Storia dell’Ebraismo 2. La diaspora dell’epoca tardo-antica
Le speranze messianiche, le sofferenze causate dall’oppressione romana, portarono a sanguinose rivolte, con gravi conseguenze per gli ebrei. L’opposizione all’oppressione ad opera degli zeloti, l’azione terroristica dei sicari, l’accentuarsi della pressione romana, portò nel 66 d.C. allo scoppio della rivolta, nonostante che i farisei e i sacerdoti esortassero alla prudenza. Dopo alcuni successi iniziali i ribelli vennero sconfitti; la Galilea cadde nel 67 d.C., Gerusalemme nel 70 d.C. con la distruzione del Tempio, e la fortezza di Masada, l’ultimo baluardo in mano ai rivoltosi, venne presa nel 73 d.C. Numerosissime furono le vittime, circa un quarto della popolazione del territorio d’Israele. Dopo questa ecatombe i sadducei, legati alla vita del Tempio, non riuscirono a sopravvivere, e neppure la comunità di Qumran. “Di contro i farisei, movimento costituito per la massima parte da laici e tutto orientato verso lo studio e la messa in pratica della parola, si trovarono nelle condizioni di ereditare la guida spirituale del popolo ebraico” (P. Stefani).
Ancor prima della fine della guerra giudaica, il fariseo Jochanan ben Zakkaj, andò via da Gerusalemme che era stata assediata (68 d.C.), e con il permesso di Vespasiano sviluppò a Javne (in greco Jamnia) un’accademia rabbinica e un sinedrio rabbinico; il presidente (nasì) fungeva da rappresentante ufficiale dell’ebraismo. I Rabbì (Maestri), facendo tesoro del patrimonio di discussioni e interpretazioni della Torah, dimostrarono che l’ebraismo non era finito con la distruzione del Tempio, ma ebbe una creativa evoluzione, tenendo delle nuove situazioni storiche e culturali, determinando così l’origine all’ebraismo postbiblico. Proprio ad Javne, verso la fine del I sec. d.C., un sinodo rabbinico, fissò il canone (elenco) dei libri biblici e le regole per la liturgia sinagogale.
Nonostante le sofferenze e le umiliazioni subite, la speranza messianica non si era spenta; negli anni 115-117, infatti, ci furono varie rivolte contro Roma nella diaspora (dispersione, ebrei che vivevano fuori della Terra d’Israele), domate con molta difficoltà. Come conseguenza di tutto ciò ci furono violente repressioni (come in Cirenaica e in Egitto) e l’ebraismo venne quasi annientato. Il messianismo però riapparve nuovamente e la rivolta contro i romani portò alla morte di 850.000 mila ebrei della diaspora. La rivolta venne guidata da Shimon bar Kokhvà (è un titolo messianico che significa ‘figlio della stella’), appoggiato dalla massima autorità rabbinica del tempo, Rabbì ‘Aqivà. La fortezza di Betar venne presa dai soldati romani nel 135; la popolazione venne asservita e agli ebrei fu proibito di entrare in Gerusalemme, di praticare la circoncisione, di celebrare le feste, di possedere i rotoli della Torah.
Gli ebrei subirono pesanti vessazioni, anche se con l’imperatore Antonino la maggior parte delle disposizioni punitive vennero revocate. Grande fu la sofferenza degli ebrei nel vedere Gerusalemme, la Città Santa davidica, trasformata in una colonia romana con il nome di Aelia Capitolina; sul luogo del Tempio venne eretto un edificio dedicato a Giove Capitolino. L’intero territorio divenne una provincia romana con il nome di Palestina, denominazione che aveva un significato antigiudaico, per qualificare quella zona come l’antica terra dei filistei (nemici degli ebrei). Ci fu ancora un’altra importante conseguenza: l’ebraismo si diffuse sempre più fuori della Giudea, costituendo importanti comunità (molto ridotte poi con lo sterminio nazista).
Gli eventi storici drammatici potevano portare alla perdita della speranza, perché sembrava che tutto fosse stato annullato dell’identità ebraica. Ancora una volta, invece, grazie al contributo dei saggi Maestri, attraverso lo studio attento della Torah, l’ebraismo venne reinterpretato, ponendo nuove basi per l’identità ebraica. Le accademie rabbiniche situate nell’area della Galilea, nei secoli II e III d.C., redassero la Mishnà (la radice shnh significa ripetere), opera in cui sono raccolte le norme a carattere giuridico e religioso della tradizione orale ebraica, che costituisce il fondamento del Talmud (raccolta dei commenti rabbinici alla Torah). Nella Mishnà venne prevista una sorta di autogoverno delle comunità ebraiche, se pur limitata. Dopo la seconda rivolta le autorità romane riconobbero la carica di nasì (patriarca, la carica venne soppressa nel 425 da Teodosio II) e tollerarono che gli venisse versato l’antico tributo destinato al Tempio. Il nasì era a capo di un sinedrio costituito da 70 rabbini, che costituiva una specie di organo legislativo e di corte suprema, la cui autorità era riconosciuta dall’intera diaspora romana.
