La ricerca del ‘Bello’, nel suo valore più elevato, è sempre stata un itinerario di avvicinamento al divino, come ha scritto Simone Weil: “[…] in tutto ciò che suscita in noi il sentimento puro e autentico del bello c’è come una specie di incarnazione di Dio […]; quindi tutta l’arte di prim’ordine è per essenza religiosa [in quanto] testimonianza in favore dell’Incarnazione. Una melodia gregoriana testimonia quanto la morte di un martire”. Come leggiamo infatti nell’Idiota di Fedor M. Dostoevskij, “La Bellezza salverà il mondo”. La Bibbia testimonia ampiamente lo stupore dell’uomo dinanzi al fascino della Bellezza di Dio, che supera ogni bellezza umana, poiché sempre fragile, sottoposta alla caducità. Nella Bibbia si parla anzitutto della bellezza degli elementi del creato, che rimanda a quella del Creatore. Per la Bibbia il bello (tov / buono), riferito alle cose o alle persone, significa ciò che è ordinato, senza difetti, proporzionato e armonioso in tutte le sue parti. La bellezza è anche la tenerezza dei sentimenti, la verità, ma è soprattutto espressione della santità divina (cf Sal 25,8), perché è Dio la bellezza-bontà sperimentabile quasi in modo sensoriale: “Assaporate e gustate quanto è buono (bello) Jhwh” (Sal 27,13). Il mondo biblico, volendo esprimere la felicità delle origini della creazione, ricorre all’immagine della bellezza dell’Eden: “Il Signore Dio piantò un giardino in Eden e vi collocò l’uomo che aveva modellato; fece spuntare dal terreno ogni sorta di alberi, attraenti per la vista e buoni da mangiare” (Gn 2,8-9). Anche dell’albero proibito si dice che il frutto ”era buono da mangiare, seducente per gli occhi e attraente” (Gn 3,6). La bellezza di Dio nella Bibbia viene espressa anche con il tema della Sapienza divina che è vitale, feconda, benefica. Essa è come le piante più belle della flora palestinese (come il cedro e l’umile rosa di Gerico), con il loro lussureggiante fogliame, con i fiori, i frutti, che rimandano al godimento spirituale che viene donato dalla Sapienza (cf Sir 24,12-17). Tutte le opere della creazione di Dio sono buone (belle): ”Dio vide tutto quello che aveva fatto ed ecco era molto buono” (Gn 1,31). La bellezza del Creatore emerge soprattutto nell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza (cf Gn 1,26-27); ne riflette meglio il suo splendore, la sua gloria e la sua grandezza (cf Sal 8). Tale bellezza si manifesta soprattutto attraverso i personaggi che hanno avuto un ruolo particolare nel piano salvifico di Dio, sono più vicini al suo cuore. I personaggi biblici che hanno grandi qualità morali e spirituali, sono sempre presentati con la caratteristica della bellezza fisica.
