Annunciare insieme ecumenicamente il Vangelo rende credibile la missione evangelizzatrice. La vocazione cristiana nasce dal dono della fede, a cui si risponde con il ‘si’ in totale libertà, risposta che matura nel percorso della vita, affrontando anche momenti di crisi e di stanchezza. La fede cresce attraverso l’ascolto della Parola, che va approfondita sempre più e tradotta in vita. Tutti noi battezzati siamo chiamati ad acquisire sempre maggiore familiarità con la Parola, che deve alimentare il nostro percorso quotidiano di vita. Il dono ricevuto gratuitamente va comunicato agli altri, in obbedienza al mandato che Cristo ha affidato alla sua chiesa di annunciare il Vangelo a tutte le genti. Non si tratta di fare proselitismo. E’ doveroso il rispetto della libertà di coscienza, della libertà religiosa di tutti. Si tratta, invece, di testimoniare con la vita e con la parola il Vangelo liberante del Cristo, il Vangelo della misericordia e della compassione che si deve tradurre in gesti concreti. I gesti compassionevoli sono già evangelizzanti di per sé, in quanto testimoniano l’amore di Cristo per coloro che vivono il disagio, la povertà, la malattia etc.[2]. Questa è una responsabilità di tutti i battezzati, però la chiesa, che è caratterizzata dall’unità nella diversità, realizza questo mandato attraverso vari carismi e ministeri. Diverso è il ruolo dei pastori della chiesa (presbiteri, diaconi, vescovi), ma nella chiesa cattolica a partire dal Concilio Vaticano II è andata maturando sempre più la consapevolezza del ministero profetico di tutti i battezzati. Per la chiesa cattolica i laici hanno il ruolo insostituibile di animare evangelicamente il mondo, cioè di realizzare l’evangelizzazione indiretta (particolarmente con la testimonianza, la carità, la cultura etc.) nella società laica e pluralista[3], l’evangelizzazione della cultura globalizzata[4].
La chiesa cattolica con il Concilio ecumenico Vaticano II ha riscoperto anche il prezioso contributo dei laici[5] per la crescita della chiesa nella maturazione della fede, nella familiarità e approfondimento della Parola. E’ il caso, ad esempio, del ministero del catechista “che si ricollega a quello di uomini e donne che nella chiesa antica “venivano riconosciuti come evangelisti, profeti e maestri”, come affermato dall’arcivescovo Rino Fisichella presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione nella conferenza stampa di presentazione del Motu proprio[6]. Papa Francesco ha trasformato quello del catechista da ministero di fatto in ministero istituito[7] con la Lettera apostolica in forma di Motu Proprio “Antiquum ministerium” del 10 maggio 2021. Non bisogna dimenticare, come ha affermato Mons. Fisichella, “che in diverse regioni dove la presenza dei sacerdoti è nulla o rara, la figura del catechista è quella di chi presiede la comunità e la mantiene radicata nella fede”[8]. E’ un ministero che assume maggiore ufficialità, per cui si richiede un serio discernimento e una maggiore qualificazione. ll Motu proprio al n. 8 evidenzia che i futuri catechisti e catechiste dovranno ricevere una solida preparazione “biblica, teologica, pastorale e pedagogica per essere comunicatori attenti della verità della fede, e che abbiano già maturato una previa esperienza di catechesi”. E’ importante – a mio avviso – anche la dimensione ecumenica della preparazione a tale ministero.Continua il Motu proprio: “Non ci si improvvisa catechisti, perché l’impegno di trasmettere la fede, oltre alla conoscenza dei contenuti, richiede il prioritario incontro personale con il Signore. Chi svolge il ministero di catechista sa che parla a nome della Chiesa e trasmette la fede della Chiesa. Questa responsabilità non è delegabile, ma investe ognuno in prima persona”. L’arcivescovo Rino Fisichella sottolinea che non tutti coloro che attualmente sono catechisti potranno accedere al ministero istituito. L’istituzione di questo ministero, non comporta alcuna forma di clericalizzazione ma piuttosto di valorizzazione dei carismi laicali, unitamente a quello dell’accolitato e del lettorato[9]: “Il Catechista, infatti, è chiamato – si evidenzia nel Motu proprio – in primo luogo a esprimere la sua competenza nel servizio pastorale della trasmissione della fede che si sviluppa nelle sue diverse tappe: dal primo annuncio che introduce al kerygma, all’istruzione che rende consapevoli della vita nuova in Cristo e prepara in particolare ai sacramenti dell’iniziazione cristiana, fino alla formazione permanente che consente ad ogni battezzato di essere sempre pronto ‘a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza’ (1 Pt 3,15). Il Catechista è nello stesso tempo testimone della fede, maestro e mistagogo, accompagnatore e pedagogo che istruisce a nome della Chiesa. Un’identità che solo mediante la preghiera, lo studio e la partecipazione diretta alla vita della comunità può svilupparsi con coerenza e responsabilità”[10]. In base al Motu proprio il ministero del catechista “è un servizio stabile reso alla Chiesa locale secondo le esigenze pastorali individuate dall’Ordinario del luogo, ma svolto in maniera laicale come richiesto dalla natura stessa del ministero. È bene che al ministero istituito di Catechista siano chiamati uomini e donne di profonda fede e maturità umana, che abbiano un’attiva partecipazione alla vita della comunità cristiana, che siano capaci di accoglienza, generosità e vita di comunione fraterna, che ricevano la dovuta formazione biblica, teologica, pastorale e pedagogica per essere comunicatori attenti della verità della fede, e che abbiano già maturato una previa esperienza di catechesi[11] . È richiesto che siano fedeli collaboratori dei presbiteri e dei diaconi, disponibili a esercitare il ministero dove fosse necessario, e animati da vero entusiasmo apostolico”.
