22 giugno 2021. Il Cairo (cf. Agenzia Fides) – La convivenza quotidiana tra comunità musulmane e cristiane nei Paesi a maggioranza islamica è spesso segnata da problemi e incidenti, ma è anche disseminata di gesti di generosità vicendevole e di usanze codificate che esprimono attenzione e rispetto, soprattutto in concomitanza con le rispettive festività religiose. Anche quest’anno – informano i media egiziani come il sito web Copts United – diverse parrocchie copte, ortodosse e cattoliche, hanno partecipato simbolicamente all’acquisto di alcune “obbligazioni” offerte dal Ministero delle Dotazioni religiose in vista della “Festa del sacrificio” (Eid al Adha), la festività islamica che quest’anno viene celebrata il 21 luglio. In particolare, nella provincia di Minya, quattro parrocchie hanno acquistato 13 quote delle “obbligazioni sacrificali” presso la sezione provinciale del Dicastero per le dotazioni religiose, per un valore di 26mila lire egiziane. A sottoscrizioni analoghe hanno aderito la parrocchia copta ortodossa della Vergine Maria ad Abu Kabir, nel Governatorato di Sharkia, e una parrocchia copta cattolica sul Mar Rosso.
La festa di Eid al Adha vuole commemorare la prova di obbedienza a Dio resa da Abramo, mostratosi pronto a sacrificare la vita del figlio Isacco, se ciò corrispondeva al volere di Dio. Il sacrificio rituale che si pratica nel corso della festività ricorda il sacrificio sostitutivo effettuato con un montone da Abramo/Ibrāhīm, del tutto obbediente al disposto divino di sacrificare il figlio a Dio, prima di venire fermato dall’Angelo. Nelle comunità islamiche, da tempo immemore, si sono sviluppate varie forme di raccolta di offerte per consentire di partecipare alla Eid al Adha anche alle famiglie che non possono permettersi di acquistare l’animale (di solito un bovino, un ovino o un caprino) da sacrificare secondo le usanze rituali.
23 giugno 2021. Incontro interreligioso del Gruppo ‘Spirito di Assisi’ che fa parte del Centro Studi francescani per il dialogo interreligioso e le culture, sul tema ‘Fede e libertà spirituale’ (diretta Facebook). Hanno partecipato all’incontro il Rev. Li Xuanzong Pregetto generale dei taoisti d’Italia, Amedeo Imbimbo presidente nazionale della comunità Sanghà Rimé (buddhismo tibetano), il pastore luterano Ulrich Hossbach, Caterina Cirma e Bezhad Mirzaagha, Angela Furcas e Silvio Cossa per la fede Baha’i, la coordinatrice del gruppo Lucia AntinuccI, portavoce dei saluti del direttore del Centro studi, il teologo don Edoardo Scognamiglio, trattenuto da un imprevisto. La coordinatrice ha introdotto l’incontro evidenziando che nell’attuale società spesso la fede viene fraintesa, con la mentalità religiosa e magica; la fede invece contribuisce alla trasformazione del presente per i suoi profondi valori morali e spirituali. La fede dischiude al presente orizzonti nuovi, contribuisce a dare una risposta al senso della vita, della felicità. La fede, vissuta in modo autentico, porta alla vera autorealizzazione, alla pace e all’armonia con se stessi, con gli altri, con l’ambiente. La fede è autentica gioia – nonostante le ferite del presente – perché è un’esperienza di profonda libertà. Il rev. Li Xuanzong ha affermato che nella società attuale c’è la ricerca di una vaga spiritualità mentre c’è il rifiuto della fede, della religione, dell’anelito ad divino. Ogni religione comincia sempre con una rivelazione che può essere universale o personale (che si manifesta nel cuore dell’uomo) e la fede è la risposta a una chiamata. Per il taoismo la spiritualità è l’anima della fede religiosa e deve sfociare nel miglioramento della realtà materiale. Amedeo Imbimbo ha sottolineato il significato della libertà dagli stati conflittuali che sono causa di dolore, dall’orgoglio e dalla vanità. Per arrivare al risveglio bisogna lasciarsi guidare dai Maestri, coltivando con loro un rapporto di devozione. Il Pastore Ulrich Hossbach ha affermato che la società è lontana dalla fede, per cui di va alla ricerca di nuove esperienze spirituali. Occorre rinnovare le strategie pastorali, dando sempre il primato all’annuncio della Parola e alla testimonianza. I giovani rifiutano i discorsi astratti; hanno bisogno di fare un’esperienza autentica di fede quando vengono a contatto con noi. Tale esperienza presuppone l’incontro personale con Dio. Bezhad Mirzaagha ha evidenziato che la fede Baha’i annuncia l’unificazione di tutti i popoli, la fratellanza universale, il rinnovamento morale della società. La religione è una realtà progressiva che si attua tramite i messaggeri divini presenti in ogni epoca. Essi sono una manifestazione di Dio; sono persone speciali che hanno una missione educativa, per far emergere la capacità insita in ciascuno di noi di poter migliorare il mondo. Angela Furcas ha sottolineato che ogni messaggero divino rinnova la visione del mondo. Occcorre cercare la verità in tutte le religioni e cercare i segni della misericordia di Dio che ci dona il rinnovamento morale e spirituale, rispettando le scelte altrui e seguendo le sette luci dell’insegnamento Baha’i. Lucia Antinucci ha concluso l’incontro, dando l’appuntamento al prossimo settembre (si auspica in presenza), evidenziando che tutte le religioni convergono sul fatto che la religione non è evasione dal presente ma contribuisce al suo miglioramento, cominciando dalla vita personale. La fede è una profonda esperienza di spiritualità, un itinerario di liberazione personale dalle passioni o stati o schiavitù varie che impediscono la propria realizzazione e la felicità.
