La vita come dialogo: per una civiltà dell’amore
Dialogare è stare difronte all’altro e guardarsi negli occhi, comprendendo finalmente che “l’uomo si fa Io nel Tu” (Martin Buber) e che ciò che sta di fronte a noi “viene e va” e che ogni possibile relazione umana “si condensa e di disperde” allo stesso tempo in base agli eventi della storia, al nostro modo di pensare, di essere e di agire. Tuttavia, la nostra esistenza riceve un significato pieno, o almeno è vissuta in pienezza, solo quando si fa dialogo, cioè diventa capace di aprirsi al mistero dell’altro.
Papa Francesco a Sarajevo
Sono queste le prime riflessioni che mi sovvengono nel momento in cui ripenso al viaggio apostolico di papa Francesco in Bosnia-Erzegovina, nella terra dove la morte, la violenza e le vendette più trucide hanno visto fratello contro fratello, famiglie contro clan, cristiani contro cristiani e musulmani contro musulmani. Papa Francesco ha definito quelle terre dell’ex-Jugoslavia, soprattutto Sarajevo, come la Gerusalemme dell’Occidente, una sorta di Medio Oriente incandescente sempre pronto a esplodere per guerre di religioni, di nazionalismi, per localismi, per vendette tribali e trasversali. A Sarajevo, nell’incontro ecumenico e interreligioso del 6 giugno 2015, presso il Centro internazionale studentesco francescano, papa Francesco ha detto chiaramente che il dialogo interreligioso, prima ancora di essere discussione sui grandi temi della fede, è una «conversazione sulla vita umana». Il dialogo umanizza il mondo e ci permette di creare delle relazioni più fraterne tra considerando le diversità culturali, religiose e socio-politiche come una grande risorsa per tutti. Nel dialogo si «condivide la quotidianità dell’esistenza, nella sua concretezza, con le gioie e i dolori, le fatiche e le speranze; si assumono responsabilità comuni; si progetta un futuro migliore per tutti. S’impara a vivere insieme, a conoscersi e ad accettarsi nelle rispettive diversità, liberamente, per quello che si è. Nel dialogo si riconosce e si sviluppa una comunanza spirituale, che unifica e aiuta a promuovere i valori morali, i grandi valori morali, la giustizia, la libertà e la pace. Il dialogo è una scuola di umanità e un fattore di unità, che aiuta a costruire una società fondata sulla tolleranza e il mutuo rispetto». Per questo motivo, il dialogo interreligioso non può limitarsi solo a pochi, ai soli responsabili delle comunità religiose, ma dovrebbe estendersi quanto più è possibile «a tutti i credenti, coinvolgendo le diverse sfere della società civile».
Papa Francesco ha posto un’attenzione particolare ai giovani, chiamati a costruire il futuro della Bosnia e dell’Erzegovina. Bergoglio ha ricordato anche che il dialogo, per essere autentico ed efficace, presuppone un’identità formata: senza identità formata, il dialogo è inutile o dannoso. In gioco c’è la propria identità culturale, sociale, politica, religiosa, nonché etnica. In gioco c’è il nostro vissuto culturale e sociale, religioso e politico, affettivo ed economico. La vita può diventare un vero dialogo solo se riusciamo a riscoprire le diversità come una grande risorsa e un arricchimento per la nostra identità che è già data per origine, tradizione, vissuto, ma che si completa sempre nell’altro, nel confronto con il mondo e le persone che stanno attorno a noi. Fare della vita un dialogo fraterno e sincero è un’impresa ardua che dura, appunto, tutta l’esistenza. Siamo, infatti, in continua trasformazione e, giorno per giorno, la vita ci pone innanzi nuove sfide e progetti sempre più complessi. Tuttavia, vivere gomito a gomito con comunità, famiglie, tradizioni e fedi diverse vuol dire imparare a vedere il positivo che c’è nell’altro; diversamente la nostra convivenza sarà un piccolo inferno.
