Verso l’unico Dio

J. Assmann, Verso l’unico Dio. Da Ekhnaton a Mosè, traduzione di M. Serra, Intersezioni 495, il Mulino, Bologna 2018, pp. 225, € 16.

Questo saggio si compone di sette capitoli ben coordinati tra di loro: la maggior parte di essi (I, III, IV, VI, VII) si basa sulle conferenze tenute all’American University del Cairo nel lontano 2012. Il capitolo secondo, invece, è il frutto delle lezioni tenute dall’autore nelle Università di St. Andrews, Tallinn e Praga. Una prima versione del capitolo quinto, invece, è stata presentata alla Boston University. «Il tema che accomuna questi capitoli […] è quello del cambiamento in ambito religioso, a partire dall’antico Egitto per arrivare al dinamismo presente ai nostri tempi come nell’antichità» (p. 7). Ekhanton e Mosè sono due nomi ai quali «si ricollegano l’abolizione del politeismo e l’introduzione del monoteismo» (p. 9) e rappresentano una svolta «non solo nella religione ma nel generale orientamento intellettuale dell’umanità, che cambiò il mondo antico e diede origine al mondo in cui ora viviamo» (p. 9). Tuttavia, l’autore fa notare che la fase di passaggio al monoteismo non fu una trasformazione così radicale come generalmente si ritiene visto che il politeismo egizio continuò ad esistere nel pensiero occidentale in forma latente, come una corrente sotterranea, che guadagnò particolare forza e vigore alla fine del XVIII secolo.

Sono tre gli elementi per definire una religione: il culto, la teologia e la dottrina (orientamento normativo circa la condotta di vita o morale). L’antico Egitto è segnato da un implicito monoteismo cosmogonico che fa derivare tutta la realtà, compresi gli dèi, dal dio Sole e segue due sviluppi teologici importanti: una forma esclusivista con il re Ekhnaton (che abbatté la religione tradizionale e instaurò il culto monoteistico di Aton) e una forma inclusivista per la quale tutti gli dèi sono Uno. Questa seconda forma, tipica di una teologia monistica, è sopravvissuta come corrente opposta al monoteismo occidentale nelle tradizioni ermetica e neoplatonica fino ad oggi (cf. il capitolo I, pp. 17-46: Struttura e cambiamento nell’antica religione egizia).

Il passaggio dal politeismo al monoteismo avviene in terra d’Israele, in seguito ai fatti dell’esodo e, comunque, a partire dalla storia religiosa dell’Egitto,  che vede unite le figure del re Ekhnaton e di Mosè (cf. il capitolo II, pp. 47-76: Mito e storia dell’Esodo: trionfo e trauma; cf. altresì il capitolo IV, pp. 103-132: Mosè ed Ekhnaton: memoria e storia). L’affermazione del monoteismo, con il cristianesimo e l’islam, è considerata non semplicemente un’evoluzione religiosa, bensì una vera e propria rivoluzione religiosa che tiene assieme principi a volte contraddittori. Infatti, l’idea di evoluzione religiosa è sorta all’interno del cristianesimo e considera il nuovo superiore a ciò che lo precede. Invece, con la teoria della rivoluzione religiosa si vuole affermare la coesistenza di monoteismo e forme di politeismo nello stesso tempo. «La teologia dell’alleanza imperniata sul concetto di lealtà, che presuppone l’esistenza di altri dèi ma richiede una fede esclusiva nel solo Yhwh, e il vero universalismo monoteistico del Deutero-Isaia, per il quale non ci sono altri dèi. Anche in Egitto si incontrano entrambe le dinamiche. C’è un’indubbia evoluzione dei concetti teologici che porta dall’idea di una teologia della creazione e del primato (il creatore che agisce come capo del pantheon) a quella di una teologia della manifestazione (il dio nascosto che si manifesta nel mondo divino), interrotta a metà del XIV secolo a.C. dall’azione del re Ekhnaton» (p. 11). L’irruzione del monoteismo diventa qualcosa di estremamente rivoluzionario (cf. il capitolo III, pp. 77-102: Dal politeismo al monoteismo: evoluzione o rivoluzione?). La teoria più comprensiva e influente del cambiamento spirituale e intellettuale avvenuto nel mondo antico è quella dell’età assiale (cf. il capitolo V, pp. 133-160: L’antico Egitto e la teoria dell’età assiale). Secondo l’autore, la grande trasformazione che cambiò il mondo antico e determinò i fondamenti religiosi e intellettuali del mondo iniziò in Palestina con la nascita dell’ebraismo e del cristianesimo. L’attenzione all’influenza della cultura e dei misteri egizi in Occidente, soprattutto nel periodo dell’Illuminismo, dimostra il ritorno del politeismo accanto al monotesimo. Si può addirittura parlare di una sorta di “egittomania” in Europa che ebbe il suo apice sul finire del XVIII secolo (cf. il capitolo VI, pp. 161-220: I misteri egizi e le società segrete nell’età dell’Illuminismo).

Il cambiamento religioso, che ha assunto una prospettiva inquietante, è legato all’uso della violenza mediante la strumentalizzazione di riti, culti e dottrine. La violenza commessa nel nome di Dio attinge dalla forza radicale dei monoteismi che dividono le persone in ebrei e gentili, credenti e non, ortodossi ed eretici (cf. il capitolo VII, pp. 191-220: Religione totale: politica, monoteismo e violenza). L’autore prova ad analizzare il processo di violenza all’interno della fede monoteistica, che propone una verità assoluta e rivelata, attraverso la teoria – non sempre soddisfacente – della totalizzazione della politica di Carl Schmitt: «In condizioni di emergenza (Ernstfall, stato d’eccezione), come ad esempio in tempo di guerra, le persone si associano e si dissociano in termini di amico e nemico e sono pronte ad arrivare all’annientamento reciproco tramite la violenza fisica. Schmitt si serve di questa dinamica come di un argomento a favore dell’egemonia del politico sulle altre sfere della cultura, quali la legge, l’economia, la scienza, l’arte, la morale e la religione e auspica la realizzazione di uno stato totale. Questa teoria può applicarsi alla religione in presenza di una sorta di Ernstfall religioso che metta in movimento le dinamiche della polarizzazione. L’idea di un’“apocalisse” – una fine imminente, un giudizio del mondo che separa l’umanità in amici e nemici, salvati e condannati e che comparve nello stesso periodo delle prime manifestazioni di violenza religiosa – soddisfa in pieno i caratteri di uno stato d’eccezione religioso. In queste condizioni la religione pretende di avere l’egemonia sulle altre sfere della cultura, compresa la politica, e diviene una “religione totale”» (pp. 14-15).

[Edoardo Scognamiglio]

 

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