25 giugno 2021. Una delegazione della Federazione luterana mondiale viene ricevuta in udienza nella Biblioteca privata del Palazzo apostolico vaticano da Papa Francesco (cf. Osservatore Romano) Discorso del Papa: “Cari fratelli e sorelle,«grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo» (Rm 1, 7). E con le parole che l’Apostolo Paolo rivolse ai cristiani che si trovavano a Roma, desidero accogliere e salutare voi, Rappresentanti della Federazione Luterana Mondiale; in particolare il Presidente, l’Arcivescovo Musa, che ringrazio per le sue parole, e il Segretario Generale, il Rev.do Martin Junge. Ricordo molto volentieri la mia visita a Lund — si ricorda? —, città in cui fu fondata la vostra Federazione. In quella indimenticabile tappa ecumenica abbiamo fatto esperienza della forza evangelica della riconciliazione, attestando che «attraverso il dialogo e la testimonianza condivisa non siamo più estranei» (Dichiarazione congiunta, 31 ottobre 2016). Non più estranei, ma fratelli. Cari fratelli e sorelle, in cammino dal conflitto alla comunione, nel giorno della commemorazione della Confessio Augustana siete venuti a Roma perché cresca l’unità tra di noi. Vi ringrazio per questo ed esprimo la mia speranza che la riflessione comune sulla Confessio Augustana, in vista del 500° anniversario della sua lettura, il 25 giugno 2030, apporti beneficio al nostro cammino ecumenico. Ho detto “in cammino dal conflitto alla comunione”, e questo cammino si fa soltanto in crisi: la crisi che ci aiuta a maturare quello che stiamo cercando. Dal conflitto che abbiamo vissuto durante secoli e secoli, alla comunione che vogliamo, e per fare questo ci mettiamo in crisi. Una crisi che è una benedizione del Signore. All’epoca, la Confessio Augustana rappresentò il tentativo di sventare la minaccia di una scissione nel cristianesimo occidentale; originariamente intesa come documento di riconciliazione intra-cattolico, assunse solo più tardi il carattere di testo confessionale luterano. Già nel 1980, in occasione del suo 450° anniversario, Luterani e Cattolici affermarono: «Ciò che abbiamo riconosciuto nella Confessio Augustana come fede comune può aiutarci a confessare insieme questa fede in maniera nuova anche nel nostro tempo» (Dichiarazione congiunta “Tutti sotto uno stesso Cristo”, n. 27). Confessare insieme quel che ci accomuna nella fede. Vengono in mente le parole dell’Apostolo Paolo, che scriveva: «Un solo corpo […] un solo battesimo. Un solo Dio» (Ef 4, 4.5-6). Un solo Dio. Nel primo articolo, la Confessio Augustana professa la fede nel Dio uno e trino, richiamandosi appositamente al Concilio di Nicea. Il credo di Nicea è espressione vincolante di fede non solo per Cattolici e Luterani, ma anche per i fratelli Ortodossi e per molte altre comunità cristiane. È un tesoro comune: adoperiamoci affinché il 1700° anniversario di quel grande Concilio, che ricorrerà nel 2025, dia nuovo impulso al cammino ecumenico, che è un dono di Dio e per noi un percorso irreversibile. Un solo battesimo. Cari fratelli e sorelle, tutto quello che la grazia di Dio ci sta dando la gioia di sperimentare e condividere — il crescente superamento delle divisioni, la progressiva