L’incontro interreligioso del 20 dicembre 2019, promosso dal Centro Studi Francescani per il Dialogo Interreligioso e le Culture (CSFDIC), si è svolto presso la Chiesa Taoista d’Italia in via Giacomo Puccini n. 16 a Caserta, sul tema ‘La compassione secondo le varie religioni’. Come da programmazione, l’incontro si è aperto con una preghiera taoista: “Venerato Signore Laojun, / ti prego, /ascolta la preghiera /di tuo figlio Xuanzong, /dei suoi discepoli /e di tutti i Fratelli e Sorelle delle varie Fedi. /Ci siamo riuniti per santificare questo luogo/ e renderlo uno spazio di armonia e incontro. /Fà discendere il Carisma divino dentro di noi; / Donaci Forza e Sapienza; / Compassione e umiltà di cuore; / Per poter essere / al servizio delle nostre Comunità /e diffondere l’Amore Divino / fra tutti gli esseri viventi. /Fà discendere su di noi / La Tua infinita benedizione divina / e ci protegga sempre” (Li Xuanzong).
La prima riflessione è stata offerta da Amedeo Imbimbo (comunità Sangha Rimé di Caivano) per La compassione secondo il Buddhismo Tibetano. Egli ha fatto riferimento a tre aspetti particolari: la Base, la Via, il Frutto. “Gli insegnamenti tradizionali di mahāmudrā presentano la continuità tra i tre aspetti: base, via e frutto. La base – ha affermato Imbimbo – è ciò che noi siamo e include due aspetti: – la base pura, quello che siamo fondamentalmente, la natura di Buddha onnipervasiva in tutti gli esseri senzienti; – la base impura, che è la nostra esperienza insoddisfacente, condizionata dalle nostre illusioni e dalle nostre paure. / La via consiste nell’abbandonare le nostre paure ed illusioni e riscoprire la nostra natura profonda attraverso la pratica di sviluppo delle virtù trascendenti e di svelamento della nostra natura ultima, avendo liberato la nostra mente dai veli delle emozioni conflittuali e della dualità. / Il frutto è la piena realizzazione della base pura, il risveglio. / L’amore e la compassione sono qualità naturali della mente. La nostra esperienza è caratterizzata da un fondo sano, di bontà, ma offuscato dai veleni della mente. Non si tratta dunque di sviluppare qualcosa di nuovo, ma di riscoprire una qualità naturalmente presente che fa parte della nostra natura profonda. Si tratta di svelare la nostra semplicità e la nostra ricchezza profonda. / Non discriminiamo buono e cattivo, perché la compassione è prima dell’emergere anche di concetti discriminanti fra buono e cattivo. / L’attitudine mentale, non egoistica che aspira al bene di tutti i viventi, umani e non umani, amici e nemici è alla base del grande veicolo (mahāyāna). La compassione è l’antidoto all’attaccamento al nirvana, ovvero alla pace mentale”. Il dott. Imbimbo si è poi soffermato sul secondo aspetto, la Via, ed ha affermato: “Nel grande veicolo, sono proposti diversi metodi per sviluppare compassione. / Il primo metodo è basato su una meditazione analitica. Si ricorda l’amore verso nostra madre, la donna che ci ha fornito tutte le cure necessarie sin dalla nascita. In questo modo tocca il nostro punto sensibile più profondo. Si riflette poi sul fatto che tutti gli esseri senzienti sono stati nostre madri nelle infinite vite passate e saranno nostra madre nelle infinite vite future. Con questo pensiero, si estende il nostro sentimento di bontà verso tutti gli esseri. / L’altro metodo, il tonglen, è la meditazione centrale nel Lojong, l’addestramento mentale in sette punti del veicolo mahayana. Tonglen in tibetano significa ‘ricevere e dare’. È la pratica con cui trasformiamo le nostre attitudini abituali ad attaccarci alle esperienze piacevoli e a rigettare le esperienze spiacevoli. Con la pratica tonglen accogliamo le sofferenze degli altri esseri senzienti ed offriamo loro i meriti che abbiamo