1° luglio 2021. (cf. Vatican news) Insieme per il Libano. La Giornata di preghiera per la pace nel Paese dei cedri, indetta da Francesco, si è aperta in Vaticano, a Casa Santa Marta, con il saluto rivolto dal Papa ai responsabili delle Comunità cristiane libanesi e ai membri delle Delegazioni. A condividere i gesti e i silenzi di Francesco sono stati il cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca di Antiochia dei maroniti, Youhanna X, Patriarca greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente; Ignazio Aphrem II, Patriarca siro-ortodosso di Antiochia, Aram I, Catholicos di Cilicia degli Armeni; Ignazio Youssef III, Patriarca siro-cattolico di Antiochia; Youssef Absi, Patriarca di Antiochia dei greco-melkiti; il reverendo Joseph Kassab, presidente del Concilio supremo delle comunità evangeliche in Siria e Libanoc e il vescovo di Beirut dei Caldei, Michel Kassarji. Con loro anche il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, l’arcivescovo Joseph Spiteri, nunzio apostolico in Libano, e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. Il Pontefice e i Patriarchi si sono poi recati a piedi da Casa Santa Marta nella Basilica vaticana entrando attraverso la Porta della preghiera. Pochi metri in cui si è condensato il lungo cammino di preghiera e riflessione sul Libano iniziato con la proposta di San Giovanni Paolo II, nel 1991, di convocare una Giornata per Libano e proseguito con il Sinodo Speciale celebrato nel 1995 a Roma. La scena si è poi spostata all’interno della Basilica per un breve momento di preghiera. Davanti alla tomba dell’Apostolo, il Pontefice e i responsabili delle Comunità cristiane libanesi hanno elevato la loro supplica a Dio per invocare la pace in Libano. Scendendo le scale che portano alla Confessione di Pietro, Francesco e i Patriarchi hanno posto una candela accesa davanti al sepolcro dell’Apostolo, segno della speranza per il popolo libanese che da lungo tempo soffre l’instabilità a vari livelli. Il Papa e i responsabili delle Comunità cristiane libanesi hanno poi raggiunto il Palazzo apostolico per partecipare a tre sessioni di consultazioni a porte chiuse che scandiranno la giornata, moderate dal nunzio Spiteri. Il programma della Giornata si conclude in serata, nella Basilica Vaticana, con la preghiera ecumenica scandita dalla proclamazione di alcuni brani della Parola di Dio, alternati con preghiere di invocazione e canti delle diverse tradizioni rituali presenti in Libano, con testi in arabo, siriaco, armeno, caldeo. Verso la fine della celebrazione, il segno per eccellenza, quello della pace, che non sarà scambiato nel modo tradizionale, nel rispetto delle normative legate alla pandemia. Ma alcuni giovani consegneranno ai leader cristiani una lampada accesa, che verrà poi collocata su un candelabro: è la speranza di pace per quella terra. Infine le parole di Francesco a suggellare questa giornata di invocazioni e auspici per il Libano.
2 luglio 2021. (cf. Agensir). È partita ieri e durerà fino al 31 luglio su Chi Odia Paga, azienda specializzata in lotta all’odio online, la raccolta fondi organizzata con l’Unione comunità islamiche d’Italia (Ucoii), per dar vita a “Nia”, il Network italiano anti-islamofobia, che mira alla creazione di un osservatorio unico sulle violenze, i pregiudizi e le discriminazioni delle quali il 65% dei musulmani italiani dichiara di essere vittima. In particolare sarebbero le donne le vittime più colpite da aggressioni verbali in pubblico, hate speech sui social media e difficoltà di accesso al mercato del lavoro, se indossano simboli religiosi. Un progetto votato da oltre 2mila preferenze attraverso la rete, al quale parteciperà anche Rainmakers, network di imprenditori che sostengono la crescita di imprese innovative a vocazione sociale, che, al raggiungimento di 5mila euro di raccolta da parte degli utenti del web, integrerà la cifra raccolta con altri 5mila euro. Lo scopo del Nia è quello di realizzare una task force per monitorare e raccogliere segnalazioni di islamofobia tramite un portale e presidi locali. Avvierà poi campagne di comunicazione e svilupperà eventi locali di formazione. “Nia vuole dare voce a tutte le vittime di islamofobia, contro l’odio e l’emarginazione – dice la vicepresidente dell’Ucoii, Nadia Bouzekri -. Negli ultimi anni l’odio e i crimini su base etnico-religiosa sono cresciuti, in particolare per le donne vittime di discriminazioni multiple. Con questo progetto vogliamo coinvolgere direttamente le comunità islamiche e tutta la società civile in una call to action. Solo insieme potremo contrastare l’islamofobia, con azioni di sensibilizzazione sulle discriminazioni in generale e sui metodi di segnalazione”.
3 luglio 2021. (Cf. Agensir) Si conclude con uno sguardo sull’arte italiana per le vie del centro storico fiorentino la seconda edizione del progetto “Formare per conoscere, conoscere per convivere. Religioni e cittadinanza”, promosso in queste settimane dall’Istituto Sangalli per la storia e le culture religiose. Insegnante d’eccezione Antonio Natali, già direttore degli Uffizi. Le guide religiose di comunità islamiche (gli imam) e le donne chiamate a insegnare e predicare (le murshidat), una decina in tutto, provenienti dalla Toscana ma anche da fuori regione – si legge in una nota dell’Ucoii- sono stati protagonisti di sei fine settimana (dal 28 maggio al 3 luglio 2021) di formazione: la Costituzione italiana, il rapporto tra psicologia e religione, Ebraismo, Cristianesimo e Islam i temi centrali del corso arricchito da laboratori teatrali e percorsi multiculturali. Obiettivo dell’iniziativa: “rafforzare valori, conoscenze e consapevolezze essenziali e indispensabili all’esercizio di una cittadinanza democratica nel nostro Paese rivolto a coloro che svolgono un ruolo di guida per le comunità islamiche”. “Stiamo già lavorando alla terza edizione del corso”, spiega Maurizio Sangalli, presidente dell’Istituto Sangalli di Firenze. “Il target dei partecipanti continuerà ad allargarsi. Oltre alle guide spirituali islamiche e agli insegnanti, destinatari del prossimo progetto saranno rappresentanti delle forze dell’ordine che ogni giorno svolgendo il loro lavoro, vivono l’incontro tra culture e identità diverse. Per noi è una grande soddisfazione sapere che Formare per conoscere suscita grande interesse”.
