29 ottobre 2020. Il Gran Rabbino di Francia rav Haim Korsia ha espresso il proprio timore per un clima di violenza “che inizia sempre con le parole, le parole violente che vogliono distruggere, che non vogliono legittimare il dialogo e la discussione”. Si è riferito alle nuove minacce del leader turco Erdogan, ai suoi intollerabili paragoni tra musulmani in Europa ed ebrei alle porte del secondo conflitto mondiale, al suo tendere apertamente la mano all’Islam più oscurantista di cui aspira ad essere il leader. Il Gran Rabbino ha usato parole simili anche dopo la decapitazione di Samuel Paty, l’insegnante ucciso da un giovane ceceno perché ritenuto “colpevole” di aver mostrato in classe le vignette satiriche su Maometto pubblicate dal magazine Charlie Hebdo. Si è trattato di un drammatico attacco alla libertà d’espressione, ha ricordato rav Korsia, incardinato nel motto “Liberté, Egalité e Fraternité” tanto caro ai suoi connazionali.
Dopo la carneficina compiuta nella cattedrale di Nizza da un terrorista islamico sono state molte le reazioni all’accaduto. Il mondo ebraico, a ogni livello, ha espresso l’appello a un urgente scatto di consapevolezza. “Questo attacco, arrivato a ridosso dell’orribile decapitazione di un insegnante la scorsa settimana e chiaramente motivato dallo stesso estremismo religioso, non nasce dal niente. La responsabilità morale è in chi attacca la libertà di espressione e parola e tollera l’Islam radicale” ha affermato Moshe Kantor, confermato al vertice dello European Jewish Congress. Egli ha espresso l’invito ai governi europei di prendere “al più presto iniziative radicali per proteggere i propri cittadini da questa ondata di terrorismo islamico che ci attacca fisicamente per le strade e allo stesso tempo tenta di minare i nostri valori fondamentali”. “L’orrenda strage compiuta in una chiesa di Nizza – ha sottolineato la Presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche d’Italia (UCEI) Noemi Di Segni in una nota – ci ricorda che quella sanitaria e socio economica non è l’unica emergenza che siamo chiamati ad affrontare. Non meno significativa è quella posta da un Islam radicale che punta a distruggere le nostre società, i nostri simboli e i nostri valori. Un obiettivo esplicitato anche dalle parole di leader politici che da tempo hanno gettato la maschera. L’Europa, la nostra idea di Europa, è minacciata. Ma potremo difenderla solo se realmente consapevoli delle vite di singoli e comunità intere ormai in pericolo. Solo se convinti della coerenza di non poter mettere sullo stesso piano ogni gruppo e ogni parola. Non è più il tempo di esitazioni e tentennamenti”.
Messaggio di Yahya Pallavicini, président IHEI, Abd al-Haqq Guiderdoni, directeur IHEI: “Les membres de l’Institut des Hautes Etudes Islamiques (IHEI) assurent de leurs prières et de leur soutien les victimes de l’attentat terroriste qui a frappé la basilique Notre-Dame de Nice, ainsi que leur famille et l’ensemble de la communauté chrétienne. Ce crime abominable commis à l’encontre d’hommes et de femmes venus se recueillir en un lieu de prière, à quelques jours de la fête de la Toussaint et le jour même de la célébration du Mawlid al-Nabi qui commémore la naissance du Prophète Muhammad pour les musulmans, est une profanation et une violation de ce qu’il y a de plus sacré aux yeux des croyants véritables. Il s’agit là d’une tentative proprement diabolique de diviser la Nation, d’attiser la haine, et de monter les chrétiens et les musulmans les uns contre les autres. Nous, membres de l’Institut des Hautes Etudes Islamiques, dénonçons et désavouons les actes et les propos de ces individus qui tentent de masquer leur criminalité et leur folie sous couvert de l’islam. Nous appelons les politiques, l’opinion publique et l’ensemble de la société civile à ne pas céder aux amalgames, et à avoir le discernement nécessaire pour distinguer entre les croyants véritables et les imposteurs, entre des citoyens musulmans vivant leur foi dans la paix et la dignité, et une bande de criminels. Nous partageons la détermination de la Conférence des évêques de France qui a dénoncé une « menace traître et aveugle », en rappelant qu’il est « urgent que cette gangrène soit stoppée comme il est urgent que nous retrouvions l’indispensable fraternité qui nous tiendra tous debout face à ces menaces ». Cette prise de conscience partagée va nécessairement dans le sens de la récente encyclique du pape François « Tous Frères », qui s’inscrit elle-même dans l’esprit de la déclaration islamo-chrétienne d’Abu Dhabi de 2019 pour la paix mondiale et la coexistence commune. Il nous appartient de continuer à témoigner des liens spirituels et fraternels qui nous unissent tous”.
30 ottobre 2020. “Ferma condanna della violenza in nome di Dio e volontà di continuare con forza il cammino di condivisione per la pace”. Sono questi i sentimenti espressi nei messaggi del vescovo di Assisi–Nocera Umbra–Gualdo Tadino, mons. Domenico Sorrentino, e dell’imam di Perugia, Abdel Qader, dopo l’attentato di Nizza e a pochi giorni dal 34° anniversario dello Spirito di Assisi. “Con indignazione ed enorme sofferenza, in questa città della pace, ci mettiamo accanto al popolo francese e ai nostri fratelli e sorelle cristiani che sono ancora una volta rimasti vittime di vili attacchi terroristici perpetrati in nome della religione. Ci sentiamo molto provati come credenti in Gesù – ha scritto mons. Sorrentino -. Dal Vangelo, seguendo l’esempio mite e umile di Francesco, riceviamo il messaggio di un amore che sa dare la vita e di una fede che mai può diventare motivo di violenza. Mettiamo nella nostra preghiera le vittime, quanti soffrono per la perdita dei loro cari, i cittadini francesi che vedono ancora una volta aggredita la convivenza civile. Il Signore converta alla pace il cuore di tutti i violenti”. Il vescovo di Assisi ha evidenziato: “L’universale fraternità ci rende tutti solidali nel dolore e ci fa condannare senza mezzi termini ogni violenza, tanto più se impropriamente giustificata con motivi di fede. La comune sofferenza non diventi tuttavia per nessuno pretesto per alimentare diffidenze generalizzate e chiusure egoistiche”.
Abdel Qader, a nome suo personale e della comunità musulmana del territorio di Perugia, ha espresso “cordoglio alle famiglie delle persone che sono rimaste vittime dell’attentato che si è consumato ieri a Nizza in un luogo sacro. […] Dopo ogni episodio di violenza abbiamo sempre condannato con tutta la fermezza possibile l’uso strumentale della fede in Dio – ha precisato l’imam di Perugia -. Noi crediamo fermamente che non sia possibile credere in Dio e procurare la morte ad altre persone umane. Nei giorni scorsi abbiamo ricordato l’incontro di Assisi del 1986 e crediamo che non ci sia alternativa allo spirito generato da quell’incontro e rafforzato dalla Dichiarazione di Abu Dhabi”. Mons. Sorrentino e Abdel Qader hanno concluso: “Insieme ci impegniamo a camminare nella via della pace che esclude ogni violenza e a diffondere la fraternità”.
Il presidente dell’Unione delle comunità islamiche in Italia (Ucoii), Yassine Lafram, si è recato in cattedrale, nel rispetto delle misure anticovid, per incontrare l’arcivescovo di Bologna, card. Matteo Zuppi, e manifestargli il “profondo cordoglio” per le vittime della strage. L’arcivescovo, che ha espresso la propria vicinanza alla Chiesa di Nizza, a quella francese e alle famiglie colpite dall’attentato, ha pregato per loro in cattedrale. “In questo doloroso momento ci sono sdegno e tristezza – ha affermato il card. Zuppi – perché ancora una volta vengono colpite persone innocenti e le comunità cristiane. Ci deve essere da parte di tutti la condanna di ogni tipo di violenza, maggiormente di quella che bestemmiando nel nome di Dio usa le religioni per giustificarsi”. Dal cardinale l’invito a “ricordarci che siamo tutti fratelli e che l’unica via da percorrere è quella del dialogo, per isolare i terroristi e perché nessun credente sia vittima di violenza. […] Siamo vicini a coloro che sono stati colpiti e a quelli impegnati in prima linea a portare aiuto, fede e speranza. Preghiamo anche, come ha fatto Papa Francesco esprimendo vicinanza a tutta la comunità cattolica e al popolo francese, perché il perdono di Cristo prevalga sempre di fronte a questi atti contro l’umanità”. Il cordoglio delle comunità islamiche italiane è stato espresso anche alle famiglie delle vittime della strage. “Condanniamo con forza gli estremismi violenti – ha dichiarato Lafram in un messaggio – che nulla hanno a che vedere con gli insegnamenti della nostra religione e il nostro credo. Nessuno usi il nome di Allah indegnamente per giustificare atti ingiustificabili, deprecabili e barbari”. L’Unione ha manifestato la sua preoccupazione in merito al degenerare continuo della situazione interna francese. “È importante che, in questi momenti di tensione, si abbassino immediatamente i toni per poter agevolare una proficua collaborazione per il bene delle nostre società europee. Serve per questo uno sforzo collettivo da parte di tutti, società, istituzioni francesi ed europee”.
