INTRODUZIONE. Il mio compito è quello d’illustrare il contributo del dialogo ebraico cristiano alla ‘solidarietà senza frontiere’, alla costruzione di una società come ‘mondo aperto’. Si tratta cioè della “capacità quotidiana di allargare la mia cerchia, di arrivare a quelli che spontaneamente non sento parte del mio mondo di interessi, benché siano vicino a me. D’altra parte, ogni fratello o sorella sofferente, abbandonato o ignorato dalla mia società è un forestiero esistenziale, anche se è nato nello stesso Paese. Può essere un cittadino con tutte le carte in regola, però lo fanno sentire come uno straniero nella propria terra. Il razzismo è un virus che muta facilmente e invece di sparire si nasconde, ma è sempre in agguato” (n. 97)[2]. Quanto si afferma nell’Enciclica riguardo al razzismo vale anche per l’antisemitismo, che costituisce “il ‘simbolo di dove può arrivare la malvagità dell’uomo quando, fomentata da false ideologie, dimentica la dignità fondamentale di ogni persona, la quale merita rispetto assoluto qualunque sia il popolo a cui appartiene e la religione che professa’” (n. 247). Qui viene citato il discorso di Papa Francesco a Tel Aviv del 25 maggio 2014. Si tratta, quindi, di realizzare l’amicizia sociale: “Quando è genuina, questa amicizia sociale all’interno di una società è condizione di possibilità di una vera apertura universale” (n. 99).
Il tema della solidarietà senza frontiere è collegato a quello della pace; la giustizia rende possibile il superamento dei conflitti. Il cap. VIII dell’enciclica affronta questo discorso nell’ambito interreligioso, poiché implica l’apporto di tutte le religioni: “Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società. […] stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori ed esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e amore” (n. 271). Per l’ enciclica le religioni devono contribuire alla pace: “Tra le religioni è possibile un cammino di pace. Il punto di partenza dev’essere lo sguardo di Dio” (n. 281). Occorre essere architetti e artigiani di pace: “In molte parti del mondo occorrono percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite, c’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia” (n. 225). Il cap. VIII dell’enciclica non è il tema di questa sera, ma ho ritenuto opportuno fare un richiamo ad esso come premessa, per contestualizzare la mia riflessione sul contributo dei ‘fratelli gemelli’, l’interazione tra ebrei e cristiani
Il dialogo ebraico cristiano è un’esperienza di fraternità e amicizia. Il dialogo per l’enciclica consiste nell’“avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo ‘dialogare’. Per incontrarci e aiutarci a vicenda abbiamo bisogno di dialogare” (n. 198). Il bisogno dell’avvicinamento, della comprensione tra ebrei e cristiani è scaturita dalla tragedia della Shoah, che viene citata nell’enciclica, per far risaltare l’ esigenza del rispetto nei confronti di coloro che hanno subìto profonde ferite: “Da chi ha sofferto molto in modo ingiusto e crudele, non si deve esigere una specie di ‘perdono sociale’. La riconciliazione è un fatto personale, e nessuno può imporla all’insieme di una società, anche quando abbia il compito di promuoverla. Nell’ambito strettamente personale, con una decisione libera e generosa, qualcuno può rinunciare ad esigere un castigo (cf. Mt 5,44-46), benché la società e la sua giustizia legittimamente tendano ad esso. Tuttavia non è possibile decretare una ‘riconciliazione generale’, pretendendo di chiudere le ferite per decreto o di coprire le ingiustizie con un manto di oblio. Chi può arrogarsi il diritto di perdonare in nome degli altri? È commovente vedere la capacità di perdono di alcune persone che hanno saputo andare al di là del danno patito, ma è pure umano comprendere coloro che non possono farlo. In ogni caso, quello che mai si deve proporre è il dimenticare” n. 246).
