J. Dupuis, Perché non sono eretico. Teologia del pluralismo religioso: le accuse, la mia difesa (Collana Le Nuove Caravelle), a cura di W.R. Burrows, Emi, Bologna 2014, pp. 224, € 17.
«Spero che questo libro possa rivelare qualcosa dell’umanità di Jacques Dupuis, nella misura in cui chiarisce tutto il lavoro che egli svolse in relazione alla Dominus Iesus e alla tragicommedia delle molteplici notificazioni della Cdf, ciascuna più debole della precedente. Il quadro completo potrà essere rivelato solo quando le diverse centinaia di pagine delle sue risposte agli “interrogatori” della Cdf saranno pubblicate e le persone coinvolte saranno sollevate dalla consegna di segretezza circa il processo» (p. 21).
Jacque Dupuis (1923-2204), teologo belga, iscritto alla Compagnia di Gesù, è tra i più grandi esperti del dialogo interreligioso e specialmente di un possibile abbozzo della teologia delle religioni. I suoi libri, tradotti in molte lingue non solo europee, rivelano che egli stesso è stato tra i più importanti promotori del pluralismo religioso in ambito cattolico. Per ben quarant’anni, Jacque Dupuis ha insegnato cristologia in India e poi all’Università Gregoriana di Roma. Nel 2001, la Congregazione per la dottrina della fede emanò la Notificazione nei suoi confronti che diede origine a una vera e propria controversia con il teologo belga per l’ortodossia di alcune sue teorie.
Il presente saggio è una sorta di testamento scritto a quattro mani. Infatti, mentre i capitoli II e III riportano i punti di vista di Dupuis sulla Dominus Iesus e sulle posizioni assunte dalla Congregazione per la dottrina della fede che criticò la sua opera, e sul processo che portò tale Congregazione a emanare una Notificazione critica sul libro Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, i capitoli I e IV sono i punti di vista dell’amico William R. Burrows sull’opera del gesuita e sugli eventi che riguardano il processo canonico e la Notificazione che Dupuis stesso ricevette dalla Congregazione per la dottrina della fede.
Burrows definisce l’amico e teologo Dupuis un “revisionista conservatore”. “Revisionista” perché Dupuis s’impegnò affinché il cristianesimo fosse compreso in chiave moderna, in modo più attendibile, secondo la critica che la ragione o la storia è in grado di presentare al dato della fede e alla dottrina cristiana in genere. “Conservatore”, in quanto Dupuis credeva che il magistero della chiesa fosse guidato dallo Spirito e che la tradizione dottrinale della Catholica sia una spiegazione fedele dell’autorivelazione del Dio trinitario. Come revisionista, Dupuis cercava di mantenere il nucleo dottrinale della tradizione, portando avanti e sviluppando quell’insieme trinitario e soteriologico alla luce dell’esperienza contemporanea della sapienza e della ricchezza di tali tradizioni. Così, Dupuis andava oltre le passate comprensioni di quel nucleo, per proporre nuovi modi in cui Dio è attivo in loro. «Nella sua opera complessiva, Dupuis ha sostenuto che sia il restrittivo riduzionismo pluralista sia l’angusta visione “ortodossa” cristiana delle altre religioni come vie di perdizione (basata su un elevato senso di totale “soprannaturalità” e superiorità del cristianesimo) sono inadeguati. La sua “revisione” (termine che egli non ha mai usato) ha cercato di mantenere in tensione dialettica la Scrittura e la Tradizione, da un lato, e le intuizioni valide dei pluralisti e degli storici e filosofi della religione “laici”, dall’altro» (pp. 12-13). Burrows descrive con molta lucidità e semplicità, attraverso i ricordi personali, i tratti umani e spirituali del teologo belga: umile, devoto, orante, aperto al dialogo, coerente con i suoi principi, disponibile a mettere in discussione le sue tesi, formato alla scuola di sant’Ignazio di Loyola e della spiritualità cristocentrica. Dell’insegnamento di Dupuis, Burrows fa notare una certa carenza ecclesiologica: per allontanare dubbi, critiche e perplessità da parte della Congregazione per la dottrina della fede, sarebbe stato opportuno presentare in modo più approfondito lo stretto legame tra la Chiesa cattolica e la salvezza universale che si concretizza in Cristo Gesù. Per Dupuis, forse, riporta Burrows, questo dato ecclesiologico era un fatto già acquisito, ovvero scontato. Eppure, nel corso della sua carriera d’insegnante, Dupuis impiegò ogni risorsa umana, intellettuale e spirituale per approfondire la comprensione del mistero di Cristo e della salvezza delle altre religioni. Molti critici di Dupuis si sono chiesti se fosse possibile essere indù-cristiani. Dupuis ha preso in considerazione l’atteggiamento profetico del benedettino Henri Le Saux (1910-1973), noto come swami Abhishiktananda. Burrows, oltre a parlare di tante incomprensioni tra Dupuis e la Congregazione per la dottrina della fede, afferma che le maggiori accuse dottrinali riguardavano l’azione dello Spirito Santo e del Logos nelle altre religioni (cf. pp. 49-53). Egli afferma chiaramente che la dichiarazione Dominus Iesus, anche se non fa esplicito riferimento a Dupuis, fu pubblicata con l’intento particolare di fermare ogni deriva pluralista in ambito teologico, soprattutto per contrastare il pensiero del teologo belga.