Nel Nuovo Testamento il binomio bellezza-bontà è del tutto assente. Coloro che vengono chiamati da Dio per realizzare il suo disegno salvifico (Maria, Giovanni Battista, Giuseppe), sono persone comuni, di cui si evidenziano anche i difetti, la vita di peccato (Matteo, la Maddalena) e non c’è nessun riferimento all’aspetto fisico. Sul monte Tabor la gloria di Dio si manifesta attraverso la luce e il candore delle vesti. Ciò dipende dal fatto che nel Nuovo Testamento emerge la sapienza della croce, per cui è grande e bello dinanzi a Dio tutto ciò che è stoltezza e realtà sgradevole dinanzi agli uomini. Ciò che conta non è il vigore fisico, ma la debolezza accettata per testimoniare la fede, non la potenza e la forza, ma la mitezza, l’umiltà, la povertà e la semplicità, non la ricchezza e lo splendore agli occhi degli uomini. La bellezza di Dio si manifesta soprattutto nell’uomo dei dolori, nel Crocifisso che è lo stesso Unigenito del Padre Celeste. Il Nuovo Testamento evidenzia quindi che Gesù è l’icona del Padre (cf Col 1,15), è l’irradiazione della gloria divina (cf Eb 1,3), perchè è passato per l’annientamento, rinunciando allo splendore divino: “Gesù Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo” (Fil 2,6). La bellezza di Dio si manifesta nel Cristo, per il fatto che ha donato tutto se stesso per amore dell’umanità, come il pastore buono che dà la vita per le pecore (cf Gv 10,11.14), e si è fatto servo di tutti. Gesù ci manifesta che la bellezza di Dio è quella dell’amore. Lo splendore dell’alba di Pasqua, che supera le tenebre del venerdì santo, attesta il fulgore della vita che vince la morte, della riconciliazione che vince l’odio e la separazione. Per il cristianesimo la “bellezza si è compiuta una volta per sempre nel giardino fuori di Gerusalemme: sulla roccia del Calvario sta la Croce della Bellezza […]” (B. Forte). Il Verbo si è sottoposto alla kenosis; Colui che “è il più bello tra i figli degli uomini” (Sal 45,3) è diventato Colui che “non aveva più né bellezza, né decoro” (Is 53,2). S. Agostino ha sottolineato il motivo di questo mistero paradossale: “Egli non aveva bellezza né decoro per dare a te bellezza e decoro. Quale bellezza? Quale decoro? L’amore della carità, affinchè tu possa correre amando e amare correndo […]. Guarda a Colui dal quale sei stato fatto bello”. L’amore infinito di Colui che ha il volto sfigurato, lo rende il più bello tra i figli degli uomini. Egli ha rinunciato alla sua bellezza divina per rendere noi belli, non secondo l’aspetto fisico, bensì nell’amore, nel servizio, nella testimonianza. L’umanità spesso smarrisce il vero senso della bellezza; si lascia prendere dalla vertigine di ciò che è appariscente, e trasforma il bello in spettacolo, in bene di consumo, abbandonandosi all’immediatamente fruibile. La bellezza che si è resa trasfigurata e crocifissa ci redime dalla seduzione dell’effimero. Il grido di abbandono del più bello tra i figli degli uomini (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Mc 14,34) ci libera dall’abbaglio delle bellezze caduche, per rivelarci il vero Bello, il volto del Padre misericordioso, che per amore ci dona il Figlio Crocifisso (cf Rm 8,32) e lo Spirito di Amore (cf Gv 19,30), Autore della rinascita nella vera bellezza. La vittoria pasquale del Crocifisso dà senso anche alle fragili bellezze terrene, che sono un segno della bellezza divina, nonostante il loro limite, quando rispecchiano la Sapienza divina e il suo progetto salvifico. Un’icona della trasfigurazione della bellezza terrena è Maria di Nazareth, la giovane e umile donna totalmente protesa all’accoglienza della bellezza divina. Maria non è un mito, non è un’astrazione, ma una donna concreta che è vissuta nella società ebraica. E’ questa concreta femminilità che rivela la bellezza dell’Eterno; è l’incontro tra la bellezza terrena e quella divina. La Vergine Madre figlia del suo Figlio, coperta dall’ombra dello Spirito (cf Lc 1.35), diventa la dimora santa del Verbo di Dio fra gli uomini. Maria è l’icona della Bellezza trinitaria, è “il santuario e il riposo della Santissima Trinità” (San Luigi Maria Grignion de Monfort), il grembo della Bellezza divina (H.U. von Balthasar). In Maria tota pulchra, la Donna Bella secondo il piano salvifico di Dio, si rende presente in modo eminente l’esistenza umana redenta, protesa alla contemplazione del Bello Assoluto.
