Papa Francesco si è recato oggi in Egitto, dove quasi ottocento anni fa, san Francesco d’Assisi incontrò il Sultano d’Egitto, Malik al-Kamil. Si trattò d’una benevole accoglienza che avvenne a Damietta, a pochi chilometri di distanza dal Cairo. Questo storico e profetico incontro è, ancora oggi, così significativo e attuale per le sue conseguenze nel dialogo interreligioso e per la pace mondiale, tanto da rimanere, pur a distanza di molti secoli, l’avvenimento esclusivo che indica la rotta da cui partire nella ricerca di intesa e armonia tra Oriente e Occidente.
Francesco, profeta ispirato e santo, e il Sultano, uomo intelligente e saggio, compresero che la via del dialogo e del rispetto reciproco è l’unica strada da percorrere affinché si stabilisca, tra i popoli e le comunità interreligiose, una pacifica convivenza, e si realizzi pienamente quella fraternità universale che è lo stesso sogno di Dio.
Durante il volo Roma-Il Cairo, papa Francesco, nella brevissima intervista rilasciata ai giornalisti, ha detto che si tratta di un viaggio di unità e di fratellanza e che ha un’aspettativa speciale perché è un viaggio fatto per l’invito del Presidente della Repubblica, del Papa Tawadros II Patriarca di Alessandria dei Copti, dal Patriarca Copti cattolici e del Grande Imam di Al-Azhar. Tutti e quattro l’hanno invitato a fare questo viaggio.
Alle autorità locali, appena atterrato, dopo il saluto di rito, papa Francesco ha ricordato che l’Egitto ha un ruolo fondamentale per la pace in Medio Oriente, un compito singolare: «rafforzare e consolidare anche la pace regionale, pur essendo, sul proprio suolo, ferito da violenze cieche. Tali violenze fanno soffrire ingiustamente tante famiglie – alcune delle quali sono qui presenti – che piangono i loro figli e figlie».
Dinanzi ai massacri avvenuti falsamente nel nome di Dio, alla tragedia per le tante famiglie annientate, dei giovani uccisi dal terrorismo, abbiamo tutti il «dovere di insegnare alle nuove generazioni che Dio, il Creatore del cielo e della terra, non ha bisogno di essere protetto dagli uomini, anzi è lui che protegge gli uomini; egli non vuole mai la morte dei suoi figli ma la loro vita e la loro felicità; egli non può né chiedere né giustificare la violenza, anzi la detesta e la rigetta. Il vero Dio chiama all’amore incondizionato, al perdono gratuito, alla misericordia, al rispetto assoluto di ogni vita, alla fraternità tra i suoi figli, credenti e non credenti».
La storia non perdona quanti praticano l’ingiustizia. La storia, invece, ha affermato con vigore papa Francesco, «onora i costruttori di pace, che, con coraggio e senza violenza, lottano per un mondo migliore». Per questo, ha ribadito papa Francesco, «L’Egitto, che al tempo di Giuseppe salvò gli altri popoli dalla carestia (cf. Gen 47,57), è quindi chiamato anche oggi a salvare questa cara regione dalla carestia dell’amore e della fraternità; è chiamato a condannare e a sconfiggere ogni violenza e ogni terrorismo; è chiamato a donare il grano della pace a tutti i cuori affamati di convivenza pacifica, di lavoro dignitoso, di educazione umana».
La grande sfida che papa Francesco affida a ciascuno di noi, e non solo ai cristiani o ai musulmani, ma a ogni persona di buona volontà, è di impegnarsi concretamente per la pace, per il rispetto dell’altro, dei più deboli, così come pure di praticare la via della giustizia, della carità, del dialogo.
A tal proposito, nel discorso tenuto alla Conferenza internazionale per la pace al Cairo presso l’Al-Azhar Conference, papa Francesco ha fatto riferimento alla sfida della grande formazione al dialogo, all’educazione alla pace, al rispetto dell’altro. «Educare all’apertura rispettosa e al dialogo sincero con l’altro, riconoscendone i diritti e le libertà fondamentali, specialmente quella religiosa, costituisce la via migliore per edificare insieme il futuro, per essere costruttori di civiltà. Perché l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è la inciviltà dello scontro, non ce n’è un’altra. E per contrastare veramente la barbarie di chi soffia sull’odio e incita alla violenza, occorre accompagnare e far maturare generazioni che rispondano alla logica incendiaria del male con la paziente crescita del bene: giovani che, come alberi ben piantati, siano radicati nel terreno della storia e, crescendo verso l’Alto e accanto agli altri, trasformino ogni giorno l’aria inquinata dell’odio nell’ossigeno della fraternità».
Un dato è certo: non si può uccidere o fare del male nel nome di Dio. Perciò, «La fede che non nasce da un cuore sincero e da un amore autentico verso Dio Misericordioso è una forma di adesione convenzionale o sociale che non libera l’uomo ma lo schiaccia. Diciamo insieme: più si cresce nella fede in Dio più si cresce nell’amore al prossimo».
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