Il Consiglio interreligioso svedese, in un messaggio, si è unito al “cordoglio e allo sgomento” per l’“atroce atto di terrorismo”, che si è verificato nella cattedrale di Nizza, in Francia. “Uno degli scopi del terrorismo è creare un inconciliabile ‘noi contro di loro’, un clima sociale e un atteggiamento tra le religioni caratterizzato da odio e sfiducia”, si legge nel testo sottoscritto dai rappresentanti in Svezia della comunità musulmana, buddista, cristiana, ebraica, induista, mandea, sikh, alevita, mormone e baha’i, che siedono nel Consiglio. “Né i terroristi né coloro che cercano il conflitto e la polarizzazione avranno successo”, si legge ancora nel testo, che conclude: “Non potranno mai sconvolgere la nostra comunità e unità oltre i confini religiosi”.
Mohamed Abdesalam Abdellatif, segretario generale del Comitato superiore della Fraternità umana, stretto collaboratore del Grande imam di al-Azhar, Ahmed al-Tayeb ha dichiarato: “Vorrei dire al popolo francese che siamo tutti dalla stessa parte contro il terrorismo. Dobbiamo essere ancora più uniti nell’affrontare questo nemico comune che manipola le differenze per dar sfogo al suo odio insensato. Per favore francesi, non lasciate che la rabbia e lo sdegno avvelenino il vostro tessuto sociale plurale il quale vi ha reso un esempio per il mondo” Ha rimarcato senza timore di essere molto diretto nella condanna di “questo abominevole attacco terroristico […].Mi associo alle parole del Grande imam nell’affermare che niente giustifica questi odiosi atti – ha sottolineato Abdellatif –, in contrasto con gli insegnamenti dell’islam”. In un’intervista, riguardo alle vignette, ha risposto: “Non esiste alcuna norma, principio o tradizione che consenta a un essere umano di commettere un crimine tanto orribile verso un proprio simile. Le istituzioni religiose islamiche lo dicono con chiarezza. Esistono vie pacifiche e legittime per esprimere il proprio malcontento di fronte ad insulti come quelli di Charlie Hebdo verso l’islam e il Profeta. Quelle vignette sono una forma di estremismo. Non è libertà di espressione ferire i sentimenti di 1,5 miliardi di musulmani. Ma chiedo con forza agli islamici francesi di non cadere nella trappola della violenza”. Alla domanda secondo cui alcuni strumentalizzano “la sua religione per massacrare delle persone indifese”, ha risposto: “Con dolore, come qualunque credente islamico. Noi musulmani soffriamo due volte per questo attacco. Primo, per il sangue innocente versato. Vorrei dire alle famiglie delle vittime che il loro patimento è il nostro patimento, chi ha commesso un’azione tanto orribile e chi lo appoggia deve essere punito. Come islamici, inoltre, ci addolora che la nostra fede possa essere identificata con simili criminali. I terroristi sono fuori dall’islam. Non lo rappresentano più di quanto l’attentatore di Christchurch potesse essere definito cristiano. Nessuna fede comanda di uccidere, come afferma con chiarezza il documento per la Fraternità umana, firmato da il grande imam al-Tayeb e da papa Francesco il 4 febbraio 2019. Chi lo fa, ma anche chi lo convince a farlo promuovendo un’interpretazione errata dei testi sacri o incentiva l’odio o strumentalizza la religione per raggiungere i propri obiettivi, infrange i principi più sacri della fede. Non è una persona religiosa, è un terrorista. E i musulmani sono le prime vittime dei loro atti sconsiderati”. L’intervistatore ha poi chiesto ad Abdellatif se i crimini come quello di Nizza possono mettere a rischio il dialogo tra islam e cristianesimo. Egli ha risposto: “Né questo né qualunque altro attacco ha tale potere. I leader delle due fedi e i credenti hanno ben chiaro che non sono le religioni a causare la violenza ma la loro manipolazione. Anzi, cristiani e musulmani devono essere ancora più determinato a cooperare per vivere insieme in armonia. Qualcuno dice che non è possibile vivere insieme… La storia dimostra il contrario. Da sempre culture, fedi e tradizioni entrano in contatto e questo le fa crescere. Non possiamo separare l’Est dall’Ovest, come non possiamo dividere le persone in base al proprio credo, lingua, etnia. Dobbiamo renderci conto che siamo tutti fratelli, fratelli diversi ma fratelli”.
Il vescovo di Nizza, mons. André Marceau, ha lanciato ai fedeli cattolici con un videomessaggio un appello al perdono: “Ho appena trascorso un’ora davanti alla basilica di Notre-Dame de l’Assomption con il parroco che è stato testimone della scena di questa mattina, un amico di Vincent, il sacrestano. […] Le persone che ho incontrato sono, come tutti noi, sotto choc. Lo choc per un avvenimento drammatico e doloroso, un avvenimento che al di là della nostra fede cristiana, sciocca per la sua disumanità”. Da qui, l’appello: “Vorrei dire che la disumanità non può oggi chiamare ad altre disumanità: alla chiusura, alla violenza, all’esclusione, alla segregazione. Cerchiamo allora di essere all’altezza della risposta. Sì, Cristo ha chiesto sulla Croce il perdono per coloro che non sapevano quello che stavano facendo. Questa parola mi è entrata nella testa da questa mattina. Forse quell’uomo sapeva contro chi si stesse dirigendo: ai cristiani, in un luogo simbolico, alla Chiesa. Ma perché, perché? Dobbiamo porci questa domanda come società. È vero, non abbiamo risposte. È vero, non siamo in grado di trovare le soluzioni. Ma credo che dobbiamo fare in modo oggi che le nostre reazioni, i nostri atteggiamenti, i nostri propositi, i nostri commenti non siano in linea con quelli compiuti da quell’uomo. Non cadiamo nella piaga dove da qualche tempo ormai siamo sprofondati qui a Nizza. Lo sappiamo bene in questa città presa di mira da uomini deviati da un Dio deformato. Proviamo sentimenti di pena, forse anche sentimenti di violenza, ma rimaniamo custodi di quello che è il cuore del Vangelo. La Parola di Gesù, forse difficile da comprendere, è: amate i vostri nemici. Significa volere che il cuore degli uomini e il nostro cuore, il cuore di ciascuno di noi sia un altro. Vi esorto quindi a tendere la mano, a non essere divisi, a non fare in modo che i nostri propositi possano esacerbare ancora di più i nostri sentimenti e spingere alla violenza”.
Con un colloquio telefonico il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron e Papa Francesco ha assicurato la sua determinazione a “combattere senza sosta contro l’estremismo in modo che tutti i francesi possano vivere la loro fede in pace e senza paura […] in un momento in cui i cattolici di Francia sono stati feriti in modo così violento, così come tutti i francesi sono scioccati da questo attacco”. “Il Papa ha espresso a sua volta “il suo sostegno fraterno ai francesi”. Al telefono Macron ha evocato padre Jacques Hamel, l’anziano sacerdote assassinato nel 2016 nella chiesa di Saint-Etienne a Rouvray alla fine della messa da due giovani estremisti. Sia il Papa sia il presidente Macron – ha fatto sapere l’Eliseo – condividono una “totale convergenza di vedute” riguardo il “rifiuto assoluto del terrorismo e dell’ideologia dell’odio che divide, uccide e mette in pericolo la pace”, nonché “sull’importanza del dialogo tra le religioni”. Nella basilica di Notre-Dame è stata celebrata la messa per la solennità di Ognissanti, durante la quale sono state ricordate le vittime dell’attentato. Mons. André Marceau, vescovo di Nizza, alla presenza di tutti i sacerdoti di Nizza e dei sacerdoti della parrocchia di Notre-Dame ha celebrato una messa secondo il “rito penitenziale” di riparazione. Il rito – ha spiegato la diocesi – viene celebrato “quando un atto gravemente lesivo, come l’omicidio, viene commesso in una chiesa. È pertanto fondamentale per la ripresa delle celebrazioni religiose nell’edificio interessato”.