5 luglio 2021. (Cf. Agensir) Non poteva essere più dirompente, l’avvio della Costituente in Cile. L’assemblea incaricata di redigere la Carta che supererà quello scritta ancora ai tempi di Pinochet sarà guidata da un’indigena mapuche, l’insegnante e docente universitaria Elisa Loncón, storica attivista della popolazione nativa. La nuova presidente della Costituente ha ottenuto 96 voti, e dopo l’elezione ha salutato sventolando la bandiera del popolo mapuche. “Questo sogno è un sogno dei nostri antenati. Questo sogno diventa realtà. È possibile rifondare il Cile, stabilire una nuova relazione”, ha detto.
Quindi, la presidente ha salutato il “popolo del Cile dal nord alla Patagonia, dal mare alle Ande” e ha ringraziato il sostegno delle “diverse coalizioni che hanno dato la loro fiducia e riposto i loro sogni nel richiamo della nazione mapuche” sostenendo la sua candidatura, e ha promesso “una direzione collettiva a rotazione” durante i lavori della Costituente. “Abbiamo stabilito che questa sarà una direzione a rotazione, che darà spazio a tutti i settori”, ha detto. Loncón ha poi affermato che opererà a nome di tutto il popolo cileno, di tutti i settori, di tutte le regioni, guardando a un Cile “plurinazionale e interculturale”, attento alle donne, ai minori e alle minoranze. È possibile “stabilire un nuovo rapporto tra tutte le nazioni che compongono questo Paese”, ha concluso, preannunciando che la nuova Carta tutelerà “la madre terra e l’acqua”, oggi considerata bene privato. La presidente dell’Assemblea ha 58 anni, è originaria di Lefweluan, nell’Araucanía. È insegnante di Inglese e linguista, insegna alle Università di Santiago e di Leiden (Olanda). Ieri si è pregato per il buon esito della Costituente in tutte le chiese e nel palazzo presidenziale di La Moneda, a Santiago, è stato vissuto un momento di preghiera interreligioso, promosso dall’Ufficio nazionale per le questioni religiosi del Governo cileno. Per la Chiesa cattolica, ha partecipato il vescovo Juan Ignacio González, vescovo di San Bernardo, in rappresentanza del Comitato permanente della Conferenza episcopale cilena, che ha dichiarato al termine del momento di preghiera: “Siamo venuti a pregare insieme ai nostri fratelli delle diverse confessioni del Cile per chiedere questi nostri fratelli e sorelle che sono stati scelti come costituenti siano illuminati. La presenza della fede nelle sue varie manifestazioni è una realtà essenziale nella vita sociale di tutti, di tutti gli uomini. Ecco perché crediamo che questo atto qui, nel cuore del Cile, nel cuore del nostro Paese, sia veramente onesto e autentico; si vuole chiedere al Signore Dio, l’Altissimo, di guidare tutti questi nostri fratelli che oggi tra poco inizieranno quest’opera, che è la più importante che il Paese possa chiedere ai suoi cittadini”.
8 luglio 2021. (cf. Osservatore Romano) La buona novella per l’amore e per la missione: è lo slogan con la quale si è conclusa, nei giorni scorsi, la riunione del Comitato centrale del World Council of Churches (Wcc), quasi interamente dedicata alla preparazione dell’undicesima assemblea generale, prevista a Karlsruhe, in Germania, dal 31 agosto all’8 settembre 2022. L’assemblea avrà come tema «L’amore di Cristo muove il mondo alla riconciliazione e all’unità», ponendo così al centro del cammino ecumenico l’istanza di trovare sempre nuove forme per testimoniare come l’amore di Cristo possa cambiare radicalmente la vita di uomini e donne che si fanno testimoni di questo amore, aiutando il mondo, e non solo la Chiesa, a vivere la riconciliazione e l’unità. L’assemblea, come ha ricordato Agnes Abuom, moderatrice del comitato, sarà anche l’occasione per rilanciare il significato della solidarietà nel dialogo ecumenico, tanto più in Europa che torna a ospitarla dopo oltre cinquant’anni, dal momento che l’ultima volta si tenne a Uppsala, in Svezia, nel luglio 1968. Su questo aspetto, il vescovo Petra Bosse-Huber, della Chiesa evangelica di Germania, ha ricordato che l’assemblea costituisce un passaggio particolarmente rilevante per il cristianesimo in Europa perché c’è bisogno dell’esperienza dei cristiani nel mondo per affrontare insieme le sfide che la pandemia ha rilanciato, riguardo all’accoglienza e alla discriminazione, accentuando le diseguaglianze. Per Bosse-Huber rimane aperta la questione dei limiti imposti a coloro che non hanno ricevuto il vaccino anti-covid, soprattutto in Africa e in Asia, una questione che rischia di pregiudicare il livello di partecipazione all’incontro, anche se il vero problema riguarda le lacune e i limiti della campagna di vaccinazione che, di fatto, esclude gli ultimi del mondo in tanti Paesi. A Karlsruhe verrà inoltre discusso come proseguire la costruzione dell’unità della Chiesa, nella quale tutti i cristiani devono essere coinvolti in uno spirito di pellegrinaggio che ha segnato profondamente l’azione del Wcc, soprattutto in questi ultimi anni, dopo l’assemblea generale di Busan (2013), aprendo nuove prospettive di collaborazione e di condivisione. Nella riflessione teologica sulla costruzione dell’unità visibile si dovrà riservare un posto privilegiato alla preghiera che rappresenta