dei maestri spirituali. In gioco c’è, oggi, proprio la spiritualità, ossia il «lavoro dello Spirito in noi» (p. 287), quel «“Soffio” (rûh) di Allâh posto dal Creatore in Adamo nell’istante della Creazione. Il Soffio divino ci porta alla vita, ci mantiene all’esistenza, e costituisce la possibilità posta in noi da Allâh di conoscere il nostro Signore, se la nostra anima accetta di lasciarsi trasformare da lui […]. Una vita realizzata spiritualmente è ben differente da una vita che sia soltanto compiuta in modo personale» (pp. 287-288; 290). Che cosa, dunque, ci resta da fare oggi? La risposta è semplice ma non scontata: mettere in pratica, con modestia e fiduciosa saperanza, la via di rettitudine, di azione di grazia, del compagnonaggio del Maestro, dei fratelli e delle sorelle (il cui amore ed esempio sono di sostegno e di testimonianza) tracciata dai maestri spirituali.
[Edoardo Scognamiglio]
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