Nell’area mesopotamica gli ebrei furono guidati, a partire dal 140, dal ‘capo dell’esilio’o esiliarca, carica che durò fino al 1038. In Babilonia i rapporti con le autorità non ebraiche conobbero momenti anche aspri; Huna V, un esiliarca, venne giustiziato nel 470; Mar Zuta si sollevò in armi e venne sopraffatto dopo una lunga resistenza nel 520. Nel complesso, però, la situazione degli ebrei babilonesi fu florida, sia dal punto di vista economico che culturale. Le più importanti comunità (ad esempio Sura) elaborarono il massimo frutto del giudaismo: il Talmud babilonese, molto più ampio e autorevole del Talmud palestinese. “Il Talmud di Babilonia fu universalmente considerato normativo e giudicato, ancor più della Bibbia, come vera e propria ‘patria mobile’ del popolo disperso” (P. Stefani).
Gli ebrei sottoposti alla giurisdizione dell’Impero romano, sia occidentale che orientale, risentirono direttamente della decisione assunta dall’imperatore Costantino di rendere il cristianesimo religio licita (313). La legislazione discriminatoria nei confronti degli ebrei, iniziata con Costantino, nel 339 venne potenziata (canoni di Elvira); venne proibito il proselitismo ebraico e vennero protetti i giudei convertiti al cristianesimo; venne vietato agli ebrei di possedere schiavi cristiani, o comunque di origine gentilica, vennero proibiti i matrimoni misti (tra giudei e cristiani). Cominciò, quindi, la nascita dell’antigiudaismo, intolleranza e disprezzo verso gli ebrei per motivi religiosi, che ha attraversato il cristianesimo, fino alla svolta del Concilio Vaticano II. Il giudaismo divenne oggetto di attacchi violenti – anche se ci fu un allentamento della pressione sotto l’imperatore Giuliano – con la salita al trono di Teodosio I nel 379 e fino alla morte di suo figlio Arcadio (408).
Dalla fine del IV secolo la popolazione cristiana stanziata in Palestina divenne sempre più numerosa, cosicchè anche lì gli ebrei divennero minoritari. Nella prima parte del V secolo vennero presi di mira sistematicamente i diritti degli ebrei; nel 415 gli ebrei vennero scacciati da Alessandria da una folla aizzata contro di loro dal patriarca Cirillo (massima autorità ecclesiastica della regione). Dalla fine del V secolo la polizia ufficiale, apertamente, cercava di isolare gli ebrei, facendo peggiorare le loro condizioni di vita e limitando sempre più le loro forme di autogoverno. La legislazione antigiudaica venne integralmente inserita nel Corpus Iuris Civilis di Giustiniano. Per l’ostilità e le vessazioni nei loro confronti, gli ebrei, durante l’interminabile contrasto tra l’Impero d’Oriente e quello persiano, appoggiarono i sassanidi piuttosto che i bizantini. La situazione nell’area mediorientale avrebbe cambiato poi radicalmente aspetto a causa della nascita e della repentina diffusione dell’Islam.
Il martirio di Rabbi Aqivà
Secondo il Talmud, per cercare di eliminare per sempre l’ebraismo, il governo romano proibì ai Maestri d’Israele di insegnare la Torah. Tuttavia, Rabbì Aqivà si rifiutò di seguire questo decreto e fu catturato e condannato a morte.
Mentre il torturatore gli bruciava la pelle, il Rabbino sorrideva e recitava le preghiere della sera, collegandosi così con il sacrificio serale nel Tempio di Gerusalemme.
I suoi discepoli volevano risparmiargli quell’ultimo sforzo:
“Maestro, ora però sei dispensato!”.
Ma Rabbì Aquiva disse:
“Per tutta la vita mi sono tormentato a causa del verso:
‘Amerai il Signore Dio tuo con tutta l’anima’,
con il mio ultimo respiro,
e mi sono sempre chiesto quando sarei stato capace
di adempiere questo precetto,
ed ora che finalmente posso adempierlo, non dovrei farlo?”
Allora egli cominciò a recitare lo Shemà:
“Ascolta Israele, Hashem è il nostro Dio, Hashem è uno”
(Shemà Israel, Hashem Elohenu Hashem echad)
E morì mentre pronunciava l’ultima parola.
Si racconta che in quel momento una voce dal Cielo proclamò:
“Tu sei beato Aqivà, il tuo respiro si è spento con ‘Echad’.
Tu sei beato Aqivà, avrai una parte nel Mondo Avvenire”.
(dal Talmud Bavlì, Berachot 61b)
di Lucia Antinucci
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