La bellezza del Crocifisso risplende particolarmente attraverso la testimonianza di coloro che si sono conformati a lui; non si può non far riferimento al cantore della bellezza di Dio: Francesco d’Assisi. Egli è stato folgorato dalla bellezza divina, immergendosi in essa fino all’unione estatica. Nella bellezza delle creature il Poverello di Assisi contempla il Bellissimo che le possiede e le riempie, per cui uno dei titoli che attribuisce a Dio è proprio quello della Bellezza. Il Giullare di Dio contempla e loda la Bellezza del Padre celeste, come emerge dalle Lodi di Dio Altissimo, scritte per ringraziarLo del dono della bellezza delle stimmate. ‘Tu sei Bellezza” (FF 261,4). Il Celano nella Vita Seconda attesta che il Santo assisiate “nelle cose belle riconosce la Bellezza somma” (FF 750). La gioia estatica invade l’animo dell’Araldo del Gran Re nel contemplare la bellezza dei fiori e della natura in genere, recuperando il messaggio biblico della contemplazione del creato: “E quale estasi pensi gli procurasse la bellezza dei fiori quando ammirava le loro forme o ne aspirava la delicata fragranza? Subito rivolgeva l’occhio del pensiero alla bellezza di quell’altro Fiore il quale spuntando luminoso nel tempo della fioritura dalla radice di Jesse, con il suo profumo richiama alla vita migliaia e migliaia di morte” (FF 460). Anche il fuoco suscita la sua ammirazione: “Frate mio focu, di bellezza invidiabile fra tutte le creature, l’Altissimo ti ha creato vigoroso, bello e utile” (FF 752). Egli ammirava a tal punto la bellezza e l’utilità del fuoco che “non voleva mai impedire la sua azione” (FF 1816), come quella volta che, prendendo fuoco il suo abito, impedì che venisse spento. La bellezza di tutte le creature viene espressa da Francesco particolarmente nel Cantico di Frate Sole (FF 263). La bellezza di Dio si manifesta per lui soprattutto attraverso il sole, che è Luce radiosa, Vita, Bontà, Amore. Sull’esempio di Cristo povero e umile egli ha ammirato la bellezza di ciò che umanamente è considerato spregevole, e per questo ha amato intensamente Madonna Povertà (cf FF 641). Francesco contempla soprattutto nel Crocifisso di San Damiano la Bellezza di Dio, come pure nell’esperienza personale della Passione del Figlio di Dio. Due anni prima della fine del suo pellegrinaggio terreno gli fu concesso di contemplare la Bellezza sconvolgente della gloria del Cristo Crocifisso: è l’esperienza della Verna, della visione del Serafino trafitto in croce (FF 1225), della Bellezza radiosa e sfigurata dalla Passione nello stesso tempo. Come segno di tutto ciò, egli che in vita non aveva avuto alcuna bellezza, essendosi del tutto assimilato al Crocifisso, dopo l’incontro con sorella morte ottiene il dono della trasfigurazione del suo corpo, segno della bellezza futura (cf FF 1247). E’ questo il premio eterno che viene donato a coloro che sanno rinunciare alle bellezze effimere per amore della Bellezza che viene da altrove, dalla Patria trinitaria, a cui anela fortemente chi si pone senza compromessi alla sequela del Cristo, l’Uomo dei dolori, irradiazione dello splendore celeste. In base alla testimonianza delle Scritture ebraiche, delle Scritture cristiane, della Chiesa, possiamo quindi concludere che “la bellezza che salverà il mondo non è ‘l’armonia’ delle parti, o una ‘forma’ qualsiasi che esprime il senso personale del piacere. Né si riduce alle assenze asimmetriche nella vita sociale e politica di un popolo. Non è bello ciò che piace, ma ciò che riconcilia. Il Cristo, Crocifisso-Risorto, è la Bellezza che salverà il mondo, l’orizzonte ultimo della nostra visione, il possesso finale dei redenti” (E. Scognamiglio).
di Lucia Antinucci
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