Nel capitolo quarto, Burrows presenta una breve postilla conclusiva personale su Dupuis, invitando il lettore a non estrapolare frasi o espressioni del teologo belga dal contesto dottrinale più complesso della proposta pluralista. Dupuis, per Burrows, si spinge più avanti della Dominus Iesus (cf. p. 175) per tre motivi: vede il cristianesimo come una fede intrinsecamente escatologica e, quindi, non fa una lettura solo storica dell’incarnazione e della mediazione ecclesiale; rilegge l’azione dello Spirito Santo in prospettiva trinitaria a livello cosmico e culturale, riconoscendone segni e tracce in ogni tradizione religiosa e cultuale mondiale; l’esperienza di qualsiasi credente richiede sempre un linguaggio analogico che trascende il dato dottrinale del vissuto religioso (parole come rivelazione, mistero, profeta e salvatore sono usate per indicare gli aspetti apparentemente comuni delle diverse tradizioni). Per Burrows, citando lo stesso Dupuis, la proposta del teologo belga rimane importante perché è il tentativo offerto alla teologia cristiana e cattolica delle religioni di compiere un salto qualitativo, riconoscendo de iure l’esistenza e il ruolo salvifico delle altre tradizioni religiose. L’inclusivismo cristologico di Dupuis s’apre serenamente all’accoglienza del pluralismo religioso.
Il capitolo secondo presenta alcune critiche di Dupuis nei confronti della Dominus Iesus che, per il teologo belga, sembra abbandonare diverse affermazioni positive del Vaticano II sulle altre religioni e anche sul mistero e la missione della chiesa a livello ecumenico. Dupuis fa riferimento esplicito al subsistit in dell’unica chiesa di Gesù Cristo nella Chiesa cattolica: una lettura che esclude le altre Chiese cristiane non ha motivo d’essere. In alcuni punti rafforza la sua tesi citando a tal proposito il cardinale Walter Kasper. Dupuis denuncia anche il fatto che la Dominus Iesus trae conclusioni che non conseguono necessariamente dalla dottrina della fede. «Un esempio è dove, dal fatto che la persona che parla in Gesù Cristo è una persona divina, la Dominus Iesus conclude che le parole di Gesù “portano in sé la definitività e completezza della rivelazione delle vie salvifiche di Dio” (DI 6)» (p. 119). Per Dupuis, il metodo migliore per affermare l’identità cristiana cattolica non è di favorire dichiarazioni esclusive a svantaggio delle altre tradizioni cristiane. Per Dupuis, la Congregazione per la dottrina della fede, in questo documento, si è lasciata trasportare dalla paura, dimenticando i segni di speranza per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso avvenuti con Paolo VI e Giovanni Paolo II.
Il capitolo terzo è dedicato al processo e alla notificazione della Congregazione per la dottrina della fede e ai punti di vista di Dupuis. Sono cinque paragrafi così distribuiti: Sull’unica e universale mediazione di Gesù Cristo (pp. 123-127); Sull’unicità e pienezza della rivelazione di Gesù Cristo (pp. 135-138); Sull’azione salvifica universale dello Spirito santo (pp. 139-144); Sull’orientamento di tutti gli uomini alla chiesa (pp. 145-149); Sul valore e la funzione salvifica delle tradizioni religiose (pp. 150-158). Vale la pena soffermarsi su questi cinque punti che costituiscono i cinque capi di accusa rivolti a Dupuis dalla Congregazione per la dottrina della fede in documenti diversi e più volte rivisitati. Dupuis risponde soprattutto al testo definitivo della Notificazione della Congregazione per la dottrina della fede approvata il 19 gennaio 2001 da Giovanni Paolo II e pubblicata sull’Osservatore Romano il 27 febbraio 2001. Il testo fu stampato con un commento non firmato. Circa l’unica e universale mediazione salvifica, Dupuis, recuperando la prospettiva trinitaria della rivelazione e della salvezza – egli sottolinea, infatti, che è il Padre la fonte e la sorgente della nostra salvezza –, riconosce che Gesù Cristo è mediatore in modo unico in quanto unisce nella propria persona divinità e umanità. Tuttavia, citando Giovanni Paolo II e il n. 5 della lettera enciclica Redemptoris missio, riconosce che ci sono forme partecipate di mediazione. «Che Gesù Cristo, Figlio e Verbo del Padre, sia l’unico Salvatore del mondo […], deve essere altresì considerato in prospettiva trinitaria» (p. 129).