accumulati. L’oggetto della nostra meditazione saranno le persone che ci sono care, ma anche coloro verso cui nutriamo indifferenza e ostilità, includendo anche noi stessi. Dobbiamo sviluppare compassione per noi stessi prima di poterla rivolgerla agli altri. / Nel veicolo vajrayana, vi è la pratica dello yoga della deità. In particolare il Bodhisattva Avalokiteshvara è il Buddha della Compassione; l’ydam Tara rappresenta le varie colorazioni della compassione, il nome TARA viene tradotto come ‘colei che permette agli esseri viventi di attraversare l’oceano dell’esistenza e della sofferenza’, quindi ‘salvatrice’ ”. Imbimbo ha poi parlato di Tre tipi di compassione: “Il maestro Gampopa (1079-1153) nel suo lamrim ‘Il prezioso ornamento per la liberazione’ presenta le seguenti tre dimensioni della compassione: – in riferimento ai viventi; – in riferimento alla realtà; – libera da riferimenti. / La compassione ‘in riferimento ai viventi’ è la bontà che si sviluppa nella relazione da cuore a cuore, è la sensibilità che si ha nel percepire la sofferenza degli altri e il loro desiderio di essere felici. / La compassione ‘in riferimento alla realtà’ è la bontà che si sviluppa con la comprensione profonda della realtà della sofferenza, dell’origine della sofferenza – ovvero l’illusione fondamentale da cui derivano il karma e le afflizioni mentali -, del desiderio di tutti alla cessazione della sofferenza e alla felicità. È l’aspetto dell’empatia associata ad una chiarezza, una lucidità e una apertura della mente che ci spinge ad agire verso abbandono dell’ignoranza fondamentale. / La compassione ‘senza riferimento’ è la compassione assoluta o ultima che si ha con l’abbandono dei concetti e dunque della dualità soggetto – oggetto, nel momento in cui non c’è più né amante né amato. È associata alla realizzazione della natura ultima, della vacuità – ovvero la mancanza di esistenza intrinseca – di tutti i fenomeni. / Tali dimensioni – ha sottolineato A. Imbimbo – seguono la progressione base (compassione in riferimento alle persone), via (compassione in riferimento alla realtà), frutto (compassione senza riferimenti)”. Egli si è poi soffermato sul terzo aspetto, il Frutto: “Il frutto della pratica buddhista è la realizzazione della natura di Buddha, un’esperienza di piena presenza e piena consapevolezza aperta, diretta (senza dualità), immediata (non concettuale), spontanea, empatica. La bontà è la nostra natura primordiale, incondizionata, senza riferimento, senza separazione fra amante e amato, senza complicazioni concettuali. La bontà fondamentale è la dimensione sacra della vita. / Per illustrare questa esperienza empatica naturale – ha sottolineato Imbimbo – possiamo riportare la storia di un uomo anziano che era andato a prendere dell’acqua al pozzo. Mentre l’uomo stava tirando su il secchio dal pozzo il piccolo nipote, seduto sul bordo del pozzo, incantato dai riflessi sulla superficie dell’acqua nel secchio, si sporgeva sempre di più fin quasi a cadere nel pozzo. Il nonno lo afferrò prontamente salvandolo dalla caduta. L’uomo ha agito senza pensarci, ha semplicemente agito. Se si fosse soffermato a fare riflessioni concettuali, il bimbo sarebbe caduto e morto. Lo stato della presenza attenta, naturalmente empatica è capace di adattarsi alla situazione immediatamente. È uno stato che precede la mente concettuale, la dualità”. Concludendo, Amedeo Imbimbo ha affermato: “Questa bontà fondamentale è la natura della mente o la natura dell’esperienza. Noi siamo parte della natura, noi siamo la natura. Possiamo usare un’espressione che si ritrova nel pensiero filosofico di Giordano Bruno e di Baruch Spinoza: la compassione assoluta è la natura naturante. La natura che agisce in sé e per sé è la bontà fondamentale”.