una fonte primaria per il superamento delle divisioni, tanto più in un tempo come il presente, nel quale la preghiera aiuta a coltivare la speranza per il domani. Secondo il reverendo Ioan Sauca, segretario generale ad interim del Wcc, si dovrà ripartire dal tanto che i cristiani hanno in comune per testimoniare al mondo i loro valori riscoprendo che la “Chiesa Una” non appartiene ai cristiani, ma a tutta l’umanità. Per Sauca è evidente che la terribile esperienza della pandemia ha mostrato l’unità del mondo, «perché il virus non ha scelto tra confessioni e religioni: ha toccato l’umanità». Attraverso la preparazione dell’assemblea generale, il Consiglio ecumenico delle Chiese vuole proseguire un cammino di approfondimento che va ben oltre gli ampi confini dei membri del Wcc, per riaffermare l’importanza che tutti i cristiani insieme, valorizzando le peculiarità delle diverse tradizioni, devono farsi annunciatori della buona novella nelle proprie comunità e nel mondo per vivere fino in fondo la missione della “Chiesa Una”, una missione di amore e di riconciliazione. (Riccardo Burigana)
9 luglio 2021. (cf. Moked) In questi giorni al Monastero di Camaldoli, in provincia di Arezzo, stanno accadendo alcune cose. Per i pochi lettori che non lo sapessero quel luogo incantevole situato da quasi un millennio nei boschi del Casentino ha ospitato negli ultimi decenni intellettuali di grande levatura che sono stati protagonisti di numerose iniziative di dialogo interreligioso, in particolare sul versante ebraico-cristiano. A conclusione di un’intensa settimana di studi nella quale si è affrontato il tema dell’incontro fra ebrei e non ebrei nella storia d’Italia, è stata organizzata una tavola rotonda dedicata a una riflessione sul futuro di questa esperienza di dialogo. Un evento che farà da preludio alla fondazione della sezione giovanile dell’associazione che, appunto, si dedica all’amicizia ebraico-cristiana. I temi sul tappeto sono molti. A un sessantennio dalla dichiarazione Nostra Aetate, che ha determinato una prima radicale svolta sullo sguardo che la Chiesa cattolica riserva all’esperienza ebraica nella storia, ci si interroga sui momenti di luce come su quelli più problematici che hanno segnato questi decenni di incontri e di confronto. Come sempre quando si tratta di questioni religiose io credo che il tempo vada considerato con cautela, senza fretta. La storia della Chiesa, come la storia dell’Ebraismo, si misura in secoli e millenni, e pretendere svolte repentine e cambiamenti radicali è impensabile. In questa prospettiva è evidente che la dimensione del dialogo continua ad essere un gesto di buona volontà da cogliere per il suo valore intrinseco. Ogni incontro non può che produrre buoni frutti, mentre l’indifferenza non può che generare sospetto e paura reciproche. Quindi decisamente meglio l’incontro. Ma su quali basi? Io penso che uno dei terreni su cui si potrebbe agevolmente trovare una forma di collaborazione e di lavoro solidale dovrebbe essere quello connesso all’insegnamento della Bibbia nel percorso scolastico italiano. In passato su questo tema sono state attivate altre iniziative, ma sembra ancora lontano l’obiettivo – sempre più decisivo – di introdurre quella disciplina, quella conoscenza nel curriculum di studio dei giovani e delle giovani del nostro paese. Naturalmente non sto parlando dell’insegnamento confessionale. Su quel terreno ogni componente religiosa ha i suoi canali: i cattolici hanno i corsi di catechismo, gli ebrei formano i loro ragazzi per prepararli al Bar o Bath mitzwah. Ma non è questo il tema. La questione ha a che vedere con un paese che fonda la sua civiltà letteraria, la sua arte, la sua cultura musicale e perfino il suo territorio su elementi che rimandano in maniera fondamentale alla Bibbia e ai suoi elementi costitutivi. Chi fra i nostri studenti studia Dante, o si interroga sugli affreschi delle chiese, o ascolta le melodie di tanta parte della nostra produzione musicale non potrà avere piena coscienza di quel che vede e sente se non conosce almeno a grandi linee la struttura, le storie e i luoghi fondamentali della scrittura biblica. Gli stessi fondamenti della nostra morale condivisa e dell’etica attorno cui tutti dicono di volersi conformare provengono da lì, o per lo meno “anche” da lì. Ho sempre trovato scandalosa l’ignoranza della Bibbia che domina le giovani generazioni (cristiane come ebraiche), e trovo che sia giunto il momento di porre rimedio con un’azione culturale e politica concreta in questo senso. Forse – è questo il senso della mia proposta – il futuro del dialogo ebraico cristiano dovrebbe lavorare a fondo in questa direzione. Certo, le resistenze non saranno poche. Da un diffuso fondo culturale neogiacobino che imperversa nelle nostre accademie alla tendenza delle gerarchie religiose che nello stesso tempo tendono a non privarsi di questo terreno “loro”, ma fanno poco per promuovere una vera e profonda conoscenza della Bibbia a livello diffuso. Tuttavia si tratta di una battaglia che va combattuta, forse prendendo le mosse proprio da Camaldoli e dalla sua atmosfera di dialogo. (Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC). Comunicato