L’azione salvifica di Gesù Cristo è l’espressione umana nel Figlio incarnato dell’atto divino della salvezza, che ha la sua sorgente nella persona del Padre. Dupuis insiste sul fatto che il termine Salvatore, nel NT, è attribuito originariamente al Padre quale fonte originaria di salvezza e poi è applicato in modo derivato al Figlio. Dupuis riconosce che c’è un solo piano divino di salvezza e che, quindi, c’è unità tra il Verbo e Gesù. Per Dupuis, tuttavia, l’azione salvifica universale del Verbo può continuare anche dopo l’incarnazione e la risurrezione di Gesù. Egli afferma questo insistendo sulla reale distinzione in Gesù tra natura umana e natura divina. Tale distinzione non mette in gioco l’unità sostanziale ma rivela una certa autonomia dell’agire del Verbo in quanto Dio. Per Dupuis, l’essere Verbo di Dio e la sua azione non possono essere fatti dipendere dall’unione personale della natura umana di Gesù con il Verbo di Dio implicata nel mistero dell’incarnazione. Qui Dupuis rilegge Calcedonia e il terzo concilio di Costantinopoli a proposito dell’unione ipostatica e dell’azione teandrica nell’agire di Gesù vero Dio e vero uomo. Quello che non convince, a nostro parere, pur essendo estimatori del pensiero e dell’opera di Dupuis, riguarda l’agire stesso di Gesù Cristo come Figlio incarnato. Se è vero che Gesù è l’unione ipostatica, ossia la forma definitiva del Verbo nella storia, in altri termini il Figlio unigenito incarnato, il suo agire – se pur limitato e kenotico – è l’agire del Figlio che resta tale nella sua stessa umanità. La stessa presenza del Cristo risorto in mezzo a noi, nella storia, nel cosmo, non è pensabile senza la sua umanità trasfigurata. Eppure, questa umanità trasfigurata opera in mezzo a noi in modo kenotico e ancora umiliato, fino al giorno della parusìa, ossia della manifestazione gloriosa del Signore risorto. È come se a un certo punto, nella tesi di Dupuis, si riscontrasse una certa forma di nestorianesimo. Proviamo a spiegarci: se l’incarnazione è il per sempre di Dio, la condizione escatologica del modo di essere e di agire di Jhwh nella storia, allora non possiamo più pensare a un’azione salvifica del Verbo che non coincida con l’umanità stessa di Gesù, con la sua persona storica. Ripetiamo: Gesù è l’unione ipostatica e non un avatar che accoglie e manifesta il divino in sé. Dio stesso si è condizionato in misura infinita e definitiva nell’agire e nell’essere di Gesù di Nazaret. Forse, Dupuis fa più una lettura escatologica dell’agire misterioso del Verbo in Cristo e oltre Cristo e non propriamente storica. Dal momento dell’incarnazione non possiamo e non dobbiamo più pensare a un Verbo eterno posto accanto all’uomo Gesù.
Sull’unicità e la pienezza della rivelazione di Gesù Cristo, Dupuis fa notare che nella notifica della Congregazione per la dottrina della fede si afferma che è opinione erronea ritenere che gli elementi di verità e di bontà presenti nelle altre tradizioni religiose non derivano ultimamente dalla mediazione fontale di Gesù Cristo (cf. p. 135). Per Dupuis, tali semi di verità e di bene ci sono perché rivelano la partecipazione a quella Verità che in Cristo si è già rivelata. Tuttavia, questi semi sono in qualche modo autonomi o, comunque, ricollegabili direttamente a quella fonte di vita e di grazia che è il Padre. «In ultima analisi, è da Dio che derivano gli elementi di verità e di bontà presenti nelle tradizioni. In definitiva, Dio è la Verità che si è pienamente manifestata nella storia di Gesù Cristo» (p. 139). Dupuis afferma questo per riconoscere il diritto teologico di esistere di ogni religione.