31 ottobre 2020. Il cardinale libanese Bechara Boutros Rai, Patriarca di Antiochia dei maroniti, durante l’omelia pronunciata alla messa conclusiva del Sinodo annuale della Chiesa maronita nella sede patriarcale di Bkerké ha affermato che “davanti alla ferocia inumana di chi decapita persone innocenti invocando in maniera blasfema il nome di Dio, la cosa più urgente da fare è sottrarsi al clima da conflitto tra le religioni e imboccare con ancora maggior decisione la via della condivisione collaborativa tra cristiani e musulmani, che ha compiuto un passo decisivo con il Documento sulla Fratellanza umana sottoscritto, nel 2019 ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dallo Sheikh Ahmad al Tayyieb, Grande Imam di Al Azhar”. Nell’omelia, il Patriarca ha fatto riferimento al delirio jihadista che nelle ultime settimane ha insanguinato la Francia, con l’uccisione del professore decapitato a Parigi il 16 ottobre e poi con la strage di tre persone massacrate il 29 ottobre presso la Cattedrale di Notre Dame de l’Assomption a Nizza. Queste azioni – ha sottolineato il Patriarca – “non trovano alcuna ragione umana o religiosa”, e rappresentano “una grave offesa a Dio, Signore della vita e della morte”. Nel corso dell’omelia, il Patriarca Bechara Rai ha fatto anche ampi riferimenti alla situazione del Libano e del Medio Oriente, evocando con preoccupazione “piani globali e regionali” di influenza che coinvolgono l’intera area, e vengono portati avanti in maniera graduale, senza tenere in minimo conto le volontà dei popoli mediorientali.
1 novembre 2020. “Non si può uccidere qualcuno in nome di Dio!” hanno affermato a Bruxelles (Belgio) monsignor Jean Kockerols, vescovo ausiliare della diocesi, e Mohamed Belabed, consigliere della Federazione delle moschee di Bruxelles, che si sono incontrati nella cattedrale di Saints-Michel-et -Gudule per diffondere una dichiarazione comune in seguito all’attentato terroristico nella cattedrale di Notre Dame a Nizza. La comunità musulmana belga, già nei giorni precedenti, aveva espresso la propria solidarietà a cattolici e cristiani. Monsignor Kockerols e Mohamed Belabed, ha riferito il portale della Chiesa belga, hanno ricordato l’importanza del rispetto reciproco, qualunque sia il credo di ciascuno, quindi hanno ribadito: “Crediamo in un Dio della vita, un Dio del quale persona umana è la più bella delle sue creature”. Nella dichiarazione comune cristiani e musulmani esortano i leader religiosi a reagire e rinnovano il desiderio di incontrarsi, per imparare a conoscersi meglio, parlarsi, ascoltarsi: “Cristiani e musulmani vogliono riaffermare insieme il loro desiderio di essere responsabili nelle città e nel mondo […], di essere cittadini che lavorano per la felicità di tutti, in pace e per la pace [… per] adottare la cultura del dialogo come cammino, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo”.
3 novembre 2020. “Quale ideologia fuorviante e disumana era all’opera? Sparare a caso su persone pacificamente riunite. I credenti devono condannare questo atto in nome di Dio per opporvisi interiormente con tutta la forza della mente e della fede”. È stata la reazione del presidente della Conferenza episcopale austriaca, l’arcivescovo di Salisburgo mons. Franz Lackner, all’attacco terroristico a Vienna. In una dichiarazione rilasciata questa mattina all’agenzia di stampa cattolica austriaca Kathpress, l’arcivescovo ha detto: “La pace, una parola di fede fondamentale riconosciuta da tutte le religioni, è un bene prezioso che deve essere difeso”. A questo proposito, l’arcivescovo ha ringraziato le forze dell’ordine per il lavoro che stanno compiendo in queste ore. “Non ci pieghiamo alla violenza”, ha poi aggiunto. “Le nostre preghiere vanno di tutto per le vittime, le nostre condoglianze a chi ha perso una persona cara, a chi ha vissuto la paura della morte, a chi piange, a chi ha dovuto passare la notte nella paura. Rimaniamo insieme con il conforto della compassione e della speranza”.
“Esprimiamo dolore e vicinanza alle vittime degli attentati, alle loro famiglie, ai Pastori, ai fedeli, ai popoli francese e austriaco”. Lo ha detto, a nome della Chiesa italiana, mons. Mario Meini, vescovo di Fiesole e vicepresidente della Cei, nell’introduzione ai lavori della sessione straordinaria del Consiglio permanente, che si svolge in videocollegamento. “Nizza, Lione e Vienna: in questi giorni si è tornati a rivivere il dramma della ferocia e della crudeltà di chi cerca di minare alle fondamenta la nostra appartenenza e la nostra fede”, ha osservato il vicepresidente della Cei: “Una recrudescenza di brutalità che serpeggia anche all’interno del resto d’Europa e che non possiamo ignorare: né come comunità cattolica, né come cittadini di una democrazia”. “Condanniamo fermamente la cultura dell’odio e del fondamentalismo che usa l’alibi religioso per corrodere con la violenza il tessuto della società, anche attraverso l’anticristianesimo e l’antisemitismo”, il monito dei vescovi italiani: “Siamo certi che l’odio di pochi non disperderà il tesoro prezioso di collaborazione fraterna, costituito da una grande maggioranza di persone di diverse religioni. Come testimoniato dai tanti fratelli islamici, provati da quanto avvenuto in Francia e in Austria”.
“Siamo scioccati da questo attacco e dalla sua crudeltà”. Con queste parole il rabbino capo di Vienna, Jaron Engelmayer, ha raccontato al Sir come la comunità ebraica sta vivendo queste ore drammatiche.[…]. Il rabbino capo di Vienna ha precisato subito: “Al momento non ci sono prove chiare di chi o perché questo attacco sia stato effettuato. Pertanto, è troppo presto per dire se si intendesse colpire specificamente la comunità ebraica”. Il clima in città è di massima tensione ma il rabbino ha espresso piena fiducia nelle forze di sicurezza: “Le persone non si sentono al sicuro e le forze di sicurezza funzionano bene”. E ha aggiunto: “Siamo scioccati dall’attacco e dalla sua crudeltà. Vienna è una città dove le persone vivono insieme in pace. Siamo profondamente tristi e dispiaciuti per le vittime e preghiamo per i feriti”. In un comunicato, la comunità ebraica di Vienna, la Israelitische kultusgemeinde Wien, ha fatto sapere che quando sono partiti i primi spari, il tempio cittadino era già chiuso e la preghiera della sera era già terminata. La polizia ha isolato l’intero centro dispiegando sul posto un gran numero di forze speciali. “Se la sinagoga sia stata anche l’obiettivo dell’attacco non può essere attualmente né confermato né escluso”, afferma la nota. “La situazione non è stata del tutto chiarita. Le nostre forze di sicurezza sono in stretto contatto con la polizia”. La Israelitische kultusgemeinde Wien ha invitato tutti a rimanere a casa. Per precauzione, tutte le sinagoghe, le scuole ebraiche, le istituzioni della Ikg, nonché i supermercati e i ristoranti kosher rimarranno chiusi”.