stampa – Un nuovo seme di dialogo fiorisce a Camaldoli Domenica 11 luglio al Monastero di Camaldoli è stata ufficialmente costituita una sezione giovanile dell’Amicizia ebraico-cristiana, la prima nella storia. A presiederla Giacomo Ghedini: “Vogliamo vivere il dialogo da protagonisti”. Monastero di Camaldoli, 13 luglio 2021. Da oltre 40 anni il Monastero di Camaldoli ospita i Colloqui ebraico-cristiani, proficua esperienza di dialogo interreligioso ed ecumenico. Da questa realtà è nato un gruppo di giovani, tra i 18 e i 35 anni, che hanno deciso ufficialmente di costituire la prima sezione giovanile della storia dell’Amicizia ebraico-cristiana. Il gruppo si è incontrato al Monastero di Camaldoli, in provincia di Arezzo, nel weekend tra il 9 e l’11 luglio con l’obiettivo di darsi alcuni appuntamenti annuali, diventando protagonisti di un dialogo interreligioso per giovani stabile e autentico. L’evento è stato realizzato con il supporto dell’Ugei (Unione giovani ebrei d'Italia) e della Fcei (Federazione delle Chiese evangeliche italiane). Tanti i relatori presenti che hanno contribuito alla riflessione: Marco Cassuto Morselli, presidente della Federazione amicizie ebraico-cristiane italiane; Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli; Miriam Camerini, regista teatrale e studiosa di ebraismo; Claudia Milani, docente alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Un saluto è stato portato anche da don Giuliano Savina, Direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo Interreligioso della Cei (Conferenza episcopale italiana). Al termine del Convegno, i soci fondatori della sezione giovani dell’Aec (Amicizia ebraico-cristiana) hanno votato i loro rappresentanti: Giacomo Ghedini, dottorando di ricerca in Storia, impegnato da anni nell’associazionismo cattolico, è stato eletto presidente. A lui si affiancano nel Direttivo del gruppo: David Morselli (vice-presidente, ebreo); Gabriella Serra (segretaria-tesoriera, cattolica); Cindy Genre (consigliera, valdese); Elisa Ghiuzan (consigliera, avventista del 7° giorno). La tre giorni ha fatto seguito a una settimana dedicata al dialogo tra ebrei e cristiani sotto la guida di Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione Cdec e Gabriele Bonaccini. “Sono molto contento dell’esperienza di condivisione a Camaldoli, ringrazio tutte e tutti quelli che hanno partecipato e chi ha creduto in noi, rendendola possibile”, commenta il neo eletto presidente Giacomo Ghedini. “È stata un’occasione per conoscerci tra giovani appartenenti a tradizioni religiose differenti, per fare davvero amicizia. Il progetto di fondare questo nuovo gruppo di Aec è nato spontaneamente dal desiderio di dare maggior progettualità e continuità al dialogo interreligioso tra giovani, nella consapevolezza che vogliamo vivere il presente e il futuro del dialogo da protagonisti, eredi di un passato che ci chiama alla responsabilità”. E conclude: “Personalmente, sono stato colpito dalla genuinità e profondità della condivisione delle esperienze di vita e di fede che si è presto imbastita tra i partecipanti e soci fondatori: nessun tentativo di proselitismo o sincretismo, ma tanta voglia di camminare insieme!”. Un nuovo seme di dialogo che germoglia proprio all’interno della comunità camaldolese, che ha fatto del dialogo interreligioso uno dei punti cardine della sua lunghissima storia.
15 luglio 2021. Il Cairo (Agenzia Fides) – L’attuale stato del mondo è dominato da tre “poteri globali” che non si identificano con i governi e gli apparati politici, ma alimentano guerre e conflitti violenti a seconda dei propri interessi, mentre plasmano i sentimenti e le volontà dei singoli e delle moltitudini con strumenti sofisticati di manipolazione che non hanno precedenti nella storia. La descrizione – realistica eppure inusuale – dei fattori di potere reale che dominano la scena del mondo è stata proposta la sera del 14 luglio da Papa Tawadros II, Patriarca della Chiesa copta ortodossa, nel corso del tradizionale incontro di catechesi del mercoledì da lui tenuto presso la Cattedrale copta ortodossa del Cairo. Il Patriarca, svolgendo la sua catechesi intorno alla Lettera di San Paolo ai Filippesi, ha richiamato l’attenzione sulle parole utilizzate dall’Apostolo delle Genti per descrivere l’umanità a lui contemporanea, definita “generazione perversa e degenere”. Oggi – ha riconosciuto Papa Tawadros – il Santo Apostolo martirizzato a Roma userebbe probabilmente la stessa espressione, davanti ai peccati, ai conflitti e ai fallimenti che segnano il tempo presente. Un tempo senza pace, dominato secondo il Patriarca da tre “Padroni” tanto onnipresenti quanto difficilmente identificabili con singole persone e singole sigle di potere. Il mondo – ha continuato il Patriarca – è dominato innanzitutto dal denaro, che si muove nel mondo attraverso nuovi, formidabili meccanismi della finanza speculativa. Un dominio – ha ricordato Papa Tawadros – prefigurato nel Vangelo da Cristo stesso, quando il Figlio di Dio ha detto ai suoi discepoli che “Nessuno può servire due padroni; perché o odierà l’uno e amerà l’altro, o avrà riguardo per l’uno e disprezzo per