guarigione della memoria, la collaborazione riconciliata e fraterna tra di noi — trova fondamento proprio nell’«unico battesimo per la remissione dei peccati» (Credo niceno-costantinopolitano). Il santo battesimo è il dono divino originario, che sta alla base di ogni nostro sforzo religioso e di ogni impegno al raggiungimento della piena unità. Sì, perché l’ecumenismo non è un esercizio di diplomazia ecclesiale, ma un cammino di grazia. Esso non poggia su mediazioni e accordi umani, ma sulla grazia di Dio, che purifica la memoria e il cuore, vince le rigidità e orienta verso una comunione rinnovata: non verso accordi al ribasso o sincretismi concilianti, ma verso un’unità riconciliata nelle differenze. In questa luce vorrei incoraggiare tutti coloro che sono impegnati nel dialogo cattolico-luterano a proseguire con fiducia nella preghiera incessante, nell’esercizio della carità condivisa e nella passione per la ricerca volta a una maggiore unità tra le varie membra del Corpo di Cristo. Un solo corpo. A questo proposito, la Regola di Taizé contiene una bella esortazione: «Abbiate la passione dell’unità del Corpo di Cristo». La passione per l’unità matura attraverso la sofferenza che si prova davanti alle ferite che abbiamo inferto al Corpo di Cristo. Quando avvertiamo dolore per la divisione dei cristiani, ci avviciniamo a quello che Gesù sperimenta, continuando a vedere i suoi discepoli disuniti, le sue vesti lacerate (cfr Gv 19, 23). Oggi mi avete regalato una patena e un calice provenienti proprio dai laboratori di Taizé. Vi ringrazio per questi doni, che evocano la nostra partecipazione alla Passione del Signore. Anche noi viviamo infatti una sorta di passione, nel suo duplice significato: da una parte sofferenza, perché non è ancora possibile radunarci attorno allo stesso altare, allo stesso calice; dall’altra, ardore nel servire la causa dell’unità, per la quale il Signore ha pregato e offerto la vita. Proseguiamo dunque con passione nel nostro cammino dal conflitto alla comunione sulla strada della crisi. La prossima tappa riguarderà la comprensione degli stretti legami tra Chiesa, ministero ed Eucaristia. Sarà importante guardare con umiltà spirituale e teologica alle circostanze che portarono alle divisioni, nella fiducia che, se è impossibile annullare le tristi vicende del passato, è possibile rileggerle all’interno di una storia riconciliata. La vostra Assemblea Generale nel 2023 potrebbe essere un passo importante per purificare la memoria e valorizzare tanti tesori spirituali, che il Signore ha disposto per tutti lungo i secoli. Cari fratelli e sorelle, il percorso che va dal conflitto alla comunione, sulla strada della crisi, non è facile, ma non siamo soli: Cristo ci accompagna. Il Signore crocifisso e risorto benedica tutti noi, e in particolare Lei, caro Reverendo Junge, caro amico Martin, che il 31 ottobre terminerà il suo servizio come Segretario Generale. Vi ringrazio ancora di cuore per la visita e vi invito a pregare insieme, ciascuno nella propria lingua, il Padre Nostro per il ristabilimento della piena unità tra i cristiani. E il modo di farla, lo lasciamo allo Spirito Santo che è creativo, molto creativo, e anche poeta”.