Superare i contrasti del passato
Nel passato, le diversità tra le culture e le religioni sono state spesso fonte di incomprensioni tra i popoli e motivo di conflitti e guerre. Ma ancor oggi, purtroppo, in diverse parti del mondo, assistiamo, con crescente apprensione, al polemico affermarsi di alcune identità culturali e religiose contro altre culture e religioni. Questo fenomeno può, alla lunga, sfociare in tensioni e scontri disastrosi, e quanto meno rende penosa la condizione di talune minoranze etniche e culturali, che si trovano a vivere nel contesto di maggioranze culturalmente diverse, inclini ad atteggiamenti e comportamenti ostili e razzisti. Di fronte a questo scenario, ogni uomo di buona volontà non può non interrogarsi circa gli orientamenti etici fondamentali che caratterizzano l’esperienza culturale di una determinata comunità. Le culture, infatti, come l’uomo che ne è l’autore, sono attraversate dal «mistero di iniquità» operante nella storia umana (cf. 2Ts 2,7) e hanno bisogno anch’esse di purificazione e di salvezza. L’autenticità di ogni cultura umana, il valore dell’ethos che essa veicola, ossia la solidità del suo orientamento morale, si possono in qualche modo misurare dal suo essere per l’uomo e per la promozione della sua dignità ad ogni livello e in ogni contesto. Tuttavia, se tanto preoccupante è il radicalizzarsi delle identità culturali che si rendono impermeabili a ogni benefico influsso esterno, non è però meno rischiosa la supina omologazione delle culture, o di alcuni loro rilevanti aspetti, a modelli culturali del mondo occidentale che, ormai disancorati dal retroterra cristiano, sono ispirati a una concezione secolarizzata e praticamente atea della vita e a forme di radicale individualismo. Si tratta di un fenomeno di vaste proporzioni, sostenuto da potenti campagne mass-mediali, tese a veicolare stili di vita, progetti sociali ed economici e, in definitiva, una complessiva visione della realtà, che erode dall’interno assetti culturali diversi e civiltà nobilissime. A motivo della loro spiccata connotazione scientifica e tecnica, i modelli culturali dell’Occidente appaiono fascinosi ed attraenti, ma rivelano, purtroppo, con sempre maggiore evidenza, un progressivo impoverimento umanistico, spirituale e morale. La cultura che li genera è segnata dalla drammatica pretesa di voler realizzare il bene dell’uomo facendo a meno di Dio, Bene sommo. Una cultura che rifiuta di riferirsi a Dio perde la propria anima e si disorienta divenendo cultura di morte, come testimoniano i tragici eventi del secolo XX e come stanno a dimostrare gli esiti nichilistici attualmente presenti in rilevanti ambiti del mondo occidentale.
Per una civiltà dell’amore
Analogamente a quanto avviene per la persona, che si realizza attraverso l’apertura accogliente all’altro e il generoso dono di sé, anche le culture, elaborate dagli uomini e a servizio degli uomini, vanno modellate con i dinamismi tipici del dialogo e della comunione, sulla base dell’originaria e fondamentale unità della famiglia umana, uscita dalle mani di Dio che «creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini» (At 17,26). In questa chiave, il dialogo tra le culture e delle religioni emerge come un’esigenza intrinseca alla natura stessa dell’uomo e della società. Il dialogo porta a riconoscere la ricchezza della diversità e dispone gli animi alla reciproca accettazione, nella prospettiva di un’autentica collaborazione, rispondente all’originaria vocazione all’unità dell’intera famiglia umana. Paolo VI amava ripetere che il dialogo è strumento eminente per realizzare la civiltà dell’amore e della pace. Si tratta dell’ideale a cui ispirare la vita culturale, sociale, politica ed economica del nostro tempo. Non è mai troppo tardi affinché tale civiltà prenda forma con il nostro contributo e con l’impegno di tutte le comunità religiose e multietniche.
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