l’altro. Voi non potete servire Dio e Mammona” (Mt 6, 24). Poter disporre di risorse economiche – ha aggiunto il Patriarca, smarcandosi da rigorismi ideologici e pauperismi esoterici e moralistici – “può essere una benedizione di Dio”, e ci sono stati tanti santi anche tra le persone ricche. Ma è un dato oggettivo – ha rimarcato il Primate della Chiesa copta ortodossa – che è il denaro a muovere e alimentare le guerre e i conflitti che insanguinano il mondo. Un altro fattore che esercita potere predominante nella attuale condizione del mondo è stato identificato dal Patriarca nel marketing delle corporation, le grandi imprese multinazionali che con le loro reti pervasive hanno creato una nuova “oligarchia globale” in grado di esercitare un dominio sulle vite degli uomini e delle donne ormai di gran lunga più efficace e invasivo di quello rappresentato dalle politiche dei governi e dei regimi. Allo stra-potere delle companies il Patriarca ha affiancato per affinità e parziale sovrapposizione quello dei media, soprattutto nella versione oggi rappresentata dalle reti sociali e dai soggetti che dominano la sfera digitale, in grado di accumulare profitti stratosferici mentre manipolano cervelli e coscienze di moltitudini di “utenti”, dettando per tutti nuove regole di comportamento e imponendo nuovi idoli e tabù “di massa”. In questo mondo – ha aggiunto il Patriarca – i cristiani sono chiamati a confessare e testimoniare la liberazione del Vangelo. Davanti alle attuali condizioni del mondo, Papa Tawadros ha invitato a riconoscere come ancora validi i suggerimenti di San Paolo nella Lettera ai Filippesi: anche nel tempo di quella che lui definiva “generazione perversa e degenere”, l’Apostolo delle Genti invitava i fratelli a liberarsi dalle pose della contesa, della recriminazione e del lamento per i tempi cattivi, confidando solo sulla grazia di Cristo, può accompagnare ogni uomo e ogni donna nel cammino della vita, anche in tempi difficili. , contando solo sulla grazia di Cristo, che può accompagnare ogni uomo e ogni donna nel cammino della vita, abbracciando in maniera inimmaginabile le attese di felicità e di salvezza di cui è intessuto il cuore di essere umano, anche quando è sepolto sotto la coltre della dimenticanza e sfigurato dalla cattiveria dei peccati propri e altrui. (GV) (Agenzia Fides 15/7/2021)
17-18 luglio 2021. TISH’ A’ BE AV (18 luglio 2021; vigilia 17 luglio) Il 9 del mese di Av per gli ebrei è giorno di lutto e di digiuno. In questa data a distanza di molti secoli furono distrutti sia il primo che il secondo Santuario. Il primo Santuario fu distrutto nel 586 prima dell’era volgare ad opera dei babilonesi e il secondo ad opera dei romani nel 70 e.V. Il Santuario di Gerusalemme era il luogo dove si svolgevano le cerimonie rituali prescritte nella Torà;era il centro spirituale e anche politico e religioso dell’ebraismo; la perdita del Santuario segnò anche la perdita di questo centro, oltre che l’inizio della diaspora. La distruzione del Santuario è presente nel cuore degli ebrei anche dopo venti secoli: nelle preghiere, in qualsiasi parte del mondo ci si trovi, ci si rivolge sempre fisicamente e idealmente verso le vestigia del Muro occidentale. Tishà Be-Av significa 9 del mese di Av. Questa data, divenuta simbolo di disgrazia per il popolo ebraico segna anche altri momenti tragici: proprio il nove di Av gli ebrei furono cacciati dalla Spagna nel 1492. Nelle sinagoghe parate a lutto e in un’atmosfera di grande tristezza, spesso seduti in terra e a lume di candela, si recitano preghiere ed elegie ispirate alla rovina del Tempio di Gerusalemme e all’esilio del popolo ebraico. Secondo la tradizione ebraica nella distruzione già ci sono i semi della redenzione e proprio in questa data, simbolo di distruzione, verrà al mondo il Messia: in questa giornata si usano dei libri liturgici particolari che molti usano gettar via alla fine della ricorrenza, come segno di cieca fiducia nell’avvento messianico. Avranno la gioia di vedere Gerusalemme ricostruite solo coloro che abbiano partecipato alle manifestazioni di lutto che si tengono a Tishà Be-Av. (cf. UCEI blog). Per rav Jonathan Sacks, l’ex rabbino capo d’Inghilterra e del Commonwealth recentemente scomparso, un appuntamento di fondamentale importanza perché, ha sottolineato in uno dei suoi ultimi interventi, “è essenziale sapere cosa si è perso per riconquistarlo, e cosa è stato colpito per ricostruirlo”. Un messaggio dal valore universale, in un mondo dissestato “su un piano economico, politico, educativo e soprattutto sociale”.
19-23 luglio 2021. Eid al Adha (Qurban), ovvero La Festa del Sacrificio è un momento per rinnovare la fede in Dio sulle orme di Abramo. Nelle lingue semitiche la parola Qorban/Kurban significa avvicinarsi, in primis al Dio, al nostro Creatore ma anche avvicinarsi agli ebrei e ai cristiani che condividono la fede di Abramo, riconoscendolo come il Patriarca comune. Poi ancora avvicinarsi ai bisognosi, al prossimo, a tutta la umanità sempre nell’esempio di Abramo a Mamre che accoglie con grande generosità gli sconosciuti. Sia una Festa che ci avvicini al Signore, ai cuori, al creato e al prossimo! Auguri!!!