23-27 giugno 2021. (cf. NEV Notiziario) Una delegazione di luterani tedeschi tiene a Roma una serie di incontri e colloqui ecumenici, in occasione dei 500 anni dalla scomunica di Lutero. Si tratta di un appuntamento che fa parte di un percorso comune di lunga data. Esso ha visto una delle sue importanti tappe nella Commemorazione congiunta cattolico-luterana della Riforma, tenutasi nel 2016 a Lund, in Svezia. La Commemorazione si inseriva nelle ampie celebrazioni mondiali per il 500° anniversario della Riforma protestante. La delegazione rappresenta il Comitato nazionale tedesco della Federazione luterana mondiale (FLM) e la VELKD. Essa è composta dal vescovo Frank-Otfried July (presidente della sezione tedesca FLM) e dai vescovi VELKD Ralf Meister e Karl-Hinrich Manzke (quest’ultimo, incaricato per i rapporti con la Chiesa cattolica). Giovedì 24 giugno i vescovi incontrano Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei cristiani. Incontri anche con rappresentanti della comunità di Sant’Egidio, del Movimento dei Focolari, della CELI e con l’inviato dell’Ambasciata tedesca presso la Santa Sede. Il viaggio termina con un culto nella Chiesa luterana, domenica 27 giugno, in cui la Santa Cena viene presieduta dal vescovo Ralf Meister e la predicazione è tenuta del cardinale Koch. “Con il viaggio a Roma continuiamo una lunga serie di colloqui basati sulla fiducia e sull’apertura ecumenica e ci riallacciamo ai precedenti incontri – ha dichiarato il vescovo Manzke –. Sono colloqui che, in questo particolare momento, sono particolarmente necessari. Raccontare della Chiesa evangelica-luterana in Germania e nel mondo e ascoltare la nostra chiesa sorella cattolica porta a una comprensione reciproca e rafforza i rapporti ecumenici”. Fra i temi affrontati dalla delegazione le sfide e lo status del dialogo ecumenico internazionale e le possibilità di azioni comuni. Inoltre, gli studi del gruppo di lavoro ecumenico ‘Insieme alla tavola del Signore’, sui quali la VELKD ha formulato un parere. Infine, la scomunica di Lutero del 1521 e il suo significato per la situazione ecumenica oggi. Su questo argomento, Vaticano e Federazione luterana mondiale hanno annunciato una dichiarazione congiunta.
26 giugno 2021. Incontro nazionale islamo-cattolico a cura dell’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso e di varie organizzazioni islamiche come l’ADMI e l’Istituto Tevere, a Loppiano (in presenza e in diretta streaming), sul tema ‘Passi significativi: ambiente e cura del creato. Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune’. Ad aprire i lavori ci sono il vescovo Stefano Russo, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, Abdellah Redouane, segretario generale del Centro islamico culturale d’Italia (CICI), e un delegato di Yassine Baradai, segretario nazionale dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia (UCOII). Mons. Stefano Russo, segretario generale della Conferenza episcopale italiana ha salutato i circa 100 partecipanti ‘in presenza’ – oltre ai tanti collegati via Facebook e YouTube – con queste parole: “La vostra presenza incoraggia e permette ai passi, che stiamo compiendo, di avere futuro e speranza”. «Il titolo di questo incontro – aggiunge – richiama i passi significativi che stiamo compiendo». Passi che «permettono di approfondire le relazioni creando le condizioni per aprire le porte della fiducia, attraverso un processo di coerenza che passa per la mutua conoscenza delle nostre tradizioni religiose». L’auspicio è che si possano generare anche nel territorio italiano «dinamiche inedite» di dialogo, incontro e ascolto, «di regione in regione», perché «è questa la sfida che ci viene affidata ». Monsignor Russo anticipa che la giornata terminerà con indicazioni concrete «di buone pratiche», frutto dei laboratori, che «insieme possiamo incoraggiare e promuovere». «È questo un vero e proprio esercizio di fratellanza umana – conclude – che fa bene alle nostre reciproche relazioni e all’Italia intera» (Cf. Agensir). Martino Diez, docente all’Università Cattolica e direttore scientifico della Fondazione Internazionale Oasis, spiega che «prospettiva biblica e coranica » si «incontrano» in una «visione antropologica» in cui l’uomo è considerato ‘custode del creato’ (Genesi) e ‘luogotenente del creatore’ (Corano) venendo quindi contestato l’utilizzo della tecnica «per soddisfare la volontà di potenza». Infatti «in ultima analisi la crisi ecologica non è una semplice questione di cattiva gestione delle risorse, ma di una volontà che perde il senso della misura in una ricerca esasperata della propria auto-affermazione». E in questo quadro «la dottrina della creazione» comune nei testi sacri islamo-cristiani diventa «il vero argine allo sfruttamento indiscriminato dell’ambiente» soprattutto perché «riporta l’uomo alle sue giuste proporzioni». E cioè: «non creatore, ma custode». All’analisi proposta da Diez fa eco Shahrzad Houshmand Zadeh. La teologa musulmana, in collegamento da Teheran, ribadisce che «il Dio creatore, vivo, potente, onnisciente, il misericordioso» nomina l’uomo ‘califfo’, ‘luogotenente’, cioè suo «successore e custode della vita sul pianeta Terra ». E che «custodire» è «la parola chiave di tutto». Abdellah Redouane, segretario generale del Centro islamico culturale d’Italia e della