Un appello alla popolazione a non rispondere all’odio con l’odio è stato lanciato questa mattina dal card. Christoph Schönborn, arcivescovo cattolico di Vienna. “L’odio non deve essere una risposta a questo odio cieco”, ha detto parlando all’emittente televisiva Orf. “L’odio genera solo nuovo odio” e questo è il modo sbagliato di reagire ai terribili eventi della notte scorsa. È intanto salito a quattro il numero dei civili uccisi durante gli attacchi armati di ieri sera a Vienna: lo riporta il quotidiano austriaco Kleine Zeitung. I feriti finora sarebbero 17. In queste ore ancora confuse e concitate, l’arcivescovo – si legge su kathpress – ha chiesto di non cadere nel panico con un appello alla popolazione di Vienna: “Continuate sulla strada della solidarietà, della comunità e del rispetto reciproco. Sono valori che hanno plasmato l’Austria”. L’Austria non deve diventare una società “che si chiude nella paura”, ma deve anche continuare ad aprirsi agli altri: “Anche se ora dobbiamo mantenere le distanze a causa della pandemia, non dobbiamo tenere a distanza i nostri cuori. Finché il calore nella nostra società è più forte della freddezza dell’odio, non dobbiamo scoraggiarci”. Il cardinale ha poi raccontato di aver passato tutta la notte nella cappella del palazzo arcivescovile per trovare “un po’ di pace interiore” e ha pensato alle persone che sono rimaste vittime, alle forze dell’ordine, alle forze di sicurezza. Sono arrivati messaggi da tutto il mondo, in cui la gente gli diceva di pregare per l’Austria: “Abbiamo bisogno adesso di questa solidarietà del bene, dello stare insieme”. Ieri sera, il pensiero dell’arcivescovo è andato subito ad un altro attacco terroristico avvenuto 39 anni fa a Vienna, quando un gruppo di terroristi palestinesi attaccò la stessa sinagoga. Era il 29 agosto del 1981 ed un commando palestinese lanciò 4 bombe a mano contro la sinagoga Stadttempel di Vienna mentre si stava svolgendo la cerimonia di un bar mitzvah alla quale stavano partecipando 200 persone. “Qualunque sia la motivazione dell’attacco odierno – ha sostenuto l’arcivescovo -, deve essere chiaro che non c’è mai alcuna giustificazione alla violenza cieca”.
4 novembre 2020. “Ultimamente la nostra città di Yamoussoukro ha conosciuto ore buie, ore tristi, ore che hanno fratturato la coesione sociale. In nome di Dio, il padre di ogni misericordia, vi invito fratelli e sorelle ad accogliere la parola di Dio che ci afferma che gli operatori di pace saranno chiamati figli di Dio” ha affermato p. Hervé Djessou, Vicario generale della diocesi di Yamoussoukro nel suo discorso a nome della Chiesa cattolica locale alla popolazione della capitale politica della Costa d’Avorio a seguito delle recenti manifestazioni avvenute nella città dopo le elezioni presidenziali del 31 ottobre. Una situazione che non ha lasciato indifferenti i leader religiosi che, con una sola voce, hanno invitato tutti a calmarsi, a mettere a tacere le liti e ad evitare ogni confronto interreligioso o comunitario e a favorire la pace, la coesione sociale e la sicurezza di tutti. A sua volta, la comunità musulmana di Yamoussoukro, ha invitato l’intera popolazione, in particolare i giovani, a restare vigili di fronte alle voci che incitano alla tensione. “Chiediamo a tutta la popolazione di Yamoussoukro di calmarsi e di non cedere alle provocazioni perché la religione ci chiede di praticare la pace e la coesione sociale e di promuovere la pace; Chiediamo ai giovani di Yamoussoukro di stare attenti alle voci che circolano sulla situazione socio-politica; siamo tutti vigili e tolleranti” ha affermato un comunicato del Consiglio Superiore degli Imam di Yamoussoukro, letto dal suo segretario, Issouf Sylla.
4 novembre 2020. In seguito agli orribili atti di terrore e di violenza in nome della religione, verificatisi in Francia e nel mondo, la Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace, in una dichiarazione, diffusa sulla sua pagina web, ha esortato tutti ad utilizzare parole che favoriscano il rispetto e la coesione piuttosto che intensificare le divisioni, ricordando che la libertà di parola è un diritto umano “che richiede educazione”. “Di pari passo con la libertà di parola, infatti, – ha sottolineato – c’è il valore condiviso di onorare la dignità di tutti gli esseri umani”. “È nostro dovere, in quanto leader di fede – si legge nel comunicato -, trovare risposte dignitose, umane e misericordiose piuttosto che vendicative”, perché “essere vendicativi significa scatenare la distruzione e la rovina per noi stessi e per gli altri. Tutti noi condividiamo la responsabilità di respingere qualsiasi discorso politico che emargini o alieni i credenti di qualsiasi fede”. “Dobbiamo voler insistere nel costruire ponti con amore”, hanno sottolineato. Avendo i leader musulmani di tutto il mondo smentito categoricamente che questi atti di orrore siano stati compiuti in nome dell’islam, la Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace si è detta sicura che i musulmani “provino dolore quando il loro profeta viene apparentemente insultato”, ma che “questo non giustifica la violazione dei principi stessi dell’islam, e di ogni fede”. Alla luce dunque di quanto successo, esprimendo profonda solidarietà ed elevando le loro preghiere per le famiglie delle vittime degli atti terroristici, i leader religiosi hanno ribadito il loro impegno nel “parlare e agire in modo multireligioso e rispettoso, per guarire le ferite e promuovere la pace con la giustizia.
6 novembre 2020. In una “rara” nota comune i capi religiosi sunnita, sciita e druso esprimono una “ferma” condanna degli attacchi. Questi “crimini” non rappresentano la fede musulmana. Mohammad Sammak: Basta “omicidi commessi in nome di Dio, al grido Allah Akhbar”. In una rara dichiarazione comune, che per questo merita attenzione e che sembra essere ammantata da una connotazione politica, il muftì della repubblica libanese cheikh Abdel Latif Deriane, il capo del Consiglio superiore islamico sciita cheikh Abdel Amir Kabalan e cheikh Akl, della comunità drusa, Naïm Hassan, hanno condannato ieri gli attentati di Parigi, Nizza e Vienna, respingendo ogni legame fra questi crimini e l’islam. “Noi continuiamo a condannare nel modo più fermo gli assassini e mettiamo in guardia contro una equiparazione fra questi stessi crimini e l’islam” hanno affermato i leader religiosi in una dichiarazione comune. “Le accuse di questi criminali – prosegue la nota – secondo i quali essi commettono i loro massacri in nome della religione, in realtà la contraddicono e si rendono essi stessi nemici della fede che affermano di voler difendere”. Essi chiedono inoltre di scoprire chi “fomenta, finanzia e commette questi crimini”. “L’islam è una religione di pace […] – sottolineano – che rende onore all’essere umano e attaccarne uno equivale ad attaccare tutta l’umanità”. Tuttavia, i dignitari religiosi hanno anche ricordato che “la legge francese votata nel 1905 sulla laicità ha deciso di separare la religione dallo Stato, ma non ha certo stabilito di abolire le religioni o la fede in Dio”.
Commentando per L’Orient-Le Jour la dichiarazione, della quale è anche uno degli ispiratori, il co-presidente del Comitato nazionale per il dialogo islamo-cristiano Mohammad Sammak precisa che egli ricopre anche il ruolo di segretario generale della commissione permanente del vertice spirituale islamico. Si tratta di una commissione nazionale che si esprime a nome dei quatto membri della famiglia musulmana: sunnita, sciita, drusa e alawita. Ed è in questa qualità che egli opera e ha agito in questa vicenda. Quando gli viene fatto notare che la sua affermazione va “controcorrente”, perché condanna gli assassini in nome della religione, mentre da più parti del mondo islamico, Libano compreso, si alzano le voci di condanna verso la Francia e l’offesa all’islam, Sammak risponde: “Non ne possiamo più di sentire omicidi commessi in nome di Dio, all’insegna del grido Allah Akbar! Era nostro dovere, e anche compito imposto dal nostro essere uomini di fede, di denunciare questi crimini intollerabili!”. “Non è ammissibile – prosegue Sammak – che una grande corrente islamica moderata, come quella presente in Libano, rimanga silenziosa e inerte di fronte a ciò che rappresenta la negazione stessa dell’islam”. “La responsabilità che incombeva su di noi – aggiunge – andava ben oltre il fatto di essere leader religiosi, ma era di carattere nazionale. In qualche modo, abbiamo realizzato che ogniqualvolta la coesistenza si indebolisce da qualche parte nel mondo, essa si indebolisce anche all’interno del Libano. E ogni volta che si rafforzano la convivenza e l’accettazione delle nostre differenze, è il Libano che trionfa. Per questo era necessario sollevare la voce del Libano, per difenderle”. “Abbiamo dovuto anche farci sentire per manifestare la nostra solidarietà al presidente francese Emmanuel Macron, che non ha esitato a venire in Libano e a stare al nostro fianco dopo il calvario dell’esplosione del 4 agosto. Questo era il minimo che potessimo fare”. “Certo, il capo dello Stato francese, nella foga del momento, è andato troppo oltre pronunciandosi a difesa delle vignette, ma ha tentato di farsi capire” sottolinea Sammak, anticipando una obiezione e sforzandosi in ogni modo di scagionare Macron. “Dobbiamo presumere – aggiunge – la buona fede del presidente francese. Abbiamo buoni rapporti con lui, e su questi possiamo contare”. Nel fine settimana, peraltro, in una intervista ad al-Jazeera, Macron ha dichiarato di capire che i musulmani si possano sentire “scioccati” dalle vignette su Maometto, ma che queste non giustificano la violenza. Infine, il co-presidente del Comitato nazionale per il dialogo islamo-cristiano spera che la dichiarazione congiunta apra la strada a condanne, provenienti stavolta da funzionari e organi ufficiali libanesi. “Non abbiamo sentito una sola parola ufficiale di condanna degli attacchi” aggiunge sorpreso, rivelando al contempo che la dichiarazione comune è nata sotto un ombrello politico tripartitico.