22 luglio 2021. (cf. Vatican news, Alessandro Di Bussolo – Dubrovnik – Croazia) Si sta svolgendo in Croazia, e si chiuderà il 24 luglio, la seconda Scuola estiva di Teologia, momento di incontro e dialogo tra 44 studenti e giovani teologi cattolici, ortodossi e protestanti dell’Europa balcanica e docenti delle stesse Chiese cristiane. A indicare la strada sul tema “Fede (a) politica: cristiani nello spazio politico“, l’ultima enciclica del Papa “Fratelli tutti“ L’amicizia sociale proposta da Papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti” “è la via per il giusto impegno dei cristiani in politica”. Lo ha spiegato l’arcivescovo Mate Uzinić, coadiutore di Rijeka e amministratore apostolico di Dubrovnik, promotore della Scuola estiva di Teologia della diocesi dalmata, nella relazione introduttiva della seconda edizione, aperta il 18 luglio e che si chiuderà il 24. L’arcivescovo, parlando del tema scelto quest’anno, “Fede (a) politica: cristiani nello spazio politico“, ha invitato insegnanti e studenti a dialogare ricordando che amicizia sociale significa convivenza, in cui tutti, a prescindere dalle convinzioni, si sentono liberi e rispettati. Ad ascoltarlo, nell’aula magna del Seminario diocesano di Dubrovnik, 44 studenti e giovani teologi cattolici, ortodossi e protestanti dell’Europa balcanica e cinque docenti delle stesse Chiese cristiane. Sono croati, bosniaci, serbi, sloveni e montenegrini, selezionati tra un centinaio di candidati e invitati dagli organizzatori ad “ascoltare opinioni diverse, aggiornarle con il proprio contributo e crescere e progredire nel dialogo”. Per i cristiani di qualunque Chiesa, ha proseguito Uzinić, questa convivenza “non significa rinunciare alla propria fede, ma lottare per la dignità e la vita buona di tutti nella società“. Una lotta “contro l’ingiustizia, contro la diminuzione dei diritti delle minoranze, la contro le politiche che allontanano gli emarginati dalla società“, ma anche contro quelle che, in nome della difesa della “civiltà cristiana“, privano i migranti della loro dignità. La visione del Papa, ha spiegato il 54enne arcivescovo croato, “è inclusiva, impone che in questa lotta ci uniamo a tutti coloro, credenti o atei, cristiani o non cristiani, che hanno a cuore un mondo in cui Dio permette al ‘sole di giustizia’ di brillare ugualmente su tutti“, come Gesù ha detto nel Discorso della Montagna. Ha spiegato che la parole di Cristo, sulla collina che guarda il Lago di Tiberiade, sono “una sorta di indicazione per noi cristiani su come trattare gli altri, le persone e il mondo che ci circonda”. Non si riferisce propriamente al ruolo dei credenti nello spazio politico, ma “è un esempio del rapporto della Chiesa e dei credenti con chi ha diverse visioni del mondo, interessi, comprensione della morale, del bene e di tutto ciò che rende umano vita nelle nostre società plurali”. E riflettere su questo è fondamentale in una regione come l’Europa sud-est o balcanica, dove, ricorda spesso fra Ivan Šarčević, uno dei docenti della Scuola, fino agli anni ’90, il comunismo “ha messo a tacere violentemente la pluralità e le differenze, in particolare le differenze nazionali e confessionali, ed ha escluso la religione dal campo delle decisioni pubbliche”. Ma con la proclamazione dell’indipendenza degli Stati dopo il crollo della Jugoslavia, “è iniziata una presenza dei cristiani nella scena pubblica, che inizialmente era collegata alle identità nazionali”. Ma nell’ultimo decennio, sotto l’influenza della globalizzazione ma anche delle crisi economiche, “la religione è emersa in pubblico e come argomento importante nelle decisioni politiche e sociali. Vengono richieste modifiche alla legge per suo conto, e talvolta si crea un’atmosfera di esclusione degli altri”. Per un altro relatore, il teologo ortodosso greco-statunitense Aristotle Papanikolaou, non va per questo criticata la secolarizzazione che “porta il pluralismo nella società” e ciò di cui i cristiani e l’intera società hanno bisogno: l’appartenenza a una religione come libera scelta, non a qualcosa di regolato dalla società o dallo Stato”. Ed è anche una garanzia, ha chiarito l’arcivescovo Uzinić, “che il cristianesimo, come le altre religioni, non sarà costretto nello ‘spazio della sacrestia’. Una sana società laica consente alla Chiesa di avere libertà di annuncio, ma la sfida anche a trasmettere il suo messaggio alle persone senza alcuna coercizione sociale, politica o culturale”. La Scuola ha ospitato anche testimonianze sulla situazione dei migranti della Rotta balcanica, grazie alla partecipazione di padre Stanko Perica, direttore del Jesuit Refugee Service per l’Europa Sud-Est, e sul cammino sinodale della Chiesa tedesca, con Joerg Basten di Renovabis e Stefan Vesper. E una tavola rotonda aperta al pubblico si è svolta martedì sera nella sala San Giovanni Paolo II della diocesi. Hanno preso parte i quattro docenti presenti a Dubrovnik: fra Šarčević, docente dell’Istituto teologico francescano di Sarajevo; Papanikolaou, teologo ortodosso docente alla Fordham University di New York; suor Teresa Forcades, medico, teologa e monaca benedettina catalana, e Tomáš Halík, teologo e filosofo dell’Università Carolina di Praga. Il quinto insegnante della Scuola, Miroslav Volf, teologo evangelico croato-statunitense dell’Università di Yale, New Haven, non ha potuto raggiungere la Croazia e si collegherà stasera via Zoom
22 luglio 2021. Il Cairo (Agenzia Fides) – Anche quest’anno, in occasione di Eid al Adha, la Festa islamica del Sacrificio celebrata il 21 luglio, in Egitto si sono rinnovati gesti e iniziative di solidarietà fraterna tra cristiani e musulmani in Egitto. Scene non insolite nel grande Paese egiziano, dove pure la convivenza tra cristiani i musulmani è punteggiata da ricorrenti episodi locali di conflitto settario, e dove le comunità cristiane copte hanno subito feroci attentati stragisti da parte di gruppi organizzati della galassia jihadista.
