Nella conferenza stampa di lunedì 30 novembre 2015, durante il volo di ritorno dalla Repubblica Centroafricana, papa Francesco ha parlato dei tre peccati più comuni in cui può cadere la stampa: «la disinformazione – dire la metà e non dire l’altra metà –; la calunnia – la stampa non professionale: quando non c’è professionalità, si sporca l’altro con verità o senza verità –; e la diffamazione, che è dire cose che tolgono la fama di una persona, cose che in questo momento non fanno male, niente, forse cose del passato […]. Questi sono i tre difetti che attentano alla professionalità della stampa». Consapevole che errare humanum est, il papa ha dichiarato apertamente che un giornalista, un vero professionista, «se sbaglia, chiede scusa: Credevo, ma poi mi sono accorto di no. E così le cose vanno benissimo. È molto importante».
Ci vuole tanta umiltà nel mettere mano alla penna e dare sfogo alle proprie critiche, descrivendo fatti e raccogliendo idee, tesi, progetti e giudizi che richiedono sempre un confronto sereno con le ragioni dell’altro, con l’oggettività di quello che si è “visto”, “sentito”, “letto”, “pensato” o “descritto”. In chi mette mano alla penna – a una tastiera del computer o del tablet – ci dev’essere tanta umiltà e quella sana tensione professionale che porta a valutare i fatti e le parole in più prospettive, nella massima estensione verso la verità e le ragioni dell’altro. Scrivere è quasi un atto di conversione, nel tentativo di creare dialogo con l’altro e comunione con gli altri, offrendo le giuste e dovute informazioni. Perché la comunicazione è sempre un evento interpersonale che mette in gioco noi stessi e il prossimo.
Lo scrittore israeliano Amos Oz, in un famoso romanzo intitolato Non dire notte (edito della Feltrinelli nel 2007), afferma che le “parole ci legano”, perché spesso ci fanno dire cose che non abbiamo pensato o scritto. L’ermeneutica del testo – l’interpretazione delle parole – apre sempre una voragine difficile da riempire con le proprie convinzioni, soprattutto se sono cariche di pregiudizi. La lettura è sempre sovversiva, perché lascia aperte nuove interpretazioni, a volte, distanti dal senso stesso del testo o dal significato letterale che l’autore ha voluto dare a quelle parole. In un certo senso, le parole ci legano con il mondo e intrecciano legami inscindibili con persone che magari non abbiamo ancora incontrato. Così, allo stesso modo, le parole ci fanno sentire protagonisti di un libro, piangere se sono sommesse e riescono a lacerare il nostro spirito. Forse, il potere delle parole è simile a quello delle mani: sono capaci di creare e distruggere in un attimo. Le parole ci spogliano, ci mettono a nudo di fronte agli occhi degli altri. Per questo vanno sempre misurate. Ma papa Francesco, nel suddetto intervento, non si è soffermato sull’interpretazione di un evento o su come leggere un libro; ha parlato di “cattiva informazione”, ossia mettere in circolo notizie incerte e incomplete; poi ha fatto riferimento alla calunnia e alla diffamazione, riprendendo un tema che gli sta molto a cuore. Infatti, nella visita pastorale a Napoli, lo scorso 21 marzo, parlando al clero e ai religiosi in Cattedrale, ha detto chiaramente che non c’è fraternità quando ci sono le chiacchiere. «Quello che chiacchiera è un terrorista che butta una bomba, distrugge stando fuori. Se almeno facesse il kamikaze! Invece distrugge gli altri. Le chiacchiere distruggono e sono il segno che non c’è fraternità […]. Le chiacchiere sono un terrorismo della fraternità diocesana, della fraternità sacerdotale, delle comunità religiose».