6 novembre 2020. «Cristiani e induisti: riaccendiamo un clima positivo e di speranza durante la pandemia da covid-19 e oltre». È questo il tema del messaggio inviato dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso agli induisti in occasione dell’annuale festa di Deepavali (ossia “fila di lampade ad olio”), che dura tre giorni in questo 2020 inizia il 14 novembre. Simbolicamente fondata su un’antica mitologia, essa rappresenta la vittoria della verità sulla menzogna, della luce sulle tenebre, della vita sulla morte, del bene sul male. Pubblichiamo di seguito il testo firmato dal cardinale presidente Miguel Ángel Ayuso Guixot e dal segretario monsignor Indunil Janakaratne Kodithuwakku Kankanamalage.
“Città del Vaticano. Cari amici induisti, il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso vi presenta i più cordiali saluti e auguri per il Deepavali, che quest’anno celebrate il 14 novembre. In mezzo alle difficoltà della pandemia da covid-19, questa festa significativa possa spazzare via le nubi della paura, dell’ansia e di ogni timore e colmare menti e cuori con la luce dell’amicizia, della generosità e della solidarietà. Con il Messaggio di quest’anno, il Pontificio Consiglio incaricato della promozione del dialogo e della cooperazione tra le religioni prosegue la cara tradizione di inviarvi gli auguri accompagnandoli con alcune appropriate riflessioni. Di questi Messaggi, che mirano a riconoscere, custodire e coltivare le cose buone presenti in entrambe le nostre tradizioni religiose e patrimoni spirituali (cfr. Nostra aetate, 2), questo è il venticinquesimo. Benché non si tratti che di un piccolo passo verso il rispetto e la cooperazione interreligiosi, negli anni questi Messaggi hanno contribuito alla promozione del dialogo e dell’armonia induista-cristiana a vari livelli. Proseguiamo questa nobile tradizione con l’intento di plasmare, incoraggiare e approfondire le reciproche relazioni tra induisti e cristiani come strumento di collaborazione per il bene nostro e di tutta l’umanità. Quest’anno, sulla scia della pandemia da covid-19, vogliamo condividere con voi alcuni pensieri sulla necessità d’incoraggiare uno spirito positivo e speranza per il futuro anche di fronte a ostacoli apparentemente insormontabili, sfide socio-economiche, politiche e spirituali, e ansia, incertezza e paura diffuse. I nostri sforzi in questo senso si basano sulla convinzione che Dio, che ci ha creati e ci sostiene, non ci abbandonerà. Ma un incoraggiamento all’ottimismo potrebbe sembrare poco realistico per quelli che hanno perso qualcuno dei loro cari, o il loro impiego, o entrambi. In effetti, anche la speranza e il senso di positività più audaci rischiano di dissiparsi nelle tragiche situazioni causate dall’attuale pandemia e dalle sue gravi conseguenze sulla vita quotidiana, l’economia, l’assistenza sanitaria, l’educazione e le pratiche religiose. Eppure, è proprio la fiducia nella provvidenza divina a ispirarci ottimismo e volontà di operare per riaccendere la speranza nel mezzo delle nostre società. La pandemia ha, in effetti, comportato numerosi cambiamenti positivi nel nostro modo di pensare e di vivere, pur se a livello mondiale ha causato sofferenze senza precedenti e i lockdown che hanno alterato il corso normale della vita. Le esperienze di sofferenza e un senso di responsabilità reciproca hanno unito le nostre comunità nella solidarietà e nella preoccupazione, in atti di gentilezza e compassione verso i sofferenti e i bisognosi. Questi segni di solidarietà ci hanno fatto apprezzare più in profondità l’importanza della coesistenza, il fatto dell’appartenenza reciproca e il bisogno che abbiamo gli uni degli altri per il benessere di tutti e della nostra casa comune. Come ha notato Papa Francesco, «la solidarietà oggi è la strada da percorrere verso un mondo post-pandemia, verso la guarigione dalle nostre malattie interpersonali e sociali» è «una strada per uscire migliorati dalla crisi» (cfr. Udienza Generale, 2 settembre 2020). Le nostre rispettive tradizioni religiose c’insegnano a restare in atteggiamento positivo e di speranza anche nelle avversità. Prestando attenzione alle tradizioni e agli insegnamenti religiosi, possiamo lottare nel mezzo della crisi globale per diffondere ciò che Papa Francesco ama chiamare «il contagio della speranza» (Messaggio Urbi et Orbi, 12 aprile 2020) con gesti di cura, affetto, gentilezza e compassione, che sono più contagiosi dello stesso coronavirus. Fondati su quelle tradizioni e insegnamenti religiosi, sui nostri valori condivisi e sul nostro impegno per migliorare l’umanità, possiamo noi, cristiani e induisti, unirci a tutte le persone di buona volontà per costruire una cultura di positività e speranza nel cuore delle nostre società, non solo in questi giorni difficili, ma anche nel futuro che ci sta dinanzi”.
9 novembre 2020. Sarà un evento in formato ridotto rispetto agli anni passati la 14.ma edizione della Settimana nazionale delle religioni in corso da oggi fino al 15 novembre in Svizzera. A promuoverlo è la Comunità interreligiosa di lavoro in Svizzera (Iras-Cotis), una rete nata nel 1992 per favorire lo scambio, il dialogo e la collaborazione tra persone di fedi e culture diverse e che riunisce una settantina di associazioni religiose elvetiche. L’obiettivo dell’iniziativa è promuovere la conoscenza reciproca attraverso momenti di condivisione per ridurre i pregiudizi e le paure che dividono le comunità. L’agenda della settimana prevedeva inizialmente un ricco calendario di eventi locali: celebrazioni interreligiose per la pace, pranzi sul tema delle religioni e il cibo, biblioteche “viventi” in cui i partecipanti dovevano raccontare le loro storie personali, incontri nelle scuole, partite te di calcio, mostre, incontri con rifugiati e proiezioni di film su temi interreligiosi. A causa dell’emergenza del Covid-19 gli organizzatori locali hanno dovuto annullare molti appuntamenti all’ultimo minuto. Alcuni si terranno on line mentre, se le condizioni lo consentono, altri potranno tenersi in presenza. Come alternativa agli eventi previsti, Iras propone due possibilità che permetteranno la partecipazione delle persone nel rispetto del distanziamento sociale: una è una passeggiata nella natura in cui i partecipanti, che dovranno registrarsi, potranno confrontarsi sul rapporto tra le varie religioni e il Creato, soffermandosi su alcuni elementi della natura come l’acqua e il fuoco. Un’altra proposta è una celebrazione all’aperto attorno a un fuoco, sotto le stelle o intorno a un albero, in cui ciascuna comunità potrà portare un contributo della propria tradizione (riflessioni, meditazioni, danze, musiche). Tra gli sponsor della Settimana delle religioni quest’anno la Conferenza centrale cattolica romana della Svizzera, la Chiesa evangelica riformata della Svizzera e la Federazione delle Chiese protestanti elvetiche
9 novembre 2020. Sarà Glasgow, in Scozia, ad ospitare la prossima Conferenza internazionale sul clima (Cop-26), prevista nel novembre 2021. In vista dell’appuntamento, 60 leader cristiani, ebraici musulmani, indù e sikh britannici hanno scritto una lettera congiunta al premier Boris Johnson perché il Governo prepari sin da ora un ambizioso piano nazionale per il clima contro il surriscaldamento del pianeta. “Come presidente di turno della Cop26, il compito più importante del Regno Unito è di riunire tutti i Paesi attorno ad obiettivi climatici più ambiziosi”, sottolinea la missiva firmata, per i vescovi cattolici, da monsignor John Arnold, responsabile per l’ambiente della Conferenza episcopale inglese e gallese (Cbcew). L’accordo di Parigi, siglato nella capitale francese alla Cop-21 del 2015 che fissa a 1,5 gradi Celsius l’aumento della temperatura globale entro la fine del secolo, impegna gli Stati firmatari a definire e comunicare i loro contributi nazionali dopo il 2020, i cosiddetti Ndc, per raggiungere questo obiettivo. Secondo i leader religiosi, la Gran Bretagna deve dare l’esempio puntando, tra l’altro, all’azzeramento del bilancio tra emissioni e compensazioni di anidride carbonica nell’atmosfera, attualmente fermo all’80%. “Questo è un momento storico per la leadership globale del Regno Unito, per proporre il contributo più grande a livello mondiale che incoraggi tutte le altre nazioni del mondo a fare lo stesso ed è probabilmente l’investimento più importante che potrebbe essere fatto nel nostro futuro”. La lettera sottolinea la responsabilità morale di prendersi questo impegno, evidenziando i profondi effetti dei cambiamenti climatici su tutta l’umanità” e “in particolare sui più poveri che stanno già soffrendo”. “Dobbiamo tutti cercare di trovare il coraggio morale per rispondere a questa sfida” che rimette in questione “il nostro rapporto con il mondo vivente” e “trasformare noi stessi e la nostra società”, affermano i leader religiosi, che ricordano come le comunità confessionali nel Regno Unito stiano già intraprendendo azioni concrete “con migliaia di luoghi di culto che passano alle energie rinnovabili e gruppi religiosi che disinvestono dai combustibili fossili e reinvestono in misure per l’ambiente”. Un impegno legato agli sforzi a livello globale, compresi – si sottolinea – il pressante appello di Papa Francesco ai governi perché si diano obiettivi più ambiziosi prima del Cop26 e l’opera di sensibilizzazione su questo tema svolta del Patriarca ecumenico Bartolomeo.