In varie province egiziane, alti rappresentanti delle gerarchie ecclesiali hanno compiuto formali gesti di omaggio nei confronti delle autorità politiche e militari locali. Tra gli altri, Anba Kyrillos William, Metropolita copto cattolico di Assiut, si è recato con una delegazione della sua arcidiocesi a rendere omaggio al Capo di stato maggiore Moheb Habashi, Comandante della Regione Militare Meridionale. Anche Anba Timotheos, Vescovo copto ortodosso di Zaqaziq, ha visitato insieme a alcuni rappresentanti della diocesi il dottor Mamdouh Ghorab, Governatore del Governatorato di Sharqia, e il generale Ibrahim Abdel Ghaffar, a capo delle forze armate delle province orientali del Paese.Tra le iniziative più suggestive figurano i gesti di vicinanza fraterna realizzati spontaneamente a livello di base da appartenenti alle comunità cristiane locali. Un gruppo di giovani copti nel Governatorato di Beni Suef – riferisce l’organo d’informazione Copts Today – si è posto alle porte delle moschee per facilitare l’ingresso e l’uscita dei musulmani dalla preghiera festiva, verificando che fossero rispettate le misure di sicurezza imposte dalla pandemia e distribuendo mascherine di protezione sanitaria a chi ne era sprovvisto. In particolare, a Beni Suef, uomini e giovani scout cristiani si sono piazzati davanti alla moschea di Omar Bin Abdulaziz a partire dalle quattro e mezza del mattino, un’ora prima dell’inizio della preghiera per l’Eid al Adha, per coordinare l’ingresso dei concittadini musulmani nel loro luogo di culto nel rispetto delle disposizioni anti-pandemia. “Noi e i nostri fratelli e sorelle musulmani apparteniamo a un unico ordito, non dimenticheremo mai quando loro sono venuti a proteggere le nostre chiese in tempi difficili, e siamo felici di poter offrire loro aiuto e assistenza in occasione di Eid al Adha” ha dichiarato Youssef William Nassim, Segretario Generale del Servizio Scout nella diocesi copta ortodossa di Beni Suef. Nella stessa città, in occasione della festa islamica, giovani copti hanno anche organizzato iniziative di intrattenimento per bambini e bambine musulmani (nella foto), distribuendo loro dolci, cioccolatini e palloncini e dando vita a momenti d’aggregazione affidati a animatori travestiti da personaggi dei cartoni animati. Dal canto suo lo Sheikh Ahmed Karima, noto teologo e professore presso l’Università sunnita dl al-Azhar, ha invitato i musulmani a condividere con i loro vicini cristiani la carne e il cibo preparato per la Festa del Sacrificio, invitando nel contempo a trattare con rispetto gli animali vittime del sacrificio rituale, evitando di infliggere loro inutili sofferenze e astenendosi da comportamenti disgustosi e anche pericolosi dal punto di vista sanitario che purtroppo ancora connotano in alcune aree la celebrazione di Eid al Adha. La festa di Eid al Adha vuole commemorare la prova di obbedienza a Dio resa da Abramo, quando il Padre di tutti i Credenti, venerato da ebrei, cristiani e musulmani, si mostrò pronto a sacrificare la vita del figlio Isacco, se ciò corrispondeva al volere di Dio. Durante la festa, i clan familiari islamici sacrificano un animale per ricordare il sacrificio sostitutivo di un montone compiuto dallo stesso Abramo, dopo che l’Angelo aveva fermato la sua mano pronta a sacrificare Isacco. (GV) (Agenzia Fides 22/7/2021)
23 luglio 2021. (cf. pagina Facebook di Daniele Coppin della Comunità ebraica di Napoli) Oltre ad essere Shabbat, è Tu B’Av (15 di Av), la festa degli innamorati. Questo giorno segnava l’ultima data utile per tagliare la legna da utilizzare cui sarebbe seguito un periodo di riposo degli alberi e della natura, fino all’inizio del mese di Nissan, il mese della primavera. Tu be-Av cade esattamente sei mesi prima di Tu bi-Shevat (il capodanno degli alberi). Questo giorno venne scelto, secondo il Talmud, anche per riconciliare le famiglie che erano in lite. Questo giorno era anche la festa della fine della vendemmia, cosa che accade ancora oggi in molti Kibbutzim che in questa data festeggiano e organizzano feste e giochi. Ma perchè è considerata, anzi è diventata la festa degli innamorati? In questa data le figlie di una tribù potevano sposare i ragazzi appartenenti a una tribù diversa. Nel Talmud si trovano vivaci descrizioni del modo di festeggiare: la figlia del re prestava il suo vestito alla figlia del Sacerdote, la figlia del Sacerdote alla figlia dell’aiutante, e così via, affinché “non provasse vergogna chi non lo possedeva” (Talmud Bavlì. Taanit, 31a). Le ragazze danzavano al bagliore della luna (il 15 di ogni mese ebraico corrisponde alla luna piena) danzavano nelle vigne e invitavano i giovani ancora liberi. I giovani le seguivano e così si innamoravano e si celebravano i fidanzamenti. In realtà sembra che nessun Maestro poté stabilirne con esattezza le motivazioni, ma comunque è bello considerarla la festa degli innamorati come è ormai prassi da anni in Israele.
26 luglio 2021. (cf. Agensir) È iniziata con una preghiera interconfessionale oggi al Monastero di Camaldoli (Ar) la 57ª sessione di formazione ecumenica del Segretariato attività ecumeniche (Sae), in programma fino al 31 luglio, sul tema “‘Racconterai a tuo figlio’ (Es 13,8). Le parole della fede nel succedersi delle generazioni. Una ricerca ecumenica (I)”. A Camaldoli sono presenti oltre centotrenta persone di diverse confessioni cristiane e di fede ebraica, convenute qui da ogni parte d’Italia. In apertura il presidente del Sae, Piero Stefani, in diretta streaming, ha richiamato i saluti e gli auguri della moderatora della Tavola Valdese, Alessandra Trotta, e del presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e dialogo della Cei, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero, che hanno sottolineato l’importanza per tutte le Chiese della trasmissione delle parole della fede. La relazione di Stefani, alla fine del suo mandato di presidenza, ha delineato il contesto in cui si svolge la sessione: un tempo nuovo in cui il Covid e le procedure d’urgenza intraprese dalle autorità civili hanno variato il piano della comunicazione e hanno avuto ricadute economiche e psicologiche con forti differenze dal punto di vista generazionale e lavorativo. “Il virus è universalistico ma questo dato non basta a creare un’uguaglianza effettiva. Siamo nella stessa nave con differenze forti tra prima classe, seconda classe, stiva, ruoli di comando, posizioni subordinate. Ci sono differenze sempre più nette, ad esempio sulle modalità di procacciarsi il reddito”, ha sottolineato.