Un esempio concretissimo di “cattiva informazione” – non ci permettiamo di fare riferimento a calunnie o diffamazioni perché crediamo alla buona fede degli autori, ma ne critichiamo una certa superficialità nel portare notizie – è presente nel saggio fresco di stampa di A. Carfora – S. Tanzarella, Il cristiano tra potere e mondanità. 15 malattie secondo papa Francesco, edito da Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2015, che s’impreziosisce con la bella e accorata introduzione del vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, il quale ne illustra chiaramente i contenuti a mo’ di sintesi: «Questo volume prende le mosse dalle molteplici esperienze di umanesimo negato che papa Francesco, in molte occasioni, ha stigmatizzato. Lo ha fatto anche rivolgendosi ai superiori della Curia in occasione del Natale del 2014. Un discorso non di occasione o legato a una formale ricorrenza. Appare perciò molto opportuna l’iniziativa degli autori di offrire ai lettori un invito a rileggere le parole di Francesco e ad arricchirle con riferimento a uomini (Rosmini, Fogazzarro, Milani) che hanno amato senza riserve la chiesa. Il discorso di papa Francesco, franco ed esigente, in realtà riguarda tutti quanti da vicino, trattandosi di malattie che impoveriscono l’intero corpo ecclesiale, e non solo, e che rendono problematiche, se non controproducenti, specialmente le presenze e le testimonianze degli uomini di chiesa. Quelle che il papa ha messo in fila – il narcisismo come l’eccesiva operosità, la durezza di cuore, il funzionalismo, l’alzheimer spirituale che fa perdere lo slancio gioioso dato dall’incontro personale con Cristo e si concentra solo sul presente, la vanagloria, il servilismo cortigiano interessato a ingraziarsi il potere, il pessimismo sterile, l’accumulare per sentirsi più sicuri, la ricerca di consensi che diventano lo scopo della vita – sono tutte malattie che imputridiscono le esperienze ecclesiali impedendo alla chiesa di esprimersi come un corpo vivo, in cammino e in trasformazione» (pp. 5-6).
In effetti, gli autori di questo piccolo testo (appena 129 pagine in formato ridotto) hanno saputo rileggere in modo molto efficace il messaggio del papa a proposito della riforma della Chiesa cattolica, del suo ritorno alle origini e del radicamento del Vangelo nella testimonianza della vita di ogni credente, a partire dagli uomini e dalle donne di chiesa. Si parte dall’Evangelii gaudium e si arriva al Discorso che papa Francesco tenne alla Curia il 22 dicembre 2014 per gli auguri di Natale. Gli autori fanno riferimento a una sedicesima malattia: il costantinismo (cf. pp. 23-30). È un male, quest’ultimo, che può colpire tutte le Curie, in quanto rischiano di diventare luoghi artificiali alieni dall’imprevisto e dalla vita.
Anna Carfora e Sergio Tanzarella affermano che è «ben comprensibile come l’azione di riforma di Francesco trovi resistenze e ostacoli in non pochi ambienti curiali e di potere» (p. 47). Successivamente, essi fanno riferimento a un nostro articolo apparso sul famoso blog www.sanfrancescopatronoditalia.it/blog-francescani/francesco-non-e-papa-513, che recensiva il saggio di A. Socci, Non è Francesco. La chiesa nella grande tempesta (Mondadori, Milano 2014). Tale recensione è apparsa anche sulla prestigiosa Rivista di Teologia da noi diretta Asprenas, della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale Sez. S. Tommaso d’Aquino (cf. Asprenas 61 [2014] 1-4, 313-317, qui 315). Gli autori parlano di “idea balzana” quella che attribuisce a papa Francesco, in quanto gesuita, la non esperienza della fraternità tipica invece della tradizione francescana. E aggiungono: «Una inverosimile contrapposizione dal sapore stantio delle controversie del passato tra francescani e gesuiti. Come se per realizzare la fraternità bastasse la sigla di un ordine religioso o un abito» (p. 49). Non si tratta in nessun modo di “idea balzana”, perché la vera rivoluzione di papa Francesco sta proprio nell’aver riscoperto, da gesuita, la tradizione francescana che punta sul senso collegiale della fraternità. La forza di questo papa sta proprio nel rivoluzionare il senso giuridico e teologico della comunità. Ci dispiace riscontrare che gli autori del saggio abbiano travisato completamente le nostre parole. Papa Francesco mette in crisi i nostri modelli di comunità a vantaggio della fraternità cristiana delle origini e di quella sanfrancescana, che ponevano al centro il Vangelo come vita e la pace tra i discepoli. Ed è paradossale e profetico che un gesuita si mostri tanto sensibile a questo tema. Se vogliamo comprendere il “ciclone Francesco”, è necessario riconsiderare il modello di fraternità e non di comunità che ispira Bergoglio. Non si tratta di una questione accademica tra francescani e gesuiti dal “sapore stantio”. La forza di questo pontificato è nell’aver ricentrato la missione di Pietro sul Vangelo come forma di vita per ogni discepolo. È questo il cuore della regola francescana alla quale tutti noi dobbiamo ritornare.