La seconda riflessione è stata quella di Angela Furcas per La compassione secondo la fede baha’i. “La Compassione è il cardine dell’esistenza, essendo stata creata – affermato la poetessa Furcas – ogni cosa, per essere di supporto all’altra, dagli Esseri invisibili, all’uomo, all’animale, al filo d’erba, all’acqua e la loro silenziosa unitaria e vivificante, interrelazione millenaria. / La Compassione deve essere ben radicata, per essere tempestiva, altrimenti significa che il nostro cuore non è divenuto terra fertile per il suo sviluppo. La nostra Compassione non può essere settoriale, ma estesa a tutto e tutti, senza pregiudizi. / La Compassione è la propulsione del pensiero all’azione salvifica. Uno dei Nomi di Dio è l’Aiuto nel pericolo. / La Compassione e’ intima comprensione del valore dell’Altro, affina l’Ego, trattiene le sue intemperanze ed è costantemente incline al soccorso./ La Compassione è pratica di ricongiungimento all’UNO attraverso la Molteplicità, e annulla le distanze generatesi dai diversi percorsi culturali, sociali e spirituali dell’umanità. / La Compassione è un attributo del Nome di Dio e fa il paio con la Misericordia, la Fraternità, la Clemenza. Il Perdono, la Sincerità, la Gentilezza, la Cortesia, l’Onestà, la Fedeltà e tanti Altri che sono di matrice divina , ma di interpretazione umana, per essere praticati. / La Compassione divina si esprime, maggiormente attraverso i Messaggi di Dio che vengono mandati. attraverso i Suoi Inviati, da tempo immemorabile. / La Mente è stato il primo dono di Dio all’uomo, per poter recepire i Suoi comandi e ottemperare alla Prima Legge datagli: l’Ubbidienza. / E’ l’ubbidienza di un Abramo – ha messo in risalto A. Furcas – che ci ha premiati e fatti degni delle Sue Promesse. / Ma come ha reagito l’umanità della cui disubbidienza soffriamo le conseguenze? / Lo leggiamo non solo nella Parabola dei ‘Vignaioli omicidi’ nel Vangelo di San Matteo, che contrastano la Compassione divina, perseguitando ed uccidendo coloro che continuano la Sua opera di Compassione verso il genere umano. ma anche nelle più recenti opposizioni ai Nuovi Inviati. / Il che ci fa dire col Bab, Precursore di Bahà’u’llàh, Fondatore della fede Bahài per l’Unità del genere umano: ‘Chi può rimuovere le difficoltà eccetto Dio? Egli è Dio, tutti sono i Suoi servi e tutti stanno al Suo comando’. / Da questa considerazione possiamo capire quanto poco abbiamo praticato di questa virtù divina, e come si stia ripercuotendo su tutta la Creazione, che ritenevamo suddivisa in entità superiori ed inferiori, il che genera la prepotenza del più forte sul più debole. / Una sola Forza è invincibile, quella che gli antichi chiamavano la Forza senza nome, a Cui sono stati dati i più svariati nomi umani. / La Compassione – ha concluso la poetessa Furcas – ci rende umili, misericordiosi, pazienti e ci fa dire, ogni giorno: ‘Faccio testimonianza, o Mio Dio, che Tu ci hai creati per conoscerTi e adorarTi. Attesto in questo momento, la mia debolezza e la Tua potenza, la mia povertà e la Tua ricchezza. Non v’è altro Dio all’infuori di Te, l’Aiuto nel pericolo, Colui Che esiste da Sé. Bahà’u’llàh, ossia La Gloria di Dio’ “.
Ha preso poi la parola Il Rev. Li Xuanzong, Prefetto generale dei Taoisti d’Italia, che ha sviluppato la sua riflessione sulla compassione nel Taoismo. “La compassione, la misericordia, l’Amore per l’altro, sono un tema centrale – ha sottolineato il Prefetto generale del Taoismo d’Italia – nella prospettiva etica, morale e sociale della religione taoista. Il riferimento più chiaro si trova nel salmo 67 del Dao De Jing, il Canone del Tao e del suo Potere. Ma prima di continuare – egli ha affermato – penso sia importante capire il ‘contenuto’ dell’ideo-gramma cinese慈cí. Letteralmente significa compassione, misericordia, l’amorevole prendersi cura. In realtà l’idea che sottende è molto di più che la semplice compassione. Infatti è composto da兹 zī, che indica due fili di seta intrecciati e da心 xīn, cuore/mente. Quindi (慈cí) ci dà l’immagine di due fili seta, due fili in pratica impalpabili ma esistenti che, intrecciandosi, creano un legame profondo tra due cuori. Un legame particolare perché, come i fili di seta, è senza ‘peso’, senza una ragione di guadagno, sia emotivo sia mentale. Lo si fa solo perché lo si ‘sente’ nel cuore. / La compassione non è dunque un ‘patire-con’, un coinvolgimento emotivo, un’azione originata da una spinta emotiva ma un ‘co-sentire’, un