Il mondo della comunicazione interpersonale, ha continuato Stefani, ha lati complessi: ha visto il distanziamento ma anche l’esaltazione del “con”: il convivente, il congiunto. La famiglia è stata come una specie di nido, non solo affettivo, che consente una forma di comunicazione che nell’orizzonte amicale è stata depotenziata
27 luglio 2021. (cf. Moked) Nel contrasto all’antisemitismo devono essere coinvolti tutti i settori della società, dall’istituzioni civili a quelle religiose, dalla scuola al mondo della cultura. Contro il veleno antisemita non è possibile muoversi su un piano solo. Lo hanno ricordato nei propri interventi i relatori dell’incontro organizzato dall’Associazione Italia-Israele di Milano intitolato “Cultura ed educazione; antidoto all’antisemitismo”. Dopo i saluti istituzionali dell’assessore alla Cultura del Comune di Milano Filippo Del Corno, sono intervenuti il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giorgio Mortara, il coordinatore della Commissione educazione e giovani UCEI Saul Meghnagi, il presidente del Coreis e imam Yahia Pallavicini, mentre le conclusioni sono state affidate a David Meghnagi, Consigliere UCEI e presidente del Comitato accademico europeo contro l’antisemitismo. A introdurre e moderare il confronto, il presidente dell’Associazione Italia-Israele di Milano Pier Francesco Fumagalli.
“Gli antidoti alla circolazione dell’antisemitismo possono senz’altro essere cultura ed educazione. – ha sottolineato in apertura l’assessore Del Corno – Soprattutto nel momento in cui diventano strumenti di acquisizione di conoscenza che ci permettono di discernere ciò che è vero da ciò che è falso; riuscire a incontrare la materiale concretezza della verità storica e ricondurre alla falsità molte di quelle narrazioni che vengono diffuse per veicolare e introdurre il veleno dell’antisemitismo nella società”. Un veleno che trova molto spazio sui social network e che ha diverse forme, tra cui l’odio nei confronti di Israele. Un tema, quest’ultimo, su cui si è soffermato l’imam Pallavicini guardando all’interno della comunità islamica. In particolare facendo riferimento a uno degli episodi di antisemitismo che ha fatto da sfondo all’incontro: quello legato a un influencer che ha disegnato la bandiera d’Israele sulla propria scarpa per calpestarla. “Quando si prende a pretesto il simbolo della stella di Davide per calpestare l’identità di un popolo, il simbolo di una bandiera, di una giurisdizione nazionale come lo Stato di israele, – le parole dell’imam – allora stiamo in qualche modo veicolando delle premesse anticulturali per creare una campagna di discriminazione e di odio, dove si confondano ad arte simboli narrativi e pretese di delegittimazione”.
Guardando all’Italia, il vicepresidente UCEI Mortara ha parlato di una profonda preoccupazione “per le nuove forme di antisemitismo, radicate in secoli di pregiudizi e intolleranze. L’Italia non ha elaborato a fondo quello che è successo durante il Novecento e serve oggi una riflessione più ampia”. Una riflessione che educhi in particolare i giovani a non cadere nella rete dell’hate speech. E su questo fronte, l’analisi di Mortara, entra in gioco “il prezioso ruolo della scuola e dell’università e degli enti che si occupano di educazione e cultura sotto diversi punti di vista. Il loro compito dovrebbe essere quello di diffondere una consapevolezza in materia di diritti umani e una metodologia d’indagine delle fonti che possano fungere da antidoto al ‘lato oscuro’ dei social, fatto di odio, discriminazione, aggressività, razzismo”.
Proprio in materia di educazione, Saul Meghnagi ha richiamato un elemento concreto: la firma, lo scorso gennaio, di un protocollo d’intesa tra l’UCEI, la Coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo Milena Santerini e il ministero dell’Istruzione “sul tema della condivisione e definizione di iniziative, azioni, modelli e strumenti volte contrastare l’antisemitismo in tutte le sue forme. Questo accordo – ha spiegato Meghnagi – prevede di promuovere un piano di attività comuni, soprattutto la stesura di linee guide per il contrasto dell’antisemitismo e sarà poi sottoposto al ministero stesso. Per poi essere oggetto di una circolare in tutte le scuole”. Per il coordinatore della Commissione Educazione UCEI questo protocollo “sintetizza più di tanti altri quello che è un lunghissimo lavoro di riflessione e di analisi che ha come obiettivo quello di coinvolgere diverse istituzioni. Porteremo in questo contesto i risultati anche di una delle più interessanti forme sperimentazioni di un progetto che si chiama educare alla convivenza e prevenire il pregiudizio, finanziato anche dall’ambasciata tedesca a Roma”. Un esempio di collaborazione trasversale tra istituzioni. Sul rapporto tra comunità si è invece soffermata l’ampia riflessione dello psicanalista David Meghnagi, con un particolare riferimento ai pregiudizi diffusi nei cittadini arrivati in Europa dai paesi islamici. “L’antisemitismo di matrice antisionista in Europa negli anni 80 era importato politicamente. – ha spiegato Meghnagi – Oggi è parte del vissuto di una parte consistente della comunità di cittadini che vivono in Europa e che magari hanno delle origini di terza generazione, legata ai processi migratori e di integrazione e che hanno importato con sé nel nostro paese i pregiudizi politici e religiosi contro gli ebrei, utilizzati come costruzione identitaria di protesta rispetto ad una percepita integrazione non adeguata nel nostro paese e nel nostro continente”. La protesta contro la cultura occidentale di questo mondo per lo più giovanile, spiega il presidente del Comitato accademico europeo contro l’antisemitismo, “viene declinata come antisemitismo antirazzista. Il che è un delirio perché l’antisemitismo è la forma più spregevole di razzismo nel corso della storia”. Contro questa retorica, che fa presa in una parte di mondo islamico ma non solo, servono contromisure, serve una cultura contro “le parole malate dell’odio”. E un ruolo, conclude lo psicanalista, devono averlo anche i religiosi: “ognuno deve fare il suo lavoro, nel suo orto, nella sua casa: quello di rivisitare la tradizione e di valorizzare ciò che unisce, di valorizzare ciò che rende possibile smussare i conflitti e creare la convivenza”.
di Lucia Antinucci
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