«La fraternità francescana si qualifica come un messaggio di testimonianza, offerto al mondo, dell’universale paternità di Dio e dell’universale fraternità dell’uomo. I contenuti e i valori di questo messaggio si fondano essenzialmente sull’esperienza di vita evangelica, realizzata un giorno da san Francesco con i suoi primi compagni, che uomini-fratelli del nostro tempo vogliono rivivere nel nome di Cristo, come segno di speranza, per un dono di pace e di universale fraternità tra tutti i figli di Dio» (A. Boni, Fraternità, in E. Caroli [coor.], Dizionario francescano. Spiritualità, Edizioni Messaggero, Padova 1983, 614-638, qui 614). La fraternità evangelica rivissuta dal Poverello di Assisi umanizza il mondo e si presenta come l’autentico umanesimo cristiano, che fa del dono di sé per i fratelli e della lode a Dio il suo centro vitale. La forza dirompente di papa Francesco è di aver riscoperto il Vangelo come vita da vivere nell’oggi della nostra storia di credenti. Per il papa, una fraternità è vera, evangelica, perfetta, non se vive tutte le regole e le leggi della chiesa, ma se è capace di riconciliarsi, di chiedere scusa, di accogliere sempre i suoi membri e di riconoscere i propri peccati o errori. Perché il principio agapico è il fine delle nostre relazioni, mentre la verità, anche quella dottrinale e normativa, è lo strumento della comunione. Fare fraternità, avere misericordia, vuol dire, in quest’ottica, volere sempre il bene dell’altro, ossia custodire nel bene il fratello, anche se peccatore. È questa l’intuizione del Poverello che Bergoglio ha fatto sua e che noi stessi stentiamo a mettere in pratica o anche a riscoprire in ambito curiale, accademico, ministeriale e pastorale. Il cuore della fraternità è donarsi per il bene dell’altro che ci sta di fronte. È nell’etica del dono, della gratitudine e dell’accoglienza che si rivela la forza del Vangelo e si esprime credibilmente la missione della chiesa (cf. O. Todisco, Lo stupore della ragione. Il pensare francescano e la filosofia moderna, Edizioni Messaggero, Padova 2003, 349-359).
Dispiace anche la critica successiva che appare nei nostri confronti nel saggio di Carfora e Tanzarella, quando si afferma: «Ma c’è di peggio appena più avanti, quando Scognamiglio attacca direttamente l’azione pastorale di Francesco accusandolo di imprudenza, di sostenere e fomentare le ragioni dell’anticlericalismo, di fare battute inadeguate al suo ruolo, di essere egocentrico, e di far sentire vescovi e preti sotto giudizio negativo» (p. 49).
La recensione al testo di Socci, ove abbiamo provato a sminuire e a dimostrare l’infondatezza delle accuse sollevate al Santo Padre, consapevoli che papa Francesco non ha bisogno della nostra difesa, fu richiesta direttamente dalle Edizioni Paoline per il loro sito, in seguito alla polemica fatta sorgere dallo stesso Socci dopo che le Paoline decisero di non distribuire nelle loro librerie il suo testo, forse favorendone inconsapevolmente la pubblicizzazione. È qui che Carfora e Tanzarella hanno fatto “disinformazione” – e non andiamo oltre, perché non possiamo credere che due colleghi della stessa Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale abbiano voluto infangare il nostro nome per chissà quale motivo! –: nella recensione a Socci abbiamo riportato come pars destruens tutte le paure, i pregiudizi e le ansie raccolte sia da Socci che da noi sui blog e nel contatto quotidiano con fedeli e presbiteri che, a volte, restano disorientati per certi pronunciamenti pungenti – anche se profetici – di papa Francesco. Ci sono tantissimi cristiani impegnati nell’evangelizzazione che restano confusi da alcuni discorsi del Santo Padre, soprattutto per la strumentalizzazione che avviene da parte dei media. È sufficiente considerare il rumore mediatico ante e post celebrazione del Sinodo sulla famiglia per alcuni temi scottanti: coppie di fatto, unione gay… Si tratta d’insicurezza, di paura e disorientamento che la cattiva informazione mediatica pone in atto. È una condizione psicologica di forte disagio, che abbiamo respirato anche a Philadelphia durante il VII Incontro mondiale delle famiglie e che lo stesso papa Francesco ha voluto più volte sminuire con i suoi successivi interventi durante il Sinodo.