Grande Moschea di Roma, nel suo intervento ha affermato: “Ogni aggressione all’ecosistema è un male fatto nei confronti dei più deboli, soprattutto delle generazioni future. Prendere coscienza di questa responsabilità morale deve spingerci insieme a mettere in discussione il nostro stile di vita e adoperare una profonda conversione ecologica che sia non solo individuale ma coinvolga l’intera comunità umana”. L’incontro – ha continuato Redouane – segue un cammino di dialogo iniziato ormai da anni e “costituisce un traguardo significativo di un progetto di dialogo e conoscenza reciproca in una fase in cui il mondo sta attraversando un periodo buio, ancora non concluso, contraddistinto di incertezze e malessere in generale. La crisi pandemica ha offerto agli uomini di fede e di buona volontà l’occasione di riflettere sulla cura della nostra casa comune, a riconoscere e a pentirsi per i danni commessi contro il creato, in nome delle leggi supreme del mercato”. Redouane ha quindi esortato le comunità islamiche e cattoliche a promuovere “semplici gesti quotidiani” capaci di “spezzare l’egoismo e la violenza contro la natura e i nostri simili”. Facendo quindi riferimento al Documento di Abu Dhabi, sulla Fratellanza umana, firmato da Papa Francesco e dal grande Imam di Al-Azhar Ahmad al Tayyib, ha concluso: “Le religioni abramitiche in dialogo tra loro seminano le fondamenta di una nuova cittadinanza per affrontare le sfide del terzo millennio e riportare il Mediterraneo ad essere luogo di unità e di pace, piuttosto che di conflitto, di guerre e di morte” (cf. Agensir). I partecipanti al convegno si sono confrontati sul tema della giornata in 14 laboratori tematici, coordinati ciascuno da due moderatori con il compito di favorire il dialogo e la mutua conoscenza. Si parla di famiglia, di giovani, di lavoro, di luoghi di culto, di stili di vita, di sviluppo sostenibile. Una sintonia particolare si registra nell’affrontare alcuni temi etici, come la questione dell’eutanasia. Dopo l’agape fraterna la presentazione delle sintesi dei contributi emersi e delle buone pratiche da sostenere nei territori. La giornata si chiude con un gesto simbolico. La piantumazione di un albero di melograno. Un albero particolarmente significativo per le tre religioni abramitiche: simbolo di giustizia per la tradizione ebraica, segno della sofferenza e della resurrezione di Gesù per la tradizione cristiana e simbolo di fertilità in diverse tradizioni orientali. Vi partecipa anche Mons. Mario Meini, vescovo di Fiesole, nel cui territorio si trova Loppiano. Infine monsignor Russo annuncia che il prossimo Incontro islamo-cristiano organizzato dall’UNEDI avrà come tema la cittadinanza e che con ogni probabilità si terrà a Lampedusa, luogo «molto significativo per tutto quello che rappresenta». L’incontro di Loppiano – ha spiegato all’agenzia SIR don Giuliano Savina, segretario dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso (UNEDI) – fa parte di un progetto quinquennale che ha l’obiettivo di declinare in maniera concreta alcuni punti del Documento di Abu Dhabi sulla Fratellanza umana, firmato da Papa Francesco e dal grande Imam di Al-Azhar Ahmad al Tayyib. Avviato nel 2019 con lo storico incontro tra gli operatori pastorali per il dialogo interreligioso della Chiesa cattolica e i leader delle Comunità islamiche presso la Moschea di Roma, il cammino di confronto e dialogo è proseguito sul territorio, a livello culturale, formativo e religioso. L’obiettivo è proporre il volto di una Chiesa dialogica, nel solco tracciato da Paolo VI con l’enciclica Ecclesiam Suam, in modo, spiega don Giuliano Savina, che «il dialogo sia non solo per gli addetti ai lavori ma per tutta la comunità cristiana». Al centro dei lavori di Loppiano quest’anno è stata posta la questione ambientale. Nei prossimi anni si discuterà della relazione uomo-donna, di cittadinanza e di lavoro. “Il titolo di questo incontro richiama i passi significativi che stiamo compiendo”, ha detto mons. Russo all’agenzia SIR. Egli ha aggiunto: “Si tratta di passi che ci permettono di approfondire le relazioni creando le condizioni per aprire le porte della fiducia, attraverso un processo di coerenza che passa per la mutua conoscenza delle nostre tradizioni religiose”. L’auspicio è che si possano generare anche nel territorio italiano “dinamiche inedite” di dialogo, incontro e ascolto, “di regione in regione”: “è questa la sfida che ci viene affidata”. Occorre incoraggiare e promuovere le buone pratiche emerse dall’incontro islamo-cattolico : “È questo un vero e proprio esercizio di fratellanza umana – ha concluso Mons. Russo – che fa bene alle nostre reciproche relazioni e all’Italia intera”. Dopo l’agape fraterna la presentazione delle sintesi dei contributi emersi e delle buone pratiche da sostenere nei territori. La giornata si chiude con un gesto simbolico. La piantumazione di un albero di melograno. Un albero particolarmente significativo per le tre religioni abramitiche. Partecipa anche Mario Meini, vescovo di Fiesole, nel cui territorio si trova Loppiano. Infine monsignor Russo annuncia che il prossimo Incontro islamo-cristiano organizzato dall’Unedi avrà come tema la cittadinanza e che con ogni probabilità si terrà a Lampedusa, luogo «molto significativo per tutto quello che rappresenta».