Un altro ministero della Parola molto importante nella chiesa è quello del teologo che riguarda sia i presbiteri che i laici, donne e uomini. La teologia promuove un approfondimento scientifico, critico, sistematico della fede, nel confronto dialogante con le correnti di pensiero contemporaneo, con una revisione ermeneutica del patrimonio della tradizione del passato. E’ molto importante che la teologia, come indicato anche dal Magistero della chiesa cattolica, manifesti una dimensione ecumenica in tutte le discipline. Anche la riflessione teologica deve avere una chiara apertura ecumenica (cf. UR 10). La Charta Oecumenica (CO) al n. 3 propone questi impegni: “Ci impegniamo § a superare l’autosufficienza e a mettere da parte i pregiudizi, a ricercare l’incontro reciproco e ad essere gli uni per gli altri; § a promuovere l’apertura ecumenica e la collaborazione nel campo dell’educazione cristiana, nella formazione teologica iniziale e permanente, come pure nell’ambito della ricerca”. Il Card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, nel 2019 ha tenuto una conferenza sul tema ‘La dimensione ecumenica della formazione teologica’. Egli ha affermato che la teologia nel suo complesso “assolve il proprio compito e la propria missione ecclesiale soltanto se si pone al servizio della ricomposizione dell’unità della Chiesa, e se vi apporta il suo insostituibile contributo. Questo potrà avvenire soltanto se, da un lato, le facoltà di teologia offriranno corsi specifici di teologia ecumenica e se, dall’altro, le singole discipline cureranno ed approfondiranno la loro dimensione ecumenica. Di fatti, la formazione ecumenica è la garanzia grazie alla quale l’ecumenismo potrà essere considerato, anche in futuro, come un sacro dovere, ed il movimento ecumenico potrà raggiungere il suo obiettivo, consistente nell’unità visibile in una pluralità riconciliata”. La CO ci invita a realizzare il ministero profetico in modo ecumenico proponendo i seguenti impegni: “far conoscere alle altre chiese le nostre iniziative per l’evangelizzazione e a raggiungere intese in proposito, per evitare in tal modo una dannosa concorrenza ed il pericolo di nuove divisioni”. Non si può negare che sono stati realizzati progressi in tal senso, superando competizioni confessionali e proselitismi e attuando il rispetto reciproco. Resta però ancora molto da fare, senza perdere ovviamente la propria identità cristiana,per migliorare la situazione, perché in certi ambienti, chiusi in se stessi, c’è resistenza all’apertura ecumenica. La CO ci suggerisce anche questo impegno: “riconoscere che ogni umano può scegliere, liberamente e secondo coscienza, la propria appartenenza religiosa ed ecclesiale. Nessuno può essere indotto alla conversione attraverso pressioni morali o incentivi materiali. Al tempo stesso a nessuno può essere impedita una conversione che sia conseguenza di una libera scelta”. Occorre chiedersi se ancora attualmente si nutrano pregiudizi oppure ostilità nei confronti di coloro che con un serio discernimento decidono di cambiare confessione cristiana. L’evangelizzazione si realizza anche con l’andare l’uno incontro all’altro. E’questo il discorso sulla fraternità nella chiesa. La chiesa, come già detto, è caratterizzata dall’unità nella diversità, dall’interazione fra vari carismi e ministeri. Ci sono coloro che mostrano impazienza nei confronti del rinnovamento, mentre ci sono coloro che procedono con molta cautela. Bisogna rispettare i tempi dei nostri fratelli, dando sempre il primato alla carità. Occorre accogliere con gioia ed umiltà i doni delle sorelle e dei fratelli, senza competizioni, protagonismi, ma sentendosi umilmente tutti, anche se attraverso strade diverse, a servizio del regno di Dio. Nelle nostre comunità possono nascere incomprensioni, e le diversità possono portare a conflitti e divisioni. E’ necessario un cammino di riconoscimento degli errori commessi, delle nostre fragilità, per realizzare la riconciliazione. Non bisogna mai puntare il dito contro coloro che nelle nostre comunità sono più fragili, oppure vivono momenti di crisi. Nessuno può sentirsi superiore agli altri, perché siamo tutti bisognosi della misericordia del Padre, e questo dono dobbiamo poi condividerlo con i nostri fratelli. “La fraternità è possibile e la famiglia rinasce se ci si viene incontro, ossia passando per il desiderio di comunione, dando spazio ai sentimenti, alla voglia di abbracciarci. Abbiamo bisogno non solo di fare i primi passi per andare incontro all’altro – mettendo da parte rancori e pregiudizi – ma anche di reciprocità, ossia che l’altro – il fratello, il figlio, o sia l’amico o il vicino di casa -, si muova verso di noi, vincendo anch’egli il suo orgoglio. Solo così si riallacciano relazioni perdute e si smuovono i cuori […]” (E. Scognamiglio).