10 novembre 2020. Si apre oggi a Lindau (Germania) la 1ª Assemblea su “Donne, fede e diplomazia: mantenere la fede e trasformare il domani” promossa da Religions for peace in collaborazione con la fondazione “Ring for peace”. Alla convention, che si concluderà il 13 novembre, parteciperanno in video conferenza oltre 1.000 rappresentanti di induismo, buddismo, ebraismo, cristianesimo, islam e altre religioni. A loro si uniranno nelle discussioni anche diplomatici e rappresentanti della società civile, dei governi e delle istituzioni accademiche. I lavori saranno aperti oggi pomeriggio da Azza Karam, segretario generale di Religions for Peace, dal rev. Kosho Niwano, presidente designato del movimento buddista Rissho Kosei-Kai, e dal metropolita Emmanuel di Francia (Patriarcato ecumenico). Sono previsti anche due video messaggi di saluto della cancelliera tedesca Angela Merkel e del segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. Il programma si concentrerà su temi chiave relativi alla pace e alla sicurezza (mediazione e riconciliazione), i diritti umani (incluse la violenza di genere e la tratta di esseri umani) e lo sviluppo (cambiamenti climatici e educazione interreligiosa). “Le donne – si legge nella presentazione dell’Assemblea – subiscono in modo sproporzionato le conseguenze di conflitti violenti, povertà, mancanza di istruzione e restrizioni alle loro libertà (inclusa la libertà di pensiero, di coscienza e di religione). Eppure, sono le prime a rispondere a situazioni di disordini sociali e politici”. Soprattutto in situazioni di crisi, le donne sono coloro che non solo “forniscono i servizi necessari” ma sono anche in prima linea nell’educazione alla resilienza. “Tuttavia – osservano i promotori della conferenza – le loro storie, le loro conoscenze e competenze sono poco conosciute dai media tradizionali, dai governi e negli spazi in cui vengono prese le decisioni”. Anche “il ruolo della fede nella vita pubblica e il contributo specifico delle donne di fede rimangono sotto-rappresentati e persino invisibili nella diplomazia e nel processo decisionale”. Ciò che dall’Assemblea di Religions for peace quest’anno vuole emergere è pertanto “un nuovo modello di diplomazia” dove le donne possano esprimere pienamente se stesse nella loro capacità a tessere relazioni. “Una diplomazia rinnovata e urgente, disperatamente necessaria in questo momento di pandemia globale, dove le sfide più urgenti del mondo diventano sempre più interconnesse”. Domani, alle 18.30, si terra una cerimonia interreligiosa della luce: i partecipanti alla conferenza inviteranno, in particolare i cittadini di Lindau, ad accendere una candela alle finestre come segno visibile di pace e unità. “Senza la piena partecipazione e leadership delle donne, il dialogo interreligioso è incompleto e la pace è meno sostenibile”. Sono parole che il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha rivolto ai partecipanti all’ assemblea. Sono oltre 1.000 rappresentanti di induismo, buddismo, ebraismo, cristianesimo, islam e altre religioni che si stanno incontrando virtualmente per discutere nuove forme di politica. Interventi in plenaria e sessioni in gruppi si alternano alla ricerca di “nuovi modi per promuovere il dialogo interreligioso in tempi difficili e su diversi fronti: costruzione della pace e terrorismo, ambiente, leadership, incitamento all’odio, migranti e violenza di genere”, spiegano gli organizzatori. “Troppo spesso si trascura ciò che riescono a fare le donne per la convivenza pacifica”, ha detto la cancelliera Angela Merkel aprendo i lavori. I vincitori del Premio Nobel per la Pace, ha continuato, “sono modelli di comportamento che ispirano molti altri con il loro coraggio; ma tra i 135 premiati finora, solo 17 sono donne”. E ha concluso “senza dubbio, ci sono molte più donne che avrebbero meritato un premio per il loro lavoro di costruzione della pace”. I temi centrali della giornata odierna saranno l’uguaglianza di genere e la lotta contro il discorso d’odio. Domani si parlerà di istruzione e protezione dell’ambiente; nella sessione conclusiva, il 13 novembre verrà presentato un “appello al cambiamento.
15 novembre 2020. “Sappiamo di essere riusciti a evitare il peggio, ma la gestione del periodo in corso è essenziale” ha dichiarato Madeleine Yao, presidente del PLCRD, la piattaforma dei leader credenti per la pace, la riconciliazione, la coesione sociale e lo sviluppo. “Dio ha benedetto la Costa d’Avorio, per collocarla in un determinato contesto, in una certa tappa, è importante che ognuno di noi sia un operatore di pace in modo da poter consolidare i nostri risultati e procedere verso lo sviluppo” continua, parlando durante la Giornata di preghiera per la pace organizzata dal PLCRD, 24a Giornata nazionale della pace, nella chiesa di Papa Nouveau a Koumassi. La Costa d’Avorio si trova in un momento difficile a causa delle violenze post- elettorali dopo che il Presidente Alassane Ouattara ha ottenuto un terzo mandato con il voto del 31 ottobre. Il momento di rinnovamento spirituale nella chiesa di Papa Nouveau a Koumassi per implorare la benedizione di Dio sulla Costa d’Avorio e sui suoi abitanti è stato segnato da esortazioni alla pace, guidate da leader religiosi di diverse fedi cristiane e musulmane. “La preghiera ci permette di evitare indecenze e colpe” ha detto l’Imam Kader Dembélé della Grande Moschea di Jacqueville Adah (dipartimento della Costa d’Avorio, distretto di Lagunes). “La preghiera è il momento intimo in cui il fedele si rivolge a Dio per presentargli i suoi problemi e solo Dio può esaudirlo” ha concluso l’imam invitando i fedeli a fare affidamento su Dio pregando per la pace in Costa d’Avorio. Da parte sua, il Presidente nazionale del consiglio di amministrazione della Chiesa messianica della Costa d’Avorio, Lath Mel Joseph, ha affermato che “la pace è Dio” e che quindi “gli uomini politici devono convertire le loro divergenze in compromessi”, auspicando che gli ivoriani riconoscano reciprocamente che sono tutti fratelli e sorelle dello stesso Dio.
Parlando a sua volta, Koffi Bi Marcelin, capo della chiesa Papa Nouveau a Koumassi, ha espresso la sua gioia di ospitare questo evento nella giornata dedicata alla pace. “Senza pace niente può riuscire. Questo è il motivo per cui vorrei incoraggiare questa iniziativa del PLCRD “.