L’ingiustizia non può essere cancellata con l’oblio; il perdono non può essere imposto, non si può perdonare al posto di un altro; il perdono non implica la perdita di memoria: “La Shoah non va dimenticata. […]. Nel ricordarla, non posso fare a meno di ripetere questa preghiera: ‘Ricordati di noi nella tua misericordia. Dacci la grazia di vergognarci di ciò che, come uomini, siamo stati capaci di fare, di vergognarci di questa massima idolatria, di aver disprezzato e distrutto la nostra carne, quella che tu impastasti’” (n. 247). Questa preghiera richiama quella espressa da Giovanni Paolo II durante l’Anno santo del Duemila, sulla base del Documento della Commissione teologica internazionale ‘Memoria e Riconciliazione’: “Noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi tuoi figli, e chiedendoti perdono vogliamo impegnarci in un’autentica fraternità con il popolo dell’alleanza”. Occorre anche richiamare il fatto che nel 1997 Giovanni Paolo II convocò in Vaticano sessanta studiosi per approfondire le radici cristiane dell’antisemitismo, cioè l’antigiudaismo. La Commissione il 16 marzo 1998 pubblicò il Documento ‘Noi ricordiamo: una riflessione sulla shoah’ come conclusione dei loro approfondimenti. Nel testo si afferma che l’antisemitismo nazista, pur essendo di origine non cristiana, è stato facilitato “dai pregiudizi antigiudaici presenti nelle menti e nei cuori di alcuni cristiani. Il sentimento antigiudaico rese forse i cristiani meno sensibili, o perfino indifferenti, alle persecuzioni lanciate contro gli ebrei dal nazionalsocialismo quando raggiunse il potere?”.
JULES ISAAC. L’enciclica cita alcuni testimoni della fraternità universale (cf. n. 286); vorrei fare un breve accenno all’opera di colui che ha dato inizio alla fraternità tra ebrei e cristiani, lo storico francese Jules Isaac (1887-1963). Quando la tragedia della shoah fece irruzione nella sua vita, la sua reazione non fu l’odio bensì l’amicizia con i cristiani, basata anche sullo studio comparato dell’ ebraismo e del cristianesimo. Nel 1948 pubblicò Jésus et Israel che costituisce, ormai, un ‘classico’ del dialogo ebraico-cristiano; dedicò la sua opera alla moglie ed alla figlia, uccise in un campo di concentramento nazista solo perché si chiamavano ‘Isaac’. Egli impegnò ancor più la sua riflessione di storico sulle ragioni dell’antisemitismo, e rivolse continuamente l’invito al mondo cristiano a cambiare l’atteggiamento nei confronti dell’ebraismo. Da qui vennero altre pubblicazioni e la nascita dell’associazione Amicizia ebraico-cristiana, ormai diffusa a livello internazionale: International Council of Chrìstìans and Jews (Consiglio internazionale di cristiani ed ebrei –ICCJ).
- Isaac si rese conto che il dialogo ebraico-cristiano avrebbe avuto maggiore risonanza se fosse riuscito a coinvolgere il pontefice; dopo vari tentativi fallimentari egli riuscì finalmente ad incontrare Giovanni XXIII in Vaticano il 13 giugno 1960. I suggerimenti dello storico francese si rivelarono stimolanti per la Dichiarazione Nostra aetate (NA). J. Isaac fu l’autore della magna charta del dialogo-ebraico-cristiano; nel 1947, infatti, promosse il Congresso internazionale giudeo-cristiano a Seelisberg (Svizzera), che promulgò i dieci punti, tratti dal libro Gesù e Israele[3]. I dieci punti sono soprattutto l’espressione dell’impegno umano e religioso contro l’ antisemitismo, attraverso proposte operative e stimolanti intuizioni teologiche per il dialogo ebraico-cristiano.
LA PACE E LA GIUSTIIZIA NEL DIALOGO EBRAICO-CRISTIANO. L’opera di Jules Isaac è finalizzata alla promozione della fraternità, dell’amicizia, del dialogo tra cristiani ed ebrei, ma è aperta all’amicizia sociale ad ampio raggio, alla promozione della pace, della giustizia a livello universale e questa dimensione emerge particolarmente dagli sviluppi del dialogo ebraico-cristiano. Cito qualche documento.