Il rapporto di fraternità non riguarda solo le sorelle e i fratelli della propria comunità o confessione cristiana, ma va estesa in senso ecumenico. Ci ritroviamo assieme per ascoltare e riflettere sulla Parola, per lodare e ringraziare il Signore, per implorarlo affinché siano risanate tutte le ferite dell’umanità, perché cessino guerre, violenze, ingiustizie, perché abbia termine questa terribile pandemia. Ci ritroviamo assieme per fare una programmazione ecumenica. In tali incontri emergono le diversità delle tradizioni cristiane, delle sensibilità personali. Occorre accogliere le diversità di tradizioni come un dono; ci possono essere, però, anche incomprensioni, per cui occorre sempre promuovere un cammino di riconciliazione. Questi sono i rapporti fraterni che scaturiscono dalla koinonia fondata sulla condivisione del battesimo, della fede cristologica e trinitaria, dell’appartenenza all’unica chiesa di Cristo, con la diversità delle tradizioni confessionali, e nonostante che l’unità visibile non sia ancora completa.
La fraternità si manifesta anche il linguaggio ecumenico. Nell’enciclica di Giovanni Paolo II Ut unum sint (1995) al n. 42, facendo riferimento ai frutti del dialogo ecumenico, si sottolinea che “i cristiani appartenenti ad una confessione non considerino più gli altri cristiani come nemici o stranieri, ma vedano in essi dei fratelli e delle sorelle. D’altro canto, persino all’espressione fratelli separati, l’uso tende a sostituire oggi vocaboli più attenti ad evocare la profondità della comunione […]. Si parla degli ‘altri cristiani’, degli ‘altri battezzati’, dei ‘cristiani delle altre Comunità’. […] Tale ampliamento del lessico traduce una notevole evoluzione delle mentalità. La consapevolezza della comune appartenenza a Cristo si approfondisce. […] La ‘fraternità universale’ dei cristiani è diventata una ferma convinzione ecumenica”. L’enciclica evidenzia anche delle concrete realizzazioni ecumeniche: “Relegando nell’oblio le scomuniche del passato, le Comunità un tempo rivali oggi in molti casi si aiutano a vicenda; a volte gli edifici di culto vengono prestati, si offrono borse di studio per la formazione dei ministri delle Comunità più prive di mezzi, si interviene presso le autorità civili per la difesa di altri cristiani ingiustamente incriminati, si dimostra l’infondatezza delle calunnie di cui sono vittime certi gruppi. In una parola, i cristiani si sono convertiti ad una carità fraterna che abbraccia tutti i discepoli di Cristo” (n 42).
La fraternità si deve poi allargare alle relazioni con le sorelle e i fratelli della varie religioni, a cominciare dai nostri fratelli gemelli che sono gli ebrei. La fraternità si apre a tutte le donne e gli uomini che sono alla ricerca della verità, che hanno sete dell’Assoluto, che condividono i valori umani e sociali. Il 4 febbraio 2021 Papa Francesco nel corso del videomessaggio registrato in occasione della Prima Giornata Internazionale della fratellanza umana per un incontro virtuale, al quale hanno partecipato, tra gli altri, António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, e il Grande Imam Ahmed Al-Tayyeb, ha fatto riferimento ai vari significati della parola fratellanza, che “vuol dire mano tesa; vuol dire rispetto. Fratellanza vuol dire ascoltare con il cuore aperto. Vuol dire fermezza nelle proprie convinzioni. Perché non c’è vera fratellanza se si negoziano le proprie convinzioni”. Egli ha proseguito affermando:“Siamo fratelli, nati da uno stesso Padre. Con culture, tradizioni diverse, ma tutti fratelli. E nel rispetto delle nostre culture e tradizioni diverse, delle nostre cittadinanze diverse, bisogna costruire questa fratellanza. Non negoziandola”. Concludo con le ultime battute del videomessaggio di Papa Francesco: “È il momento dell’ascolto. È il momento dell’accettazione sincera. È il momento della certezza che un mondo senza fratelli è un mondo di nemici. Voglio sottolinearlo. Non possiamo dire: o fratelli o non fratelli. Diciamolo bene: o fratelli o nemici. Perché la non-curanza è una forma molto sottile d’inimicizia. Non c’è bisogno di una guerra per fare dei nemici. Basta la non-curanza. Basta con questa tecnica – si è trasformata in una tecnica –, basta con questo atteggiamento di guardare dall’altra parte, non curandosi dell’altro, come se non esistesse”.