La citazione riportata dai colleghi della nostra recensione a Socci si ferma alla pars destruens e non considera la pars construens che segue, dove affermiamo: «Evidentemente, dobbiamo ancora comprendere che il “ciclone Francesco” sta avviando una rivoluzione culturale e missionaria che tocca anche il nostro modo di annunciare e di vivere il Vangelo, come anche il semplice parlare di Gesù Cristo, restando sempre in comunione con i papi precedenti e in continuità con il rinnovamento e la riforma voluta dal Concilio Vaticano II. Il linguaggio semplice, ricco di metafore e simboli, di papa Francesco è uno sprone per noi tutti a non prenderci troppo sul serio, a scendere dai nostri piedistalli e a stare in mezzo alla gente, rinunciando a tante pompe magne! È in questa prospettiva che dobbiamo valutare anche l’apertura di papa Francesco ai cristiani separati e risposati: se ci sono problemi e disagi concreti, per papa Francesco, vanno affrontati immediatamente, senza diplomazia o troppe teorie. Se la Chiesa cattolica è, per usare una metafora bergogliana, “un ospedale da campo”, allora non c’è tempo per analisi interminabili e non si possono sprecare energie per difendere troppo la propria immagine: occorre, invece, intervenire, curare, sanare e aiutare chi è ferito. Nel cuore di papa Francesco, dunque, ci sono i tanti feriti e delusi dalla vita e dalla Chiesa cattolica – ben rappresentati dal figliol prodigo della parabola del Padre buono – che attendono di sperimentare attraverso di noi non semplicemente l’astratta verità o dottrina di Gesù Cristo, ma la concreta misericordia del Padre che in Cristo ci è stata donata per sempre! Negli abbracci di Francesco si rivela la bontà del Padre che va in cerca dei tanti figli e figlie della chiesa oramai considerati perduti e demotivati» (Asprenas, pp. 316-317).
Infondate e superficiali le critiche di Carfora e di Tanzarella riportate nei confronti della nostra persona. Non abbiamo bisogno di mostrare la nostra fedeltà e stima al Santo Padre: parlano i tanti blog e le numerose pubblicazioni in cui riprendiamo il suo magistero e le sue parole, che continuano a metterci in crisi. È sufficiente rileggersi i nostri blog apparsi sul sito www.sanfrancescopatronoditalia e dare uno sguardo alla nostra ultima pubblicazione: «Amate i vostri nemici» (Mt 5,44). Utopia dell’amore o follia della croce? Celebrare la Misericordia, LDC, Leumann (Torino) 2015, come pure al prossimo numero di Asprenas dedicato completamente al Giubileo della Misericordia. Vi è addirittura il nostro sito www.centrostudifrancescani.it dedicato a papa Francesco soprattutto per il suo impegno per il dialogo ecumenico e interreligioso, come altresì per la pace e la giustizia.
Ringraziamo Carfora e Tanzarella per averci dato occasione per chiarire la nostra posizione e per aver creato un nuovo dibattito, nella speranza di lavorare insieme, in fraternità, dialogando, per la missione della chiesa e il bene del mondo, evitando – per quanto sia possibile – di morderci e di divorarci a vicenda (cf. Gal 5,3-5). Avremmo desiderato, visto la vicinanza delle nostre due Sezioni di Facoltà (S. Luigi e S. Tommaso), un confronto sereno e un chiarimento con gli autori prima ancora della pubblicazione del loro saggio. Tuttavia, si sa, spesso, nella fretta di “dare alle stampe” il frutto del nostro lavoro, ci lasciamo andare a refusi, abbagli, imprecisioni. A volte, il cattivo coordinamento, come anche la malattia della rivalità e della vana gloria, delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi, non risparmia proprio nessuno, anche noi che studiamo, scriviamo, e pubblichiamo. [Edoardo Scognamiglio]
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