16 – 17 novembre 2020. Una riflessione teologica e pastorale sulla pandemia da Covid-19 e sui suoi effetti sulla vita delle comunità religiose: questo il tema dell’incontro biennale tra la Conferenza episcopale del Canada (Cccb) e il Caucus rabbinico nazionale, svoltosi in modalità virtuale. I partecipanti al meeting – informa una nota della Cccb – si sono lasciati ispirare dal Libro dei Salmi, in particolare dai numeri 6, 13, 62, 74, che riportano l’invocazione “Quanto tempo?” con cui “il salmista prega per la liberazione da una calamità, parla della fedeltà di Dio nell’attesa, ribadisce la fiducia nel Signore e riconosce la fragilità e la precarietà della condizione umana”. Un ulteriore Salmo, il 44 (43) “è stato scelto come punto focale di studio” perché in esso “il salmista invita Dio ad agire dicendogli ‘Alzati, vieni in nostro aiuto. Riscattaci per amore del tuo incrollabile amore’”. Entrambe le invocazioni, continua la nota episcopale, sono state ritenute dai vescovi e dai rabbini “adatte e familiari, alla luce delle molteplici sfide e domande che derivano, oggi, dalla pandemia e dalle difficoltà che essa pone”. Nel corso dell’incontro, è stata anche condotta “una breve indagine su alcune delle risposte teologiche, spirituali, sacramentali, bibliche e morali alla pandemia pubblicate fino su riviste e giornali popolari”. Riscontrando in tali risposte “molte similitudini in entrambe le tradizioni”, sia in quella cattolica che in quella ebraica, i partecipanti alla riunione virtuale “hanno condiviso tra loro alcune delle implicazioni più pratiche della pandemia sulla vita delle parrocchie e delle sinagoghe in Canada”, delineandone le emergenze, come il raggiungimento delle comunità attraverso i canali virtuali e “la rinnovata attenzione all’importanza primaria della vita familiare”. Dalla riunione è arrivata anche la riflessione sul “particolare dolore e sulla difficoltà di coloro che non sono riusciti a piangere la morte dei propri cari, a causa delle normative” vigenti anti-Covid sul distanziamento sociale. Il prossimo incontro tra la Cccb e il caucus rabbinico canadese è previsto per la primavera del 2021, mentre è stata annunciata per il mese prossimo una pubblicazione congiunta, intitolata “I Salmi: una porta per il dialogo ebraico-cattolico”, che sarà disponibile gratuitamente sui siti web dei vescovi cattolici e del Centro canadese per gli affari israeliani ed ebraici. La collaborazione tra Chiesa cattolica e Comunità ebraica avrà ulteriori sviluppi e si arriverà ad una Dichiarazione congiunta.
24 novembre 2020. Il primo di una serie d’incontri in videoconferenza promossi dalla Facoltà di teologia dell’Italia meridionale sezione San Tommaso d’Aquino (Napoli) su ‘Fratelli tutti…Dialogo, carità, giustizia. Una rilettura a più voci dell’enciclica di Papa Francesco’. Otto appuntamenti da novembre ad aprile, organizzati dal laboratorio ‘Fede-Ragione-Religioni’ della Facoltà. Otto incontri con ospiti internazionali di diverse fedi e culture, per rileggere e commentare insieme altrettanti passaggi salienti dell’enciclica, evidenziandone i nodi focali, le possibili implicazioni e le probabili ricadute sociali. Il primo incontro ha avuto come tema ‘Oltre un mondo chiuso’. I relatori sono stati il prof. Francesco Asti (PFTIM – Napoli), il prof. Edoardo Scognamiglio (PFTIM – Napoli), il dott. Nader Akkad (imam e ambasciatore di pace – Roma), la diaconessa Alessandra Trotta (moderatore della Tavola valdese). “Il sogno della fraternità universale – ha dichiarato don Edoardo Scognamiglio, promotore dell’iniziativa – è una sfida che appartiene non solo alle Chiese ma all’intera umanità. Se è vero, come ama ripetere Papa Francesco, che il cristianesimo può trasformare il mondo solo se si fa Vangelo, allora il dialogo tra popoli, fedi, culture e giustizia riguarda ogni compagine sociale. È in questa prospettiva che abbiamo progettato gli otto incontri in collaborazione con il Centro studi francescani per il dialogo interreligioso e le culture di Maddaloni (Ce) da me diretto. La fraternità, tra il già e il non ancora, è uno spazio di amicizia e di dialogo ove ci prendiamo cura gli uni degli altri senza escludere nessuno, divenendo consapevoli che, se pur tra mille difficoltà e tensioni, le diversità sono una grande risorsa per tutti noi e che è possibile accoglierle per diventare veramente umani, ossia persone riconciliate, aperte al senso più profondo dell’esistenza”. Per il teologo Scognamiglio l’enciclica ‘Fratelli tutti’ va letta in relazione a Nostra Aetate n. 5 e all’evento di Damietta (1219), l’incontro tra san Francesco e il sultano d’Egitto che ha inaugurato la via del dialogo, della fraternità. Affinchè questo itinerario diventi un ‘sogno diurno’ occorre promuovere la pedagogia della pace, occorre mettere in atto una sistematica e capillare azione educativa. “Con l’enciclica Fratelli tutti – ha commentato don Francesco Asti – Papa Francesco ci ricorda una verità evangelica troppo spesso dimenticata: l’amore per il prossimo non può conoscere frontiere o essere condizionato da steccati ideologici e nomenclature religiose. È universale per definizione o non è. Questo ciclo di seminari vuole valorizzare tale verità, offrendo indicazioni per incarnarla nell’oggi della vita delle comunità. L’Imam Nader Akkad ha messo in risalto che l’enciclica ‘Fratelli tutti’ aiuta a comprendere meglio noi stessi e l’ambiente in cui viviamo. La fede ci porta a vedere nell’altro un fratello da amare. Occorre riscoprire la nostra vera identità per vedere gli altri e l’ambiente che ci circonda in un’ottica fraterna. L’intervento di Alessandra Trotta è stato rimandato ad un incontro successivo in quanto ha avuto problemi tecnici.
24 novembre 2020. Fedeli cattolici e buddisti nel Vietnam meridionale si sono organizzati insieme per offrire servizi medici gratuiti ai bisognosi. Come appreso dall’Agenzia Fides, l’iniziativa è guidata da un gruppo di 200 operatori sanitari, assistenti sociali, volontari che, a partire dalla metà del mese di novembre, stanno rendendo possibile provvedere al servizi sanitari per circa 2500 persone ogni settimana. “Poiché il Paese ha affrontato inondazioni e disastri naturali nelle ultime settimane , i più colpiti sono i poveri, gli anziani e i disabili. Hanno bisogno urgente di assistenza medica e cure. La maggior parte delle persone che raggiungiamo soffre di problemi o malattie a occhi, denti, cuore, articolazioni, digestione e nervi. Questo servizio alle persone svantaggiate nasce dalla fede, da un atto di amore e di compassione condiviso”, spiega all’agenzia Fides p. Anthony Nguyen Ngoc Son, vicepresidente dell’Associazione per il sostegno a disabili e orfani. “Per ogni intervento – spiega il sacerdote – la spesa medica è in media di circa 15 dollari USA. Lo scopo di questo servizio attivato in partnership è consentire alle persone di avere un assistenza medica di emergenza e, nel contempo, porre l’accento sull’importanza della dignità umana, che è inalienabile per ogni essere umano”, osserva p. Son. Il team medico ha notato che , oltre alle esigenze di assistenza sanitaria, molte delle persone raggiunte hanno urgente necessità provviste di cibo e altri servizi per la sopravvivenza. Tra i volontari che offrono cure mediche vi sono anche delle suore. Suor Mary Tran Thi An, capo del Centro “Hoang Mai” per bambini disabili rileva: “È bello vedere che persone di varie comunità di fede sono unite nell’aiutare i bisognosi”. Nella consapevolezza che i recenti disastri naturali hanno acuito la situazione di povertà e necessità di larghe fasce di popolazione, i Vescovi del Vietnam hanno programmato un evento musicale per sollecitare una speciale raccolta di fondi che andranno a beneficiare, con provviste di cibo e aiuti umanitari, le persone colpite dalle tempeste tropicali verificatesi anche nelle province centrali. Diverse Ong locali stanno operando instancabilmente a fianco del governo e delle comunità religiose per fornire aiuti ai profughi che hanno perso tutte a causa delle catastrofi naturali. L’Ong “Pacific Links Foundation” sostiene le famiglie svantaggiate consegnando pacchi alimentari di emergenza, ma anche giubbotti di salvataggio e altri aiuti. Lo sforzo attuale è quello di attivare un programma di recupero a lungo termine, consentendo agli studenti delle province interessate di tornare a scuola e fornendo supporto continuo alle famiglie.
