«Invocheranno il nome dell’Eterno concordemente uniti». Sotto questo titolo, dal 24 al 26 novembre scorso, si è svolta a Salerno una tre giorni di incontri e dibattiti sul dialogo ebraico-cristiano, organizzata dall’Ufficio Nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza Episcopale Italiana.
Non è stato uno dei tanti convegni sul tema, né semplicemente un evento più o meno grande, più o meno importante. È stato, bensì, un momento in cui ebrei e cristiani hanno scritto insieme una pagina nuova e bella della storia del loro cammino. Un cammino necessariamente comune, perché, come ha ricordato nel suo primo intervento Mons.Bruno Forte, «l’ebraismo è dato irrinunciabile della fede cristiana» e perché «nella speranza dell’attesa, Israele e la Chiesa camminano insieme, separati e uniti dalla Croce».
Non è stato uno dei tanti convegni. Lo si è capito subito, il 24 sera, all’apertura dei lavori. Lo si è capito dall’emozione sui volti degli organizzatori, dalla lista dei nomi dei relatori, dal clima di grande attesa che regnava nella sala gremita, dai primi abbracci sinceramente affettuosi, ma ancora un po’ timidi, timorosi, che ancora esitavano ad esplodere.
Non è stato uno dei tanti convegni. Lo si è compreso sempre di più, ad ogni nuovo relatore, ad ogni intervento, ad ogni commosso ricordo dell’amico Carlo Maria Martini, ad ogni confronto e perfino ad ogni morso di pasticcino kosher e ad ogni sorso di caffè durante le consuete pause.
«Uno dei rischi inerenti al Dialogo – ha ricordato Rav Laras – è quello di arrestarsi, senza più dare segni di vita. Quando ciò può avvenire? Quando ‐ Dio non voglia ‐ il dialogo tra noi potrebbe dirsi irrimediabilmente arrestato? Qualora ci si convinca che non abbiamo più nulla da dirci e che è quindi inutile e stanchevole insistere a ispirarci,
servendoci della forza fecondatrice della nostra parola umana».
Dopo tre giorni, ebrei e cristiani si sono salutati mercoledì pomeriggio, prima di far ritorno ciascuno alla propria casa. E, nonostante le tante ore di relazioni, interventi e dibattiti, non sembrava affatto che non avessero «più nulla da dirsi». Nessuno sembrava pago di farsi fecondare dalla parola dell’altro. In quel momento, il sentimento è divenuto certezza: non è stato uno dei tanti convegni.
Michele Giustiniano
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