Dichiarazione congiunta della XVIII sessione plenaria del Comitato internazionale di collegamento cattolico-ebraico[4] che si è tenuto a Buenos Aires dal 5 all’8 luglio 2004. L’incontro è stato dedicato al tema ‘Tzedeq e tzedaqah – Giustizia e carità’, secondo l’aspetto teoretico e le applicazioni pratiche, traendo ispirazione dall’”Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19, 18; Mt 22, 39). Il Comitato ha evidenziato che l’impegno per la giustizia, la tradizione di aiutare le vedove, gli orfani, i poveri e gli stranieri in mezzo a noi (cf. Es 22,20-22; Mt 25, 31-46) è profondamente radicata in entrambe le fedi. “I saggi d’Israele svilupparono un’ampia dottrina di giustizia e carità verso tutti, fondata su un’elevata comprensione del concetto di Tzedeq”.
Tutti gli esseri umani hanno uguale dignità, per cui hanno il diritto di essere trattati con giustizia ed equità, come proporzionata partecipazione alla bontà e alla grazia divina (hesed). “A partire dal fatto della dimensione globale della povertà, dell’ingiustizia e della discriminazione, noi abbiamo un chiaro obbligo religioso di preoccuparci dei poveri e di coloro che sono privati dei loro diritti politici, sociali e culturali. Gesù, profondamente radicato nella tradizione ebraica del suo tempo, fece dell’impegno verso i poveri una priorità del suo ministero. Il Talmud afferma che il Santo Uno, Dio Benedetto, si prende continuamente cura di chi è nel bisogno. Oggi questa preoccupazione per i poveri deve abbracciare in tutti i continenti le grandi masse di affamati, senza casa, orfani, vittime dell’Aids, privi di adeguate cure mediche, e tutti coloro che attualmente mancano di speranza per un migliore avvenire”.
Per la tradizione ebraica “la forma più alta di carità consiste nel rimuovere gli ostacoli che impediscono ai poveri di sollevarsi dalla loro povertà”e la chiesa in questi ultimi anni ha posto l’accento sulla sua opzione preferenziale per i poveri. “Ebrei e cristiani hanno eguale obbligo di lavorare per la giustizia con carità (Tzedaqà), che condurrà infine allo Shalom per tutta l’umanità. Nella fedeltà – afferma il Comitato cattolico-ebraico – alle nostre distinte tradizioni religiose, noi vediamo in questo comune impegno per la giustizia e la carità una cooperazione da parte dell’uomo nel piano divino per migliorare il mondo. Alla luce di questo impegno comune, riconosciamo la necessità di affrontare le seguenti sfide immediate: la crescente disparità economica tra i popoli, l’incremento della devastazione ecologica, gli aspetti negativi della globalizzazione e l’urgente bisogno di un’azione internazionale per la pace e la riconciliazione”.
Il Comitato manifesta di apprezzare molto “le iniziative congiunte di organizzazioni cattoliche ed ebraiche, internazionali e nazionali, che hanno già cominciato ad affrontare le necessità degli indigenti, degli affamati, dei malati, dei giovani, dei bisognosi di educazione, degli anziani. Spinti da simili azioni per la giustizia sociale, ci ripromettiamo di raddoppiare i nostri sforzi per rivolgerci alle impellenti necessità di tutti, a motivo del nostro comune impegno per la giustizia e la carità”.
L’impegno concreto, sociale, è aperto alla collaborazione anche con le altre fedi, affinchè nel mondo trionfi la pace: “Facciamo appello agli uomini e alle donne di tutte le fedi, per sostenere gli sforzi internazionali al fine di sradicare questa minaccia alla vita, affinché tutte le nazioni possano vivere insieme in pace e sicurezza sulla base dello Tzedeq e della Tzedaqà. Auspichiamo che le promesse che ci siamo reciprocamente scambiate qui in Buenos Aires – sottolinea il Comitato – trovino applicazione e diffusione nelle nostre comunità, così che il lavoro per la giustizia e la carità conduca veramente al massimo dono di Dio: la pace”.
La Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo (che fa parte del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani) in un Documento del 10 dicembre 2015, dal titolo: “ ‘Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili’ (Rm 11,29). Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche in occasione del 50° anniversario di Nostra aetate (n. 4)”[5]. In tale Documento, che fa un bilancio del dialogo religioso tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo e apre prospettive per il futuro, si afferma la particolarità del dialogo ebraico-cristiano. Tra ebraismo e cristianesimo c’è sempre stata una reciproca influenza, per cui “solo con le dovute riserve, il dialogo ebraico-cristiano può essere definito dialogo interreligioso in senso stretto; si dovrebbe piuttosto parlare di un tipo di ‘dialogo intra-religioso o intra-familiare sui generis” (n. 20).
Un altro “importante obiettivo del dialogo ebraico-cristiano – si sottolinea nel Documento – consiste indubbiamente nell’impegno comune a favore della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato e della riconciliazione in tutto il mondo” (n. 46). In passato le religioni, a causa di una restrittiva rivendicazione della verità, erano causa di conflitti e intolleranza. Oggi le religioni, attraverso il dialogo, possono contribuire alla pace mondiale, anche a livello sociale e politico. E’ necessario però che le autorità civili garantiscano la libertà religiosa e i diritti delle minoranze religiose.
Nel 2015, poco prima che la Pontificia Commissione per il dialogo religioso con l’ebraismo pubblicasse il suo Documento, venticinque rabbini ortodossi, di cui alcuni vivevano in Israele, altri negli Stati Uniti o in Europa, hanno pubblicato il risultato delle loro considerazioni sulla Dichiarazione del Concilio Vaticano II. Nel Documento, intitolato ‘Fare la volontà del Padre Nostro nei Cieli: verso una collaborazione tra ebrei e cristiani’ (2015)[6], i rabbini affermano decisamente l’impegno per la collaborazione etica tra ebrei e cristiani: “Ora che la Chiesa cattolica ha riconosciuto l’Alleanza eterna tra Dio e Israele, noi ebrei possiamo riconoscere il perdurante valore costruttivo del cristianesimo come nostro partner nella redenzione del mondo, senza nessuna paura che questa comunanza possa essere sfruttata per finalità missionarie. Come affermato dalla Commissione bilaterale tra il Gran Rabbinato di Israele e la Santa Sede sotto la guida del rabbino Shear Yashuv Cohen: ‘Non siamo più nemici, ma inequivocabilmente compagni nell’articolare i valori morali essenziali per la sopravvivenza e il benessere dell’umanità’. Nessuno di noi può svolgere da solo la missione affidatagli da Dio in questo mondo”.
Nel 2016, in occasione del cinquantennio della Nostra Aetate, c’è stato un ulteriore contributo ebraico del Rabbinato ortodosso internazionale (d’Europa, America e Israele), che nel mese di febbraio ha pubblicato il Documento “Fra Gerusalemme e Roma: La condivisione dell’universale e il rispetto del particolare. Riflessioni sui 50 anni dalla Nostra Aetate[7], reso pubblico all’ inizio del 2017. Nel Documento, che si può definire epocale perché costituisce una risposta unitaria del rabbinato ortodosso internazionale al dialogo con la chiesa cattolica, si esprime l’apprezzamento perche c’è stata una significativa evoluzione della Chiesa nei confronti dell’ebraismo. Nonostante le differenze teologiche, gli ebrei considerano oggi i cristiani alleati, amici e fratelli, con cui collaborare per costruire un mondo migliore basato sulla pace e sulla giustizia, rispondendo alle sfide della società secolarizzata. I rabbini affermano l’impegno a collaborare con la chiesa, per realizzare nella società la compassione dell’Eterno:” Cerchiamo di trovare modi che ci permetteranno, insieme, di migliorare il mondo: per camminare sulle vie di Dio, nutrire gli affamati e vestire gli ignudi, dare gioia a vedove e orfani, rifugio ai perseguitati e agli oppressi, e quindi meritare le Sue [di Dio] benedizioni”.
LA FRATERNITA’ UNIVERSALE E IL DIALOGO EBRAICO-CRISTIANO. Il dialogo ebraico-cristiano, come già rilevato, non è autoreferenziale, ma è aperto alla fraternità universale. L’ebraismo, infatti, non è impegnato solo nel dialogo con i cristiani, ma anche in quello interreligioso, per il quale è stato costituito il Comitato internazionale ebraico per le consultazioni interreligiose , sorto nel 1970, di cui fanno parte le principali organizzazioni ebraiche mondiali[8].