26 giugno 2021. Singapore (Agenzia Fides) – Promuovere il dialogo interreligioso tra i giovani: è questa una delle iniziative e degli orientamenti della Chiesa di Singapore, che nel 2021 celebra 200 anni dall’arrivo della fede cristiana sulle sue sponde. Come riferito all’Agenzia Fides, il Consiglio arcidiocesano per il Dialogo Interreligioso di Singapore ha organizzato nei giorni scorsi uno speciale Forum interreligioso online dedicato ai giovani, cui hanno preso parte 160 giovani adulti di diverse religioni in tutta Singapore. L’evento, organizzato in collaborazione del Centro Wee Kim Wee della Singapore Management University (SMU WKWC) e della Scuola di Studi Internazionali S. Rajaratnam (RSIS) è stato sostenuto dal Ministero della Cultura, della Comunità e della Gioventù (MCCY).I partecipanti erano di fede indù, ebrea, buddista, taoista, cristiana (cattolica, protestante, ortodossa), musulmana, sikh e baha’i. I presenti si sono riuniti per un evento di quattro ore per approfondire la conoscenza della lettera enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti” sulla fraternità e l’amicizia sociale.Tra i relatori, mons. John-Paul Tan OFM, Vicario Generale per le Relazioni interreligiose, padre Derrick Yap OFM, il prof, Justin Tse e il prof. Mohamed Bin Ali, che hanno presentato rispettivamente la prospettiva cattoliche, laica e islamica sul Documento. Padre Yap ha parlato del background spirituale di FT e della chiamata alla fraternità in un mondo moderno individualista, il prof Mohamed ha sottolineato i temi comuni all’islam, come l’umanità, la dignità umana, la fraternità e l’ amicizia sociale, mentre il prof. Justin Tse ha dato ai partecipanti una prospettiva secolare, notando come le religioni hanno influito sulla storia delle civiltà. I presenti hanno ricordato che il testo di “fratelli Tutti” trae la sua principale ispirazione dalla vita e dagli insegnamenti di San Francesco d’Assisi. Dai capitoli dell’enciclica sono stati tratti i diversi temi per il dibattito in gruppi e laboratori del Forum: l’importanza del dialogo sociale; la connessione autentica nell’era digitale; camminare verso una civiltà dell’amore; esplorare opportunità di azione congiunta tra comunità religiose; la rilevanza della religione in un mondo sempre più laico. Una convinzione comune emersa dal Forum e quella per cui il dialogo non deve essere fine a se stesso. È invece “un mezzo per raggiungere un domani migliore incoraggiando un’azione comune”. Un altro filo conduttore è stato il desiderio di vedere il dialogo interreligioso evolversi in azioni concrete che si possano manifestare nella vita quotidiana. I partecipanti si sono detti fortemente chiamati a una cooperazione per raggiungere i fratelli e le sorelle bisognosi, a prescindere dalle loro convinzioni religiose. I partecipanti hanno soprattutto riflettuto su come i giovani potrebbero aiutare a sviluppare il dialogo interreligioso e tutti hanno concordato che “si deve partire attraverso piccole azioni e messaggi d’amore reciproco”. La popolazione di Singapore è di 5,7 milioni, circa 383.000 sono cattolici (9% della popolazione).