condividere la situazione e trovare insieme la soluzione. Nel salmo 67 la compassione viene posta come primo valore oltre agli altri due tesori che ogni taoista ‘difende e tiene bene stretti a sé’ (持而保之): la frugalità e l’umiltà. Ciò che salta all’occhio nel testo è che alla compassione viene associato 勇yǒng, il coraggio. Questo ci deve far riflettere. / Cosa vuole dirci Laozi, l’antico Maestro mettendo in diretta relazione la compassione, un atteggiamento dolce, Yin, con il coraggio, forte, Yang. Un’apparente dicotomia. Ma solo apparente perché, nella realtà, ci vuole coraggio a essere compassionevoli. Ci vuole coraggio a rinunciare a un poco di se stessi e farlo diventare dell’altro. Non solo tramite la compassione per gli altri ma forse soprattutto per se stessi. Ci vuole coraggio ad annettere e quindi ad avere compassione per le proprie debolezze umane. Qui sta il punto focale del rapporto: compassione = umanità. Il salmo 67 ci avverte infatti che se l’umanità, (sostantivo e aggettivo; io e l’altro da me), non avrà il coraggio di avere la compassione come norma, allora l’Umanità (sostantivo), morirà. L’antico maestro vuole dirci che ciò che rende davvero umana l’umanità è la compassione. A questo fa da eco quanto affermato dal Dalai Lama: ‘Amore e compassione sono beni di prima necessità. Non beni di lusso. Senza di essi, l’umanità non può sopravvivere’. L’uomo capace di compassione per gli altri e per se stesso, sarà vittorioso anche se non ha vinto le battaglie e nelle avversità, avendo compassione per se stesso, rimarrà stabile e forte. Infine il salmo si conclude con una nota escatologica: ‘(Coloro che) Tiānjiāng 天將 (lett.: il comandante in capo del Cielo) vuole salvare, li protegge con la Compassione’. La compassione qui non è più intesa solo come possibilità umana. L’Antico Maestro supera il livello umano e apre la strada all’universalità spirituale: La compassione è una grazia divina, concessa dal Tao compassionevole, grazie alla quale ci sarà la salvezza dell’anima. Per noi taoisti – ha sottolineato il Prefetto Li Xuanzong – la compassione è una via, anzi un’autostrada, verso la Salvezza. Su questo concorda anche Papa Francesco quando afferma: ‘La compassione è un linguaggio di Dio. Il nostro è un Dio di compassione’. Fino a questo momento ho detto parole belle – ha aggiunto – ma da dove si inizia, in quale direzione fare il primo passo? La risposta ce la fornisce il Zhuangzi, al cap.2, sull’Uguaglianza di tutte le cose, che dice: ‘Invero ogni essere è altro da sé, e ogni essere è se stesso. / Questa verità non la sì vede a partire dall’altro, ma si comprende partendo da se stessi. / Così è stato detto: l’altro proviene dal se stesso, ma se stesso dipende anche dall’altro…/ Così, il Santo non adotta alcuna opinione esclusiva e s’illumina dal Cielo. /… Se stesso è anche l’altro; l’altro è anche se stesso. /… C’è davvero una distinzione tra l’altro e se stesso, o non c’è affatto? /Che l’altro e se stesso cessino di opporsi, questo è il perno del Tao! /Questo perno si trova al centro del circolo, e si applica all’infinità dei casi’. In conclusione, l’alito della compassione – ha detto Li Xuanzong – divina aleggia sull’umanità. Sta a noi farlo discendere, attualizzarlo nella storia, nella nostra storia personale, e lasciare che permei ‘l’altro da me’ con il nostro amore umano e divino. /Egli, concludendo, ha pure citato Dao De Jing (67,5-20) ‘I Tre Tesori del Taoista’: “In verità, io posseggo 3 tesori / Che mi tengo ben stretti e difendo: Il primo è detto / Compassione. / Il secondo è detto / Frugalità. / Il terzo è detto / Non osare di considerarsi come / il primo al mondo. / La Compassione, / mi fa essere / Coraggioso, / la Frugalità, / mi fa essere / Generoso, / il non essere il primo al mondo / mi consente di / Realizzare me stesso, / e perdurare. / Oggi, / si rifiuta la compassione / ma si pretende di essere coraggiosi, / Si rifiuta la frugalità, / ma si pretende di essere generosi, / Si rifiuta il porsi indietro, ma si pretende di stare davanti a tutti. / Questo è la morte certa! (dell’Umanità) / La Compassione / usala nelle battaglie (e) sarai vittorioso; / Usala come norma di vita (e) sarai stabile (in ogni avversità). / (Coloro che) Dio vuole salvare, li protegge con la Compassione” [Cf. Laozi Daodejing, a cura di Attilio Andreini, Piccola biblioteca Einaudi Classici, Torino, 2018 ; Zhuang-zi [Chuang-tzu], A cura di Liou Kia-hway, Adelphi Edizioni, Milano 1982].