Nel Comitato Superiore per l’attuazione del documento sulla fratellanza umana[9], il cui presidente è il cardinale Miguel Angel Ayuso Guixot (presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso) e segretario il magistrato egiziano Abdel Salam, c’è anche la rappresentanza ebraica. L’Alto Comitato è stato costituito il 19 agosto 2019 con 7 membri (5 islamici e 2 cattolici). Il 17 settembre dello stesso anno è stato incluso nell’organismo il rabbino capo senior di Washington M. Bruce Lustig[10]. Il 20 settembre, durante il secondo incontro del’Alto Comitato a New York, con centinaia di persone di fedi diverse, è stato illustrato il progetto per una grande Casa per la Famiglia di Abramo ad Abu Dabhi, con una moschea, una sinagoga, una chiesa cattolica dedicata a San Francesco, all’interno di un giardino, in cui è prevista anche la sala per la fratellanza umana, per gli incontri e dibattiti degli esponenti di tutte le fedi ed anche con non credenti.
Cito qualche incontro interreligioso recente con la partecipazione della rappresentanza ebraica[11]. Il 14 giugno 2020 a Firenze si è tenuta una preghiera interreligiosa per gli ammalati di coronavirus. Vi è stata la partecipazione ebraica con il rabbino capo della comunità di Firenze rav Gad Fernando Piperno. Dal 13 al 17 ottobre 2020, su invito del card. Ayuso Guixot, 500 leaders religiosi hanno partecipato al settimo forum interreligioso del G 20. Per l’ebraismo vi ha partecipato rav Pinchas Goldschmidt, presidente della Conferenza dei rabbini europei. Ai vari incontri internazionali dello ‘Spirito di Assisi’ vi è sempre stata la partecipazione ebraica. Quest’anno (34esimo incontro internazionale) l’incontro si è tenuto a Roma sul Colle del Campidoglio il 20 ottobre 2020. Il gruppo ebraico è stato guidato dal rabbino capo di Francia rav Haim Korsia.
CONCLUSIONE: UN ESEMPIO ITALIANO EBRAICO-CRISTIANO DI SOLIDARIETA’: Già da anni sul territorio nazionale le comunità ebraiche di Firenze, Torino e sono impegnate a creare una rete di aiuto ai corridoi umanitari per migliorare le condizioni delle persone che si trovano in grande difficoltà e contribuire alla loro integrazione, contando anche sulla collaborazione con le strutture socio-sanitarie e con altre organizzazioni e di volontariato sociale, al fine di aumentare l’offerta di aiuto. Le comunità ebraiche, in quest’opera sociale, interagiscono a livello locale con la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e la Tavola valdese. Il 20 gennaio 2020, ad esempio, l‘Unione delle Comunità ebraiche italiane (UCEI) e la Comunità ebraica di Milano hanno realizzato con la comunità di S. Egidio il corridoio umanitario per l’accoglienza di una famiglia di 7 persone siriane musulmane di Aleppo, di cui 4 bambini piccoli, che è stata ospitata in un appartamento nella zona sud di Milano. In quest’opera umanitaria è stato coinvolto il volontariato ebraico di varie associazioni[12], che hanno una consolidata esperienza in questo campo.
di Lucia Antinucci
[1] Cf. cap. III dell’enciclica ‘Fratelli tutti’ (nn. 87-127). Tema di questa sera: ‘Per un mondo aperto’. La vita sussiste dove c’è il legame, comunione, fratellanza. Il valore unico dell’amore. Società aperte che integrano tutti: gli esiliati occulti delle periferie urbane. I diritti dei popoli e la destinazione comune dei beni della terra (13 gennaio 2021 Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale sezione S. Tommaso d’Aquino).
[2] www.vatican.va > francesco > encyclicals > documentes (ultimo accesso 2 dicembre 2020).
[3]Michel, Paris 1948. Versione italiana a cura di E. Finzi Castelfranchi, Nardini, Firenze 1976. La ristampa italiana è stata curata dalla Marietti, Genova 2001 (Introduzione di Marco Morselli).