(SD-PA) (AGenzia Fides 26/6/2021)
27 giugno 2021. Ricorre oggi il digiuno del 17 di Tamuz (cf. Moked). Come spesso avviene, il calendario ebraico ci proietta in una dimensione temporale, di pensieri di ricordi e riflessioni, molto diversa da quella che ci proviene dalla realtà quotidiana legata al calendario civile. In questa domenica di inizio estate, che induce a clima vacanziero siamo invece chiamati come popolo ebraico a ricordare eventi particolarmente tristi del passato e a chiederci il senso di queste memorie. La Mishnà (Ta’anit 4,6) riferisce alla data del 17 di Tamuz cinque diverse sventure: furono spezzate da Mosè le prime Tavole del Patto, alla vista dell‘idolatria del vitello d’oro; venne meno l’offerta del sacrificio quotidiano sull’altare, durante l’assedio posto dai babilonesi che avrebbe portato alla caduta del primo Santuario; fu inferta la prima breccia nelle mura di Yerushalaim, nel corso dell’assedio posto dalle truppe romane che avrebbe portato alla caduta del secondo Santuario. Altri due eventi tristissimi, di più incerti epoca, sono riferiti a questa stessa data del 17 di Tamuz: per la prima volta un Sefer Torà fu dato alle fiamme dai nemici e fu introdotta una statua nel Santuario. I Maestri ci tracciano dunque un percorso di eventi funesti che porta fino alla caduta di Gerusalemme nelle mani del nemico e infine alla distruzione del Santuario, destinata a cambiare radicalmente la condizione del popolo ebraico. Il punto di partenza è la rottura delle Tavole del Patto in conseguenza dell’idolatria; bisogna fare attenzione a non attribuire al termine idolatria un riferimento esclusivo a pratiche pagane del passato, è invece una grave forma di decadenza che può manifestarsi in ogni tempo, può manifestarsi, tra l’altro, quando una componente della nostra vita, dei nostri valori, dei nostri obiettivi, che avrebbero pure il loro giusto spazio, viene invece elevato a valore assoluto, a criterio principale, se non esclusivo di giudizio. Allora può esserci “avodà zarà” un servizio estraneo. L’idolatria non è sempre così evidente, persino nel caso del vitello d’oro c’è chi spiega che gli ebrei fossero convinti di poter utilizzare l’immagine forgiata nell’oro fuso per rivolgersi al Signore. Bisogna fare attenzione a non sostituire la avodat Hashem, il servizio veramente dedicato a D.O con un culto di cui pretendiamo noi di definire le forme e i modi. Tra le altre sventure del 17 di Tamuz penso che non sia da trascurare il venir meno dell’offerta quotidiana nel Santuario. Da questo ricordo si ribadisce che la Torah ci richiede un impegno di vita continuo, giorno per giorno, dedichiamo al Signore del nostro tempo delle nostre qualità e delle nostre risorse, perché in questo modo si forma la nostra vita, il nostro legame con il Signore e perché, come ci ricorda il passo biblico“ Da Te tutto proviene e noi diamo a Te ciò che ci viene dalla Tua mano” ( 1°Cronache 29,14). L’offerta quotidiana da ricomporre forse è anche l’impegno a ritrovare nella Torà, giorno per giorno, ciò che unisce tutto il popolo ebraico e che potrà darci il merito di rivedere la ricostruzione del Santuario. Non a caso siamo entrati oggi nel digiuno avendo ieri ascoltato le parole della Haftarà del profeta Michà: “Uomo, il Signore ti ha detto che cosa è bene e che cosa Egli richiede da te, se non che tu operi con giustizia, ami la bontà e procedi umilmente con il tuo D.O” ( Michà 6,8). Rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova.