di Lucia Antinucci
[1] LUNEDI’ DI CAPODIMONTE 2021-2022. Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale – sezione S. Tommaso d’Aquino, Napoli – lunedì 13 dicembre 2021 ”Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli , se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Annunciare insieme il Vangelo e andare l’uno incontro all’altro. Il riferimento è al cap. II della Charta Oecumenica nn. 2-3.
[2] Papa Francesco il 30 gennaio 2021 rivolgendosi ai partecipanti all’incontro promosso dall’Ufficio catechistico nazionale. Si tratta di guardare “negli occhi i giovani delusi, che accolgano i forestieri e diano speranza agli sfiduciati. È il tempo di comunità che dialoghino senza paura con chi ha idee diverse. È il tempo di comunità che, come il Buon Samaritano, sappiano farsi prossime a chi è ferito dalla vita, per fasciarne le piaghe con compassione”.
[3] Cf. Esort. Ap. Evangelii gaudium (2013 = Annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo) 102; 163-168
[4] Cf. Lett. enc. di Papa Francesco Fratelli tutti (2020) 100.138.
[5] Cf. LG 30; Ad Gentes 17; Esortazione apostolica di Paolo VI Evangelii nuntiandi (1975) n. 73.
[6] Cf. anche Direttorio per la catechesi del 23 marzo 2020 (Avvenire 10 maggio 2021).
[7] Si riceve durante un momento liturgico; alla Congregazione per il Culto Divino è demandato il compito di pubblicare in breve tempo il Rito liturgico per l’istituzione del ministero ad opera del Vescovo.
[8] Alle Conferenze episcopali viene lasciato il compito di stabilire “l’iter formativo necessario e i criteri normativi per potervi accedere”, i requisiti di età, studio e le condizioni necessarie per accedere al ministero secondo le tradizioni e le necessità locali. Come ministero istituito il ruolo del laico catechista assume maggiore ufficialità.
[9] Con lungimiranza, San Paolo VI emanò la Lettera apostolica Ministeria quaedam con l’intento non solo di adattare al cambiato momento storico il ministero del Lettore e dell’Accolito (cfr Lett. ap. Spiritus Domini), ma anche di sollecitare le Conferenze Episcopali perché si facessero promotrici per altri ministeri tra cui quello di Catechista. La Lettera Apostolica Spiritus Domini modifica il can. 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico circa l’accesso delle persone di sesso femminile al ministero istituito del lettorato e dell’accolitato. In Ministeria quaedam (1973) si afferma riguardo al lettorato: “V. Il Lettore è istituito per l’ufficio, a lui proprio, di leggere la parola di Dio nell’assemblea liturgica. Pertanto, nella Messa e nelle altre azioni sacre spetta a lui proclamare le letture della Sacra Scrittura (ma non il Vangelo); in mancanza del salmista. recitare il salmo interlezionale; quando non sono disponibili né il Diacono né il cantore, enunciare le intenzioni della preghiera universale dei fedeli; dirigere il canto e guidare la partecipazione del popolo fedele; istruire i fedeli a ricevere degnamente i Sacramenti. Egli potrà anche – se sarà necessario – curare la preparazione degli altri fedeli, quali, per incarico temporaneo, devono leggere la Sacra Scrittura nelle azioni liturgiche. Affinché poi adempia con maggiore dignità e perfezione questi uffici, procuri di meditare assiduamente la Sacra Scrittura. Il Lettore, sentendo la responsabilità dell’ufficio ricevuto, si adoperi in ogni modo e si valga dei mezzi opportuni per acquistare ogni giorno più pienamente il soave e vivo amore (Cf Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 24: AAS 56 (1964), p. 107: Conc. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, n. 25: AAS 58 (1966), pp. 829) e la conoscenza della Sacra Scrittura, onde divenire un più perfetto discepolo del Signore.
[10] Cf. Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Direttorio per la Catechesi, 113.
[11] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Christus Dominus, 14; CIC can. 231 §1; CCEO can. 409 §1.
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