[4] www.vatican.va > chrstuni > relations-jews-docsrc-p… (ultimo accesso 10 dicembre 2020). Il Comitato internazionale di collegamento cattolico-ebraico, istituito nel 1970, è costituito da membri designati dalla Commissione della Santa sede per i rapporti religiosi con l’ebraismo e dal Comitato internazionale ebraico per le consultazioni interreligiose, del quale fanno parte le principali organizzazioni ebraiche mondiali.
[5] Cf Il Regno Attualità 11(2015) 734; cf anche www.vatican.va/…/rc_pc_chrstuni_doc_20151210_ebraismo-nostra-aetate_it.html (pagina visionata il 10 dicembre 2020). Nei nn 10-12 vengono richiamati i vari incontri con le organizzazioni ebraiche.
[6] Camminoinfo2.wordpress.com > 2015/12/14 < fare-la-v… (ultimo accesso 12 dicembre 2020).
[7] Cf P. STEFANI, Dialogo ebraico-cristiano: Gerusalemme chiama Roma. I rabbini europei, israeliani e americani rispondono al Papa anche sulla Nostra Aetate, In Il Regno Attualità 16(2017)455; https://agensir.it/…/dialogo-con-gli-ebrei-tra-gerusalemme-e-roma-una-nuova-tappa-d… (pagina visionata il 12 dicembre 2020); moked.it/blog/2017/…/cattolici-alleati-amici-fratelli-lo-storico-documento-dei-rabbini/ (pagina visionata il 12 dicembre 2020).
[8] l’International Jewish Committee on Interreligious Consultations è il rappresentante ebraico ufficiale presso la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo.
[9] Oppure denominato anche Alto Comitato per la fratellanza umana.
[10] www.chiesadituttichiesadei poveri.it > anche-un-rabbino… (ultimo accesso 18 dicembre 2020).
[11] Altri esempi recenti. Il 2 maggio 2020 l’Alto Comitato ha proposto una giornata di digiuno e preghiera interreligiosa per implorare la fine della pandemia. C’è stata anche l’adesione dell’ebraismo. Il 14 maggio l’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, Oren David, in un tweet ha affermato: “In questo momento storico in cui tutta l’umanità senza distinzioni si sta confrontando con una minaccia globale, ci uniamo insieme in questa Giornata speciale di preghiera promossa dall’Alto Comitato per la Fratellanza umana. In tutto il mondo persone di differenti fedi e nazionalità si stanno unendo in preghiera oggi. Questo – ha sottolineato l’ambasciatore – è un esempio di come noi tutti possiamo unirci per il bene comune. Shalom, pax, pace su tutti”. All’iniziativa ha aderito anche il Gruppo di dialogo ebraico-cristiano-islamico di Firenze (DECI). Il 18 agosto 2020 su invito dell’arcivescovo di Minsk gli ebrei, assieme a cristiani e musulmani si sono uniti in preghiera per il popolo bielorusso (l’iniziativa è stata promosso dalla Commissione europea per la giustizia e la pace). Il 2 ottobre 2020 si è tenuta a Firenze la Giornata della fraternità interreligiosa, per iniziativa dell’Opera Santa Croce, sul tema ‘Religioni in dialogo’. Vi ha partecipato l’editore Guido Guastalla della comunità ebraica di Livorno. Il 18 ottobre 2020 la Comunità ebraica di Rouen ha sottoscritto il comunicato interreligioso per l’uccisione dell’insegnante di storia e di p. Jacques Hamel. Il 10 dicembre 2020 si è tenuto in Argentina a Buenos Aires l’Incontro interreligioso per la vita, promosso dal primate, il cardinale Marco Aurelio Poli, con la partecipazione ebraica guidata da rav Fernando Szelajen, membro della Pontificia Accademia per la vita.
[12] Varie associazioni ebraiche, come il Bene Berith, l’Ame, il volontariato Federica Sharon Biazzi onlus e i movimenti giovanili della Comunità ebraica Hashomer Hatzair e Benè Akiva.
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