28 giugno 2021. Papa Francesco ha ricevuto in udienza nella Biblioteca privata del Palazzo Apostolico Vaticano la delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, giunta come di tradizione a Roma, in occasione della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, guidata dal metropolita di Calcedonia Emmanuel Adamakis. DISCORSO DEL PAPA: “Cari fratelli in Cristo, vi saluto con gioia e vi do il benvenuto con affetto a Roma in occasione della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Ringrazio il Metropolita Emmanuel per le cortesi parole che mi ha rivolto – parole di fratello. Lo scambio annuale di delegazioni tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli per le feste dei rispettivi Patroni è un segno della comunione reale, anche se non ancora piena, che già ci lega. Sono vivamente grato a Sua Santità Bartolomeo e al Santo Sinodo che hanno voluto inviarvi tra noi e vi ringrazio per la gradita visita. Quest’anno festeggeremo i Santi Pietro e Paolo mentre il mondo sta ancora lottando per uscire dalla drammatica crisi causata dalla pandemia. Questo flagello è stato un banco di prova che ha investito tutti e tutto. Più grave di questa crisi c’è solo la possibilità di sprecarla, senza apprendere la lezione che ci consegna. È una lezione di umiltà, che ci insegna l’impossibilità di vivere sani in un mondo malato e di continuare come prima senza renderci conto di quanto non andava. Anche ora, il grande desiderio di tornare alla normalità può mascherare l’insensata pretesa di appoggiarsi nuovamente a false sicurezze, ad abitudini e progetti che mirano esclusivamente al guadagno e al perseguimento dei propri interessi, senza prendersi cura delle ingiustizie planetarie, del grido dei poveri e della precaria salute del nostro pianeta. E a noi cristiani, che cosa dice tutto ciò? Anche noi siamo seriamente chiamati a chiederci se vogliamo riprendere a fare tutto come prima, come se non fosse successo nulla, o se vogliamo cogliere la sfida di questa crisi. La crisi, come rivela il significato originario della parola, implica un giudizio, una separazione tra ciò che fa bene e ciò che fa male. Il termine, infatti, anticamente designava l’atto dei contadini che separavano il grano buono dalla pula da buttare. La crisi chiede dunque di effettuare una cernita, di operare un discernimento, di fermarsi a vagliare che cosa, di tutto quello che facciamo, resta e che cosa passa. Ora, noi crediamo, come insegna l’Apostolo Paolo, che a restare per sempre è l’amore, perché, mentre tutto passa, «la carità non avrà mai fine» (1 Cor 13,8). Non parliamo certamente dell’amore romantico, centrato su sé stessi, sui propri sentimenti, desideri ed emozioni; parliamo dell’amore concreto, vissuto al modo di Gesù. È l’amore del seme che dà vita morendo in terra, che porta frutto spezzandosi. È l’amore che «non cerca il proprio interesse», che «tutto scusa, tutto spera, tutto sopporta» (vv. 5.7). In altre parole, il Vangelo assicura frutti abbondanti non a chi accumula per sé, non a chi guarda ai propri tornaconti, ma a chi condivide apertamente con gli altri, seminando con abbondanza e gratuità, in umile spirito di servizio. Prendere sul serio la crisi che stiamo attraversando significa dunque, per noi cristiani in cammino verso la piena comunione, chiederci come vogliamo procedere. Ogni crisi pone di fronte a un bivio e apre due vie: quella del ripiegamento su sé stessi, nella ricerca delle proprie sicurezze e opportunità, o quella dell’apertura all’altro, con i rischi che comporta, ma soprattutto con i frutti di grazia che Dio garantisce. Cari fratelli, non è forse giunta l’ora in cui dare, con l’aiuto dello Spirito, slancio ulteriore al nostro cammino per abbattere vecchi pregiudizi e superare definitivamente rivalità dannose? Senza ignorare le differenze che andranno superate attraverso il dialogo, nella carità e nella verità, non potremmo inaugurare una nuova fase delle relazioni tra le nostre Chiese, caratterizzata dal camminare maggiormente insieme, dal voler fare reali passi avanti, dal sentirci veramente corresponsabili gli uni per gli altri? Se saremo docili all’amore, lo Spirito Santo, che è l’amore creativo di Dio e mette in armonia le diversità, aprirà le vie per una fraternità rinnovata. La testimonianza di crescente comunione tra noi cristiani sarà anche un segno di speranza per tanti uomini e donne, che si sentiranno incoraggiati a promuovere una fraternità più universale e una riconciliazione in grado di rimediare ai torti del passato. È la sola via per dischiudere un avvenire di pace. Un bel segno profetico sarà anche la collaborazione più stretta tra Ortodossi e Cattolici nel dialogo con altre tradizioni religiose, ambito nel quale so che Lei, cara Eminenza Emmanuel, è molto coinvolto. Cari amici, desidero ringraziarvi ancora una volta per la vostra presenza. Vi chiedo cortesemente di trasmettere a Sua Santità Bartolomeo, che sento come mio vero Fratello, il mio saluto affettuoso e rispettoso, e di dirgli che lo attendo con gioia qui a Roma il prossimo ottobre, occasione per rendere grazie a Dio nel trentesimo anniversario della sua elezione. Per intercessione dei Santi Pietro e Paolo, i corifei degli Apostoli, e di Sant’Andrea, il primo dei chiamati, Dio onnipotente e misericordioso ci benedica e ci attiri sempre di più verso la sua unità. E, voi, carissimi, riservatemi, per favore, uno spazio nelle vostre preghiere. Grazie” (cf. Osservatore Romano).
A cura di Lucia Antinucci
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