Maria Laura Chiacchio, dell’Istituto Buddhista Soka Gakkai, ha parlato della Compassione nel Buddismo di Nichiren Daishonin. Ella ha esordito affermando: “La compassione è sicuramente uno dei concetti fondanti della pratica buddista, è alla base del desiderio del Budda che ha intrapreso la sua ricerca spirituale per ottenere l’illuminazione e aiutare gli altri a seguire lo stesso percorso di emancipazione nei confronti delle sofferenze della vita. Proprio perché si tratta di un principio assolutamente basilare nel Buddismo, può essere interessante inquadrarlo in una prospettiva più ampia per arrivare a concludere che un atteggiamento compassionevole è l’unica vera via per la felicità”. M. L. Chiacchio ha così continuato la sua riflessione: “Il Buddismo, attraverso il concetto di ‘origine dipendente’, insegna che tutta la vita è in costante relazione reciproca: niente esiste isolato e indipendente dalle altre forme di vita. In altre parole, nessun essere o fenomeno esiste di per sé, ma solo in relazione ad altri esseri o fenomeni. Non esiste nulla che sia assolutamente indipendente da tutto il resto o che compaia per sua volontà. Shakyamuni, per spiegare l’origine dipendente, usò l’esempio di due fascine di giunchi che si sostengono a vicenda: le due fascine stanno in piedi finché sono appoggiate l’una all’altra. In tal modo, poiché esiste l’una esiste l’altra, e poiché l’altra esiste, esiste l’una. Se viene tolta una delle due, anche l’altra cadrà. Analogamente, senza ‘questa’ vita, ‘quella’ vita non può esistere, e senza ‘quella’ vita, neanche “questa” vita può esistere. Andando più nello specifico, il Buddismo insegna che le nostre esistenze sono in un costante e dinamico sviluppo basato su una sinergia tra cause interne alla nostra stessa vita (la personalità, le esperienze, la visione del mondo e così via) e le situazioni esterne a noi. Inoltre, ogni singola vita contribuisce a creare l’ambiente che sostiene tutte le altre. Dunque, in virtù di questa natura relazionale, ogni fenomeno forma insieme a tutti gli altri quell’unica entità vivente che chiamiamo universo. Nel momento in cui diventiamo consapevoli degli indissolubili legami che ci connettono a tutte le altre esistenze, comprendiamo anche che la nostra vita ha significato solo in relazione a esse. E che solo all’interno di tale relazione si sviluppa, si forma e si esalta la nostra identità. Comprendiamo allora – ha sottolineato Maria Laura Chiacchio – che è impossibile costruire la nostra felicità sull’infelicità degli altri e che ogni nostra azione influisce sul mondo intorno a noi. Come scrisse il Daishonin: ‘Se accendi una lampada per qualcuno, la sua luce illuminerà anche il tuo cammino’. Se riusciamo prima di tutto a percepire e quindi a comprendere il concetto che ‘questo esiste a causa di quello’ o, in altri termini, che ‘grazie a quella persona io posso svilupparmi’, allora riusciremo a evitare di sperimentare inutili conflitti nei rapporti umani. Ogni singola esistenza ‘è’ in relazione con tutte le altre: chi riesce a comprendere questo principio può trasformare ogni cosa, positiva o negativa, in uno stimolo per una ulteriore crescita personale. Quando si comincia a sentire nel profondo della nostra vita la realtà dell’”origine dipendente”, e a capire che siamo parte di un tutto dinamico, svanisce l’impulso a intraprendere conflitti e guerre e anche quel senso di solitudine e isolamento che causa tanta sofferenza. Se percepiamo la vita in termini di relazioni – ha evidenziato la prof.ssa Chiacchio – ne consegue che il modo migliore per dare valore alla propria esistenza sia quello di dedicarla alla propria e altrui felicità, ovvero intraprendere la via del Bodhisattva. In senso letterale, il Bodhisattva è un essere vivente (sattva) che aspira all’Illuminazione (bodhi) conducendo pratiche altruistiche. L’ideale del Bodhisattva, in quanto individuo che cerca l’Illuminazione per se stesso e per gli altri, è centrale nella tradizione buddista mahayana, e la compassione – vale a dire la condivisione empatica delle sofferenze altrui – è il suo tratto distintivo. Si ritiene che i Bodhisattva facessero quattro voti per manifestare la determinazione di operare per la felicità degli altri: ‘Per quanti esseri senzienti ci siano, io faccio il voto di salvarli. Per quanto inesauribili siano le passioni, io faccio il voto di dominarle. Per quanto infiniti siano gli insegnamenti, io faccio il voto di studiarli. Per quanto immensa sia la verità del Budda, io faccio il voto di conseguirla’. Il sentiero del Bodhisattva non deve esser visto come un impegno distaccato dal mondo, un percorso che possono fare solo persone con particolari doti di compassione o saggezza, ma – al contrario – una condizione vitale presente nella vita di noi persone comuni. Lo scopo della pratica buddista è di rafforzare quello stato vitale affinché la compassione diventi la base di tutte le nostre azioni. Oltre alla compassione, i voti dal Bodhisattva riguardavano il dominio di sé, lo studio e l’ottenimento della saggezza. Nessuno di questi, però, viene perseguito in astratto o con l’unico scopo di migliorarsi o dare prestigio a se stessi: alla base di tutti questi sforzi c’è sempre la determinazione di togliere la sofferenza dalla vita degli altri esseri viventi, sostituendola con la felicità. I Bodhisattva – ha concluso M. L. Chiacchio – sono naturalmente impegnati nella società, lottano attivamente per cambiare loro stessi e per fare del mondo un posto migliore e più umano per tutti. Ciò spiega perché i membri della SGI si sforzano di diventare parte attiva nella società e di dare il massimo contributo in famiglia, nel lavoro e nella propria comunità”[Intervento basato su brani estratti dal sito sgi-italia.org].
Il teologo e direttore del CSFDIC, don Eduardo Scognamiglio, ha sviluppato il tema della Compassione dal punto di vista biblico e cristiano. Egli ha sottolineato che la Bibbia ci rivela un Dio compassionevole, un Dio umano che ama con viscere materne, che non solo si china sull’uomo, ma si fa suo compagno di viaggio per sostenerlo nel suo cammino. Il Dio biblico è un padre che ama con il cuore materno! Il prof. Scognamiglio si è poi soffermato su alcune parabole evangeliche che manifestano la compassione di Gesù, come la parabola del Buon samaritano, da cui emerge che occorre farsi prossimo dell’altro. Gesù è colui che “ebbe compassione della folla, […] che prova la miseria degli altri”, ha sottolineato E. Scognamiglio, citando anche Simone Weil. Il male dell’umanità è l’indifferenza, poiché essa non ci consente di essere umani; la strada della salvezza dell’umanità – ha concluso il Direttore del CSFDIC – è quella della compassione, che richiede coraggio, autodonazione senza riserve.
Il dibattito che ha fatto seguito alle riflessioni ha portato a puntualizzare vari aspetti, tra cui il rapporto tra compassione e coraggio, in quanto la società, con il suo narcisismo, ci allontana da essa, hanno evidenziato Li Xuanzong e M. L. Chiacchio. Un altro aspetto sottolineato è stato quello del rapporto tra generosità e compassione, che ci porta a divenire prossimo degli altri, ad accoglierli. La compassione è un valore, non una virtù – come ha sottolineato il prof. Scognamiglio – che ci fa uscire da noi stessi, fissando il nostro sguardo sull’altro, superando l’individualismo, realizzando la giustizia. La vera strada per la felicità è quella che passa per la compassione.
I vari interventi hanno evidenziato come, pur seguendo percorsi molto diversi – che sono un arricchimento per tutta l’umanità – c’è ampia convergenza fra le varie religioni sul tema della compassione, anche se di essa vengono accentuate sfaccettature diverse. La compassione è verso tutta la realtà, verso se stessi, verso il prossimo. La compassione è divina; non si può improvvisare, per cui è importante l’approfondimento del percorso di spiritualità di ciascuna religione, nel rispetto delle altre.
di Lucia Antinucci
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