Sull’azione salvifica universale dello Spirito Santo, Dupuis, diversamente dalla notifica della Congregazione per la dottrina della fede – in cui si dice che è contrario alla fede cattolica ritenere che l’azione salvifica dello Spirito Santo si possa estendere oltre l’unica economia salvifica universale del Verbo incarnato (cf. p. 139) –, pone in rilievo la prospettiva più trinitaria dell’agire dello Spirito, tipica delle Chiese ortodosse. Bisogna riconoscere che si è affermato, in Occidente, un certo cristomonismo. Per questo motivo, Dupuis afferma che lo Spirito Santo è in azione da sempre in tutta la storia della salvezza ancor prima dell’incarnazione del Figlio e che è lo Spirito di Cristo inviato dal Padre a completare l’opera della rivelazione e della salvezza. Il Padre è la causa prima della missione dello Spirito. Certamente, lo Spirito procede anche dal Figlio. Tuttavia, la questione da affrontare è cercare di capire se l’azione dello Spirito Santo, dopo l’incarnazione e la risurrezione di Gesù, debba passare o no per l’umanità del Verbo. Per Dupuis, la questione è solo speculativa ed è tutta occidentale. Bisogna, invece, chiedersi se dopo la risurrezione di Gesù possa persistere un’azione salvifica dello Spirito senza che quest’ultimo sia inviato dal Cristo risorto (cf. p. 141). È la questione del Filioque. Pur evitando di parlare di due economie, Dupuis recupera una certa autonomia dell’agire dello Spirito Santo dalla tradizione ortodossa in cui è detto con chiarezza che la fonte della processione dello Spirito è il Padre. La Pentecoste è una nuova rivelazione: è il secondo atto del Padre. Attraverso il recupero di un sano subordinazionismo moderato o anche il riconoscimento di un’equilibrata monarchia del Padre, Dupuis tenta di svincolare l’agire universale dello Spirito dall’umanità risorta del Verbo. Personalmente, crediamo che sia impensabile che l’agire dello Spirito Santo possa avvenire senza che l’Amore sia necessariamente comunicato dal Cristo risorto. Per Dupuis, invece, un intervento diretto dello Spirito inviato dal Padre non contraddice in alcun modo l’unica economia salvifica universale di Dio per l’umanità (cf. p. 145). Forse, qui Dupuis avrebbe dovuto specificare meglio l’agire proprio dello Spirito Santo che, per sua natura, è la persona nelle persone, e agisce in modo silenzioso, con gemiti inesprimibili, nel venticello leggero. Lo Spirito e la Parola operano sempre in comunione d’amore e non si contraddicono. Si può riconoscere tranquillamente l’agire misterioso e salvifico dello Spirito Santo nelle altre tradizioni religiose, nell’uomo che cerca il bene, appellandosi proprio al carattere misterico e silenzioso del suo agire sempre e solo come Spirito del Padre e del Figlio (Parola fatta carne). Anche l’agire o missione dello Spirito oggi avviene in stato kenotico: solamente nella parusìa – che sarà un incendio di fuoco, manifestazione della bellezza divina, secondo gli orientali – si rivelerà nella pienezza del suo essere (Amore). Lo Spirito che agisce nel cuore di ogni uomo e abita l’universo, l’intero cosmo e non solo il nostro Pianeta, è mozione, desiderio, sibilo: il suo agire rivelativo e ispirativo rimane segreto fino a quando la Parola non è proclamata per manifestare la Verità tutta intera.
Circa l’orientamento di tutti gli uomini alla Chiesa cattolica, lì dove la notifica della Congregazione per la dottrina della fede non ammette altre mediazioni complementari per il raggiungimento della salvezza, Dupuis parla di mediazione per sostituzione alla mediazione sacramentale della Chiesa cattolica là dove la mediazione ecclesiale non può raggiungere persone che non sono suoi membri. Ci sono vie che Dio solo conosce (cf. AG 7; GS 22). È chiaro che qui bisognerebbe distinguere tra la mediazione ontologica riservata solo a Gesù Cristo, quella sacramentale (di second’ordine e derivata) della Chiesa cattolica e quella di sostituzione rappresentata dalle altre tradizioni religiose. Si tratta sempre e solo dell’unica mediazione di Cristo che ammette più partecipazioni di diverso grado. È fondamentale rileggere LG 5 (la chiesa è in nuce o germe il Regno, ma in realtà non s’identifica con il Regno perché è al suo servizio nella missione che le è stata affidata) e LG 8 (vi è una non debole analogia tra il mistero del Verbo incarnato e il mistero della chiesa, anche se la chiesa non è il Verbo).
A proposito del valore e della funzione salvifica delle tradizioni religiose, Dupuis afferma che i semi di bene e di verità presenti nelle altre religioni sono direttamente riconducibili alla volontà salvifica del Padre e, quindi, conferiscono alle altre religioni un vero e proprio diritto teologico d’esistenza. Dupuis è alla ricerca di un pluralismo inclusivista che, pur riconoscendo l’unica mediazione di Cristo, affermi il diritto teologico d’esistere delle altre religioni. Di là d’imprecisioni e approfondimenti ancora da fare, Dupuis stesso, in più occasioni, sottomise i suoi sforzi alla considerazione dei suoi colleghi teologi e al giudizio dell’autorità dottrinale della Chiesa cattolica. Quello che forse è mancato nella sua vicenda dottrinale è stato sicuramente un dialogo più sereno e fraterno con alcuni membri della Congregazione della dottrina della fede. [Edoardo Scognamiglio].
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