25 novembre 2020. Incontro interreligioso in videoconferenza del gruppo ‘Spirito di Assisi’ del Centro studi francescani per il dialogo interreligioso e le culture, sul tema ‘Mens sana in corpore sano. Armonia tra natura e spirito’. All’incontro hanno partecipato: Myriam Camerini della comunità ebraica di Milano, regista, attrice, cantante, studiosa di ebraismo, saggista, Maurizio Di Veroli della comunità ebraica di Roma, ideatore e coordinatore del gruppo ‘Progetto Davka’, il rev. Li Xuanzong prefetto generale dei taoisti d’Italia, Amedeo Imbimbo, presidente nazionale della comunità ‘Sangha Rimé’ (buddhismo tibetano), Fabio Risolo e Luigi Vitiello della comunità ‘Dzogcen Namdeling internazionale (buddhismo tibetano), Bezhad Mirzaagha, Caterina Cirma e Sivio Cossa di fede Baha’i, il teologo don Edoardo Scognamiglio direttore del Centro studi. L’incontro è stato moderato da Lucia Antinucci, coordinatrice del gruppo Spirito di Assisi ed Amedeo Imbimbo ha curato la parte tecnica. Numerosi sono stati i partecipanti all’incontro, tra cui vari studenti di teologia e soci del Centro studi. Introducendo l’incontro Lucia Antinucci ha sottolineato che la teologia e la spiritualità cristiana ha superato la tradizionale visione dualistica tra l’anima e il corpo, riscoprendo la visione biblica dell’unità tra natura e spirito, poiché la salvezza riguarda la vita umana in tutte le sue dimensioni. Il Secondo Testamento evidenzia che la natura umana, la materia, è stata assunta nella storia di Gesù di Nazaret, luogo privilegiato in cui Dio si comunica all’uomo. La natura è segnata dalla fragilità e lo stile di vita sobrio porta alla libertà dall’economia, dall’edonismo, per essere capaci di solidarietà, nei confronti di coloro che sono nel bisogno. L’unità tra materia e spirito rimanda al rapporto tra l’uomo e la tecnologia. Essendo creata dall’uomo essa deve essere a servizio del suo benessere integrale. Myriam Camerini ha commentato l’episodio narrato nel Libro dei Numeri cap. 21, per evidenziare come nella Torah quando si parla di nefesh si intende evidenziare l’unità della persona in tutte le sue dimensioni, che comprende spirito, anima, corpo, mente. Partendo dall’episodio narrato nella Torah ella ha sottolineato che occorre aprire gli occhi sui miracoli che ci circondano, come la vita e la salute, mentre spesso ci lasciamo prendere dall’ingratitudine verso Dio. Maurizio Di Veroli ha sottolineato che i precetti ebraici (mitzvot) hanno lo scopo di favorire in modo concreto l’unità tra natura e spirito, dando il primato al valore della vita, come ad esempio il precetto dello shabbat, secondo cui per salvare una vita non si è tenuti a rispettare il riposo. Al termine dell’incontro egli ha proposto un brano della tradizione ebraica, un canto ispirato al Sal 34,13-15: ‘Chi è l’uomo’ agli occhi di Dio. Il rev. Li Xuanzong ha evidenziato come per il taoismo l’uomo è unità di mente e corpo, entrambi necessari per poter vivere e attraverso alcune tecniche è possibile fare in modo che la mente favorisca la salute del corpo. Amedeo Imbimbo ha messo in risalto che anche per il buddhismo mente e corpo si influenzano reciprocamente e attraverso alcune tecniche è possibile acquisire consapevolezza del nostro corpo e della nostra mente. Fabio Risolo ha sottolineato l’armonia di natura e spirito partendo dall’esperienza mistica di Francesco d’Assisi che scorgeva il divino nella natura, ed ha sottolineato l’unità tra natura e spirito con l’immagine dello specchio e del riflesso, del sole e dei raggi. Bezhad Mirzaagha ha illustrato l’insegnamento di Baha’Ullah sull’unità tra mente e corpo partendo dall’immagine delle due ali di un uccello. Silvio Cossa ha sottolineato come secondo l’insegnamento Baha’i la natura umana è fondamentalmente spirituale, è come una miniera ricca di gemme preziose che vengono fuori attraverso l’attività educativa. Don Edoardo Scognamiglio ha messo in risalto il messaggio biblico dell’unità tra mente, corpo, anima e spirito (nefesh) recuperato dalla Chiesa. Egli ha evidenziato che l’essere umano è caratterizzato anche dalla fragilità, che viene superata con la benedizione di Dio (la grazia), per cui occorre prendersi cura di se stessi e degli altri, praticando la compassione e riscoprendo l’essenziale della vita, come siamo invitati a fare particolarmente in tempo di pandemia. Lucia Antinucci, concludendo l’incontro ha evidenziato la convergenza di fondo delle varie religioni sull’unità tra natura e spirito, pur nella diversità dei loro percorsi.
24 – 27 novembre 2020. Un appello a tutte le forze politiche e a tutti i camerunensi perché depongano le armi, rinuncino ad ogni forma di violenza e perseguano vie di mediazione pacifica per risolvere la crisi. “La Pace non può essere mantenuta con la forza, ma può essere raggiunta solo con la comprensione”. È quanto si legge in una solenne Dichiarazione diffusa ieri dai leader religiosi del Camerun al termine di un seminario sulla risoluzione pacifica dei conflitti per pastori e leader religiosi che si è svolto a Buea, con il sostegno del Consiglio mondiale delle Chiese. Alla due giorni di workshop hanno partecipato rappresentanti della Chiesa cattolica, presbiteriana, battista, anglicana, evangelica, protestante e luterana e anche membri delle comunità islamiche del Paese. Negli ultimi anni, il Camerun è stato travolto dalla “crisi anglofona”, la ribellione della minoranza anglofona del Paese (circa il 20 per cento) contro le discriminazioni che starebbe subendo. Le violenze che si susseguono nelle regioni del Nord Ovest e del Sud Ovest, hanno toccato l’apice il 24 ottobre scorso uomini armati sono entrati nell’Accademia internazionale Madre Francisca di Kumba ed hanno ucciso almeno 8 bambini nella loro classe con pistole e machete. Il 5 novembre scorso era stato rapito e poi il giorno dopo liberato il Cardinale Christian Tumi, Arcivescovo emerito di Douala, insieme ad altre 12 persone tra cui il Fon, capo tradizionale leader della Nso. Al seminario, i leader religiosi hanno preso in esame la situazione che il Paese sta vivendo, e nella Dichiarazione scrivono: “il costo e le conseguenze del conflitto armato nel Camerun anglofono e dell’insurrezione di Boko Haram nel Nord stanno diventando sempre più insopportabili per le popolazioni locali che stanno pagando un prezzo alto per questi conflitti”. Da qui, l’incoraggiamento al governo del Camerun a proseguire lungo la strada della pace per risolvere conflitto armato anglofono attraverso “il Grande dialogo nazionale” e il Piano presidenziale per la ricostruzione delle regioni nord-occidentali e sud-occidentali. I leader religiosi si rivolgono anche ai “signori della guerra sia in Camerun che nella diaspora, a coloro che si ingrassano e guadagnano mentre scorre il sangue dei camerunesi, perché si astengano dal promuovere atti di violenza che disumanizzano le vittime”. E lanciano un grido: “ogni vita umana è sacra” e non può dipendere “dai capricci che detengono il potere e l’uso delle armi”. La dichiarazione si rivolge quindi a tutti i Camerunesi invitandoli a “coltivare la cultura dell’amore”, ad “essere un agente di giustizia e pace piuttosto che uno strumento di guerra e distruzione”. I leader assicurano infine il loro impegno a usare ogni mezzo per “svolgere un ruolo di primo piano” per porre fine al conflitto armato che sta devastando il Camerun anglofono.
di Lucia Antinucci
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